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La critica al sistema educativo e la metafora del circo

«I miei pensieri sono così ribelli che vogliono inseguire l'immaginazione»146.

Ultima, ma non per importanza o per la rilevanza nel romanzo, è la tematica dell’educazione impartita nelle scuole e, più in generale, la critica della filosofia utilitaristica in quanto ideologia totalizzante della società industriale. L’esame che Dickens fa del sistema scolastico della sua epoca e, dunque, anche dello schema di valori a cui esso si ispirava, ruota intorno al confronto dicotomico tra «Fact» e «Fancy», tra «Fatti» e «Immaginazione», come contrapposizione di due modi di vedere la Realtà, di percepirla e di farne un’esperienza: due modi che sembrano, alla lettura, del tutto inconciliabili. Il romanzo, infatti, si apre emblematicamente su un’aula scolastica, che appare come «un sinistro meccanismo pronto a sostituire le tenere fantasie infantili che bisognava spazzare via»147, nel mezzo di un edificante confronto tra

l’ideologico culto dei fatti e l’inconsistente e futile esercizio della fantasia. E sono in questo confronto numerose le immagini collegate a metafore naturalistiche con cui Dickens denunciava la sterilità che la cieca applicazione della filosofia utilitaristica comportava.

«Piantate fatti, sradicate tutto il resto»148, così esclamava Gridgring nel discorso iniziale, incoraggiando i maestri a seguire esclusivamente un modello di conoscenza astratto e disumano, ma funzionale alla riproduzione di una

146 C. Dickens, Tempi Difficili, cit., p. 67. 147 Ivi, p. 10.

54 precisa struttura socioeconomica. Nella scuola di Gridgring, profeta dell’Utilitarismo, si “iniziano” i giovani abitanti di Coketown alla nuova dottrina. Qui i discepoli, «i piccoli recipienti schierati di fronte a lui per essere

riempiti di fatti»149, che si chiamano non per nome ma per numero, venivano

plasmati in base ad un sapere fatto di cose certe e ben definite, mentre ogni relazione si sviluppava in base ai freddi dettami dell’Economia Politica.

Oggetto della critica di Dickens non è tanto il personaggio di Gridgring di per sé, quanto il ruolo sociale e il codice di valori che egli esprimeva, come rappresentante di tutti quei filosofi-scienziati che facevano dell’utilitarismo la loro unica fede, sfruttando la posizione che ricoprivano per “tracciare a tavolino” il funzionamento del mondo150. Del modo in cui la classe intellettuale

e politica analizzava con logica scientifica e razionale l’esigenza che la società fosse conforme al modello dell'efficienza produttiva, Gradgring era invero un campione: nella sua casa, «tra quelle magiche pareti, si valutavano, quantificavano e infine regolavano le più complesse questioni sociali – se solo i diretti interessati ne fossero stati a conoscenza! Come un astronomo che, in un osservatorio privo di finestre, volesse organizzare l'universo stellato con il solo ausilio di carta, penna e inchiostro, così il signor Gridgring nel suo privato osservatorio (e come il suo ve ne sono parecchi) non aveva alcun bisogno di gettare lo sguardo sugli esseri umani che gli brulicavano attorno, ma si compiaceva di tracciare i loro destini su una semplice lavagna, cancellando via le loro lacrime con un unico pezzetto di spugna sudicia»151.

Serve solo ciò che è funzionale, e i «Fatti» non prevedono, nella loro purezza scientifica, alcuna emotività. Non è un caso la presenza di una pendola, nella stessa stanza di Gridgring, per rappresentare un tempo scandito

149 Ivi, pp. 9-15

150 R. Williams, op. cit., pp. 126-127. 151 C. Dickens, Tempi Difficili, cit., p. 116.

55 implacabilmente dalle cifre e dai dati statistici, sotto i rintocchi netti e precisi dell’orologio che oscillava battendo ogni volta un colpo secco che tuonava come se martellasse una cassa da morto152. Se la scienza era l’unico modo valido di conoscenza o, quantomeno, il metodo superiore a tutte le altre forme di interpretazione del mondo, la metafora della pendola diventerebbe il simbolo di quella frammentazione della vita conseguente alla violazione di ogni temporalità153.

«Devono essere i fatti a guidarvi e governarvi, in tutto e per tutto. Speriamo presto di avere un consiglio dei fatti, composto da funzionari di fatti che costringono il popolo a essere un popolo di fatti e null’altro che fatti. La parola

Immaginazione deve essere bandita!»154. Difatti, il signor Gridgring,

concepiva la sua intera esistenza sulla base dei fatti, conosceva solo ciò che era «suscettibile di prova e dimostrazione»155: anche la sua casa e i suoi figli erano

stati costruiti sulla base dei principi scientifici e dello schema di “valori” dell’Utilitarismo. L’abitazione della famiglia Gridgring era una «casa calcolata, computata, calibrata e collaudata», un «irriducibile fatto piazzato nel

bel mezzo del paesaggio»156. Tutto in essa è funzionale e funzionante, come

una macchina perfetta.

In particolare, la scuola doveva essere concepita come un modello educativo

che avrebbe fornito ai bambini le regole e i principi su cui formare il proprio carattere e la propria vita, poiché proprio essa avrebbe forgiato i futuri cittadini inglesi; insomma una «scuola modello», che doveva produrre «alunni

modello»157. «Ebbene, non dovete vedere in nessun luogo cose che non vedete

di fatto; in nessun luogo dovete avere cose che non avete di fatto. Quel che si

152 Ivi, p. 116.

153 M. R. Cifarelli, op. cit., p. XIII. 154 C. Dickens, Tempi Difficili, cit., p. 14. 155 Ivi, p. 14.

156 Ivi, p. 17. 157 Ivi, p.16.

56 chiama Giusto non è che un’altra parola per dire Fatto». L’immaginazione, tratto dell’infanzia che Dickens riteneva caratteristica essenziale umana, doveva essere, secondo la teoria utilitarista catturata e «trascinata per i capelli nei cupi antri della statistica»158.

In realtà la dottrina dell’Utilitarismo, nella rappresentazione che ne aveva dato Bentham, era essenzialmente una filosofia morale: la quale, grazie ad una metodologia tipica delle scienze fisico-matematiche, intendeva individuare e formalizzare le norme e regole che determinavano i comportamenti e le azioni umane. Posto che l’individuo non è soggetto di libera volontà ma è per natura dominato da «due supremi padroni, il dolore e il piacere»159, il principio guida

di questi comportamenti e di queste azioni non può che essere proprio l’utilità, intesa come la proprietà di produrre vantaggi e benessere, piuttosto che svantaggi e infelicità.

Siccome la società era vista come la somma delle singole persone che la componevano e poiché ogni individuo aveva l’unico scopo di perseguire il proprio interesse, il benessere della società era la somma degli interessi dei suoi membri. In conformità a questo assunto, un’azione sarebbe stata conforme al principio di utilità quando la sua tendenza ad aumentare la felicità complessiva della società avesse superato la tendenza a diminuirla. Questo postulato prendeva il nome di massimizzazione dell’utilità e permetteva, in quanto unico criterio interpretativo, di decidere in merito alle questioni socio- politiche dell’economia, della legislazione civile e penale160.

La critica che era mossa alla filosofia utilitaristica da molti pensatori dell’età vittoriana si fondava sul fatto che, a causa del suo riduzionismo matematico, concepiva la vita solo come un’equazione da risolvere, e l’azione umana come

158 Ivi, p.16.

159 J. Bentham, Introduzione ai principi della morale e della legislazione (1789), Utet, Torino, 1998, p. 89

57 una semplice mossa di calcolo egoistica.

Dickens, nella sua personale e originale analisi dell’utilitarismo, si legava alla tradizione romantica dell’umanesimo antirazionalista tipico di quella critica. La dedica iniziale di Hard Times a Carlyle, è al riguardo significativa, perché Carlyle era stato uno dei critici più radicali dell’età vittoriana. Contrapponendo a essa l’elogio di un passato mitizzato, intriso di valori morali e di rettitudine, Carlyle rifiutava una società in cui il meccanicismo aveva ormai affondato le radici nelle più intime caratteristiche umane, fino a contaminarne lo spirito. Così, ad una società meccanica basata sul principio di Utilità, contrapponeva una società organica, una società vista cioè come un organismo vivente, come un tutto inscindibile, la cui complessità non poteva essere ridotta alla semplice somma delle singole parti, né calcolata in termini scientifici.

Secondo Carlyle, nell’«Età meccanica»161, «gli uomini sono dominati dai

meccanismi, nella testa e nel cuore, come nelle mani»162; l’unico ambiente in cui si realizzavano le relazioni umane era diventato il mercato, e il solo legame tra le persone era, ormai, il pagamento in contanti, in altre parole quello che egli chiamava “Cash nexus”: i rapporti sociali autentici erano stati degradati al solo «nesso economico»163.

Se Coketown rappresentava l’inveramento estremo del meccanicismo denunciato da Carlyle, al mondo dominato dai Fatti Dickens contrappose la vita del Circo equestre, la cui immagine quasi disturbava ideologicamente il mondo di Gridgring164. La città, infatti, era organizzata secondo principi improntati su una rigida stratificazione sociale: al vertice Bounderby e Gradgring, i detentori, rispettivamente, dei mezzi di produzione e degli

161 T. Carlyle, Signs of the time, 1849, p.1. È possibile reperire il testo alla pagina web: https://pdcrodas.webs.ull.es/anglo/CarlyleSignsOfTheTimes.pdf

162 Ivi, p. 4.

163 T. Carlyle, Passato e Presente, Bocca Editori, Torino, 1905, p. 243 164 C. Dickens, Tempi Difficili, cit., p.128.

58 strumenti ideologici che danno accesso al potere; alla base le Hands, i lavoratori, relegati nei luridi ghetti della città.

Il Circo equestre era, invece, la negazione di ogni gerarchia: i suoi membri vivevano insieme in una comunità di tipo “libertaria”. I loro rapporti non erano regolati dal principio di autorità o da vincoli di parentela; essi erano in relazione fra loro per legami di solidarietà e sulla base delle abilità e delle competenze individuali nello svolgimento degli esercizi in cui si esibivano. Non esistevano gradi tra di loro, erano trasandati nel vestire e piuttosto ignoranti per quanto riguardava la morale dell’epoca, ma erano dotati di un bene più prezioso: il piacere di vivere insieme nel rispetto reciproco e la capacità di stimolare l’immaginazione, così nelle acrobazie che facevano come all’interno dei rapporti sociali della loro comunità165.

«Tutti ostentavano scaltrezza nelle cose del mondo, non erano molto ordinati nel vestiario, e le loro situazioni familiari erano tutt’altro che trasparenti. Quanto all’istruzione, a malapena sarebbero stati capaci, unendo i loro sforzi, di comporre una letterina stenta, quale che fosse l’argomento. Eppure erano gente di straordinaria dolcezza e ingenuità, assolutamente incapaci di qualsiasi cattiveria, dotati di un’inesauribile disponibilità ad aiutarsi e consolarsi a vicenda»166.

Il Circo, in questo modo, rappresentava un mondo che sfuggiva alle leggi e ai valori che regolavano il sistema capitalistico, configurava una comunità al di fuori della struttura sociale e delle classi. Questa contrapposizione, nonostante la rappresentazione delle vicende dei circensi non abbiano tanto spazio all’interno del romanzo, pone il modello alternativo di società di Dickens in una posizione centrale, proprio perché rappresentava il contrappeso della «nota

165 M. T. Chialant, Il paradosso dickensiano: fact vs fancy, cit., p. 166 C. Dickens, Tempi Difficili, cit., p. 46.

59 dominante» di tutte le vicende raccontate: ossia i fatti167.

Il circo esprimeva la costruzione fantastica, la realtà che diventava finzione e, viceversa, la finzione che si faceva realtà. Esso si poneva al di fuori di ciò che si poteva sperimentare e calcolare: la sua estraneità rispetto a Coketown – resa simbolicamente anche dalla sua dislocazione geografica «nella terra di nessuno alla periferia della città»168- rappresentava la separazione dell’immaginario dal

reale e rimandava alla funzione autonoma dell’arte e alle capacità costruttive della fantasia. Comunque, per quanto riguarda l’impressione di questo scontro tra Fact e Fancy, se pur il Circo rappresentasse una possibile alternativa, non aveva comunque la forza di sostituirsi alla Città, ma ne riusciva solo a mitigare gli effetti più negativi169.

Questo mondo itinerante, trasgressivo e sempre in festa, si manifestava durante gli spettacoli spensierati, effimeri e piacevoli, creando così uno spazio del “diverso”, “dell’altro” per eccellenza. Ciò che nei fatti contraddistingueva i circensi era la loro capacità comunicativa, la loro suprema dote di dare forma all’inespresso per mezzo del loro linguaggio immaginario, creativo ed estetico. Così la dicotomia tra Fact e Fancy fa da sfondo a tutti gli intrecci delle vicende che sono tessute da Dickens che, nel loro svolgimento, sembrano quasi cercare un punto di sintesi tra le due “realtà” opposte.

Attraverso la caratterizzazione dei personaggi, sono messi sotto accusa non soltanto il sistema industriale e la dottrina utilitaristica, ma anche alcune modalità di comportamento e precisi modelli culturali. Ne sono un esempio la mancanza di sentimento e la rapacità di Bounderby, che non sono solo i requisiti stereotipati del capitalista-industriale della prima metà del ’800, ma mostrano anche la componente psicologica di un uomo che quel sistema aveva

167 Ivi, pp. 107-108. 168 Ivi, p.18.

60 reso inadatto ad amare: egli non è in grado di provare sentimenti, ha l’unica capacità di valutare in cifre ciò che può essere “giusto” e ciò che può essere “sbagliato”; oppure l’assoluta incapacità di immaginazione degli abitanti di Coketown, presi nella loro massa come classe oppressa, ma alienati, secondo l’autore, proprio perché era stata estirpata da loro ogni forma di sogno e di spensieratezza, «costretti a lottare per sopravvivere»170.

La fine del romanzo non sembra offrire alcuna sintesi tra i due termini di confronto, tra i Fatti e l’Immaginazione, così come non offre altre soluzioni (non lo potevano certo essere né il Circo né, tanto meno, i sindacati operai) per riformare una società ormai ricca sì, ma di sofferenze e ingiustizie. La dicotomia tra Fact e Fancy era tanto innegabile quanto sembravano irrisolvibili tutte quelle contraddizioni all’interno della società che viveva l’autore.

Così Tempi Difficili si chiude prefigurando un futuro dominato dal “culto dei Fatti”, ma nel quale ogni singolo individuo dovrebbe riuscire a costruirsi una propria capacità di immaginazione, come condizione non per realizzare un mondo diverso ma almeno per offrire, a chi ne aveva lo spirito, la possibilità di provare ancora qualche sentimento. Secondo l’autore era questa l’unica strada per restituire all’uomo la coscienza della propria identità, evitando che egli si riduca a essere semplicemente riflesso del dominio della macchina e della realtà industriale che si stava allora imponendo sulla Storia.

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3 Our Mutual Friend: il mondo disgregato

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