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«Vado per strade trafficate,

vicino dove il Tamigi scorre appaltato e annoto in ogni volto incontrato segni di debolezza, segni di dolore. In ogni lacrima di ogni uomo

d’ogni bimbo nella paura, nel pianto in ogni voce, in ogni maledizione

sento le manette che la mente ci inventa. Il pianto dello spazzacamino atterrisce ogni chiesa che diviene nera

e il sospiro del soldato sventurato

fluisce come sangue dalle mura del palazzo. E nelle strade di mezzanotte sento

soprattutto la giovane prostituta che impreca maledice la lacrima del bimbo appena nato i letti degli sposi rende tormentosi, sterili»212

L’intera opera di Dickens ci offre uno sguardo sulla Londra di metà ‘800, una città che, nel pieno dell’età vittoriana, si affermava definitivamente come il centro del potere politico, finanziario e culturale dell’impero inglese. Da Oliver

Twist fino a Bleak House e Our Mutual Friend, Dickens disegna una “mappa”

della City, esplorata durante le sue lunghe passeggiate, in cui coglieva stimoli

78 e prendeva ispirazione per costruire i luoghi e i personaggi dei suoi romanzi, riuscendo a tradurre la caotica vita londinese all’interno del proprio spazio narrativo. I disegni precisi e quasi meticolosi delle scene di quotidiana povertà non sono stati un’invenzione dell’autore, bensì ritagli della realtà riprodotti dal romanziere, che andavano così a costruire la stessa memoria “storica” della Città213.

La Londra di Oliver Twist, per esempio, è una città infernale, imprigionata nella nebbia e nel fango, un labirinto di strade e canali in cui tutte le brutture umane vengono a galla. «In vita sua non aveva mai veduto un luogo più sudicio e più miserabile. La viuzza era molto stretta e fangosa, e odori nauseabondi impregnavano l’aria. Si vedevano numerose piccole botteghe, ma l’unica merce in vendita sembrava consistere in un’infinità di bimbetti […]. Passaggi a volta, che si diramavano qua e là dalla viuzza, e cortiletti rivelavano catapecchie ove uomini e donne, tutti ubriachi, sguazzavano letteralmente nella sporcizia; e da molte porte uscivano, guardinghi, individui dall’aspetto poco raccomandabile che, stando a tutte le apparenze, si accingevano a imprese disoneste»214.

Dickens è considerato il primo ad aver utilizzato una tecnica di scrittura che, pur entrando nel particolare e mantenendo la frammentazione dei vari “pezzi” urbani, gli ha permesso di costruire una visione complessiva e d'insieme della

City: West End e East End, la città dei ricchi e la città dei poveri, il centro

finanziario e lo slum. Le palesi disparità sociali non potevano essere ignorate e nascoste da chi cercava di osservare con occhio critico la realtà215.

«A Londra era una giornata nebbiosa, di una nebbia scura e pesante. La parte animata della città, con gli occhi arrossati e i polmoni irritati, sbatteva le

213 R. Runcini, Dal resoconto al racconto: le origini giornalistiche della scrittura

dickensiana, op. cit., p. 17. p. 46-47

214 C. Dickens Le avventure di Oliver Twist, cit. p. 71. 215 R. Bonadei, Paesaggio con figure, cit., p. 146.

79 palpebre, ansimava, respirava a fatica […]. Anche nella campagna circostante era una giornata nebbiosa; ma qui la nebbia era grigia; mentre a Londra era d’un giallo intenso alla periferia, marrone un po’ più all’interno, poi sempre più scura, finché nel cuore della City – che chiamiamo Saint Mary Axe- era di un nero stinto. Da qualsiasi punto della cerchia di alture a nord, si sarebbe potuto vedere che gli edifici più alti lottavano di tanto in tanto per far uscire il capo da quel mare caliginoso; e specialmente la cupola di Saint Paul pareva dura a morire. Ma tutto questo non era visibile dalle strade ai loro piedi, dove la metropoli intera non era altro che una massa di vapori, piena del rumore attutito delle ruote e di un gigantesco catarro»216.

La scelta di Dickens di prediligere l’ambiente cittadino come spazio narrativo si fonda essenzialmente sul fatto che Londra era lo specchio delle trasformazioni sociali ed economiche in atto, in quanto protagonista assoluta del passaggio alla modernità. In questo modo, l’autore non solo è diventato testimone di una parte di storia della Città, ma, più in generale, è riuscito a rappresentare l’evolversi di un’intera epoca, osservandola dal cuore del sistema217.

A partire dagli inizi del XIX secolo l’industrializzazione aveva ormai tracciato i suoi primi passi e si apprestava a stabilirsi definitivamente come unico modello produttivo: Londra rappresentava il fulcro finanziario e politico di questo passaggio storico all’insegna del progresso e della macchina. Con lo sviluppo economico si assistette al processo di disintegrazione e ricomposizione dello spazio urbano in base ai bisogni produttivi, all’aumento della popolazione e, di conseguenza, alle problematiche derivanti dalla spropositata espansione edilizia (come il sovraffollamento, l’addensamento urbano e le condizioni antigieniche). In pochissimi decenni, Londra era

216 C. Dickens, Il Nostro Amico Comune, cit., p. 533.

80 raddoppiata per estensione e numero di abitanti, come del resto tutto il Paese, dove nella prima metà del ‘800 l’aumento della popolazione fu spropositato: il numero di abitanti passò dai circa 10,5 milioni nel 1801 ai 18,1 milioni del 1841, mentre si moltiplicava sia il numero che la grandezza delle città218.

L’urbanizzazione fu un fenomeno che caratterizzò tutta l’Inghilterra: nuove città nascevano dove la morfologia e il reperimento delle risorse erano economicamente più vantaggiosi, mentre intorno ai vecchi villaggi proliferavano opifici e quartieri periferici. Per esempio, tra il 1781 e il 1831 Manchester passò da 50mila abitanti a 228mila e Bolton da 10mila a 42mila, mentre Leeds da 15mila (dati del 1801) a 123mila219.

Le cause dell’aumento demografico, in generale, sono state connesse all’impoverimento del lavoro tradizionale nelle campagne, oramai privatizzate con le enclosures, che avevano innescato poderosi flussi migratori verso le città. Con la distruzione del sistema dell’apprendistato artigianale e della cultura tradizionale, i giovani tendevano ad andare via precocemente dalle proprie terre d’origine in cerca di occupazione; ma, a causa degli stipendi miseri delle fabbriche (in continua ricerca di manodopera), dovevano essere proliferi per sopravvivere, alzando sempre di più i livelli di natalità, oltre che a ingrandire il fenomeno dell’impiego minorile220.

La capitale dell’Impero non poteva che registrare dei tassi d’aumento demografico impressionanti: da poco meno di un milione di abitanti nel censimento del 1801, raggiunse gli oltre due milioni di persone censite nel 1851221. «Londra non è cresciuta secondo una via naturale, razionale e

218 E. P. Thompson, Rivoluzione Industriale, Vol. 1, cit., p. 196-197.

219 D. S. Landes, Prometeo Liberato. La rivoluzione industriale dal 1750 ai giorni nostri, Einaudi, Torino, 2000, p. 68.

220 Ivi, p. 58-60.

221 G. Luciani, La Grande Babilonia. Londra nella letteratura inglese, Nuova Cultura, Roma, 2016, p. XVI-XVII.

81 comprensibile»222: così Dickens, in un suo articolo su Household Word

intitolato «Great Invasion», definiva l’urbanizzazione spropositata, che letteralmente aveva «invaso»223 ogni spazio con impalcature, carriole e paioli. Con nostalgia l’autore affermava: «ricordo quando Londra finiva a Padlock House, e quando Kensington era praticamente in campagna», sottolineando come in pochissimi anni il cemento avesse ricoperto ogni spazio circostante224.

La City era, dunque, un luogo in continua metamorfosi, sottoposta a molteplici tensioni politiche, economiche e sociali: le esigenze produttive, di controllo e di ordine dettarono i tempi e le caratteristiche della crescita urbana.

La trasformazione della città fu caratterizzata da varie fasi discontinue e non sempre legate programmaticamente l’una all’altra. Uno stravolgimento radicale vi fu, per esempio, quando la stessa struttura urbana fu rivoluzionata per essere fusa con la rete ferroviaria: le stazioni divennero le moderne cattedrali, si moltiplicarono e diedero luogo a una nuova pianta cittadina, in cui la vita della popolazione dovette adeguarsi ai ritmi moderni dettati dalla velocità della macchina a vapore.

In Inghilterra la comparsa del treno fu un tutt’uno con l’avvento della civiltà industriale, diventando perno e agente propulsivo che muoveva merci e capitali, creava servizi e posti di lavoro. Alcuni dati riguardanti la densità della rete ferroviaria inglese, possono dare l’idea di quanto la ferrovia avesse sin da subito assunto la funzione di sistema-nervoso dell’economia: nel 1840 in Inghilterra erano in funzione circa 7.000 chilometri di ferrovia, mentre nel 1880 la rete era di oltre 700.000225. La struttura stessa delle città fu

assoggettata alle priorità connesse allo sviluppo della rete ferroviaria e questo fenomeno non poteva che interessare direttamente la Capitale: in pochi mesi

222 C. Dickens, Great Invasion, in HouseHold Words, Vol. V, aprile 1852, p. 70. 223 Ivi, p. 69.

224 Ivi, p. 71.

82 Londra fu distrutta e ricostruita in nome della modernità226.

Nel romanzo Dobmey and Sons, pubblicato tra il 1847 e il 1848, Dickens colse la trasformazione dello spazio urbano in un gigantesco cantiere, percepito come un vero e proprio terremoto che scosse la città dalle sue viscere. «Il primo

shock di un grande terremoto aveva, proprio in quei giorni, attirato tutto il

vicinato. Tracce del suo passaggio erano ovunque. Vi erano case abbattute; strade sventrate e interrotte; pozzi profondi e trincee scavate nel terreno; enormi montagne di terra e argilla; edifici minati alla base e in bilico, puntellati con fascine di legna […]. Ovunque vi erano ponti sospesi nel vuoto… e babeliche torri di comignoli… carcasse di abitazioni in brandelli, e frammenti di muri e volte non finiti… In breve, la rete ferroviaria incompiuta e non ancora in funzione avanzava; e lentamente si trascinava via il cuore di questo caos tremendo, incominciando il suo potente viaggio di civilizzazione e progresso»227.

Il romanziere inglese immortalò il cambiamento storico di una città che rivendicava il suo ruolo di banca del mondo e di emporio universale, che voleva confermarsi come punto nevralgico del nuovo sistema di mercato e che, quindi, aveva bisogno di un riassetto conforme agli sviluppi tecnologici dell’epoca228.

Ma i profondi mutamenti del processo di urbanizzazione assunsero le forme più terrificanti nei quartieri popolari, dove le infime condizioni di esistenza impedivano di arginare in qualche modo l’influsso umanamente degradante della miseria, della sporcizia e dell’ambiente malsano e stretto.

«A Londra […] St. Giles giace nel quartiere più popoloso della città […]; è una massa disordinata di alte case, di tre o quattro piani, con strade strette contorte

226 R. Runcini, Illusione e paura nel mondo borghese, cit., pp. 77-78. 227 C. Dickens, Dombey e figlio, Einaudi, Torino, 2004, p. 120. 228 J. H. Miller, op. cit., p. 311.

83 e sporche […]. Le case sono abitate dalle cantine fin sotto i tetti, sporche di dentro e di fuori, ed hanno un aspetto tale che nessuno vorrebbe abitarci […]. Qui abitano i più poveri tra i poveri, gli operai peggio pagati, insieme con ladri, furfanti e vittime della prostituzione»229. Gli slums erano la conseguenza

dell’incontrollata esplosione urbana, costruiti con l’unico obiettivo di risparmiare il più possibile nella loro edificazione e di guadagnare il massimo dalla loro vendita o affitto, giustificando tali speculazioni come unica soluzione per risolvere il problema del sovraffollamento230. Così Dickens descriveva in Our Mutual Friend una zona della periferia londinese: «un quartiere che pareva una costruzione fatta per gioco con pezzi che un bambino incoerente avesse tolto dalla scatola e piazzato a casaccio: qui il lato di una strada nuova, lì una grande osteria solitaria di fronte al nulla, là una chiesa; poi un’altra strada non finita e già in rovina […]; e disordine, sporcizia e fumo. Come se alla fine il bambino avesse preso tutto a calci e poi se ne fosse andato»231.

Sembra utile riportare un’altra testimonianza di Engels rispetto agli slums inglesi: «Ogni grande città ha uno o più “quartieri brutti”, nei quali si ammassa la classe operaia. È vero che spesso la miseria abita in vicoletti nascosti dietro i palazzi dei ricchi; ma in generale le si è assegnata una zona a parte, […] bandita dalla vista delle classi più fortunate […]. Questi “quartieri brutti” in Inghilterra sono fatti più o meno alla stessa maniera in tutte le città: le case peggiori nella zona peggiore della città; per lo più lunghe file di costruzioni in mattoni a uno o due piani, con cantine abitate e quasi sempre disposte irregolarmente […]. Quanto alle strade, di solito non sono lastricate, ma piene di buche, sporche, cosparse di rifiuti vegetali e animali, senza canali di scarico

229 F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra. In base a osservazioni

dirette e fonti autentiche, Editori Riuniti, Roma, 1972, p. 67.

230 Ivi, p. 101.

84 o fogne, ma provviste di fetide pozzanghere stagnanti. Oltre a ciò la ventilazione è resa più difficile dalla struttura pessima e irregolare di tutto il quartiere […]»232.

Nascosto nei bassifondi della città si celava dunque il vero risultato dello sviluppo industriale: il dilagare della miseria e di livelli di vita infimi. Le grandi città rappresentavano le sedi tipiche del capitalismo, dove lo sfruttamento e la concorrenza sfrenata apparivano nella loro forma più nuda. In questi luoghi, la società raggiungeva livelli così bassi di degrado materiale che necessariamente ciò andava a infettare, anche sul piano umano, i suoi abitanti demoralizzati e abbruttiti.

3.3.1.

Prima di Our Mutual Friends. La Londra di

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