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Questione siciliana e “regionalizzazione politica” alla metà degli anni Cinquanta

I. 2.2 «scempio di lotte intestine»: la divisione interna e lo scontro tra corrent

I.2.3 Il partito nella tempesta della III legislatura regionale (1955-58)

Il 1955 fu per la politica siciliana un anno di svolta. Si avviava al tramonto l’età della nascita e del consolidamento delle istituzioni regionali, una fase che era stata guidata da giunte regionali dove la Dc venne affiancata dalle forze di destra (monarchici, liberali, qualunquisti, missini). I governi di Giuseppe Alessi (1947-49) e Franco Restivo (1949-54) avevano raggiunto notevoli risultati, come il coordinamento dello Statuto con la Costituzione, la riforma agraria del 1950 e i

330 ASPA, PREF, GAB, 1956-60, b. 986, f. A4 – 1 – 4/8, Promemoria non firmato, Palermo 9 novembre 1957.

331 ASILS, DC, SP, sc. 77, f. 9, “Le elezioni amministrative 1956 in Sicilia”, a cura del Comitato regionale Dc, Palermo

30 maggio 1956.

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primi provvedimenti per favorire lo sviluppo industriale. Ma ancora molta strada restava da percorrere per ottenere la piena applicazione delle potestà concesse dallo Stato alla regione speciale. E gli attori di questa prima fase credevano che la Democrazia cristiana dovesse ancora recitare un ruolo da protagonista per raggiungere i nuovi traguardi. Come sottolineava pure il presidente Restivo, tracciando un bilancio dei primi otto anni di autonomia:

Noi vogliamo non soltanto continuare l’opera che è il frutto di questo risveglio, ma svilupparla e compierla nello sviluppo dell’autonomia che ha investito la Sicilia di una missione propria nell’ambito dell’unità nazionale, e che ha oggi una profondità storica. […]

Ma in noi è anche la coscienza che l’istituto dell’autonomia è l’energia attiva, senza della quale la Sicilia non avrebbe avuto la spinta di questo rinnovamento, visibile nelle opere e nello spirito stesso delle nostre popolazioni.

E riferendoci all’istituto ci riferiamo nello stesso tempo alla grande forza politica della Democrazia Cristiana che interpretando le aspirazioni popolari, ha assunto la piena responsabilità dell’autonomia e non soltanto della sua formula statutaria, ma della sua funzionalità e della concretezza dei sui risultati. […]

Col senso di fiducia che viene da questo complesso di esperienze vive, guardiamo al domani che è nelle speranze di tutti.333

Ma il 1955 fu l’anno centrale e lo spartiacque di un decennio di intenso dinamismo e di grande trasformazione per l’intera realtà siciliana. La “questione siciliana” era ad un bivio, il presente tutto da scrivere restava sospeso tra le speranze del futuro e l’esperienza del passato334

.

Nelle vicende della terza legislatura regionale, che cominciava proprio in quell’anno, si riflettevano i grandi sconvolgimenti politici ed istituzionali, ma anche le spinte che in quella stagione trasformarono la società e l’economia siciliana. Così sulla politica e sulle istituzioni regionali si manifestarono ben presto i risvolti connessi all’affermazione del nuovo partito fanfaniano e allo scontro tra autonomismo regionale e centralismo statale; dall’altra emersero le conseguenze della crisi che investiva l’agricoltura, oltre che gli effetti dello scontro sullo sviluppo industriale che vedeva contrapposte le categorie industriali locali e i gruppi monopolisti nazionali, e questi, uniti in “cartello” alle compagnie straniere, all’industria di Stato.

Quegli eventi e quelle spinte inevitabilmente finirono per ripercuotersi nelle vicende interne della Democrazia Cristiana. Il partito cattolico venne violentemente scosso da tali fibrillazioni che lo investivano frontalmente sia per il suo interclassismo, che al suo interno si traduceva poi nella compresenza di molteplici gruppi di interessi, sia anche per il fatto che comunque la Dc dal dopoguerra era il partito che incarnava le istituzioni e costituiva il baricentro dei governi nazionali e

333

F. RESTIVO, Otto anni di autonomia siciliana, «Civitas», anno VI, n. 3, marzo 1955, p. 45. La rivista mensile «Civitas», diretta da Paolo Emilio Taviani, dedicava un numero monografico alla Sicilia in occasione delle elezioni per la III legislatura regionale. Oltre al contributo di Restivo il numero contiene articoli di Bernardo Mattarella, Mario Fasino, Barbaro Lo Giudice, Vito Scalia.

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Non era forse solo un caso se proprio in quell’anno usciva una Sintesi storica della questione siciliana (Mori, Palermo, 1955) scritta da Enrico La Loggia, uno dei padri dell’autonomia e dello statuto speciale.

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regionali. Se a questo aggiungiamo anche il fatto che con l’avvento al potere dei “giovani turchi” il partito era investito da un processo di metamorfosi e di ristrutturazione, che provocava ulteriori frizioni e alimentava la scissione correntizia, arriviamo alle conclusioni di Francesco Renda quando sostiene:

Nella Democrazia cristiana non c’erano solo le correnti con le relative aggregazioni e discipline interne, né solo i seguaci ubbidienti al centralismo fanfaniano in antagonismo con i vecchi popolari ribelli a quella per loro inaccettabile disciplina; vi si aggiungevano anche gli uomini e i gruppi collegati, chi alla Confindustria e chi all’ENI, chi alla Sicindustria e chi alla CISL o alle ACLI o alla Coltivatori diretti bonomiana. In un partito cosiffatto, il contrasto degli interessi economici fra il capitale privato e il capitale pubblico, tra le compagnie petrolifere e l’ENI, tra la Confindustria e la Sicindustria inevitabilmente tendeva ad acquisire una valenza politica. Come partito di maggioranza relativa, e che per di più esercitava il monopolio politico nel governo delle pubbliche istituzioni, i conflitti e le contraddizioni della società divenivano conflitti e contraddizioni del partito.335

Uno dei principali motivi di lacerazione sarebbe stata la pressione condotta dagli esponenti di Iniziativa democratica e dagli organi del partito, che non rinunciavano ad esercitare la loro egemonia anche sulle istituzioni regionali. Come abbiamo già osservato per il livello comunale, i fanfaniani siciliani furono infatti i fedeli interpreti della nuova visione secondo la quale le sfere partito-parlamento-governo, che prima erano state separate da De Gasperi con grande sforzo politico, adesso venivano sovrapposte, cosicché governo e gruppo parlamentare venivano subordinati al partito. Lo spirito che animava i giovani che conquistarono i vertici regionali della Dc era già visibile negli ultimi scampoli della II legislatura, quando nel corso di una riunione della Giunta esecutiva, dopo avere lamentato la sordità del governo allora guidato dal “notabile” Restivo rispetto alle richieste del partito, alcuni di essi dichiaravano:

LANZA: Il Governo o agisce su direttive date dal Partito o addirittura indipendentemente. È del parere che tanto l’Amministrazione regionale, come Provinciale e Comunale, dipendano direttamente dal Partito.

D’ANGELO: Si elimini lo spirito personalistico tra i nostri Deputati, affinché non accada, per esempio, che nella sua azione un Assessore parteggi per la propria Provincia e faccia i suoi interessi personali.

GIOIA: […] ora si deve esaminare il modo di controllare l’attività del Governo.336

Nella stessa riunione interveniva il segretario regionale Gullotti che avanzava la proposta di costituire un Ufficio legislativo del partito, in modo che i progetti di legge venissero esaminati dalla Giunta esecutiva che doveva esprimere il suo parere e trasmetterlo al gruppo parlamentare. Poi

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F. RENDA, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970 cit., III vol., pp. 384-385.

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ancora c’era chi come Gioia rimarcava il fatto che alcuni assessori non rispondevano alle richieste del partito337.

Dunque secondo i fanfaniani l’attività del governo, come pure quella di ogni singolo assessore e deputato democristiano, doveva essere indirizzata dal partito. Tra gli assessori “sordi” a cui Gioia intendeva fare riferimento vi era sicuramente il calatino Silvio Milazzo, assessore ai lavori pubblici sin dagli inizi della legislatura. Questi era già stato in precedenza sollecitato dal segretario provinciale della Dc catanese avv. Baldanza, ad «attuare una collaborazione fattiva tra il [suo] assessorato e questo Com. Prov.le e di ovviare agli inconvenienti [...] lamentati dalle nostre Amministrazioni comunali e dalle Sezioni del Partito»338. Nella pratica, come spiegava dopo il segretario, si trattava di attuare un «organico programma di lavori pubblici da realizzarsi con i fondi dell’art. 38 e con le altre provvidenze legislative, in base alle segnalazioni e ai progetti pervenuti all’Assessorato e alle raccomandazioni avanzate dal Partito e dagli amici parlamentari», così da «consentire al Partito l’opportunità di servirsi della [sua] benemerita opera» anche in previsione delle elezioni regionali.

Nonostante le pressioni Milazzo però continuava a gestire il suo assessorato senza discriminazioni o preferenze di tipo partitico, restando fedele ad una idea dell’amministrazione che era aperta aldilà del colore politico, e che per questo motivo risultava impermeabile alle pressione dei gruppi e delle clientele. Questa sua imparzialità, che gli avrebbe portato una stima e un rispetto da parte di tutti i settori dell’Assemblea regionale, non erano tuttavia in linea con la strategia fanfaniana, tanto che nel momento di massima tensione con il partito – ovvero dopo l’operazione dell’ottobre 1958 – la sua «strana debolezza» veniva evocata da Domenico Magrì, il quale ricordava nel corso di una seduta del Consiglio nazionale:

nell’Assessorato di Silvio Milazzo i comunisti avevano libero, tranquillo e cordiale accesso. Con questo non voglio dire che Milazzo sia un filocomunista; voglio dire che Milazzo aveva costantemente questa sua strana debolezza di voler essere apprezzato da tutti, anche dai comunisti.339

Nel corso della stessa riunione era il vecchio amico e conterraneo Scelba a prendere le sue difese, spiegando come il comportamento di Milazzo fosse frutto del suo «temperamento antipartito», che gli aveva persino suggerito di adoperare la prassi secondo cui i fondi per le opere pubbliche venissero assegnati in base alla popolazione dei comuni siciliani, senza alcuna considerazione del colore politico delle diverse amministrazioni340.

337 Ibidem.

338 ASILS, DC, SP, sc. 58, f. 1, Lettera dell’avv. Baldanza a Silvio Milazzo, 7 agosto 1954. 339

ASILS, DC, Consiglio, sc. 28, f. 51, Verbale della seduta del 15-18 novembre 1958.

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Dunque come si comprendeva bene nel caso appena citato i fanfaniani, che stavano già ampiamente sfruttando i canali della spesa statale indirizzati nell’isola e le risorse degli enti locali da essi controllati, non intendevano assolutamente rinunciare a indirizzare l’azione dei vari rami e settori di spesa di un ente, quale la regione speciale siciliana, che proprio in quegli anni si avviava a diventare un importante centro di potere. Ecco infatti quanto riferiva in una relazione del 1956 un ispettore generale di Polizia:

la Regione ha creato – almeno per tanti siciliani – una situazione di vero e particolare favore. Sono stati istituiti infatti numerosi uffici connessi all’amministrazione regionale che occupano una pletora di impiegati che – mi dicono – ben retribuiti; vi è poi un vero e proprio parlamento, vari assessorati etc., il che oltre a soddisfare le ambizioni politiche di un numero non indifferente di persone le quali in campo nazionale probabilmente non avrebbero avuto possibilità di affermarsi, ritraggono da tali cariche anche – ciò che non guasta – allettanti indennità.341

Sfruttando la forza di pressione del partito così i fanfaniani miravano a sottrarre l’uso di notevoli risorse economiche alla discrezionalità degli assessori avocando tali decisioni al partito da loro strettamente controllato. Stessa forza di pressione partitica evidentemente veniva esercitata nella selezione clientelare delle assunzioni di personale nell’amministrazione regionale342

, che intanto cresceva, tanto che secondo il prefetto di Palermo somigliava ormai ad «una pletorica Prefettura di sproporzionate competenze ed estensione»343.

Lo scontro tra Iniziativa democratica e il gruppo delle minoranze, che includeva la generazione popolare e autonomista di Alessi e Milazzo, si accendeva così sin dalla campagna elettorale da cui sarebbe scaturita la nuova Assemblea regionale. La pressione congiunta degli organi regionali del partito e di quelli centrali mirava allo stesso obiettivo: favorire i candidati fanfaniani a scapito degli altri esponenti democristiani.

Lo stesso Milazzo, che era stato sin dal 1947 deputato e assessore in tutti i governi, decideva in un primo momento di ritirare la sua candidatura in seguito agli attacchi subiti e lo comunicava con un telegramma al segretario Fanfani:

Reiterati pronunciamenti organi partito mio riguardo convincomi essere stata fraintesa mia attività governo regionale svolta ininterrottamente otto anni più delicati agricoltura et lavori pubblici pieno servizio interessi isola et ideali partito punto Pertanto chiarezza et lealtà impongono ritirare la mia candidatura che ritengo sopportata organi ufficiali partito punto Voglia prendere atto mia decisione sede commissione definizione scelta candidati ossequi Silvio Milazzo344

341 ACS, MI, DGPS, AAGG, 1956, b. 3, f. “C1/15. Sicilia. Governo regionale”, Relazione politica dell’Ispettore

generale di Ps, 15 novembre 1956.

342

Orazio Cancila sottolinea infatti come la burocrazia regionale, sin dal sorgere dell’ente, fu costituita essenzialmente dai nuovi assunti con criteri clientelari, e ammette come il controllo maggiore su questo sistema ovviamente ricadesse sulla Dc, partito di maggioranza sin dal 1947 e guida di tutti i governi della Regione (Id., Palermo cit., p. 266).

343 ACS, MI, GAB, 1957-60, b. 297, f. 16995/54, Relazione del prefetto di Palermo al Ministero dell’Interno per il mese

di marzo 1957, 31 marzo 1957.

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Una copia dello stesso telegramma venne inviata pure a Sturzo, il quale prontamente intervenne presso Fanfani, e intanto rispondeva a Milazzo – che continuava a rappresentare per il prete, suo padrino e maestro, un punto di riferimento prezioso nello scacchiere politico siciliano – invitandolo a non abbandonare il campo345.

Tuttavia il principale bersaglio dei fanfaniani restava Giuseppe Alessi. Era lui stesso a confermarlo, quando rivolgendosi al segretario nazionale, per segnalare vari episodi e sollecitare provvedimenti disciplinari, scriveva: «l’apparato del Partito si muove in senso unilaterale e con spirito di vessatoria inimicizia e diffamazione nei miei riguardi»346. D’altra parte la risposta degli organi del partito non sarebbe tardata: infatti già all’indomani delle elezioni Alessi veniva a sua volta attaccato per avere usato i fondi del suo assessorato regionale in maniera difforme a quanto stabilito dal partito e per proprie finalità (ovvero per battere, nella sfida per le preferenze, il candidato di Id Lanza), oltre che per essersi servito per la campagna elettorale di strumenti esterni al partito, ovvero i già citati centri di cultura347.

Se nonostante le accuse e la pressione del partito sia Alessi che Milazzo venivano riconfermati nella nuova Assemblea, in diversi altri casi i fanfaniani comunque riuscivano a condizionare la scelta delle candidature intervenendo attraverso le Commissioni elettorali con una selezione mirata dei nominativi da ammettere nelle liste Dc. Nella riunione della Direzione nazionale convocata il 13 aprile 1955, per esaminare la situazione pre-elettorale in Sicilia, emergevano infatti gli attriti provocati ad esempio dall’esclusione, da parte della Commissione centrale e di quella regionale, del candidato sostenuto a Gela da Aldisio e Scelba, a cui veniva invece preferito il nome sostenuto dal segretario Gullotti348. Nella discussione aperta da questo caso, nonostante le preoccupazioni espresse dal presidente uscente Restivo per le possibili ripercussioni legate alla reazione di Aldisio, Magrì rilanciava il nominativo indicato dal partito e i fanfaniani siciliani venivano sostenuti da Fanfani e dal vice Rumor, che poi si sfogava: «decidere contro le deliberazioni del Partito per potere di un uomo, è veramente enorme»349. Vinceva ancora una volta dunque la forza dell’apparato sulla resistenza del notabile. Nel corso della stessa riunione venivano discussi altri casi analoghi, ma soprattutto si informava delle dichiarazioni di don Sturzo, che non avrebbe fatto propaganda per il partito. Evidentemente il prete non aveva gradito il nuovo corso in atto nella Dc che tendeva in

345 V. DE MARCO, Sturzo e la Sicilia nel secondo dopoguerra 1943-1959, Società Editrice Internazionale, Torino,

1996, pp. 203-204.

346

ASILS, DC, SP, sc. 65, sottof. 7, Lettera di Giuseppe Alessi ad Amintore Fanfani, 31 maggio 1955.

347 ASILS, DC, SP, sc. 68, f. 3, Verbale della riunione dei segretari provinciali del 24 giugno 1955. In considerazione di

tali gesti di insubordinazione i segretari erano concordi nel chiedere misure disciplinari contro Alessi e nell’opporsi alla sua nomina nel nuovo governo regionale.

348

ASILS, DC, Direzione, sc. 22, f. 263, Verbale della seduta del 13 aprile 1955.

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maniera manifesta ad estromettere dal partito e dalle istituzioni gli uomini a lui più vicini (Alessi, Milazzo e Restivo). Era un segnale importante, ma non sembrava preoccupare più di tanto i vertici del partito.

Le elezioni regionali siciliane rappresentavano comunque per Fanfani ed i suoi uomini, non soltanto un primo importante banco di prova per misurare l’impatto della nuova forza organizzativa del partito, ma anche l’occasione per lanciare il nuovo indirizzo di governo. In occasione di un comizio a Palermo era Fanfani in persona a fissare come obiettivo del partito la conquista di una maggioranza decisiva (in termini di voti e deputati da mandare in Assemblea regionale) per riuscire a realizzare il massimo del suo programma senza dover contare sull’aiuto di altri partiti350

. L’apparato democristiano in Sicilia d’altra parte era chiamato a vigilare sul rispetto dei principi politici fissati dal congresso di Napoli e sulla “conformità” delle azioni del governo rispetto ai punti programmatici fissati dal partito. In questo modo gli organi centrali avrebbero potuto svolgere – attraverso i “mediatori” fanfaniani – un ruolo di indirizzo della politica regionale. Il nuovo orientamento era ben colto dal segretario provinciale della Dc di Firenze, che dopo aver partecipato alla campagna elettorale siciliana, scriveva a Fanfani:

La Direzione Centrale, come già fece per la Val d’Aosta, dovrà, essa, assumersi la responsabilità dell’indirizzo concreto da dare alla politica agraria (la riforma agraria dovrà essere attuata ben diversamente da come sinora è avvenuto) della politica industriale, della politica delle case, delle scuole e dei lavori pubblici.351

L’importanza e il rilievo nazionale che assunsero le elezioni siciliane si spiegava comunque con la concomitanza di alcuni episodi politici rilevanti che si verificarono tra marzo-aprile 1955. Sul fronte delle sinistre si muoveva soprattutto il Psi – sempre più lontano dalla stagione frontista e autonomo dai compagni comunisti – che col congresso di Torino apriva la linea del dialogo con i cattolici sostenuta dal segretario Nenni. Ma era soprattutto l’episodio dell’elezione del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, su cui confluivano quasi tutti i partiti del parlamento salvo i partiti laici e alcuni Dc, a lanciare importanti messaggi anche per la Sicilia: il 29 aprile infatti andava in scena una forte dimostrazione di forza delle minoranze democristiane che, riunite in una “Concentrazione” parlamentare, decidevano di violare apertamente la disciplina di partito e prendere contatto con forze politiche estranee ed ostili alla Dc per imporre alla maggioranza e alla segreteria Fanfani un proprio candidato. Era la prima plateale dimostrazione dell’insostenibilità della monocrazia fanfaniana e insieme il segnale dei potenziali rischi che venivano dal

350 ACS, MI, GAB, 1953-56, b. 431, f. 7135/6, Discorso pronunciato da Amintore Fanfani al Teatro Politeama di

Palermo il 23 aprile 1955.

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condizionamento che destra e sinistra potevano esercitare mediante l’accordo dei gruppi democristiani352.

Sulla nuova legislatura regionale però incombevano grossi interessi economici, che giustificavano l’attenzione internazionale che si era posata sulle elezioni353

. La questione del petrolio, recentemente scoperto a Ragusa, e della concessione dei permessi di ricerca era un nodo centrale, e attorno a questi forti interessi e ai diversi competitori in gara si sarebbe diviso il campo politico. A rivelarlo sono pure gli informatori del Servizio Informativo delle forze armate (Sifar), in una nota del marzo 1955 che qui di seguito riportiamo:

La campagna elettorale siciliana verrà finanziata all’insegna del petrolio. Mattei l’Anglo Iranian ed i gruppi che sostengono la nazionalizzazione degli idrocarburi hanno stanziato un fondo che arriva – secondo notizie in nostro possesso – a 100 milioni.

Questo, almeno, è quanto affermano anche quelli dell’Eni. D’altra parte, si procederà separatamente: i petrolieri finanzieranno per conto loro (non essendo membri della Confindustria) e poi agiranno gli industriali. La somma destinata ai soli due partiti di destra supera i 120 milioni. Poi c’è la democrazia cristiana, di cui nessuno parla perché ognuno è in contatto con elementi diversi. Il senatore Magrì è dato per alleato sicuro di Mattei.

Ad ogni modo, è stato studiato un piano di azione, che prevede l’intervento diretto dei petrolieri anti- ENI a fianco dei loro alleati.

Msi, Pnm ed una parte della DC terranno corsi per gli attivisti, con materiale elaborato a cura dei petrolieri.

Analogamente avverrà per alcuni convegni di carattere economico

Gli obiettivi formulati dai petrolieri sono precisi: piena libertà di ricerca e di coltivazione, nessuna nuova raffineria.354

Da tale quadro emergeva chiaramente una rottura, tra le forze che sostenevano l’Eni (con le sinistre non citate, ma decisamente a favore), e quelle – in particolare la destra monarchica e missina – che invece in quella fase si opponevano all’arrivo di Mattei nell’isola e sostenevano i gruppi industriali