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Questione siciliana e “regionalizzazione politica” alla metà degli anni Cinquanta

I. 1.1 «Il Mezzogiorno si muove»: lo sviluppo squilibrato dell’Italia negli anni Cinquanta

I.1.2 Il “quadro di Caravaggio”: luci e ombre di un’isola in transizione

Sono andate migliorando o peggiorando le condizioni economiche dei siciliani nell’ultimo decennio? La risposta è: hanno avuto luogo, al tempo stesso, un miglioramento ed un peggioramento. […] In media il tenore di vita risulta dunque cresciuto. Ma la media, in questo caso è ingannevole. Se il numero di coloro che «stanno relativamente bene» è cresciuto (sopra tutto le classi medie) e se parecchi «stanno meglio», il numero di coloro «che stanno male» è cresciuto anche di più. Nel quadro di Caravaggio alcune luci sono più vivide ma le ombre, in proporzione, sono più estese.50

Dentro il contesto di un miracolo meridionale in chiaro-scuro si inserisce la vicenda storica della Sicilia, che negli anni Cinquanta seguiva la traiettoria generale delle dinamiche in atto nel resto del Mezzogiorno, pur mantenendo una sua “specificità” legata a particolari condizioni socio- economiche e alla “specialità” politico-istituzionale rappresentata dal suo regime di autonomia regionale51.

Infatti nell’isola i tempi dello sviluppo industriale furono anticipati grazie alla scoperta nel sottosuolo, tra 1953 e 1956, di rilevanti riserve di petrolio e sali potassici; le istituzioni siciliane poi (Assemblea e governo regionale), in virtù degli ampi poteri conferiti dallo Statuto del 1946, avevano ampi spazi di manovra politica e legislativa e quindi la possibilità di intervenire e incidere profondamente su ogni aspetto della realtà isolana. Ancora una volta, in un’età di grande trasformazione, si confermava la posizione della “questione siciliana” che, se era parte della più grande “questione meridionale” nello stesso tempo non si esauriva in questa.

Nel Mezzogiorno in movimento dunque la Sicilia diventava il centro dei contrasti sui modelli di sviluppo economico. Le ricchezze del sottosuolo sembravano lanciarla verso nuovi ed inauditi traguardi. Il clima di fermento era visibile e le aspettative di un miglioramento sensibile delle condizioni economiche trovavano una conferma nelle dichiarazioni dei giornali del paese, nelle affermazioni delle categorie produttive, tra gli studiosi. La stessa classe dirigente siciliana guardava con crescente ottimismo verso nuovi orizzonti, tanto che il presidente della Regione appena eletto, il democristiano Giuseppe Alessi, nel 1955 poteva trionfalmente dichiarare che presto si sarebbe dovuto «sostituire allo slogan di terra depressa, l’altro di zona promessa»52.

Tuttavia la strada da percorrere era tanta, e nonostante il clima di grande fermento non erano sufficienti pochi anni per colmare il ritardo che separava l’isola dalle aree più sviluppate del paese. Non a caso nel 1959 alla domanda se il miracolo avesse poi coinciso con un generale miglioramento delle condizioni di vita dei siciliani, lo studioso Paolo Sylos Labini – il quale intanto avviava un

50 P. SYLOS LABINI, Riflessioni sul problema dello sviluppo industriale in Sicilia, «Il Ponte», maggio 1959, p. 644. 51 Uno sguardo d’insieme sull’economia siciliana negli anni ’50-’60 si trova nel saggio di S. BUTERA, Traccia storica

dello sviluppo economico in Sicilia nel secondo dopoguerra (1943-2000), pp. 28-36, in S. BUTERA e G. CIACCIO (a

cura di), Aspetti e tendenze dell’economia siciliana, Il Mulino, «Collana della Svimez», Bologna, 2002.

38 prezioso studio sull’economia siciliana53

– rispondeva richiamando l’immagine di un «quadro di Caravaggio», dove le ombre più estese contendevano vittoriosamente gli spazi alle luci.

Le ombre estese a cui faceva riferimento Sylos Labini avevano il volto affamato e triste dei personaggi raccontati da Danilo Dolci54, sociologo triestino che, grazie all’uscita nel 1955 presso l’editore Laterza del saggio Banditi a Partinico, aveva acceso attorno al caso siciliano un interesse nazionale55. Povertà, disoccupazione e sottoccupazione erano piaghe ancora estese e diffuse in ogni angolo della Sicilia. Come gli stessi saggi di Dolci avrebbero testimoniato le cose non erano molto cambiate rispetto alla situazione fotografata nei primi anni Cinquanta dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulla miseria in Italia: dagli atti pubblicati nel 1953, emergeva infatti che la regione era allineata agli indici drammatici delle sorelle meridionali, con ¼ delle famiglie isolane classificato in una condizione di miseria (il 25,2% contro una media nazionale dell’11,8) e più di 1/5 in quella, lievemente meno allarmante, del disagio56.

Le drammatiche condizioni in cui si “sopravviveva” nelle campagne dell’isola erano così descritte agli inizi del 1955 da una “fonte locale” del Servizio informazioni delle forze armate (Sifar):

Campagne prive di strade, prive di case, prive alle volte di un filo d’acqua sia pure per bere e prive, per metà della superficie, di acqua per irrigazione, danno un reddito di miseria.

Il contadino è costretto ad abitare nei centri rurali e, per recarsi al lavoro, deve, mattina e sera, percorrere chilometri e chilometri; e, spesso, non possiede neanche un asino che lo aiuti.

E, poi, la sera ritorna in una casa infelice, senza aria, senza luce, senza un minimo degli altri conforti e trova la moglie e molti figli sporchi, mal vestiti ed affamati.

Ed i figli non hanno scuole o non possono andarvi perché debbono lavorare.

E chi non ha un suo pezzetto di terra – e sono la maggioranza – lavora per gli altri per 400 – 500 lire al giorno.

E chi non lavora la terra è costretto al duro lavoro della miniera per 7 – 800 lire al giorno.

E nel borgo o nel comunello, spesso manca il medico o il farmacista, manca il telefono, manca l’acqua.57

53 P. SYLOS LABINI, Problemi dell’economia siciliana, Feltrinelli, Milano, 1966. Il poderoso lavoro (consta di quasi

1.500 pagine) curato da Sylos Labini era il frutto di un lavoro di ricerca – affidato a un gruppo di studiosi (in gran parte giovani laureati siciliani) dallo stesso coordinati – cominciato nel 1959, quando questi giunse a Catania per un incarico presso l’università della città. I dati qui raccolti si riferiscono in particolare alle statistiche pubblicate dall’Istat tra 1951 e 1961 e altre fonti ufficiali. Le monografie in esso contenute si occupano di popolazione, occupazione, salari, struttura economica, settori produttivi, problemi di sviluppo.

54 Per un profilo biografico di Dolci rimando a G. BARONE, Danilo Dolci, una rivoluzione nonviolenta. La vita e

l’opera di un uomo di pace, Altreconomia, Milano, 2010.

55 Vedi la postfazione di Paolo Varvaro alla nuova edizione di Banditi a Partinico (Sellerio, Palermo, 2009, pp. 419-

433). Negli stessi anni usciranno altri importanti saggi di Danilo Dolci, pubblicati dalla casa editrice Einaudi di Torino:

Inchiesta a Palermo (1956), Una politica per la piena occupazione (1958) e Spreco (1960).

56 CAMERA DEI DEPUTATI, Atti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per

combatterla, Roma, 1953, vol. I - Relazione generale, p. 81, e vol. VII - La miseria in alcune zone depresse, p. 330.

57

ACS, MI, DGPS, AARR, b. 52, cat. f 6, f. “Sicilia. Elezioni regionali”, sottof. 3, “Aspetti della situazione in Sicilia nella imminenza delle elezioni regionali”, 2 febbraio 1955.

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Passando dai “comunelli” ai centri più grandi i colori del dipinto non cambiavano. Nelle principali città dell’isola erano infatti migliaia le famiglie costrette a vivere in condizioni di estremo degrado. A Messina, ad esempio, il prefetto segnala che nell’ottobre 1955 circa 7.000 famiglie «vivono in circa 5000 antigieniche e fatiscenti baracche»58. A Palermo, a due passi dalle vetrine dei negozi di via Maqueda, via Ruggero Settimo e via Roma, simboli esteriori della nuova società consumistica, il cuore marcio della città batteva nei quartieri popolari, dove «interi complessi familiari […] vivono in uno stato di abbrutimento morale e materiale indegno di una nazione civile», imprigionati nei cosiddetti “catoi” «composti da uno o due vani, privi dei più elementari servizi igienici, della cucina, dell’acqua e nei quali si affollano, in una insalubre ed immorale promiscuità donne, uomini e bambini quasi tutti affetti da tubercolosi o da altre serie malattie»59. Per risolvere una situazione così drammatica – spiegava il prefetto – era necessario e inderogabile un intervento dello Stato; ma nonostante la discussione di una legge speciale per Palermo, e l’impegno assunto dal capo dello Stato Gronchi in visita nella città nel 1955, il governo nazionale non aveva ancora manifestato un concreto interessamento per la grave situazione palermitana, tanto da causare una reazione polemica da parte del sindaco e una diffusa impressione negativa da parte dell’opinione pubblica60

e delle forze politiche e sindacali, che, «senza distinzione di colore», avevano contestato a più riprese il mancato intervento dello Stato61.

I dati sulla disoccupazione confermavano poi le lacune presenti nel sistema produttivo siciliano, incapace di assorbire una parte consistente della popolazione attiva: negli anni 1954-58 i disoccupati siciliani passavano dal 10,7 al 10,9 % dei disoccupati italiani, e nel gennaio 1958 il numero di disoccupati iscritti agli Uffici di collocamento risultavano 211.44062. Se il non-lavoro in particolare era legato alla mancanza di sbocchi nel settore industriale, un altro fenomeno, quello della sottoccupazione, era piuttosto diffuso non solo in agricoltura, ma anche tra gli addetti

58

ACS, MI, GAB, 1953-56, b. 369, f. 6995/93, Relazione del prefetto di Messina al Ministero dell’Interno per il mese di ottobre 1955, 2 novembre 1955.

59 ASPA, PREF, GAB, 1956-60, b. 983, f. A 3 11 9, sottof. “Relazione sulle prospettive elettorali 1958”, Appunto s.d.

[ottobre 1957]. Ma sulle condizioni di vita nei quartieri popolari del capoluogo vedi pure l’Inchiesta a Palermo, ricerca condotta negli stessi anni da Danilo Dolci. Queste le parole che introducono il paragrafo relativo al Cortile Cascino: «I nudi, sudici bambini che giocano sulla ferrovia e nel fango, è quanto più impressiona a prima vista. Cinque costruzioni scalcinate di due o tre piani, e baracche a sud; tre fabbricati a due o tre piani a nord: tutti con umide mura brulicanti di cimici, scorpioni e scarafaggi» (Ivi, p. 75).

60

ASPA, PREF, GAB, 1956-60, b. 983, f. A 3 11 9, sottof. “Relazione sulle prospettive elettorali 1958”, Appunto s.d. [ottobre 1957].

61 ACS, MI, GAB, 1957-60, b. 297, f. 16995/54, Relazione del prefetto di Palermo al Ministero dell’Interno per il mese

di ottobre 1957, 5 novembre 1957.

62

I dati sono riportati in R. ROCHEFORT, Sicilia anni Cinquanta. Lavoro cultura società, Sellerio, Palermo, 2005, p. 142 e p. 149. Questo lavoro di ricerca, originariamente una tesi di dottorato in geografia sociale, venne pubblicato per la prima volta in Francia nel 1961 col titolo Le travail en Sicilie. Étude de Géographie sociale. La studiosa cita numerosi dati tratti da pubblicazioni ufficiali e fonti istituzionali, statistiche e alte informazioni raccolte nel corso delle ricerche condotte nell’isola tra 1954-59. Per una ricostruzione del lavoro della Rochefort e del metodo adottato vedi la presentazione di Mario Gandolfo Giacomarra contenuta nella recente edizione italiana (Ivi, pp. 13-41).

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all’edilizia, operai precari, minatori dello zolfo. La soluzione indicata e sollecitata spesso dai prefetti siciliani per assorbire la massa dei non occupati erano i lavori pubblici, finanziati o da finanziare attraverso Cassa per il Mezzogiorno o regione63. Ma come vedremo molti, per sfuggire alla fame e alla miseria, avrebbero seguito la strada che li conduceva lontano dalle proprie case.

Fin qui le ombre. Per valutare invece nel complesso le trasformazioni della società siciliana nel corso del decennio 1951-61 bisogna partire da un esame dei dati statistici sulla popolazione occupata. Nella tabella qui sotto si possono osservare i cambiamenti avvenuti durante il decennio 1951-1961 nella distribuzione per settore degli occupati64:

Settori 1951 1961 variazione

Agricoltura 760 580 - 180

Industria 338 480 + 142

Altre attività 386 465 + 79

Il primo elemento che salta agli occhi è la sensibile diminuzione della popolazione agricola (- 180.000 unità) frutto della crisi dell’agricoltura che causava una “fuga dalle campagne” di inedite proporzioni. Un esodo, questo, che alimentò in gran parte i flussi migratori interni – verso città come Palermo, Catania e Messina diventate ormai aree metropolitane – e gli spostamenti verso le aree del triangolo industriale del nord. Ma una quota notevole di emigrati si sarebbe pure diretta, grazie alla libera circolazione dei lavoratori nei paesi della Comunità europea, verso il Vecchio Continente (Francia, Belgio, Svizzera, Inghilterra), o ancora si sarebbe diretta oltreoceano (Stati Uniti e Canada). Si realizzava dunque «la più grande riforma isolana dal dopoguerra» - come l’ha definita Francesco Renda - una «riforma passiva»65 di inedite proporzioni (si calcola che tra 1951- 61 furono 386.000 coloro che lasciarono l’isola) e che ebbe come protagonisti non soltanto i contadini, ma anche vasti strati di piccola borghesia povera, ceto impiegatizio e piccola borghesia professionale. Una riforma che avrebbe «inciso profondamente sulle strutture demografiche, nonché sulla realtà sociale e culturale interna dell’Italia nel suo complesso»66

.

63 Vedi le relazioni dei prefetti delle province siciliane in ACS, MI, GAB, 1953-56, b. 369, f. 6995/93.

64 La tabella è prodotto di una elaborazione dei dati, che si riferiscono a migliaia di unità, tratti da P. SYLOS LABINI,

Problemi dell’economia siciliana cit., pp. 27-28.

65

F. RENDA, Storia della Sicilia dalle origini ai giorni nostri, Sellerio, Palermo, 2003, III vol., p. 1355.

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I motivi della crisi dell’agricoltura siciliana erano diversi. Si deve certamente cominciare dai modesti esiti della riforma agraria, che in Sicilia venne introdotta con la legge regionale n. 104 del 27 dicembre 1950. Questa aveva portato a un rimescolamento nel mondo contadino e a «un cambiamento genetico nel modo d’essere della vecchia economia cerealicola estensivo- latifondistica, donde la quasi generale scomparsa dei vecchi modi di produzione e anche dei vecchi rapporti agrari che vi erano connessi»67. In particolare si assisteva alla graduale scomparsa di diverse figure tipiche del mondo del lavoro agricolo tradizionale, da sempre concorrenti a formare la gran massa dei contadini poveri, e un passaggio di posizione da parte del personale agricolo: da bracciante, compartecipante o contadino senza terra o con minuscolo fazzoletto di terra la maggioranza dei contadini divenne piccola proprietaria. A questo cambiamento si accompagnava la formazione di un surplus di manodopera in fuga dai campi. Intanto i grandi proprietari fondiari non rimasero certo a guardare: si scatenò così una corsa alla vendita, per evitare gli espropri, che liberava altra terra e produceva nuova ricchezza liquida che però si sarebbe riversata nelle città, dove venne reinvestita in attività più redditizie come l’edilizia.

Cambiavano dunque i connotati dei contadini e insieme a loro cambiava anche l’agraria, la tradizionale classe dominante dell’isola, che sembrava ormai destinata ad un lento inesorabile tramonto politico e sociale. Nel 1958 veniva pubblicato, dopo un lungo travaglio, il romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa68: il racconto di un declino cominciato col Risorgimento veniva alla luce appena in tempo per assistere agli ultimi bagliori di un tempo che finiva.

Già a pochi anni di distanza dal varo della riforma era evidente come tempi, modalità e strumenti ne avrebbero decretato un parziale fallimento. Bastava osservare il funzionamento dell’ente chiamato a gestire e applicare la riforma, l’Ente di riforma agraria siciliana, per comprendere i motivi del naufragio di quella che era stata pensata come una “riforma di struttura”. I vizi dell’Eras erano segnalati in un rapporto dell’ottobre 1955 al presidente del Consiglio Antonio Segni69: intanto l’ente a quella data non era ancora riuscito ad attuare un piano organico di scorporo

67 F. RENDA, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, Sellerio, Palermo, 1987, III vol., pp. 336-338. Per una panoramica

sulla riforma in Sicilia vedi G.C. MARINO (a cura di), A cinquant’anni dalla Riforma agraria in Sicilia, CEPES – Centro studi ed iniziative di politica economica in Sicilia, Franco Angeli, Milano, 2003; ma vedi pure il saggio di A. CHECCO, La riforma agraria e le campagne siciliane negli anni ’50, in R. BATTAGLIA, M. D’ANGELO, S. FEDELE (a cura di), Il milazzismo. La Sicilia nella crisi del centrismo, Gangemi, Reggio Calabria, 1988 (I ed. 1980), pp. 151-170.

68 G. TOMASI DI LAMPEDUSA, Il Gattopardo, Feltrinelli, Milano, 1958. Il libro, subito dopo la sua uscita, ebbe

risonanza internazionale (in un periodo in cui i romanzi italiani difficilmente superavano i confini nazionali) e divenne un caso letterario: oltre a provocare vivaci discussioni infatti vinse nel 1959 il premio Strega e vendette in pochi mesi oltre 100.000 copie.

69 ACS, PCM, 1955-58, f. 1-6-1 63030.74.6, Appunto dal titolo “Riforma agraria in Sicilia” (18 ottobre 1955) allegato

ad una lettera del Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri al presidente del Consiglio Antonio Segni, 20 ottobre 1955.

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e ad affidare queste delicate operazioni a tecnici e funzionari in grado di avere una visione chiara dei problemi e capaci di agire nell’interesse del Paese. Poi la riforma era danneggiata dai continui conflitti tra l’ente e il Consiglio di Giustizia Amministrativa, tanto che non erano rari i casi in cui i funzionari dell’Eras, cha andavano con gli assegnatari sui terreni scorporati, si accorgevano di non poter procedere alle assegnazioni per i decreti di sospensiva o annullamento dello scorporo. L’estensore del rapporto poi ricordava che erano stati emessi decreti di scorporo per un totale di circa 30.000 ettari, ma a causa della lentezza delle procedure di assegnazione delle terre, le agitazioni erano frequenti, con i comunisti impegnati ancora in diverse occupazioni simboliche di terre (48 solo tra agosto e settembre 1955). Ma il malcontento riguardava pure gli assegnatari di terreni «perché l’ERAS non [aveva] provveduto con la dovuta sollecitudine a consegnare attrezzi, concimi e animali da lavoro». Si aggiunga poi a questo elenco di inadempienze e inefficienze il fatto che l’Eras – svettando sul resto degli enti di riforma presenti nel paese - divenne un enorme carrozzone clientelare, un pezzo insostituibile del potere locale democristiano, guidato da una burocrazia eccessiva e troppo potente: a pochi anni dalla nascita erano già 3000 le persone occupate, di cui 2000 lavoravano a Palermo nel suo nuovo palazzo di 8 piani e ciò spiegava il fatto che circa 1/3 del suo bilancio se ne andasse per spese di amministrazione70.

I ritmi lenti degli scorpori scoraggiavano in tanti, ma anche gli stessi assegnatari spesso furono costretti ad abbandonare le terre perché poco produttive, o a causa della limitata estensione dei lotti, o ancora a causa della mancata assistenza tecnica71. In definitiva i piccoli proprietari, cresciuti sensibilmente anche in seguito alla compravendita privata di terre72, anche quando tentavano di resistere alla partenza, vivevano in condizioni di estrema precarietà. Lo testimoniano le parole della studiosa francese Renée Rochefort, impegnata a condurre nella metà degli anni Cinquanta una ricerca “sul campo” in Sicilia, che registrava nel suo saggio (Le travail en Sicilie, 1961) i segni di una «profonda crisi» e del «malessere rurale», attribuendone la colpa principale all’eccesso di spezzettamenti, alle difficoltà d’ordine fiscale e alla solitudine psicologica e tecnica rispetto alle strutture associative e gli enti di assistenza (Coldiretti, consorzi agrari, Eras)73. Così la terra, il miraggio e il sogno di sempre, conquistata dopo anni di battaglie e le imponenti

70 P. GINSBORG, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi cit., pp. 181-182.

71 Lo confermavano anche i contadini intervistati da Giuliana Saladino: «della terra, dopo la riforma agraria, non

sapevano che fare. 3 ettari seminati a grano a 12 o 15 chilometri dal paese, senza strada e senza acqua, senza nessuna possibilità economica di migliorare le colture, riproponevano quella stessa vita contadina contro cui ci eravamo battuti e a cui non volevamo più essere condannati» (Id, Terra di rapina. Come un contadino può diventare bandito, Einaudi, Torino, 1977, p. 58).

72 Si calcola che alla fine degli anni ‘50 le loro famiglie siano state tra le 100.000 e 130.000, ma che queste

possedessero soltanto il 31% della superficie coltivabile (R. ROCHEFORT, Sicilia anni Cinquanta cit., pp. 224-225).

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mobilitazioni del dopoguerra, appena conquistata era spesso abbandonata dai contadini che prendevano la via dell’emigrazione74

.

Un’altra delle conseguenze del cattivo funzionamento della riforma, nonché poi una delle cause della crisi del settore, fu il mancato sviluppo produttivo dell’agricoltura75

. Le poche infrastrutture create nel settore irriguo76 avevano infatti impedito il passaggio dai prodotti poveri (cereali) a quelli ricchi (frutta, ortaggi e prodotti zootecnici). La tabella qui sotto consente di evidenziare la distanza che separava a fine anni Cinquanta le aree del nord, la “polpa” dell’agricoltura italiana – secondo l’enfatica definizione di Manlio Rossi-Doria – dall’isola (parte dell’“osso” arretrato)77

.

Sicilia Nord Italia (media)

Cereali 18,4 20,7 19,3

Frutta 1,2 7,2 6,0

Prodotti zootecnici 7,3 23,6 19,3

Fin qui i motivi strutturali del ritardo dell’agricoltura siciliana. Ad aggravare però ulteriormente la crisi delle campagne isolane, a partire dalla metà dei Cinquanta, concorsero alcuni fenomeni congiunturali: la graduale liberalizzazione del mercato, il ribasso dei prezzi e infine l’apertura del Mercato europeo.

Sin dal suo profilarsi nei confronti del Mec ci furono, a livello di opinione pubblica, ma anche di orientamento delle forze politiche, preoccupazioni e incomprensioni abbastanza vivaci. E queste preoccupazioni non erano certo ingiustificate come avrebbero dimostrato i suoi primi concreti esiti78. D’altra parte tutto il mondo agricolo italiano si trovava investito da un processo di trasformazione, sempre più legato a processi esogeni che superavano i confini nazionali, ma che

74 F. RENDA, Il movimento contadino e la fine del blocco agrario nel Mezzogiorno, De Donato, Bari, 1976, p. 110. 75 Nelle conclusioni di una indagine statistica sull’agricoltura siciliana, condotta facendo riferimento all’annata agraria

compresa tra 1957-58 e ai principali indirizzi produttivi isolani (cerealicolo, agrumicolo, viticolo e misto), il prof. Carmelo Schifani dopo aver mostrato «il grado di sottosviluppo in cui trovasi una rilevante parte dell’agricoltura siciliana», invocava «la necessità di un acceleramento dello sviluppo produttivo dell’economia regionale, e di una riduzione delle differenze di produttività e di reddito, rispetto alla media nazionale» (ID., Redditi e consumi nella