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La Sicilia e il "milazzismo" : regionalizzazione politica e dinamiche centro-periferia negli anni della difficile transizione italiana (1955-59)

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Studi Storici Geografici Antropologici Dottorato di ricerca in Storia (politica, società, culture, territorio)

XXV ciclo

La Sicilia e il “milazzismo”.

Regionalizzazione politica e dinamiche centro-periferia

negli anni della difficile transizione italiana (1955-59)

Dottorando: Pierluigi Basile

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Indice

Introduzione p. 6

I cap. - Questione siciliana e “regionalizzazione politica” alla metà degli anni Cinquanta

- I.1. La Sicilia negli anni del miracolo economico p. 33

I.1.1 «Il Mezzogiorno si muove»: lo sviluppo squilibrato dell’Italia negli anni Cinquanta I.1.2 Il “quadro di Caravaggio”: luci e ombre di un’isola in transizione

- I.2. La Dc in Sicilia nell’età fanfaniana: il “partito nuovo” nella dimensione regionale p. 62

I.2.1 «ha propri uomini in tutti i posti chiave»: l’assalto dei “giovani turchi” e il potere fanfaniano I.2.2 «scempio di lotte intestine»: la divisione interna e lo scontro tra correnti

I.2.3 Il partito nella tempesta della III legislatura regionale (1955-58)

- I.3 Il «partito siciliano»: la politica autonomistica del Pci p. 142

I.3.1 Radici e ragioni dell’autonomismo comunista I.3.2 La «linea strategica della rivoluzione siciliana»

II cap. - La “rivolta autonomista” e il milazzismo tra centro e periferia (1958-59)

- II.1. L’operazione Milazzo in Sicilia e fuori p. 171

II.1.1 «Fuoco concentrico»: 1958, l’anno delle convergenze antifanfaniane II.1.2 Cronaca di una strana rivolta parlamentare

- II.2. Il milazzismo, ovvero la breve stagione di un esperimento politico p. 238

II.2.1. La stampa, lo sguardo internazionale e le chiavi di lettura II.2.2. In varietate unitas: un “governo di amministrazione” per l’isola

- II.3. Crisi democristiana, vittoria comunista: Dc e Pci nel periodo milazzista p. 285

II.3.1 La Dc nella crisi siciliana, dalle divisioni interne alla “crociata antimilazzista” II.3.2 Il “laboratorio Sicilia” e i comunisti

III cap. - La “meteora”: un profilo dell’Unione siciliana cristiano sociale

- III.1 La genesi del movimento e i rapporti con la Chiesa p. 334

III.1.1 Dalla rivolta alla scissione: la nascita dell’eresia cristiano-sociale III.1.2 Cristiani non democristiani: l’ambiguo rapporto con il clero

- III.2 Il “partito dell’autonomia”: radicamento, organizzazione e principi p. 356

III.2.1 Gli “uscocchi”: uomini, tempi e luoghi dell’ondata sicilianista III.2.2 La Costituente e la battaglia elettorale dell’Uscs

Epilogo p. 388

Fonti p. 392

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Abbreviazioni

Archivi

ACC Archivio Centro Cammarata (San Cataldo, Caltanissetta)

DC, CPR Dc, Comitato provinciale di Ragusa

ACS Archivio centrale dello Stato (Roma)

CPC CPC Casellario Politico Centrale

FAM FAM Fondo Aldo Moro

FPN FPN Fondo Pietro Nenni

MI, DGPS, AA MI, DGPS, AAGG Ministero dell’Interno, Direzione generale pubblica sicurezza, Aff. generali MI, DGPS, AARR Ministero dell’Interno, Direzione generale pubblica sicurezza, Aff. riservati

MI, GAB Ministero dell’Interno, Gabinetto

MI, GAB, PP Ministero dell’Interno, Gabinetto, Partiti politici PCM Presidenza del Consiglio dei Ministri

APAB Archivio privato di Annibale Bianco (S. Agata di Militello, Messina)

APSM Archivio privato di Silvio Milazzo (Caltagirone, Catania)

ASACI Archivio storico Azione cattolica italiana (Istituto Paolo VI, Roma)

ACI Fondo Azione cattolica italiana

ASCONF Archivio storico di Confindustria (Roma)

ASCT Archivio di Stato di Catania

FFP Fondo Franco Pezzino

ASENI Archivio storico dell’Eni (Pomezia, Roma)

ASFE Archivio storico Fondazione Einaudi (Roma)

FGM Fondo Giovanni Malagodi

ASILS Archivio storico Istituto Luigi Sturzo (Roma)

DC, SP Fondo Democrazia Cristiana, Segreteria politica

DC, SPES Fondo Democrazia Cristiana, Ufficio stampa e propaganda

Consiglio Consiglio DC

Direzione Direzione DC

FGG Fondo Guido Gonella

FGGR Fondo Giovanni Gronchi

FMS Fondo Mario Scelba

ASPA Archivio di Stato di Palermo

PREF, GAB Prefettura, Gabinetto

ASS Archivio storico del Senato della Repubblica (Roma)

FAF Fondo Amintore Fanfani

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FGB Fondo Gerardo Bruni

FUS Fondazione Ugo Spirito (Roma)

FGA Fondo Giano Accame

Msi Fondo Movimento Sociale Italiano

IG Fondazione Istituto Gramsci (Roma)

APC, RP Archivio del Partito comunista, Organismi regionali e federazioni provinciali

Direzione Direzione PCI

IGS Istituto Gramsci siciliano (Palermo)

APC, FCR Fondo Comitato Regionale Pci

APC, FFP Fondo Federazione comunista Pci - Palermo

FAC Fondo Alleanza Contadini

FCaRo Fondo Calogero Roxas

FLC Fondo Girolamo Li Causi

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Ad Alberto Tulumello, amico infinito e grande maestro; da lui ho appreso l’arte del “riformismo utopista”, con lui ho condiviso il sogno di una Sicilia migliore.

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Introduzione

1. La cornice e il quadro: l’operazione Milazzo e il milazzismo tra centro e periferia

Il 23 ottobre 1958 da Palermo la notizia di un caso politico alquanto singolare faceva rapidamente il giro del Paese, suscitando la curiosità di tanti e richiamando persino l’attenzione dei cronisti di mezzo mondo, accorsi insieme ai colleghi delle principali testate nazionali per raccontare gli “strani fatti siciliani”. Come i giornali il giorno dopo raccontarono infatti proprio in quel giorno all’Assemblea regionale siciliana si teneva una votazione delicata, che doveva risolvere una crisi di governo aperta ormai da mesi. Il clima della vigilia era teso, l’esito assolutamente imprevedibile. Niente però dall’esterno faceva presumere quel che sarebbe successo. L’aula di Palazzo dei Normanni, la sede del Parlamento che si diceva “il più antico d’Europa”, si sarebbe trasformata nel palcoscenico di una rivolta parlamentare dai contorni non chiari. Quando al termine dello spoglio delle schede il presidente dell’Ars, Giuseppe Alessi, annunciò che il deputato democristiano Silvio Milazzo aveva ottenuto 54 preferenze pochi avranno pensato che cominciava allora una delle esperienze più discusse e controverse della politica italiana contemporanea. Solo i protagonisti di quella giornata e alcuni attenti osservatori della politica siciliana sapevano che non si trattava di una mossa estemporanea, bensì di una manovra preparata con cura da tempo. La scena davvero singolare dell’esultanza dei deputati socialisti, comunisti, missini e monarchici e dei cattolici “dissidenti” alla proclamazione dei risultati e la presa d’atto del neo-eletto rappresentavano soltanto l’imprevista epifania di una complessa orditura che avrebbe assunto il nome di “operazione Milazzo”.

Nelle settimane successive si apriva una stagione nuova per la Sicilia all’insegna di un “governo di unità autonomista”, che realizzava il sogno carezzato ormai da anni da Milazzo grazie al sostegno degli opposti estremismi e di un gruppo di ex democristiani – espulsi dal loro partito insieme al presidente - e relegava all’opposizione il partito di maggioranza, insediato ai vertici del potere regionale in maniera ininterrotta dal dopoguerra. I riflessi di quei fatti superarono ben presto lo Stretto e fecero apparire l’isola come una sorta di “laboratorio”, capace di proporre soluzioni da applicare altrove, sulla scena nazionale, dove intanto un analoga alleanza (stavolta dall’opposizione) stava mettendo sotto scacco il governo nazionale di Amintore Fanfani, già sconfitto dai fatti di Palermo e prossimo a capitolare anche a Roma.

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La parola milazzismo, coniata “a caldo” dallo stesso Giuseppe Alessi1

che aveva proclamato l’elezione del politico calatino, aveva assunto il nome del personaggio - ex popolare allievo di don Luigi Sturzo già deputato e stimato assessore regionale sin dalla prima legislatura - che aveva più di tutti marchiato un periodo con la sua incontenibile popolarità. Il termine però sarebbe entrato nel lessico politologico con una doppia valenza, a dimostrazione dell’inestricabile intreccio centro-periferia che avrebbe sostanziato il fenomeno. In uno dei primi dizionari che nel 1964 lo avrebbe citato il lemma infatti venne usato per definire uno «schieramento in cui, secondo i suoi fautori, si scoloriva il carattere politico e partitico della maggioranza venuta a formare per scalzare il potere anti-autonomista», e ancora in termini più generali, per indicare un «arco di forze in chiave antidemocristiana capace di svilupparsi fino a registrare la convergenza degli opposti poli dello schieramento politico e parlamentare»2.

Per comprendere fino in fondo cosa realmente avvenne in Sicilia alla fine degli anni Cinquanta e quali furono le condizioni che resero possibile una soluzione talmente difficile anche solo da ipotizzare (infatti mai più realizzata in concreto nella storia della prima Repubblica) bisogna provare a leggere gli avvenimenti del tempo individuale dentro il più lungo tempo sociale, secondo la classica scansione dei tre tempi di Fernand Braudel. Bisogna allargare lo sguardo così da oltrepassare gli angusti spazi della cronaca per leggere quei mesi convulsi dentro le dinamiche che interessavano la realtà politica, economica e sociale isolana e la tenevano saldamente legata agli sviluppi che intanto interessavano il contesto nazionale.

Solo così sarà possibile riconsegnare il milazzismo al suo tempo, dando al quadro la sua corrispondente cornice storica. Il fenomeno giustamente inquadrato e interpretato alla luce della dialettica politica nazionale allora in atto, si presenterà allora come uno dei momenti decisivi della crisi del centrismo, una tappa fondamentale della «difficile transizione» al centrosinistra, che avrebbe ancora dovuto affrontare un passaggio doloroso, quale fu la pericolosa avventura di Tambroni nel 1960, prima del definitivo approdo. Di quel crepuscolo in effetti le vicende siciliane furono forse la migliore espressione, contribuendo ad aggravare quel senso di smarrimento e di

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Il termine venne reso celebre attraverso un articolo (appunto dal titolo Il “milazzismo”) uscito sulle pagine dell’organo ufficiale della Democrazia Cristiana, «Il Popolo», il 14 aprile 1959.

2 Dizionario della politica italiana, Isola del Liri, Edizioni Pisani, 1964, s.v. Milazzismo, a cura di Gino Pallotta.

L’autore, accanto alla voce milazzismo, riporta anche il lemma milazziano-populista che riprendeva la definizione data da Malagodi nel 1964 in vista delle presidenziali «ad un tipo di iniziative politiche, oppure a personalità, perché ritenute caratterizzate da orientamenti “populisti” ed apparendo possibiliste verso convergenze con le estreme». Il lemma compare comunque stabilmente anche nei dizionari di politica usciti dopo quello di Pallotta, che pare essere stato il primo a riportarlo. Questa ad esempio la definizione che riporta il più recente Dizionario di storia moderna e

contemporanea della Bruno Mondadori nella sua versione on-line nella scheda dedicata al milazzismo (url:

http://www.pbmstoria.it/dizionari/storia_mod/m/m166.htm, data ultima consultazione 26 aprile 2013): «(1958-1960). Prassi politica siciliana che coalizzava le opposizioni anche se ideologicamente contrastanti. Prese nome dalla maggioranza composita (dal Msi al Pci) che elesse Silvio Milazzo, un dissidente democristiano, presidente regionale il 23 ottobre 1958. Espulso dalla Dc Milazzo fondò l’Unione siciliana cristiano-sociale che vinse le elezioni del giugno 1959. Il movimento entrò in una crisi irreversibile l’anno successivo».

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confusione che venne allora colto da un corrispondente americano (Leo Wollemborg) che in seguito incontreremo, il quale nei primi concitati mesi del 1959 scrisse: «I vecchi schieramenti sono logori, mentre non si sono ancora costituiti quelli che devono prenderne il posto». Dunque il sistema di alleanze che aveva garantito stabilità all’età degasperiana era ormai in frantumi, ma non era chiara la strada da seguire. Di fronte alle differenti soluzioni poste di fronte alla Dc, baricentro del sistema politico, appariva per la prima volta con nitidezza il suo stato di lacerazione interna, alimentata pure dall’esasperata divisione correntizia e dai contrastanti orientamenti ideologici. In un simile frangente si consumò il naufragio della leadership fanfaniana, che ricevette un colpo decisivo dai fatti di Palermo e venne delegittimata dall’aspra polemica contro la partitocrazia che si sollevò in seguito alla cacciata di Milazzo. Ma le vicende siciliane, più che il risultato di una fronda sollevatasi contro l’aretino, dimostravano come nel panorama agitato della fine anni Cinquanta le opposizioni erano pronte, approfittando della crisi democristiana, a dar battaglia per condizionare dall’esterno le scelte del partito di maggioranza (nel caso delle destre ad esempio) o ancora a tentare di sfruttare i conflitti accesi in periferia per provocarne una spaccatura verticale (come risulta nettamente per il Pci).

Quanto detto ci induce a considerare il milazzismo uno degli snodi utili ad analizzare la dialettica centro-periferia nella prima Repubblica e seguire il corso generale della politica. Ma per farlo bisogna prima comprendere i tratti peculiari che fecero della Sicilia il suo epicentro e della “questione siciliana” negli anni Cinquanta la sua scintilla. Senza questa seconda cornice sarebbe difficile rispondere ad altre domande poste dal fenomeno ed approntare le chiavi di lettura che aiutano a penetrarne il senso più profondo.

Il quadro si arricchisce così di nuovi particolari e colori. L’isola appare immersa in un movimento generale che stava cambiando i connotati dell’Italia intera e stava trasformando la penisola della faticosa ricostruzione del dopoguerra in una potenza industriale tra le maggiori in Europa e nel mondo. Erano infatti gli anni del miracolo economico quelli in cui il milazzismo visse. E furono anni di intenso cambiamento anche per la Sicilia. Un cambiamento che però aveva in sé luci ed ombre: mescolava infatti insieme la cupa tristezza dell’esodo, con migliaia di contadini in fuga dalla miseria delle campagne verso le fabbriche del Nord, e la lucente speranza di una crescita industriale, sostenuta dalle risorse minerarie del sottosuolo isolano e dalla ferma volontà dello Stato e della regione di investire sempre crescenti risorse in questo settore che meglio degli altri rappresentava la sfida del futuro, la conquista della modernità.

La decadenza dell’agricoltura e la via per lo sviluppo industriale furono non a caso due temi fondamentali nel dibattito pubblico di quegli anni e saranno determinanti per il corso degli eventi politici. La necessità di approntare nuovi strumenti per la difesa dei prodotti siciliani (vino, grano e

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agrumi) e per sostenere le iniziative della piccola e media impresa andavano infatti ad alimentare da una parte le polemiche contro i governi nazionali e dall’altra provocavano un crescente interesse per le risorse (reali o potenziali) offerte dall’autonomia regionale. In questo clima e nel solco tracciato da antiche tradizioni ideologiche radicate nella cultura siciliana venne a maturazione una soluzione “regionalista” – quale venne prospettata già prima del 1958 dal futuro presidente con la strumentale compiacenza del Pci – che avrebbe caratterizzato nella retorica pubblica il milazzismo. In termini generali tale soluzione chiedeva che in nome degli interessi generali di un territorio e per il bene della sua popolazione, si richiamassero tutte le forze politiche, economiche e sociali a saldarsi in un blocco unitario interclassista che mirava a superare le rispettive barriere ideologiche e i conflitti interni, per realizzare un modello di sviluppo imperniato sulle risorse istituzionali ed economiche locali. Il governo di unità siciliana dunque poteva forse considerarsi come l’ultimo sbocco di un fiume carsico, un filo rosso che – secondo lo storico catanese Giuseppe Barone – accompagna tutti gli sviluppi della storia politica in Sicilia, e ogni volta si manifesta con una formula, legittimata culturalmente dall’ideologia del sicilianismo3, che tende a proiettare all’esterno la conflittualità

sociale, cementando una fittizia unità di tutti i siciliani oppressi da un nemico “straniero”.

La periferia dove venne sperimentato il milazzismo era dunque una periferia come tante ma nello stesso tempo poteva dirsi “speciale” essendo dotata di una propria marcata identità, come avrebbe dimostrato anche l’accoglienza popolare – inaspettata e incontenibile specie agli esordi del governo – che avrebbe fatto parlare di distanza psicologica tra la Regione e lo Stato, tra i siciliani e il resto degli italiani, e che avrebbe fatto temere un rigurgito separatista. In effetti nel consenso esteso suscitato da Milazzo sembravano riecheggiare i toni del populismo anticentralista già sentiti in passato dall’Ottocento in poi, fragorosamente esploso e raccolto infine dal Movimento per l’Indipendenza della Sicilia nel secondo dopoguerra

Ci sono abbastanza elementi per comprendere adesso come nella strana giornata di ottobre del 1958 a Palermo si erano incrociati i fili di una aggrovigliata matassa dove si incrociavano e si scontravano passato e presente, speranze del domani e delusioni di oggi, politica ed economia, centro e periferia, questione siciliana e centralismo statale, miserie dei campi e lucenti ciminiere, il rosso delle passioni e il nero del petrolio, autonomismo e sicilianismo. Era una storia difficile da decifrare ed è stata ancora più difficile studiarla e raccontarla. Ma è quello che con umiltà e determinazione ho provato a fare nel corso di questi ultimi tre anni, affrontando le difficoltà della

3 G. BARONE, Egemonie urbane e potere locale (1882-1913), in M. AYMARD e G. GIARRIZZO (a cura di), Storia

d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Sicilia, Einaudi, Torino, 1987, p. 300. Sulle radici culturali e le motivazioni

politiche del sicilianismo vedi G.C. MARINO, L’ideologia sicilianista, Flaccovio, Palermo, 1988 (I ed. 1972). Sul sicilianismo si rimanda anche agli studi di Salvatore Lupo concentrati sul periodo tra i due conflitti mondiali (La

questione siciliana a una svolta: il sicilianismo tra dopoguerra e fascismo, in AA. VV., Potere e società in Sicilia nella crisi dello stato liberale, Pellicanolibri, Catania, 1977, pp. 151-223, e Blocco agrario e crisi in Sicilia tra le due guerre,

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ricerca e provando l’ebbrezza della scoperta, spostandomi tra la Sicilia e Roma, intanto diventata la mia seconda casa. Ho così affrontato il mio personale corpo a corpo con distese sterminare di carte grazie alle quali ho potuto rievocare personaggi e passioni del passato. Ho assaporato il gusto della ricerca tra le distese di agrumeti e la sughereta della tenuta de “Il Noce” di Caltagirone, ospite della gentile e forte figlia dell’eroe popolare Silvio Milazzo, e nella polvere degli incartamenti di Annibale Bianco a Sant’Agata di Militello, anche qui ospite del figlio che in una pausa del lavoro mi ha concesso i suoi racconti e fatto servire un buon piatto di pasta nella fastosa sala da pranzo del palazzo settecentesco di famiglia, proprio dove un tempo furono insieme al padre i vari Moratti, Faina, Pignatelli. Ho conosciuto la fatica di occhi rossi per la stanchezza dopo aver sfogliato per una intera giornata migliaia di relazioni e note inviate da prefetti e questori siciliani ai loro superiori del Viminale, ed ho trascorso giornate altrettanto faticose ma certo anche molto piacevoli a dialogare con militanti, quadri e dirigenti democristiani e comunisti, che tornavano in vita grazie alle corrispondenze conservate presso l’Istituto Sturzo e la Fondazione Gramsci. Poi infine ho incontrato alcuni dei principali protagonisti di quella lontana stagione milazzista, scoprendo con mio grande stupore come la loro memoria – a distanza di tanti decenni – fosse ancora pronta a regalare emozioni a loro stessi oltre che a me che li ho intervistati e ascoltati con interesse: così, adesso che la meta è stata raggiunta rivedo nella mente Emanuele Macaluso con la sua camicia arancione ad accogliermi nella stanza del direttore a “Il Riformista”; e poi Ludovico Corrao, abbigliato come un cittadino mediterraneo, come amerebbe definirsi, seduto di fronte a me nell’accogliente salotto della Fondazione Orestiadi che ha contribuito a creare a Gibellina l’intervista si intrattiene a parlarmi della sua esperienza; infine indimenticabile l’incontro con un Mimì La Cavera molto anziano ma mai domo come è stato sempre nel suo carattere. L’ultima volta che ci siamo sentiti per telefono, dopo avermi ringraziato per il lavoro in fase di svolgimento, mi disse: “Caro Basile, vorrei poter leggere la sua tesi prima morire”. Questo resterà il mio più grande rammarico. Non ho fatto in tempo e per uno storico, si sa, il tempo è una cosa importante.

2. I nodi e il pettine: obiettivi della ricerca, quadro storiografico e fonti

L’obiettivo e l’interrogativo di fondo da cui la presente ricerca è partita è stata quello di indagare sul “milazzismo”, partendo dalle radici del fenomeno, quindi dalle cause e dalle spinte che produssero l’operazione nell’ottobre 1958, per poi passare ad esaminare gli esiti principali e i caratteri salienti di questo esperimento, dall’esperienza del governo regionale presieduto da Silvio Milazzo alla nascita del secondo partito cattolico (l’Unione siciliana cristiano sociale) senza

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tralasciare un attento esame della posizione dei principali partiti in quei frangenti, con un focus riservato alla situazione della Dc e del Pci.

Per dipanare la complessità dell’intreccio presente in questo problema storiografico è stato necessario misurare stimoli e riflessi reciproci tra i diversi piani e le dimensioni che si compenetrarono nelle vicende siciliane avvenute tra la metà e la fine degli anni Cinquanta. I nessi tra vicenda siciliana e nazionale sono stati sempre tenuti in considerazione, pur senza mai smarrire il filo di una analisi e una trattazione organica dello sviluppo politico economico e sociale dell’isola tra 1955-59 .

Nella struttura complessiva della tesi si riflettono chiaramente i “focus” scelti per osservare al fenomeno e che rappresentano anche i nodi centrali della ricerca. Sono tre i capitoli nei quali si articola il lavoro. In apertura il primo capitolo – quello dedicato ad analizzare le radici del fenomeno - offre uno spaccato sulle condizioni economiche e i soggetti sociali nella Sicilia di metà anni Cinquanta, con una attenzione particolare dedicata alle gravi difficoltà in cui si dibatteva l’agricoltura isolana e alla frattura delineatasi sul fronte industriale tra gli imprenditori raccolti nella Sicindustria e la linea nazionale sostenuta della Confindustria. Un altro punto di osservazione sulla “questione siciliana” invece è costituito dalla politica regionale dei principali partiti di massa – Democrazia Cristiana e Partito comunista – e gli effetti della “regionalizzazione” sulle loro scelte: i due partiti verranno osservati e studiati, nella loro evoluzione interna e nella linea sostenuta con scelte strategiche e retoriche pubbliche, nella meccanica politica degli anni della III legislatura, una stagione cruciale per la storia dell’autonomia siciliana cominciata nel 1955 e sfociata prima della sua conclusione proprio nel milazzismo. Ovviamente nell’osservazione non verrà mai meno il costante confronto tra la politica regionale e quella nazionale, in anni peraltro molto rilevanti per la vita della Dc e del Pci: nel primo caso si misureranno così gli effetti della svolta fanfaniana – tenuta a battesimo nel 1954 dal Congresso di Napoli – e le resistenze ad essa in Sicilia, mentre per quanto riguarda il Pci la «linea strategica della rivoluzione siciliana» verrà costantemente raffrontata con le posizioni assunte dal partito di Togliatti a livello nazionale con l’VIII congresso e nel contesto meridionale per reagire alla progressiva marginalizzazione e all’isolamento prodotto in seguito ai fatti del 1956.

Con il secondo capitolo si entra nel cuore della tesi. Le pagine dei tre paragrafi sono infatti dedicate al quadro politico nazionale del 1958, anno decisivo perché segnato dall’apogeo di Fanfani (divenuto presidente del consiglio e ministro degli esteri, oltre che segretario Dc) e dal suo rapido declino, sotto i colpi assestanti dal fronte unito delle opposizioni e dai franchi tiratori democristiani che minarono il suo governo. L’operazione Milazzo, così come le alleanze tra le ali estreme, la rottura della Dc siciliana e la nascita del governo di unità autonomista, vengono dunque qui inserite

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nel contesto nazionale e lette dentro una cornice più ampia, dove i fatti siciliani vanno collocati per essere meglio compresi. Le vicende di Palermo – come fu chiaro sin dai primi giorni della “rivolta parlamentare autonomista” – andavano lette alla luce dell’evoluzione politica che intanto si realizzava tra i partiti e dentro i partiti a Roma. Nonostante la pretesa autosufficienza e autonomia sbandierata da tutte le forze impegnate a sostenere Milazzo contro le decisioni della segreteria democristiana – la quale dapprima impose un diktat al presidente neo-eletto e poi lo espulse per indisciplina – infatti la manovra delle convergenze antifanfaniane venne decisa e concordata insieme dagli organi regionali e i rispettivi vertici nazionali dei partiti che con un occhio guardavano all’isola mentre tenevano l’altro fisso sul continente.

Ma i fili che legavano strettamente la crisi regionale con quella parlamentare sono solo uno dei nodi affrontati per penetrare nella controversa rivolta autonomista di ottobre ’58. Infatti sui fatti che portarono all’elezione di Silvio Milazzo come presidente della Regione, narrati attraverso il ritmo incalzante della cronaca di quei giorni, sono offerte le interpretazioni della stampa nazionale e internazionale, quella degli organi istituzionali, comprese le autorità americane. Questo offre una panoramica su altri aspetti fondamentali, quali ad esempio la posizione dei partiti e delle forze economiche coinvolte nell’operazione, il dibattito pubblico su di essa, infine la reazione dell’opinione pubblica siciliana.

Concluso l’esame dell’operazione si passa ad affrontare i suoi esiti, i risvolti nella politica regionale come pure i riflessi in campo nazionale. La prima diretta conseguenza fu ovviamente la formazione della giunta capeggiata da Milazzo e sostenuta dalla stessa maggioranza che lo aveva eletto in Assemblea regionale. L’azione del governo nei pochi mesi della sua permanenza – da novembre 1958 a maggio 1959 – viene valutata sulla base delle misure concrete da esso assunte, della prassi amministrativa messa in atto dai suoi membri, dei risultati raggiunti. Qui bisogna precisare come la scelta di limitare l’attenzione al solo primo governo autonomista guidato da Milazzo nasce dalla volontà di restringere il campo di ricerca agli esiti diretti del milazzismo, che fu caratterizzato dal sostegno ampio e trasversale di forze eterogenee e ideologicamente contrapposte. Tali condizioni si realizzarono nel caso del primo governo a guida Milazzo, il quale esaurì il suo mandato in occasione delle elezioni regionali del giugno 1959. Mentre le due giunte a guida Milazzo, costituite dopo tali elezioni, apparivano ormai sbilanciate a sinistra e senza una reale maggioranza, e la loro breve vita si interruppe d’improvviso nel febbraio 1960, mentre le destre – ormai paghe dei nuovi equilibri nazionali instaurati dopo la caduta di Fanfani - si erano definitivamente defilate dall’esperimento all’indomani dell’esito delle urne condannandolo alla sua inesorabile sorte.

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L’approfondimento sui partiti verrà poi concentrato ancora una volta su Dc e Pci – in continuità con la scelta già fatta nel primo capitolo – i quali furono in negativo e in positivo sicuramente i soggetti politici che vissero con maggiore intensità le conseguenze del milazzismo: lo scudo crociato, dopo essere finito sotto attacco al suo interno e all’esterno per il terremoto siciliano, trovò la forza di reagire all’offensiva scatenata dalle opposizioni diventate maggioranza e a sua volta scagliò una crociata per riconquistare l’isola; i comunisti invece, ben lieti di aver contribuito alla frattura della Dc e alla rottura dell’unità politica dei cattolici attorno al loro “nemico principale”, fecero della Sicilia il loro “laboratorio” e del milazzismo il modello da proporre ed esportare anche oltre lo Stretto per tentare di frenare l’allontanamento dei compagni socialisti e interrompere il dialogo a distanza con i cattolici.

Il terzo ed ultimo capitolo infine contiene un profilo dell’Unione siciliana cristiano-sociale, il movimento sorto alla fine del 1958 in seguito all’espulsione di Milazzo e degli altri deputati regionali dissidenti da parte della Direzione nazionale della Dc. Nelle pagine viene spiegata la genesi del movimento, la fisionomia politica e sociale dei suoi fondatori e militanti, le tappe del suo radicamento nel territorio regionale, i principi e il rapporto con il clero siciliano. Si tratta qui del primo serio tentativo di delineare un profilo sociale e politico del movimento, fatto grazie alla documentazione archivistica inedita consultata, e del tentativo di comprendere i motivi della sua rapidissima scalata e del successo straordinario ottenuto alle elezioni regionali del ’59, quando l’Uscs, ad appena tre mesi dalla costituente che ne ufficializzò la nascita e ne sancì regole principi fondamentali e struttura interna, raccolse circa 260.000 voti divenendo il terzo partito dell’isola dopo Dc e Pci.

Sin qui in sintesi si è detto quali sono stati i nodi principali della ricerca e quale l’architettura complessiva della tesi. Adesso bisogna chiarire alcuni aspetti preliminari, relativi al quadro storiografico che è stato un riferimento costante da cui osservare al fenomeno studiato.

Uno dei più rilevanti aspetti da chiarire – come già esplicitato – si trova nell’intreccio tra dimensione nazionale e regionale che fu sin dall’inizio alla base del milazzismo. Alla Sicilia, alla “questione siciliana”, come alle vicende che si svolsero nell’isola negli anni del milazzismo, si propone di guardare attraverso una lente regionale non regionalista, che si propone di tenere saldamente connessa la storia siciliana a quella nazionale e nello stesso tempo intende superare l’impostazione di una tradizione storiografica che in passato, sulla scia e sotto l’influsso del sicilianismo, «considerava l’isola come un mondo diverso, da trattarsi separatamente dal resto d’Italia e con strumenti intellettuali differenti da quelli adottati altrove»4

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S. LUPO, Potere criminale. Intervista sulla storia della mafia, a cura di G. Savatteri, Laterza, Roma-Bari, 2010, pp. 25-30. Sulla tradizione storiografica regionalista – che viene fatta risalire agli studi ottocenteschi di Michele Amari – e

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La base di questa prospettiva è costituita dal patrimonio di riflessione e ricerca elaborato negli anni Sessanta e Settanta dalla “scuola catanese” di Gastone Manacorda (tra i suoi allievi Salvatore Lupo, Rosario Mangiameli, Giuseppe Barone) e confluito dal 1987 nell’esperienza di «Meridiana»5. Fin dal secondo numero di questa rivista (dedicato ai «Circuiti politici») maturava un nuovo approccio nello studio del rapporto tra centro e periferia, alla luce di un rilievo crescente e sempre più preciso che la dimensione locale della politica andava assumendo nella ricerca storica e in alcune scienze sociali6. Superando l’impostazione che considerava il “locale” «come spazialità minore, la nicchia periferica che acquista identità solo contrapponendosi alla più ampia dimensionalità della “nazione”», si realizzava adesso un cambiamento del punto d’osservazione: all’antica unilateralità che assegnava tutta l’iniziativa e la forza politica ai vertici statali (e una eventuale capacità di contrapposizione solo a classi o partiti antagonistici) si sostituiva una visione più complessa dei legami tra «centro» e «periferia». Alla politica fatta lontano dal centro dunque si riconosceva, non più soltanto una capacità di risposta alle mosse della grande politica nazionale, ma anche la possibilità di maturare scelte e seguire percorsi autonomi e spontanei, in grado poi di influenzare in alto le scelte statali.

Quindi, per tornare all’oggetto della ricerca, si propone qui di indagare il fenomeno del “milazzismo” seguendo una prospettiva regionale, che evitando un taglio regionalista, il quale non consentirebbe di cogliere gli aspetti che legano la vicenda regionale alla dimensione nazionale, allo stesso tempo però rifugga da una ricostruzione centralista, che schiacci la lettura delle vicende siciliane allo spartito dei meccanismi nazionali. Leggere nelle trame della storia i segni di un dialogo biunivoco tra la periferia siciliana e le tensioni del centro nazionale aiuta infatti certamente a superare i limiti e le distorsioni di una impostazione che - come sostiene Giuseppe Giarrizzo - appare viziata da una «costante pretesa» di osservare la storia siciliana come «un’esperienza storica “speciale”, diversa», abituata a rivendicare il suo ruolo di laboratorio privilegiato per formule

sulla contaminazione ideologica con il sicilianismo vedi il saggio di G. BARONE, Sicilianismo, meridionalismo,

revisionismo. Note sulla «modernizzazione difficile» della storia contemporanea in Sicilia, in F. BENIGNO e C.

TORRISI (a cura di), Rappresentazioni e immagini della Sicilia tra storia e storiografia, Salvatore Sciascia, Caltanissetta-Roma, 2003.

5 A questo proposito si veda un testo che è stato considerato, nonostante la finalità e l’impostazione divulgativa, quasi

una sorta di manifesto programmatico di approdo dopo circa un decennio di riflessioni e studi compiuti dal gruppo di «Meridiana», cioè P. BEVILACQUA, Breve storia dell’Italia meridionale, Donzelli, Roma,1993.

6 Vedi la presentazione del numero monografico dedicato ai Circuiti politici, «Meridiana», n. 2, gennaio 1988, pp. 9-12.

Ma sugli aspetti legati al rapporto centro-periferia vedi pure le osservazioni contenute nel volume monografico dedicato ai Poteri locali (n. 4, 1988) dove ad esempio si legge: «nello svolgimento storico dei rapporti fra centro e periferia sembra individuabile un modello fondato non su linee di diffusione-omogeneizzazione (e quindi di piena assimilazione allo Stato dell’elemento locale) né su relazioni di sviluppo-sottosviluppo, bensì su un processo di mediazioni nel corso del quale la periferia non si limita a resistere al centro, ma ne manipola le norme, istituisce rapporti privilegiati con i suoi agenti periferici, condiziona non solo gli esiti finali, ma la stessa impostazione del processo di modernizzazione a livello nazionale» (Ivi, p. 10).

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politiche e analisi socio-economiche o a riproporre il mito della Sicilia-mondo, intesa come una sorta di microcosmo che accoglie in forme miniaturizzate tutti i beni e i mali7.

D’altra parte però non si potrà non riconoscere nella prospettiva della ricerca la “specialità” della periferia siciliana. L’autonomia e gli istituti regionali, figli dello Statuto speciale del 15 maggio 1946, avevano creato in Sicilia un potere intermedio tra quello statale/centrale e quello locale/comunitario. Fin dal dopoguerra l’ente regione assunse un rilievo importante nella trasformazione della società siciliana – in virtù degli ampi poteri concessi agli organi regionali – e questo comportò naturalmente un processo di adeguamento dell’intero quadro politico, sociale ed economico. Di questo naturalmente come detto si terrà conto per evidenziare le proposte programmatiche dei maggiori partiti (in particolare Dc e Pci), la loro dimensione e attività nel rapporto con le rispettive segreterie nazionali e con le istituzioni autonomiste (Assemblea e governo regionale), ma anche per comprendere i modelli di sviluppo e gli orientamenti dei principali soggetti economici coinvolti nello sviluppo e nell’industrializzazione dell’isola e le loro capacità di esercitare pressioni sulle forze politiche.

L’autonomia siciliana quindi se rende ancora più complesso il quadro del rapporto centro/periferia, offre però d’altra parte la possibilità di indagare – pur se attraverso il gradiente dello studio di uno specifico fenomeno politico – in una direzione ancora poco esplorata dalla storiografia italiana, quella della storia regionale8. L’oggetto e il taglio della ricerca potrannno inoltre offrire utili elementi di riflessione e termini di confronto per rispondere agli interrogativi di fondo lanciati nell’ormai lontano 1987 nel corso di un seminario svolto dall’“Istituto di Studi sulle Regioni”. Allora si pose il problema se il sistema dei partiti si fosse arricchito attraverso l’ordinamento regionale (magari «articolandosi in sedi decentrate che sappiano meglio interpretare la domanda politica delle collettività locali – esprimendo quindi anche un’originalità e una diversità di risposte rispetto al centro») o se invece «la rigidità della centralizzazione di questi [avesse] impedito l’esercizio di ruoli e funzioni innovative in periferia, ricalcando in questo la vicenda delle autonomie regionali nei loro rapporti con lo Stato?»; e ancora, rovesciando l’interrogativo, i ricercatori dell’ISR si chiesero se «il ruolo dei partiti – e al governo e in Parlamento – [fosse] il principale responsabile del mancato esercizio di un’effettiva autonomia politica regionale»9

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7 Vedi G. GIARRIZZO, Introduzione, M. AYMARD e G. GIARRIZZO (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni

dall’Unità a oggi. La Sicilia cit., p. XIX.

8 Il ritardo in Italia rispetto alla storia regionale è certamente da ricondurre alla piuttosto “recente” istituzione delle

regioni a statuto ordinario (1970). Un primo importante passo in questa direzione però è certamente rappresentato dalla collana Einaudi dedicata a Le Regioni italiane dall’Unità a oggi, il cui primo volume (Il Piemonte, a cura di V. CASTRONOVO) venne pubblicato nel 1977.

9 Cfr. P. URBANI (a cura di), Autonomia, politica regionale e sistema dei partiti. Seminario di studi – Roma 6 maggio

1987, Quaderni per la ricerca serie studi / 14, Istituto di studi sulle regioni (ISR), Roma, maggio 1988. Nel corso del

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Di fronte invece agli elementi culturali e ideologici dell’“autonomismo” e del “sicilianismo”, che durante gli anni studiati saranno oggetti principali nel dibattito pubblico, al di là dell’esame dei suoi elementi basilari e dei registri retorici adoperati (e del confronto con quelli sedimentati nella passata tradizione politica siciliana) ci si porrà con uno sguardo che miri a cogliere le loro basi strutturali – come suggerito già da Giuseppe Carlo Marino che dell’ideologia sicilianista ha indagato per primo origini e finalità10 – senza sottrarsi alla domanda di fondo circa l’egemonia e il consenso sociale del sicilianismo negli anni Cinquanta.

Per comprendere quali siano stati gli strumenti adoperati per tentare di rispondere alle tante domande aperte del fenomeno milazzista bisogna ancora affrontare il problema delle fonti consultate nel corso della ricerca. Si è fatto ricorso a diverse tipologie di fonti documentarie, anche se è in particolare sulla base della documentazione archivistica, in gran parte inedita, che si è costruita un’analisi nuova e originale di un fenomeno che, nelle ricostruzioni scritte sino ad oggi è stato schiacciato tra una lettura giornalistica degli eventi (che ha usato come fonte privilegiata il dibattito della stampa quotidiana e periodica) e una saggistica che ha provato a misurarsi con le dinamiche più profonde di questo nodo storiografico senza però verificare le proprie ipotesi e conclusioni alla luce di un confronto critico con la documentazione, e quando lo ha fatto si è concentrata solo su alcuni aspetti particolari del fenomeno.

In particolare si presterà attenzione alla documentazione – atti ufficiali e verbali degli organismi dirigenti, corrispondenza, pubblicazioni e altro materiale a stampa – relativa ai maggiori partiti politici (Dc e Pci) e quello conservato presso gli archivi di alcuni tra i protagonisti principali delle vicende politiche della stagione 1955-59. Per la Dc ovviamente si è partiti dai fondi archivistici conservati presso l’Istituto Luigi Sturzo di Roma (per il fondo Dc e gli archivi privati di Mario Scelba, Guido Gonella, Giovanni Gronchi); poi sono stati consultati anche l’archivio privato di Amintore Fanfani (presso l’Archivio storico del Senato della Repubblica) e quello di Aldo Moro (presso l’Archivio centrale dello Stato), e ancora l’archivio del comitato provinciale Dc di Ragusa che è ospitato nei locali del Centro A. Camarata di San Cataldo in provincia di Caltanissetta. Invece per il Pci la ricerca si è svolta presso la Fondazione Istituto Gramsci e l’Istituto Gramsci siciliano, i quali conservano rispettivamente la documentazione degli organismi nazionali (Direzione e segreteria) e di quelli regionali e provinciali (Comitato regionale e Federazioni provinciali) del partito oltre che – nel secondo caso – i fondi archivistici di alcuni dirigenti (Girolamo Li Causi e

ILARDI, T. MARTINES, G. PRIULLA, S. SCARROCCHIA, Autonomia politica regionale e sistema dei partiti. I

Partiti di fronte alle regioni, I vol., Giuffrè, Milano, 1988.

10 Infatti Giuseppe Carlo Marino nell’introduzione al suo saggio, seguendo l’esempio di Marx nella Critica della

filosofia hegeliana del diritto pubblico e poi nei Manoscritti, scrive: «se esaminate e studiate in costante rapporto con le

loro basi strutturali, le ideologie possono essere veicoli non secondari per la comprensione storica dell’età da cui esse emergono. Il rapporto con la struttura nella quale vanno esaminate implica per lo studioso il costante sforzo di ribaltarle nella prassi, vale a dire l’impegno per demistificarle» (ID, L’ideologia sicilianista cit., p. 18).

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Marcello Cimino) e di organizzazioni collaterali (Alleanza Contadini siciliani); presso l’Archivio di Stato di Catania invece sono state visionate le carte di un altro esponente di spicco del Pc siciliano come Franco Pezzino. Per altri partiti, come il Psi e l’Msi, che nella narrazione rivestono un ruolo secondario, sono stati reperiti alcuni documenti più rilevanti ai fini della ricerca rispettivamente tra le carte di Pietro Nenni (il fondo si trova presso l’Archivio Centrale dello Stato) e quelle del fondo Movimento Sociale Italiano depositato alla Fondazione Ugo Spirito.

Attraverso le relazioni dei prefetti siciliani e le informative di altri organi istituzionali come questori, carabinieri e agenti del Sifar (le carte in tal caso sono conservate presso le diverse sezioni e divisioni del Ministero dell’Interno ora versati all’Archivio Centrale dello Stato e il fondo del Gabinetto della Prefettura di Palermo ora nell’Archivio di Stato del capoluogo) si è poi tentato di penetrare dentro il clima politico e sociale siciliano degli anni 1955-59 e di riconoscere alcuni protagonisti di quelle vicende. La sezione Partiti politici del Gabinetto del Viminale hanno poi restituito anche utilissime informazioni e materiale a stampa che mi hanno consentito di integrare il materiale su Dc e Pci e di ricostruire per la prima volta un esauriente profilo della meteora cristiano sociale. A proposito di quest’ultimo punto si deve segnalare la presenza di tracce del rapporto tra gli “uscocchi” siciliani e il più antico nucleo dei cristiano-sociali nelle carte di Gerardo Bruni (ora presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma).

Un fondo archivistico di particolare rilievo – anche in questo caso mai visto né studiato in precedenza – è costituito dalle carte provenienti dallo studio di Silvio Milazzo, trasportate e ancora oggi custodite gelosamente dalla famiglia presso la tenuta di campagna de “Il Noce” di Caltagirone, dove il presidente visse fino alla morte nel 1982. Le carte si sono rivelate utilissime per la comprensione dell’attività politica del calatino e per la ricostruzione di momenti salienti della politica regionale, ma si sono rivelate ricche di informazioni e materiale relativo al movimento dell’Uscs che Milazzo tenne a battesimo, e sono state ancora fondamentali per misurare la grandissima popolarità acquisita nei giorni del suo governo e per comprenderne i motivi.

Lo scontro realizzatosi tra Confindustria e Sicindustria, che tanta parte ebbe nella spaccatura della Dc e anche nella nascita del milazzismo, è stato documentato attraverso la corrispondenza tra le presidenze delle due organizzazioni conservata presso la sede di Confindustria in viale dell’Astronomia a Roma. Alcuni aspetti, sempre relativi alle divisioni provocate dalle dinamiche economiche, sono stati colti grazie alle carte private di Giovanni Malagodi (ora alla Fondazione Einaudi di Roma), quelle di Annibale Bianco (presso l’archivio della famiglia a Sant’Agata di Militello, Messina) e l’Archivio storico dell’Eni (Pomezia, Roma).

Accanto alle fonti archivistiche sono state pure utilizzate altre fonti. Il dibattito giornalistico ad esempio o l’informazione veicolata attraverso gli organi di stampa ci hanno condotto ad

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esaminare i principali quotidiani siciliani e nazionali («Il Giornale di Sicilia», «L’Ora» e «La Sicilia» da una parte e dall’altra «Il Corriere della Sera», «La Stampa», «Il Giorno», «Il Tempo» «Il Messaggero» etc.), alcune testate della stampa estera («The Economist», «The Washington Post», «Times», «Le Monde») e i giornali vicini ai principali partiti politici («Il Popolo», «La Sicilia del Popolo», «L’Unità», «L’Avanti», «Il Secolo d’Italia», «I Vespri d’Italia»). Ancora dall’organo ufficiale dei cristiano-sociali, ovvero dal settimanale «L’Unione siciliana», sono state ricavate importanti note sugli orientamenti del movimento, sull’attività dei suoi dirigenti e delle sezioni nel territorio regionale, sull’assetto organizzativo.

Per concludere con le fonti a stampa si deve far menzione di alcuni atti e documenti ufficiali consultati, come alcune relazioni conclusive della Commissione parlamentare antimafia, i resoconti delle sedute dell’Assemblea regionale siciliana nel corso della III legislatura e la serie dell’attività legislativa svolta dalla stessa Ars. Infine i records raccolti nei Foreign Relations of the United States e relativi ai mesi conclusivi del 1958 ci hanno permesso di cogliere anche uno sguardo da Oltreoceano sulle vicende siciliane e italiane nei convulsi frangenti compresi tra la crisi di Palermo e la caduta di Fanfani.

È stato inoltre fatto ricorso all’uso di interviste orali per raccogliere la testimonianza personale di alcuni esponenti del mondo politico ed economico coinvolti direttamente negli eventi del milazzismo: sono state riportate nel testo infatti parti delle interviste a Ludovico Corrao (fondatore dell’Uscs), Domenico La Cavera (presidente di Sicindustria dal 1950 al 1958), Emanuale Macaluso (ai tempi dell’operazione vice-segretario regionale del Pci) e Mariella Milazzo (figlia maggiore dell’ex presidente della Regione).

3. Il milazzismo raccontato: una bibliografia ragionata tra cronaca, memorialistica e storiografia

Le polemiche e l’attenzione suscitate in tutto il paese per gli avvenimenti siciliani furono alimentate sin dai primi giorni della “rivolta autonomista” da una ricchissima discussione che si svolse nei principali giornali e nelle riviste nazionali, sconfinando talvolta anche nelle pagine di quotidiani e periodici americani, francesi, tedeschi, inglesi e russi. Tra tutti va segnalato – per lo sforzo di contestualizzazione e per la qualità degli interventi – il numero speciale dedicato dalla rivista «Il Ponte» alla delicata situazione isolana. In questo, uscito a maggio 1959, quindi a ridosso del tornante finale delle elezioni regionali, si possono trovare considerazioni politiche, come quelle firmate dai socialisti Michele Russo, capogruppo del Psi all’Ars (Sicilia al bivio) e il dirigente

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nazionale Simone Gatto (Il Psi e le elezioni siciliane), accanto alle Riflessioni sul problema dello sviluppo industriale in Sicilia affidate ad uno studioso del calibro dell’economista Paolo Sylos Labini, e alla testimonianza del presidente degli industriali siciliani Domenico La Cavera, il quale rievocava Un decennio di travaglio per l’industrializzazione dell’economia siciliana; i problemi dell’agricoltura venivano invece affrontati da un deputato nazionale comunista, Giuseppe Speciale, che si concentrava sullo stato de L’Agro palermitano, e dal presidente Silvio Milazzo. Interessante, per l’autore e il contenuto, soffermarsi brevemente sulle pagine del suo intervento (Aspetti dell’agricoltura siciliana): l’autore dimostrava qui competenza tecnica e legislativa oltre che una conoscenza dell’evoluzione storica del mondo agricolo isolano, che Milazzo continuava a ritenere primario per la crescita della regione. Dopo un sintetico excursus, che partiva dalla fine del ‘700, il presidente si concentrava sulla crisi di cui soffrivano i settori cardine (viticultura, olivicultura, granicultura e agrumicoltura) a causa di carenze strutturali, legate alla produzione e alla fase successiva di commercializzazione, e alle conseguenze nefaste di provvedimenti controproducenti o ingiusti, e concludeva promettendo l’impegno a sfruttare l’autonomia regionale per difendere gli interessi siciliani, che erano essenzialmente interessi agricoli.

Uscito quando ancora il fuoco dell’attualità non si era spento il libro del giornalista Felice Chilanti (Chi è Milazzo?: mezzo barone e mezzo villano, 1959) offriva al pubblico italiano una prima ricostruzione “a caldo” delle vicende in corso attraverso un’inchiesta-intervista su Silvio Milazzo, che tratteggiava il profilo biografico di uno tra i personaggi più popolari nel paese e dei più amati nella sua Sicilia. Nel racconto viene dato spazio alla formazione giovanile di Milazzo e posto in risalto il legame con Sturzo e Scelba, mentre il tentativo di evidenziare le radici progressiste della sua fede autonomista svelano l’angolazione di “sinistra” scelta dall’autore nonché l’intento indiretto del saggio, quello cioè di accreditare l’agrario calatino come interlocutore del Pci legittimando allo stesso tempo il sostegno comunista al suo governo.

Invece seguivano di pochi mesi la fine dell’esperienza dei governi autonomisti altre due pubblicazioni, stampate entrambe nell’ottobre 1960 dagli Editori Riuniti, e che rappresentavano una prima cronaca delle vicende fatta ancora in funzione dell’attualità. Anche se non si tratta di saggi dedicati specificamente al milazzismo pare interessante citare i saggi di Enzo Santarelli (L’ente regione) e Renato Nicolai (L’Italia regionalista) perché, come appare manifesto già dal loro titolo, intendevano inserire le recenti vicende siciliane nel quadro più generale del regionalismo e delle esperienze regionali in Italia, rispetto al quale erano considerate un modello precorritore e un riferimento per la battaglia anticentralista che in quella fase le sinistre erano impegnate a sostenere per chiedere l’istituzione delle regioni nel resto del paese.

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Una volta chiusa la stagione milazzista del 1958-60, spenti il clamore e la polemica ardente della viva battaglia, tuttavia una coltre di indifferenza e silenzio calò su tutte quelle vicende. Solo gli articoli e i documenti raccolti nel volume Liberali e grande industria nel Mezzogiorno (1961) da uno dei protagonisti di quegli anni, l’ex presidente degli industriali siciliani Domenico La Cavera, offrivano i primi materiali per una riflessione sullo scontro avvenuto in Sicilia dalla metà degli anni Cinquanta – determinante nell’esplosione milazzista – che aveva visto contrapporsi da una parte industria privata e pubblica e dall’altra i monopolisti delle grandi aziende del Nord e le piccole-medie imprese locali raccolte in Sicindustria.

Solo a partire dagli anni Settanta – con un picco alla fine del decennio – la riflessione sul milazzismo tornò a manifestarsi con la pubblicazione di saggi, libri, articoli che qui distingueremo in tre campi e analizzeremo distintamente: la produzione memorialistica, opera di testimoni diretti di quelle vicende, le ricostruzioni di taglio giornalistico, scritti per lo più da cronisti o attraverso una ricostruzione del dibattito politico sulla stampa, e i saggi di ricerca e storiografici, che operarono un primo sforzo per inquadrare il fenomeno nel contesto siciliano e italiano in cui si svolse al fine di comprendere le sue dinamiche di fondo.

Cominciando dalla memorialistica si deve per prima cosa notare come al milazzismo, unanimemente considerato un momento centrale nella storia politica della Sicilia contemporanea, sia stato dato ampio spazio nelle rievocazioni autobiografiche degli esponenti comunisti siciliani (Emanuele Macaluso, Girolamo Li Causi, Pio La Torre su tutti), cosa che va naturalmente messa in relazione al rilevante contributo del Pci e al suo “investimento” morale e politico su quelle vicende. Il primo a inaugurare questa lettura interna della stagione milazzista è stato Emanuale Macaluso con il saggio I comunisti e la Sicilia (1970). Ma Macaluso, che ai tempi del milazzismo affiancava Li Causi alla guida del Pci siciliano, è tornato su quei fatti anche in successivi scritti, come La Sicilia e lo Stato (1979) e l’ultimo saggio Leonardo Sciascia e i comunisti (2010). In modo particolare l’autore ha sempre sottolineato la linea “autonomista” perseguita dai comunisti siciliani da una parte e dall’altra i fattori economici e l’aspra dialettica interna che lacerarono la Dc siciliana, fino allo sbocco dell’ottobre 1958; allora si realizzò una rottura del blocco di potere democristiano e il governo Milazzo – sostenuto da un ampio schieramento autonomista in rappresentanza di forze politiche e sociali coagulatesi per fronteggiare il centralismo e i monopoli industriali – mise in atto il tentativo di sfruttare l’autonomia e le sue risorse come strumento di sviluppo della Sicilia. I primi saggi di Macaluso, seppur nel complesso siano lucidi e acuti nella ricostruzione dei fatti, appaiono tuttavia legati a una visione unilaterale e “giustificazionista” verso il Pci, che tende a minimizzare gli elementi di confusione e gli episodi di trasformismo che pure ci furono, anche se oggi la distanza temporale dai fatti pare aver mitigato questi difetti e fatto maturare una lettura meno agiografica.

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Una testimonianza autocritica e riflessiva sul Pci durante il milazzismo venne elaborata nel 1974 da Girolamo Li Causi, in un manoscritto rimasto inedito e pubblicato solo nel 2008 col titolo di Terra di frontiera, dove il leader comunista ripercorre gli anni della sua segreteria regionale in Sicilia (1944-60). Nelle pagine conclusive dedicate al governo Milazzo Li Causi, accanto agli aspetti di rinnovamento impressi dalla svolta autonomista (lotta contro i monopoli, per il rispetto dello Statuto speciale e in nome di un nuovo modello di crescita) non manca però di rilevare i limiti di quella esperienza e delle illusioni che essa accese, parlando della presenza di ceti conservatori ed elementi della mafia nella coalizione autonomista e rilevando la fragilità del nuovo corso incapace di reagire in maniera adeguata all’offensiva scatenata tra 1958-60 contro l’esperimento dal potere centrale, dal Vaticano e dalle potenze economiche e finanziarie nazionali e internazionali.

Un’altra importante analisi retrospettiva che abbraccia gli anni del milazzismo ci viene offerta da un altro esponente di spicco del Pci siciliano come Pio La Torre, nel volume Comunisti e movimento contadino in Sicilia (1980). Qui la vicenda viene inquadrata in un contesto di profondo cambiamento – l’anno di passaggio è rappresentato dal 1955 – dove la fine del blocco agrario e il tramonto del latifondo, la scoperta del petrolio e le prospettive industriali, determinano un cambiamento delle strategie politiche del Pci (anche su impulso nazionale del partito) e in generale animano il quadro politico regionale fino a condurre al caso Milazzo, di cui anche qui vengono evidenziate le potenzialità, ma anche le incomprensioni da parte del gruppo comunista dei meridionalisti e le incapacità dimostrate dallo schieramento di forze (troppo eterogenee e deboli secondo l’autore) che si formò attorno ai governi Milazzo.

Non mancano altri importanti esempi di racconti della vicenda Milazzo vista da sinistra e con gli occhi dei comunisti. Tra questi la testimonianza di Marcello Cimino, intellettuale e dirigente molto coinvolto anche emotivamente nel milazzismo11, e il racconto di Vittorio Nisticò, allora direttore del giornale «L’Ora», organo di stampa che dettò la “linea culturale” della politica milazzista e fu il suo più efficace megafono del milazzismo verso l’esterno12

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A spezzare la supremazia comunista sulla memorialistica legata a questi eventi13 ci ha pensato più recentemente Dino Grammatico, che ci offre uno sguardo “da destra” delle vicende ne

11 M. PERRIERA, Marcello Cimino. Vita e morte di un comunista soave, Sellerio, Palermo, 1990. 12

V. NISTICO’, Accadeva in Sicilia. Gli anni ruggenti dell’«Ora» di Palermo, Sellerio, Palermo, 2001.

13 Sugli avvenimenti siciliani di fine anni Cinquanta si ritrovano tuttavia alcune tracce e riferimenti sparsi anche nelle

memorie di politici non comunisti, come nel caso del segretario socialista Pietro Nenni (Gli anni del centrosinistra.

Diari 1957-1966, Sugar, Milano, 1982), o del dirigente democristiano agrigentino Calogero Pumilia (La Sicilia al tempo della Democrazia Cristiana, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1998) e ancora di esponenti cattolici non siciliani

come Graziano Verzotto (Dal Veneto alla Sicilia. Il sogno infranto: il metanodotto Algeria-Sicilia. Le memorie di

Graziano Verzotto, La Garangola, Padova, 2009) e Luciano Dal Falco (Diario politico di un democristiano, a cura di F.

Malgeri, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008). Ma si vedano pure i ricordi di Ludovico Corrao, uno dei protagonisti dell’esperienza milazzista, contenuti nel suo recente libro Il sogno mediterraneo, intervista di Baldo Carollo, Ernesto Di Lorenzo, Alcamo (Tp), 2010.

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La rivolta siciliana del 1958, saggio uscito nel 1996, dove l’autore mescola i ricordi e giudizi personali con alcuni articoli di giornale e altre testimonianze. Questi, politico del Msi che nel primo governo Milazzo rivestì l’incarico di assessore all’agricoltura, si propone di dare rilievo al ruolo svolto dalle destre – monarchica e specialmente missina – nella prima fase dell’operazione Milazzo, che si concluse con le elezioni regionali del giugno 1959, rievocando il clima di «grande sommovimento autonomistico» e di «rivolta popolare» nel quale avvenne l’anomala convergenza tra comunisti, abili a scagliare con la “catapulta siciliana” un attacco contro il centralismo fanfaniano, e i missini, pronti a usare l’isola come fionda per colpire in maniera violenta il sistema dei partiti, ovvero la tanto odiata partitocrazia romana.

Un'altra pagina del racconto del milazzismo è stata scritta in genere da cronisti o scrittori che vi hanno dedicato delle ricostruzioni di taglio giornalistico, facendo quindi raro uso di documentazione archivistica e usando per lo più come fonte la stampa (quotidiana o periodica) che registrò le polemiche politiche innescate dalle vicende siciliane anche a livello nazionale.

In questa categoria si può inserire il saggio di Pasquale Hamel (Dalla crisi del centrismo all'esperienza milazzista, 1956-1959, 1978) che come spiega meglio il sottotitolo stende una cronaca della terza legislatura dell'Assemblea regionale siciliana. L’autore tuttavia – evitando di circoscrivere la vicenda in ambito regionale e in un arco cronologico ristretto – analizza qui i nessi con la situazione politica nazionale e scorge la genesi e i motivi di fondo del milazzismo nella crisi degli equilibri centristi e nelle tensioni sociali presenti nell’isola negli anni Cinquanta. Secondo Hamel la risposta “milazzista” nasceva dunque dal malcontento diffuso dentro la Dc siciliana, causato dal monopolio della corrente fanfaniana, ma anche dalla strategia delle altre forze politiche di sinistra e destra che provarono a sfruttare la crisi per guadagnare spazio e rompere il soffocante sistema di potere democristiano. Ampliando lo sguardo fuori dalle dinamiche politiche di vertice l’autore prova a porre alcune questioni centrali, come il vasto consenso sociale che l’operazione Milazzo raccolse, sostenendo che la società siciliana, specie i suoi ceti medi e la base popolare, si mobilitò in quella occasione (e fu l’ultimo impeto autonomista del popolo siciliano) per difendere le istituzioni regionali.

Di poco successivo è il saggio di Alberto Spampinato (Operazione Milazzo: cronaca della rivolta siciliana del 1958, come nacque, a chi giovo, come finì, 1979) giornalista de «L’Ora» che ripercorre le vicende facendo ricorso ad alcune fonti documentarie inedite, quali la testimonianza di Mario Ovazza, capogruppo comunista all’Assemblea regionale, e del segretario dell’Unione siciliana cristiano sociale Francesco Pignatone. Tuttavia manca qui una ricostruzione del contesto socio-economico siciliano dal quale venne generata l’operazione, come pure sono assenti le

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connessioni con la politica nazionale, mentre si manifesta ancora – come già notato per i primi scritti di Macaluso – la tendenza a non affrontare le “zone d’ombra” della vicenda.

Il libro dei giornalisti Romolo Menighetti e Franco Nicastro (L’eresia di Milazzo, 2000) invece si propone di ricostruire la vicenda milazzista, seguendo in particolare lo scontro interno alle varie anime della Dc e il ruolo avuto dal Partito comunista nell’esperimento; la ricerca condotta sulla stampa regionale e nazionale degli anni 1958-60 però non offre nuovi spunti interpretativi. L’aspetto forse più rilevante sta nel riprodurre – come è visibile nella tesi di fondo del volume – le posizioni aspramente polemiche dell’allora gruppo dirigente democristiano rispetto al fenomeno, e non si tratta certamente di un caso ove si consideri che i due scrittori al tempo delle vicende narrate erano tra i più stretti collaboratori del segretario Dc e futuro presidente della regione Giuseppe D’Angelo. Le divisioni interne alla Dc – ricondotte per lo più a motivi di rivalità personale – e la crisi delle istituzioni autonomiste sono considerate il “brodo di coltura” della rivolta; nell’operazione invece si riconoscono due tempi e se inizialmente prevalsero le dinamiche antifanfaniane, che unirono le opposizioni ai “promotori occulti” nella Dc e nel mondo cattolico, in seguito alla scissione di Milazzo e dei suoi seguaci – sempre secondo gli autori – fu il Pci ad assumere la regia delle vicende, operando con abilità propagandistica e spregiudicatezza per rendere l’operazione irreversibile e per sfruttarne i possibili esiti anche su scala nazionale.

Un testo che si pone a cavallo tra l’opera di taglio giornalistico e la memorialistica è invece quello di Enzo Passiglia (Sicilia '58: nascita e declino del milazzismo e dei cristiano sociali, 2006). L’autore, che ai tempi della nascita dell’Uscs e del milazzismo era un giornalista e collaboratore dell’assessore regionale Ludovico Corrao, ricostruisce i fatti e le posizioni assunte dai cristiano-sociali in particolare riportando gli articoli della stampa coeva, affiancati da brevi commenti e ricordi personali, e concentrando l’attenzione sulle breve e travagliata storia del movimento degli “uscocchi”, in crisi subito dopo la fine del milazzismo e definitivamente naufragato nel 1963. L’ultimo libro dedicato a Milazzo e al milazzismo invece è opera di Omar Gelsomino (La stagione autonomista di Silvio Milazzo, 2010). L’autore, un giovane giornalista di Caltagirone, ha ricostruito in maniera piuttosto sommaria e agiografica la carriera politica di Milazzo sfociata nell’esperienza dei governi da questi presieduti, usando (talvolta in maniera del tutto impropria) come fonti le opere già pubblicate sull’argomento, i discorsi di Milazzo all’Ars e gli articoli del giornale «La Sicilia» usciti tra 1958-61.

La riflessione storiografica sul milazzismo, e in generale poi un approfondimento realizzato con gli strumenti e i metodi tipici delle scienze sociali (quindi anche ad opera di sociologi, politologi ed economisti), si è aperta invece dalla metà degli anni Settanta. Nell’elenco dei testi principali che hanno affrontato il complesso fenomeno si ometteranno le opere generali

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dove sono contenuti solo marginali riferimenti al milazzismo14 e i saggi dove questo non rappresenta l’oggetto principale o almeno uno degli argomenti più rilevanti.

Possiamo considerare il 1977 la data di avvio del racconto storiografico sul milazzismo. In quell’anno infatti venivano pubblicati due testi che, pur non esplicitamente centrati sull’argomento, mostravano una nascente attenzione della comunità scientifica nazionale sulle vicende siciliane e cominciavano a porre sul tappeto alcuni nodi fondamentali. Si tratta dei due volumi degli atti del convegno su Togliatti e il Mezzogiorno15, che si tenne a Bari nel novembre 1975, e del libro di Gianni Baget Bozzo sulla Dc dal congresso di Napoli all’avvio del centrosinistra (Il partito cristiano e l’apertura a sinistra).

Nel corso del convegno di Bari in particolare nella relazione svolta da Michele Figurelli (Togliatti e la questione siciliana) la lente veniva posta sulla riflessione togliattiana circa l’autonomia siciliana che si tradusse poi – non sempre fedelmente – nella pratica azione del Pci nell’isola. Partendo dal nesso tra il pensiero del segretario e quello di Gramsci, e usando come testimonianza-chiave il noto discorso ai quadri della federazione comunista di Messina del 1947, si rintracciavano nell’immediato dopoguerra le radici della strategia autonomista dei comunisti siciliani – che guardava all’autonomia come terreno essenziale per la conquista dell’egemonia e per intrecciare un rapporto con i ceti medi influenzati dall’ondata separatista – che ebbe poi la sua massima espressione pratica nell’esperienza milazzista. Negli interventi di alcuni relatori poi il riferimento al milazzismo si coniugava con alcune questioni di fondo come il rapporto tra tattica e strategia nella posizione di Togliatti (Giuseppe Giarrizzo), la presenza di elementi di continuità e di contraddizione tra la sua posizione e la conduzione pratica della protesta milazzista (Achille Occhetto) e infine il rapporto tra le scelte del “migliore” e il contesto politico nazionale della fine anni Cinquanta dove emerse con forza il problema della contrapposizione a Fanfani e al suo integralismo (Giorgio Amendola). Questioni che venivano aperte come interrogativi e spunti critici, ma che nessuno ha da allora provato a sviluppare.

14 Bisogna comunque sottolineare come, a dispetto di altri aspetti e fatti legati alla storia locale o alla dimensione

politica periferica, il milazzismo, grazie anche alle evidenti connessioni con le vicende nazionali, ha quasi sempre trovato spazio nelle ricostruzioni generali di storia politica italiana o nelle monografie che inquadrano il periodo degli anni Cinquanta. Per citare gli esempi più rilevanti vedi i saggi di C. PINZANI, L’Italia repubblicana, in Storia d’Italia

Einaudi, Dall’Unità a oggi, vol. III, t. 4, La storia politica e sociale, Torino, 1976, pp. 2484-2734; e N.

TRANFAGLIA, La modernità squilibrata. Dalla crisi del centrismo al «compromesso storico», in Storia dell’Italia

repubblicana, a cura di F. BARBAGALLO, Einaudi, Torino, vol. II, t. 2, pp. 6-111; o ancora le monografie di G.

MAMMARELLA, L’Italia dopo il fascismo: 1943-68, Il Mulino, Bologna, 1970, G. TAMBURRANO, Storia e

cronaca del centrosinistra, Feltrinelli, Milano, 1971, P. DI LORETO, La difficile transizione. Dalla fine del centrismo al centro-sinistra 1953-1960, Il Mulino, Bologna, 1993, E. SANTARELLI, Storia critica della Repubblica. L’Italia dal 1945 al 1994, Feltrinelli, Milano, 1996, F. MALGERI, La stagione del centrismo. Politica e società nell’Italia del secondo dopoguerra (1945-1960), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002, S. LUPO, Partito e antipartito: una storia politica della prima repubblica, 1946-78, Donzelli, Roma, 2004.

15

F. DE FELICE (a cura di), Togliatti e il Mezzogiorno. Atti del convegno tenuto a Bari il 2-3-4 novembre 1975, Editori Riuniti, Roma, 1977.

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