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Questione siciliana e “regionalizzazione politica” alla metà degli anni Cinquanta

II. 1.1 «Fuoco concentrico»: 1958, ovvero l’anno delle convergenze antifanfaniane

II.1.2 Cronaca di una strana rivolta parlamentare

Le vicende politiche che si svolsero in Sicilia tra l’estate e l’autunno del 1958 si inserivano e reagivano – come un meccanismo feed-back – con quanto intanto accadeva nel contesto politico nazionale.

Anche l’isola aveva seguito la tendenza nazionale, uniformandosi alla media dei consensi tributati al partito democristiano, che alle elezioni del 25 maggio 1958 sfiorava quota 43%. La vittoria fanfaniana veniva d’altra parte coronata dall’elezione degli uomini più rappresentativi della corrente di Iniziativa democratica nell’isola: si trattava qui ovviamente del segretario e braccio destro di Fanfani, Giovanni Gioia, del giovane segretario regionale Antonino Gullotti e dell’influente segretario organizzativo del partito Domenico Magrì. Tuttavia quel risultato suonava ancor di più come una minaccia per coloro che erano impegnati, anche nelle istituzioni regionali e nella Dc siciliana, in una lunga e serrata contesa con i rappresentanti della corrente di maggioranza.

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Ibidem.

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Una contesa aperta come abbiamo visto sin dal 1954 e che non aveva conosciuto soste, interessando anche i maggiorenti del partito.

Agli inizi dell’estate del 1958, in attesa del voto sul bilancio, mentre si accendevano ancora una volta i toni dello scontro tra Palermo e Roma, a causa della contesa sul prezzo del grano duro, sembrava nuovamente annuvolarsi il cielo sopra il governo regionale. Il clima era già perturbato dalle reazioni polemiche suscitate in seguito alla nomina dei dirigenti della Società finanziaria. Ma i nuvoloni che si stavano addensando erano presagio di una difficile stagione che doveva ancora arrivare.

Una delle spine nel fianco della Dc siciliana e del governo del fanfaniano Giuseppe La Loggia si chiamava Silvio Milazzo, l’assessore che aveva più volte manifestato la sua ferma volontà di superare le divisioni politiche per affrontare i nodi irrisolti dell’autonomia attraverso una unità regionale trasversale. Le sue bordate polemiche sullo “pseudo-meridionalismo” dei governi centrali e gli appelli per costituire un largo fronte unitario per «strappare a Roma» tutto ciò che costituisce un «sacrosanto diritto della Sicilia»637 erano miele per la stampa avversaria e veleno per i propri compagni di partito.

Gli stessi concetti venivano ribaditi in diverse circostanze e momenti da Milazzo. Così ad esempio in un appunto ritrovato tra le carte del politico calatino, ovvero la bozza di una dichiarazione o forse di un articolo da proporre per la pubblicazione. Nel documento dattiloscritto intitolato “Intesa difensiva operosa” del gennaio 1958 infatti si legge:

Addivenire ad una intesa con una relativa tregua della lotta dei partiti in Assemblea che abbia lo scopo di una difesa attiva dell’Autonomia. Le basi di una efficace difesa dell’Autonomia debbono ricercarsi e porsi in Sicilia. Più esattamente: Nella coscienza del popolo siciliano. Occorre, quindi, riaccreditare l’Istituto Autonomistico Regionale.

Per questo, quando a luglio il giornalista Nello Simili in una sua corrispondenza da Palermo per «La Sicilia» preconizzava la prossima costituzione di un “governo autonomista”, non era difficile capire perché Milazzo potesse essere indicato come il possibile leader di una siffatta compagine. Ecco un ampio stralcio dell’articolo:

Il particolare stato d’animo creato dall’atmosfera di crisi sensibilizza naturalmente la fantasia di alcuni deputati fino al punto da risuscitare quel progetto di «governo autonomistico», sempre accarezzato dalle sinistre, al quale dovrebbero partecipare tutti i settori dell’Assemblea, compresa DC se lo vorrà. Politicamente la soluzione prospettata è grottesca; ma a solo titolo di cronaca vi diamo una tipica formazione di governo autonomistico messa in giro stamane nei corridoi dell’Assemblea, evidentemente senza l’approvazione di un deputato DC che vi figura in posizione eminentissima e che,

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Vedi ad esempio quanto riportato nell’articolo L’assessore d.c. Milazzo chiede governo di unità siciliana, «L’Unità», 19 maggio 1957.

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ovviamente, è all’oscuro di tutto, come tantissimi altri del resto. Secondo questi cavalieri delle nuvole il nuovo governo dovrebbe risultare così composto: presidenza Milazzo; Enti locali D’Antona (indipendente di sinistra); Finanze, Nicastro (comunista); Igiene e sanità, Vittone Li Causi (comunista); Lavori pubblici, Pettini (missino); Industria, Russo Michele (socialista); Commercio, Mangano (missino); Lavoro, Denaro (socialista); Agricoltura, Marullo (monarchico); Foreste, Recupero (socialdemocratico); Turismo, Mazza Salvatore (monarchico popolare); Pubblica istruzione, Cannizzo (liberale); Pesca, artigianato e attività marinare, Domenico Adamo (liberale). Ad aumentare il sapore di questa inconcepibile pietanza sarebbero offerti alla DC ove si decidesse a prendere parte al simposio, quattro assessorati riducendo a uno i due rappresentanti dei vari partiti. Il guaio è che c’è purtroppo chi crede alla bontà di soluzioni di questo genere che portano disinvoltamente i comunisti al potere, che sposano tranquillamente destre e sinistre e che possono fare a meno dei d.c. che oggi governano praticamente l’Italia. […]

E’ chiaro che queste esasperazioni non possono condurre praticamente a nulla; ma ci è sembrato valesse la pena di rilevare queste cose per dare una idea del male che può sorgere dall’attuale disordine dell’Assemblea siciliana. Il fatto che in un Parlamento qualificato si possa seriamente pensare a soluzioni di questo genere è sconfortante; ma al tempo stesso ciò costituisce un grave monito per la DC. È la frattura esistente nel suo gruppo che incoraggia i folli sogni di questi innovatori: e il trovare rimedio a questa situazione è ormai cosa di vitale importanza se si vuole evitare che al disordine segua il grottesco e al grottesco il ridicolo.638

Il riferimento, prima ironico poi pungente su Milazzo fatto dal giornalista non era dunque casuale né affrettato. Ormai da mesi il nome del calatino circolava tra le stanze protette dei palazzi del potere palermitani e romani e non solo. Tuttavia le affermazioni di Simili provocavano il risentimento dell’interessato che si sfogava con Mario Scelba, suo costante punto di riferimento a Roma639, cui era legato da una antica amicizia e dal comune maestro Luigi Sturzo. Milazzo dunque, così scriveva al vecchio amico, assai influente presso la direzione di tale giornale:

Non posso sopportare più che il giornale “Sicilia” distingua la propria responsabilità da quella di Nello Simili. Forse il Simili dobbiamo ritenerlo in villeggiatura, tutto proteso sui pingui pascoli palermitani con defecazioni inviate a Catania in un giornale che le dichiara non proprie?

Non può continuare a lungo una presunta distinzione tra il giornale e il corrispondente che va passando ogni misura dando prova anche di sostituire Gullotti nei casi di indisciplina interna (vedi giorni precedenti).

Credo che anche tu concorderai su queste conclusioni. Più sotto, sempre Milazzo, nella stessa lettera così scriveva:

Qui tutto continua nella saputa pesantezza con un affannosa ricerca di espedienti, mezzucci, cavilli etc. per evitare chiari pronunciamenti assembleari. […]

Quella che è divenuta evidente è la corruzione. Io non sopporto più una collegialità che mi coinvolge nella disonestà.640

638 N. SIMILI, Milazzo conclude il dibattito sull’Agricoltura, «La Sicilia», 10 luglio 1958.

639 In un telegramma del 24 luglio 1958 Milazzo ad esempio così ringraziava Scelba: DA SICILIANO ESPRIMOTI

GRATO RICONOSCIMENTO PER BRILLANTE TRATTAZIONE PARLAMENTARE PROBLEMA MERIDIONALISTA ET SEGNALAZIONE NECESSITA RISOLVERE PROBLEMA GRANO DURO ABBRACCIOTI (Telegramma di Silvio Milazzo a Mario Scelba, 24 luglio 1958, in ASILS, FMS, II vers., b, 16, f. 193). Per tutta risposta Scelba inviava a sua volta a Milazzo il testo integrale dell’intervento svolto alla Camera (Lettera di Scelba a Silvio Milazzo, 28 luglio 1958, in ASILS, FMS, II vers., b, 16, f. 193).

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Le condizioni di sopravvivenza del governo secondo Milazzo si facevano intanto sempre più pesanti, tanto che questi oltre che a sfogarsi privatamente usciva allo scoperto al cospetto della giunta regionale. Ecco infatti cosa dichiarava nel corso della riunione mattutina del 17 luglio:

E’ una situazione pesante. Questa situazione ha motivi seri. La stessa Autonomia è in grave pericolo. C’è in tutto l’ambiente regionale immobilismo, quasi una paralisi; c’è una conseguente rilassatezza burocratica; c’è assenza di slanci e di volontà per superare questo peso morto. […]

La volontà di una netta divisione dai comunisti, sentita o praticata dai migliori, non deve produrre un deterioramento che in atto si manifesta soprattutto nella valorizzazione di persone non troppo qualificate. […]

Superfluo far rilevare il netto divario tra l’andatura amministrativa attuale e quella dell’“ottennio felice”, chiusosi nel giugno 1955.

Da questa data è incominciato quel malessere che oggi si manifesta in forma talmente acuta da impensierire e addolorare tutti i Siciliani.

Più avanti, prospettando una via d’uscita da questo stato di crisi delle istituzioni regionali, Milazzo indicava 3 soluzioni principali:

a) il nostro Governo Regionale deve fondarsi su una più larga base parlamentare da formarsi con una intesa di coalizione fondata su linee programmatiche chiare e concrete […]

b) i componenti del Governo debbono avere il carattere di “chiamati per fiducia personale” espressa dall’Assemblea nelle forme dettate dallo Statuto;

c) una maggiore responsabilità personale dei componenti del Governo. Questi sono eletti dall’Assemblea e non dal Presidente. La solidarietà collegiale della Giunta esiste per atti deliberati in Giunta. Ma anche in questo caso, per il “modo” di attuazione non può e non deve giuocare nessuna solidarietà collegiale. Il Presidente della Regione non deve risentire degli atti dei singoli Assessori.641

In queste parole si poteva ormai misurare lo scollamento tra Milazzo e il resto del governo, e insieme si poteva comprendere la determinazione con la quale veniva avanzata la sua proposta di allargare la base parlamentare per rafforzare l’indebolita autonomia. L’esito stesso della giunta dimostrava d’altra parte come le voci di corridoio, già raccolte nelle citate indiscrezioni della stampa, avessero messo in allarme lo stesso presidente La Loggia, che in Milazzo vedeva ormai una chiara minaccia rispetto al suo governo e il possibile protagonista di una crisi che era nell’aria ormai da tempo. Milazzo stesso infatti ne riferiva al solito Scelba, allegando le sue dichiarazioni:

Caro Mario,

nella seduta di Giunta di sabato il Presidente mi chiese la solidarietà con lui e la giunta, per l’approvazione del bilancio.

Ho risposto che non potevo dargli assicurazioni se non dopo una chiarificazione. Lessi le compiegate dichiarazioni che sollevarono reazioni e ore e ore di discussioni. In fine di seduta non si rinnovò lo invito a promettere e non si verbalizzarono le dichiarazioni.

641

Una copia dattiloscritta delle dichiarazioni di Milazzo si trova ora in APSM, b. 1, f. “Documenti precedenti al I governo Milazzo”.

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Mercoledì o giovedì vi sarà il convegno in casa Sturzo. Ho saputo dello invito esteso a te e ad Aldisio. Ti prego di ascoltare Alessi e di spiegarti il suo comportamento con le necessità che presenta la Sicilia. Ti abbiamo aff. Silvio642

Il «convegno in casa Sturzo», al quale probabilmente Milazzo non partecipava, dimostrava come di fatto le cose per la politica regionale fossero in movimento e che l’ala antifanfaniana del partito siciliano – Alessi in testa – non volessero lasciar passare l’estate senza vendicare gli affronti subiti da La Loggia, a cominciare dalla vicenda della Finanziaria regionale sulla quale avevano appuntato le loro speranze loro stessi ed i loro influenti alleati di Sicindustria.

Che poi Milazzo fosse diventato il punto di riferimento e il catalizzatore di tutti i malcontenti suscitati dal gruppo fanfaniano lo dimostrano tra l’altro le lettere a lui pervenute in quel tempo. Intanto quella già esaminata e inviatagli dall’on. Caronia il 28 luglio 1958, dove prendendo spunto dalle affermazioni contenute nella rivista vicina all’assessore («Realtà siciliana») si facevano esplicite pressioni verso la nascita di un movimento per l’autonomia643

. Altre missive altrettanto significative, erano di certo quella inviata (probabilmente su suo suggerimento) da Domenico La Cavera a don Sturzo il 26 giugno, per rispondere alla missiva dove il prete giustificava la mancata nomina alla Sofis; e infine vi era quella del presidente dell’Ars Giuseppe Alessi, ancora a Sturzo, che il 16 luglio 1958 lamentava per l’ennesima volta con toni molto aspri lo stato di confusione e le tensioni all’interno del partito e del governo644

.

Una conferma alle parole di Alessi d’altra parte veniva anche da un osservatore esterno come il prefetto di Palermo, che relazionando sull’attività politica svolta a Palazzo dei Normanni non mancava di sottolineare le grosse criticità che ne bloccavano il corso:

La crisi dell’Istituto sta affondando radici sempre più profonde specie nell’opinione pubblica locale, la quale incomincia a constatare che molte delle cause di disfunzione che si tenta costantemente di coprire attribuendole ad ostilità ed ostruzionismi romani, sono in realtà una conseguenza del settarismo politico e della cattiva amministrazione locale: eterne, sterili discussioni che si risolvono tutt’al più in progetti che non verranno mai realizzati; gli istituti maggiori sono invischiati da una burocrazia ignava e priva di capacità e di senso di responsabilità; il compromesso politico, le clientele ed i favoritismi tarpano le ali a tutto: si vegeta dovunque, si tira a campare alla giornata, si sorride con smaliziata sfiducia a qualsiasi tentativo di concretezza.645

Le cause della crisi dell’autonomia apparivano al funzionario ben più profonde delle semplici diatribe tra i soliti gruppi e personalità, così le stesse prospettive non sembrano per niente positive.

642 ASILS, FMS, II versam., b. 16, f. 193, Lettera di Silvio Milazzo a Mario Scelba, 22 luglio 1958. 643

Cfr. supra I cap. – par. 2.

644 Copie delle lettere citate si trovano ora in APSM, b. 1, f. “Documenti precedenti al I governo Milazzo”. La lettera di

La Cavera a don Sturzo è comunque trascritta integralmente in appendice al volume Liberali e grande industria nel

Mezzogiorno cit., pp. 235-247.

645

ACS, MI, GAB 1957-60, b. 297, f. 16995/54, Relazione del prefetto di Palermo al Ministero dell’Interno per il mese di luglio 1958, 31 luglio 1958.

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Si stava allentando il rapporto di fiducia tra le masse e la regione, l’idea del “tradimento dell’autonomia” circolava con sempre più insistenza tra la popolazione, delusa che per gli scarsi risultati raggiunti dopo un decennio e più di autonomia646.

Tutto intanto sembrava presagire l’approssimarsi dell’ennesima imboscata, che avrebbe di nuovo messo in fibrillazione la situazione. Cosa che in effetti col nuovo mese giungeva puntuale. Il I agosto infatti arrivava la “prova generale”, con l’Assemblea che bocciava il disegno di legge sulle provvidenze per gli enti di assistenza e beneficenza. Il giorno successivo era prevista la votazione a scrutinio segreto sul bilancio, ovvero – come sempre il prefetto di Palermo annotava in una lettera al capo di gabinetto del Ministro – l’«annuale cavallo di Troia che imbarca tutte le vendette, le impazienti aspirazioni e le altre nobili questioni di principio che rappresentano la travagliata ossatura della vita politica regionale»647.

Il presidente La Loggia, preventivando l’attacco sul bilancio, si presentava con una manovra a sorpresa, anticipando un voto di fiducia che passava senza sorprese. Il bilancio invece – come ci si attendeva – veniva respinto (con 44 voti contrari e 44 favorevoli) in seguito ad una convergenza di voti provenienti dai banchi delle sinistre ma anche dalle destre e da quelli occupati al centro dai democristiani. La vera sorpresa di quel giorno fu però la reazione del capo del governo regionale, che volle insistere nel ritenere il voto sul bilancio come un voto di valenza tecnica, rifiutandosi pertanto di dichiarare le dimissioni sue e del suo esecutivo. Questo provocava una immediata reazione delle opposizioni, tanto che il prefetto segnalava come la dichiarazione del presidente «venne accolta da un vero e proprio tumulto» e accompagnata da «epiteti “portuali”» che obbligarono il Presidente dell’Assemblea Alessi a sospendere la seduta648.

Al di là della scontata reazione delle opposizioni, il colpo inatteso venne dalla risposta immediata di Milazzo, il quale usciva allo scoperto dopo anni di polemiche aspre ma senza esiti concreti. Il 2 agosto così, nel corso di una discussione svolta all’interno della Giunta, l’assessore esprimeva la sua intenzione di dimettersi e lo comunicava ufficialmente al presidente dell’Assemblea con una lettera rimessa nelle mani del capogruppo Dc Vincenzo Carollo. Due giorni dopo con un’altra lettera Milazzo si rivolgeva al presidente della Regione per esprimere «le ragioni gravissime» che lo avevano indotto a dissentire:

Negare valore politico al voto dell’Assemblea espresso appunto nella votazione finale sul bilancio, è antidemocratico per eccellenza: il nostro potere non può mancare del crisma del consenso popolare espresso dai suoi rappresentanti.

Voler dare un significato tecnico a tale voto è ingannare, prima che gli altri, la propria coscienza.

646 P. HAMEL, Dalla crisi del centrismo all’esperienza milazzista (1956-1959) cit., p. 105.

647 Lettera del prefetto di Palermo al capo gabinetto Mazza, 4 agosto 1958, in ASPA, PREF, GAB, 1956-60, b. 986, f.

A4 – 1 – 4/8.

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Dopo aver chiesto di riesaminare la scelta del governo e di modificare l’interpretazione di La Loggia al voto Milazzo lamentava ancora:

Il momento è quanto mai delicato: nel popolo siciliano è diffuso un profondo e grave senso di sfiducia negli organi regionali. Nostro compito, di noi, uomini responsabili, è ridare fiducia al popolo deluso e amareggiato agendo con chiarezza, senza sofismi, con grave senso di responsabilità, guidati solamente e unicamente dall’interesse di tutto il popolo siciliano.

Una diversa decisione, invece, aumenterebbe la sfiducia nell’Autonomia, il discredito dell’Autonomia e porterebbe abbondante acqua al molino dei nemici dell’Autonomia e della Sicilia, e dei nemici del nostro Partito. […]

Parlando ed agendo in questo modo, io non penso ai miei interessi e alle mie fortune personali, ma agli interessi e alle fortune della Sicilia e, anche, del nostro Partito, nel quale ho sempre militato anche quando essere “popolare” significava esporsi a sicure persecuzioni.649

Milazzo riprendeva qui i motivi di polemica già espressi in precedenza, volgendo adesso il dito non soltanto verso il governo, ma – cosa doppiamente rilevante e da sottolineare – anche verso la Dc, il partito che aveva sempre fedelmente servito, anche nei periodi difficili delle origini popolari, ma dal quale ormai sembrava essere sempre più lontano a causa dei contrasti di corrente, dalle prospettive di governo e della visione del rapporto con le istituzioni.

L’assessore dimissionario era intanto costretto a difendersi anche pubblicamente dalle interpretazioni “maliziose” di chi leggeva nel suo gesto una manovra strategica premeditata. Ne era una testimonianza la lunga lettera conservata tra le sue carte e indirizzata al direttore del giornale «La Sicilia»650. In questa Milazzo, rigettando ogni altra interpretazione, tornava a rimarcare come le motivazioni della sua scelta fossero da ricondurre alla volontà di protesta espressa dalla stessa Assemblea regionale con il voto negativo al bilancio. Un voto con il quale l’Ars aveva - a suo dire - giustamente tutelato le sue «prerogative sovrane» contro ogni tentativo di prevaricazione messo in atto dalla Giunta regionale. D’altra parte, sottolineava Milazzo, quanto successo appariva la nefasta conseguenza dell’errata impostazione di chi tendeva a far coincidere il “parlamentino” di Palermo con il Parlamento di Roma, senza invece tener conto del fatto che per natura fossero distinti i loro ruoli e prerogative, di conseguenza anche i rapporti tra questi ed i corrispettivi esecutivi. Mentre infatti quello nazionale era un «organo essenzialmente politico», l’assemblea regionale invece – come aveva più volte sostenuto Milazzo, riprendendo il giudizio espresso anche in quel frangente dal maestro Sturzo651 - era un organo «prevalentemente, per non dire essenzialmente, amministrativo» che a differenza del primo eleggeva direttamente il Presidente e gli Assessori,

649 APSM, b. 1, f. “Documenti precedenti al I governo Milazzo”, Lettera di Silvio Milazzo al presidente della Regione

Giuseppe La Loggia, 4 agosto 1958.

650 Una copia dattiloscritta della lettera, lunga 6 pagine e datata agosto ’58, si trova ora in APSM, b. 1, f. “Documenti

precedenti al I governo Milazzo”.

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scegliendoli tra i propri stessi membri, attraverso quella che Milazzo definiva una “chiamata fiduciaria personale”. Questo faceva sì che gli esponenti della Giunta, eletti per amministrare il denaro pubblico, dovessero riscuotere una fiducia personale, rimanendo pertanto strettamente e direttamente legati a coloro che li avevano scelti. I deputati, infatti, in qualsiasi momento avrebbero potuto ritirare la loro fiducia, come d’altra parte era avvenuto con la votazione del bilancio, la quale assumeva pertanto un valore di conferma o revoca della fiducia precedentemente accordata alla stessa Giunta. La conclusione del ragionamento di Milazzo era appunto che il mancato rispetto di questo “patto” tra Assemblea e governo aveva originato la sua protesta formale e le conseguenti dimissioni.

Nonostante queste comprensibili spiegazioni, il gesto del calatino finiva però per provocare la reazione censoria degli organi della Dc. Milazzo veniva infatti invitato dal capogruppo all’Ars