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2.1 «ha propri uomini in tutti i posti chiave»: l’assalto dei “giovani turchi” e il potere fanfaniano

Questione siciliana e “regionalizzazione politica” alla metà degli anni Cinquanta

I. 2.1 «ha propri uomini in tutti i posti chiave»: l’assalto dei “giovani turchi” e il potere fanfaniano

Nell’agosto 1954 Giuseppe Alessi rassegnava il suo incarico di segretario nelle mani del Comitato regionale della Democrazia cristiana siciliana. In una relazione inviata a Guido Gonella, oramai anch’esso segretario uscente, questi esponeva le direttive del suo impegno, cominciato nel

159 ASPA, PREF, GAB, 1956-60, b. 983, f. A 3 11 9, sottof. “Relazione sulle prospettive elettorali 1958”, Relazione del

prefetto di Palermo al Ministero dell’Interno sulla situazione della provincia, 28 ottobre 1957.

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settembre 1952, quando era stato nominato commissario regionale e delegato della Direzione in Sicilia161.

La Dc che si affacciava negli anni Cinquanta era la prima forza dell’isola, come dimostrava il 31,2% dei consensi conquistati alle elezioni regionali del 1951 e il 36,4% delle politiche di due anni dopo. Ma secondo il segretario uscente era ancora lontana dall’aver raggiunto un livello ottimale di efficienza organizzativa e politica.

Alessi, avvocato antifascista di Caltanissetta animatore negli anni Trenta di un circolo cattolico di cultura autonomo dalle strutture ecclesiastiche, era stato uno dei protagonisti della nascita del partito162. Il 16 dicembre 1943, a pochi mesi dalla liberazione dell’isola, proprio nel suo studio la Dc sorgeva dalla confluenza tra gli eredi della tradizione popolare e le forze cresciute nelle organizzazioni cattoliche durante gli anni del regime163. La forte continuità rispetto alla stagione del Ppi – uno dei tratti distintivi della Dc siciliana – era sancita dal ruolo di primo piano svolto sin dagli arbori dallo stesso Alessi e ancora di più da Salvatore Aldisio, già prestigioso organizzatore di cooperative e deputato164. A lui si erano rivolti infatti gli uomini del centro romano (De Gasperi e Scelba) per tessere le fila del partito cattolico, che andava radicandosi rapidamente nell’isola e già a fine 1944 contava il maggior numero di adesioni e la più vasta rete organizzativa165.

Nei risultati dei primi test elettorali si rispecchiavano gli effetti di questa crescita: nel 1946, alle elezioni dell’assemblea costituente, la Dc raccolse il 33,6% dei voti, poi lo scudo crociato vinceva la crociata anticomunista del 18 aprile 1948 raggiungendo quota 47,9%. Ma le urne d’altra parte confermavano la forza di attrazione che la Dc intanto era riuscita ad esercitare verso la società siciliana, presentandosi al tempo stesso come: il “partito dei cattolici”, ampiamente sostenuto dalle gerarchie ecclesiastiche; ancora il “partito di governo”, capace di offrire cariche e potere al vecchio notabilato; infine il “partito dell’America” e della ricostruzione, ovvero quello che offriva maggiori garanzie, all’interno e fuori, ad un paese prostrato dalla guerra in cerca di pace e sviluppo economico. Il prodotto di tale attrazione era stato un aggregato di forze eterogenee e un amalgama

161 ASILS, FGG, b. 39, f. 2, “Relazione sull’attività degli organi regionali del segretario regionale on.le G. Alessi

(settembre 1952 – agosto 1954)”.

162 R. MANGIAMELI, La regione in guerra (1943-50), in M. AYMARD e G. GIARRIZZO (a cura di), Storia d’Italia.

Le Regioni dall’Unità ad oggi. La Sicilia cit., p. 546.

163 G. DI FAZIO, I primi democratici cristiani in Sicilia tra autonomismo e separatismo, in P. BORZOMATI (a cura

di), Chiesa e società a Caltanissetta all’indomani della seconda guerra mondiale, Atti del convegno di studi organizzato dall’Istituto teologico-pastorale “Mons. Guttadauro” (Caltanissetta, 24-26 aprile 1984), Edizioni del Seminario, Caltanissetta, 1984, p. 255. Ma sulle origini della Dc in Sicilia vedi pure P. HAMEL, Nascita di un partito.

Il processo di aggregazione del partito democratico cristiano, Flaccovio, Palermo,1982.

164 Su Aldisio vedi G. COSTA e C. NARO, Salvatore Aldisio, Sciascia, Caltanissetta-Roma, 1999.

165 Una ricostruzione dei primi anni di vita della Dc siciliana si trova nel volume I democristiani. 1943 (Edizioni Ebe, n.

1, giugno 1992, pp. 130-141), inserito nella collana della Grande Enciclopedia della politica. I protagonisti dell’Italia

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sociale in cui venivano legati insieme agrari, piccoli e medi coltivatori, i tradizionali strati burocratici e i nuovi ceti urbani emergenti166.

In Sicilia poi, agli appellativi citati, andava aggiunto anche quello di “partito dell’autonomia”: la Dc infatti, diede il contributo maggiore – in termini di elaborazione progettuale e di sostegno politico – alla concessione dello Statuto speciale del maggio 1946167, che fece dell’isola una regione con ampia potestà legislativa. Fedele interprete della lezione e della ponderosa eredità del regionalismo sturziano, Aldisio aveva infatti tracciato sin dal primo incontro del 1943 la linea. La via autonomista era la soluzione indicata per superare i guasti prodotti nel passato dallo statalismo centralista senza cadere nella tentazione separatista, che nel dopoguerra aveva fatto sorgere un movimento indipendentista, il Mis168, e influenzava anche taluni esponenti cattolici come Luigi La Rosa e Silvio Milazzo169. La richiesta dell’ente regione divenne così il cardine della proposta programmatica della Dc siciliana, come sanciva ufficialmente il primo congresso regionale di Acireale (novembre 1944). Si realizzava così, attorno a questa prospettiva, la convergenza tra il pensiero sturziano e una concezione regionalista basata sulle comunità locali, quale era stata elaborata dal giurista Gaspare Ambrosini (autore del saggio Autonomia regionale e federalismo del 1933), e che veniva adesso rilanciata dal suo allievo Franco Restivo, giovane docente di diritto costituzionale e prossimo presidente della Regione170.

Dunque per la prima generazione della Dc l’autonomia era stata la meta più ambita, ma con la sua conquista non si esauriva la battaglia, che sarebbe infatti proseguita dopo, per la sua difesa e per la piena attuazione dello Statuto e delle prerogative regionali. Infatti come era stato chiaro sin dall’inizio ad Alessi, primo presidente della Regione nel 1947, per completare il disegno autonomista bisognava affrontare non soltanto la resistenza opposta dai gran commis dello Stato, ma anche le diffidenze e le esplicite ostilità presenti all’interno degli organi nazionali della stessa Democrazia cristiana171. Per questo agli inizi degli anni Cinquanta, tra le priorità del suo impegno come segretario regionale, Alessi aveva posto la necessità di realizzare, in nome della specialità

166 Sul processo di affermazione della Dc in Sicilia dal secondo dopoguerra agli anni Cinquanta vedi A. ANASTASI, Il

voto siciliano nel lungo andare (1946-1992), in Far politica in Sicilia. Deferenza, consenso e protesta, a cura di M.

MORISI, Feltrinelli, Milano, 1993, pp. 155-163.

167 Vedi M. GANCI, La Sicilia contemporanea, Società editrice Storia di Napoli e della Sicilia, Palermo, 1980, p. 144. 168 Cfr. G. C. MARINO, Storia del separatismo siciliano 1943-1947, Editori Riuniti, Roma, 1979.

169

M. CACIAGLI, Democrazia cristiana e potere nel Mezzogiorno. Il sistema democristiano a Catania, Guaraldi, Firenze, 1977, p. 59.

170 M. GANCI, La Sicilia contemporanea cit., pp. 148-150; inoltre A. LI VECCHI, Autonomismo e separatismo, in AA.

VV., Storia della Sicilia, Società Editrice Storia di Napoli e della Sicilia, Palermo, 1977, IX vol., p. 289. Sulle radici regionaliste della Dc siciliana vedi pure A. SINDONI, Il regionalismo nella Dc siciliana del dopoguerra (1943-1948), in Ambrosini e Sturzo. La nascita delle regioni, N. ANTONETTI e U. DE SIERVO (a cura di), Il Mulino, Bologna, 1998.

171 Vedi infatti quanto lamentava spesso con Sturzo – impegnato a mediare a Roma tra le richieste siciliane e gli organi

del partito e dello Stato – nella corrispondenza ora pubblicata in L. STURZO, Carteggi siciliani nel secondo

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della questione siciliana, una «dimensione regionale del Partito». La sua proposta si sarebbe dovuta tradurre in concreto in una maggiore autonomia della Dc siciliana dalla direzione romana, da ottenere formalmente ma soprattutto da attuare nella sostanza. Lasciando la sua carica, concludeva infatti la relazione a Gonella con questo auspicio:

Fino a quando l’organo regionale del Partito non sarà lo strumento di coesione e di fusione degli organi provinciali e sezionali dell’isola almeno per quanto riguarda i problemi della nostra vita autonomistica, non si potrà parlare di vera dimensione regionale del Partito; e senza di questa il Comitato Regionale, data la particolare natura dello Statuto Siciliano, non assolverà mai idoneamente il suo compito.172

Le dimissioni di Alessi, che chiudevano il primo decennio di vita del partito, segnavano anche uno spartiacque nella storia della Dc siciliana, la quale si avviava ad essere radicalmente ristrutturata, per effetto di spinte che interpretavano e seguivano le novità emerse nel contesto nazionale. La strada che si apriva nel 1954 andava tuttavia nella direzione opposta rispetto a quella auspicata da Alessi, tanto che lo stesso, di fronte al nuovo corso degli eventi, aveva subito deciso di farsi da parte.

Intanto a Roma era avvenuto – all’insegna del “Rinnovamento” – la sconvolgente sostituzione del Segretario politico Gonella con il leader della sinistra l’on. Fanfani, che concepiva il partito come “istituzione”, come struttura costituzionale dello Stato.

Per coerenza mi dimisi da Segretario regionale del Partito. Venni sostituito dal dott. Gullotti, gregario dell’on. Rumor e perciò della nuova direzione fanfaniana.173

Il congresso di Napoli (26-30 giugno 1954), segnato dalla vittoria della corrente di “Iniziativa democratica” e dall’elezione di Amintore Fanfani a segretario nazionale, rappresentava non solo un cambio di vertice e un ricambio generazionale, che portava la seconda generazione di cattolici al potere, ma il battesimo di una nuova Dc174.

Questa si avviava ad assumere infatti la forma di un moderno partito di massa che superava il modello dato da De Gasperi al partito cattolico, ovvero quello di una “federazione di notabili”175

. Si trattava di una radicale divaricazione tra la prospettiva del politico trentino, il quale credeva il

172 ASILS, FGG, b. 39, f. 2, “Relazione sull’attività degli organi regionali del segretario regionale on.le G. Alessi

(settembre 1952 – agosto 1954)”.

173 Il passaggio è tratto dalle prime pagine di una memoria dal titolo “Caso Milazzo” (d’ora in poi Memorie Alessi) che

ho potuto consultare grazie al prof. Paolo Inglese, nipote di Giuseppe Alessi. Il testo dattiloscritto, su fogli che in alto recano l’intestazione «Avv. GIUSEPPE ALESSI», si compone di 7 pagine; questo probabilmente costituisce la parte introduttiva della memoria, che si apriva con le premesse della vicenda – come si evince dalla prima pagina, dove il racconto si apre col titolo «Le necessarie premesse» – e nelle pagine mancanti proseguiva sviluppando direttamente il caso.

174 Sulla Dc nel periodo della segreteria Fanfani vedi G. BAGET-BOZZO, Il partito cristiano e l’apertura a sinistra. La

D.C. di Fanfani e di Moro 1954-1962, Vallecchi, Firenze, 1977, e F. MALGERI, Gli anni di transizione. Da Fanfani a Moro (1954-1962), in Storia della Democrazia Cristiana, diretta da F. MALGERI, III vol., Cinque Lune, Roma, 1988.

175

L. MUSELLA, Formazione ed espansione dei partiti, in Storia dell’Italia repubblicana, diretta da F. BARBAGALLO, II vol. – tomo 2, Einaudi, Torino, 1995, p. 168.

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partito avrebbe dovuto limitarsi a mediare tra le diverse componenti della società senza intervenire per integrarle e indirizzarle, e il progetto di Fanfani, secondo cui questo avrebbe dovuto impostare il suo programma di governo prescindendo dall’apporto delle gerarchie sociali176

. Con Fanfani si affermava infatti l’idea di un partito sempre più autonomo rispetto ai condizionamenti esterni, siano essi economici che ecclesiastici, inteso come forza organizzata e capillare capace di penetrare in profondità nella società e affermarsi come anello di collegamento stabile tra cittadini e istituzioni, tra il centro e le periferie177.

Dunque l’avvento di Fanfani e della seconda generazione, determinava non solo una modifica nella composizione della dirigenza del partito, ma anche «l’affermazione di una nuova concezione della dinamica politica» e costruiva le «premesse per la sperimentazione di un nuovo modello di Stato», dove il partito – come ricordava pure Alessi – assumeva una centralità istituzionale e una funzione costituzionale, e diventava inoltre lo strumento per superare la crisi del centrismo post- degasperiano178.

La realizzazione di un simile progetto, dove il partito agiva per plasmare una nuova architettura costituzionale e affermare la propria autonomia, presupponeva lo sviluppo di una organizzazione sempre più estesa e capillare, capace di dirigere le istituzioni a partire dagli enti locali. Ed inoltre avrebbe segnato la trasformazione della Dc – specie al Sud - in un “partito clientelare di massa” capace di gestire l’intervento sempre più esteso e diretto dello Stato nel processo di sviluppo e di controllare i mezzi e le risorse pubbliche.

La nuova impostazione, fondata sulla centralità del partito nel processo di rinnovamento del paese, aveva in breve contagiato in particolare la giovane leva di cattolici, che accolse con entusiasmo quella che – senza alcuna preoccupazione o imbarazzo – veniva definita col suo nome: partitocrazia. Le annotazioni dell’allora trentenne veneto Luciano Dal Falco, tra i giovani fondatori di Iniziativa democratica presto giunto ai vertici organi centrali, riassumono bene i sentimenti profondi e lo slancio ideale che animò la svolta fanfaniana. Così ad esempio il 13 gennaio 1956, commentando le iniziative sulla campagna di tesseramento di cui era stato uno degli artefici, Dal Falco scriveva:

Tutte le manifestazioni che durante questi giorni di gennaio si sono tenute per la consegna delle nuove tessere sono all’insegna di uno slogan ovunque accettato, slogan che io ho coniato: «Per un forte, moderno partito, garanzia di libertà, di progresso e di democrazia!». Lo slogan riassume tutta la nostra

176 Ibidem.

177 Sul “nuovo partito” costruito negli anni della segreteria Fanfani vedi pure G. GALLI, Storia della Dc, Kaos, Milano,

2007, pp. 149-169.

178

V. CAPPERUCCI, Il partito dei cattolici. Dall’Italia degasperiana alle correnti democristiane, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2010, p. 646.

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filosofia sul partito, sulla politica immediata della DC, che dal congresso di Napoli ci siamo proposti e ci proponiamo.

È una partitocrazia, certamente. È la profonda convinzione che senza un centro spirituale e politico capace di irradiare forza, volontà, determinazione, la vita politica italiana non può procedere con quella speditezza e quel ritmo di cui ha bisogno.179

E ancora nel giugno 1957 ribadiva la novità di cui attribuiva il merito a sé, ed alla sua generazione:

uno degli elementi politici introdotti dalla giovane leva DC nella tradizione parlamentare italiana è la cosiddetta partitocrazia.

Il passaggio dal partito accondiscendente e comitato elettorale al partito strumento moderno e insostituibile di lotta politica è stato operato, nella DC, dai giovani dalla generazione nata dopo la prima guerra mondiale.180

L’azione della segreteria di Fanfani – come sottolinea pure Giorgio Galli – in coerenza con il pensiero e il progetto del politico aretino e della sua corrente, si orientò in due direzioni: da una parte «rendere il partito finanziariamente autonomo soprattutto dalla grande borghesia imprenditoriale, grazie ai massicci contributi degli enti pubblici e in particolare dell’ENI»; dall’altra «trasferire nel partito l’attivismo cattolico che si esprimeva prevalentemente attraverso le organizzazioni controllate dalla gerarchia»181. La scelta di puntare sull’organizzazione, sfidando sul suo stesso terreno il modello organizzativo del Partito comunista, e di emancipare la Dc dai vertici ecclesiastici, era parte integrante del disegno neo-centrista fanfaniano che mirava alla conquista di un grande successo elettorale, dopo il quale il partito avrebbe potuto scegliere e imporre le alleanze che più gli risultassero gradite182.

Su questa strada dunque si sarebbe incamminata la Democrazia cristiana sin dal 1954 e all’interno di tale quadro e di un simile processo, che aveva dunque una portata nazionale, si inseriva la realtà siciliana. Qui l’esigenza della «dimensione regionale», avvertita da un autonomista convinto quale era Alessi, veniva fortemente superata in nome di una struttura fortemente gerarchica e centralizzata che aveva la sua testa a Roma e di cui il partito siciliano e la Sicilia rappresentavano una periferia, o meglio erano l’articolazione regionale di un apparato nazionale.

Mai prima di adesso la vita del partito era stata così sistematicamente regolata da uffici centrali, che dettavano ritmi, attività, indirizzi politici, e monitoravano costantemente il suo stato. Le carte del Comitato provinciale della Dc ragusana183 – le uniche sopravvissute alla diaspora degli archivi

179

L. DAL FALCO, Diario politico di un democristiano cit., p. 329.

180 Ivi, p. 423.

181 G. GALLI, Fanfani, Feltrinelli, Milano, 1975, p. 61. 182 Ivi, p. 58.

183

La documentazione prodotta e raccolta dal comitato, che consiste in circa 90 buste, è oggi conservata presso il “Centro A. Cammarata” di San Cataldo (Caltanissetta), dove attende ancora di essere ordinata e inventariata.

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democristiani in Sicilia184 – sono la testimonianza di questo flusso continuo di informazioni che collegavano gli uffici centrali agli organi periferici. La segreteria organizzativa inviava da Roma circolari, disposizioni e altro materiale, fissando le direttive, indicando i risultati e sollecitando ad estendere il tesseramento, promuovere iniziative (concorsi a premi, feste del socio, feste del dirigente, feste della stampa), incoraggiare la diffusione degli organi di informazione democristiani (il quotidiano «Il Popolo» e il periodico «La Discussione»); in periferia invece i vari responsabili del partito era tenuti ad eseguire tali inputs e dovevano inoltre inviare regolarmente informazioni dettagliate ed aggiornate sullo stato del partito e delle sue strutture collaterali e su quello dei suoi attivisti e funzionari185.

Ma come detto un altro effetto strettamente connesso all’avvento di questo nuovo partito era l’affermazione di una nuova classe dirigente, che in alcuni casi già prima del 1954 era emersa nei diversi contesti locali, ma con la svolta di Napoli ottenne la sua vera consacrazione. I “giovani turchi” – come vennero più comunemente definiti gli esponenti della corrente fanfaniana – rappresentavano appunto una nuova generazione (dopo quella popolare) di cattolici impegnati in politica. Come dimostravano i casi più noti (Giovanni Gioia, Francesco Pignatone, Raffaello Rubino) le loro leve erano composte per buona parte da giovani cresciuti negli anni del fascismo o nell’immediato dopoguerra, all’interno delle organizzazioni di Azione cattolica, la quale si confermava anche in Sicilia come la principale fucina per la formazione della nuova classe dirigente democristiana186. Il dato anagrafico era però solo un aspetto del loro carattere. Costoro infatti incarnavano una categoria politica emergente, quella dei professionisti della politica (brokers), e sono stati identificati dalla studiosa Gabriella Gribaudi con il termine di “mediatori”187, per evidenziare come tali soggetti, non avendo proprie risorse, basavano il loro potere sul controllo

184 Cfr. M. GENTILINI, Le memorie democristiane: il contesto nazionale e le prospettive di ricerca in Sicilia, in M.

GENTILINI e M. NARO (a cura di), Le memorie democristiane. Fonti per la storia dei cattolici in politica nella Sicilia

della seconda metà del Novecento, Sciascia, Caltanissetta-Roma, 2005, pp. 9-19.

185 Per gli anni della segreteria di Fanfani si è ispezionata una busta che recava il titolo “Corrispondenza organizzazione

(1952-1960) – Segreteria regionale”. Questa contiene corrispondenza tra organi centrali e provinciali, e tra questi e gli organi regionali, relativamente all’attività e organizzazione del partito per gli anni 1955-1964. Una chiara dimostrazione del flusso che univa centro e periferia erano le relazioni bimestrali che gli addetti del Comitato provinciale erano tenuti ad inviare alla segreteria organizzativa centrale. Questo obbligo veniva ribadito in una circolare inviata dal segretario organizzativo Luigi Gui agli addetti del Comitato provinciale di Ragusa il 14 maggio 1957, dove si legge che «i fini che la Segreteria Organizzativa Centrale intende raggiungere con la relazione bimestrale sono: 1) Essere informata sulla attività degli Addetti; 2) Avere un esatto rendiconto dei vari adempimenti tecnici connessi con l’attività organizzativa; 3) Seguire il potenziamento e l’aggiornamento delle strutture e dei quadri». Copia della circolare e delle relazioni bimestrali inviate dal comitato di Ragusa tra 1957 e 1958 sono conservate in ACC, DC, CPR, b. “Corrispondenza organizzazione (1952-1960) – Segreteria regionale”, f. “Atti. Organizzazione 1957”.

186 A. SINDONI, Momenti, problemi e fonti per la storia del rapporto tra Azione Cattolica e Democrazia cristiana, in

M. GENTILINI e M. NARO (a cura di), Le memorie democristiane cit., pp. 43-44; ma su questi aspetti vedi pure R. MORO, La formazione della classe dirigente cattolica (1929-1937), Il Mulino, Bologna, 1974.

187

G. GRIBAUDI, Mediatori. Antropologia del potere democristiano nel Mezzogiorno, Rosenberg & Sellier, Torino, 1980.

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della macchina burocratica del partito e sulla capacità di monopolizzare la comunicazione col centro, dal quale ricevevano le risorse e l’autorità per affermarsi nel contesto locale.

Erano dunque questi gli interpreti della nuova strategia democristiana e i protagonisti del nuovo partito: infatti mentre la base sociologica della Dc si andava spostando dal mondo rurale, aggredito dalla crisi e spopolato da un esodo massiccio, a quello cittadino, i mediatori erano la maggiore espressione politica dei ceti medi urbani emergenti, beneficiari dei crescenti flussi della spesa pubblica e degli imponenti trasferimenti di capitali nelle città188. Non era certo un caso quindi se alla testa della corrente di Iniziativa democratica in Sicilia troviamo personaggi come Nino Gullotti, Domenico Magrì, Giovanni Gioia, rispettivamente provenienti da Messina Catania e Palermo, ovvero le aree più intensamente investite dai processi di crescita e urbanizzazione in corso negli anni Cinquanta. Lì i fanfaniani avrebbero impiantato un solido e duraturo sistema di potere189.

A questi homines novi veniva affidato adesso il compito di impiantare l’apparato democristiano e regolarne le leve in periferia, così da affermare l’egemonia della Dc nella nuova realtà sociale e rilanciare la sua centralità politica, che dopo l’exploit del 1948, era stata incrinata con la regressione