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Questione siciliana e “regionalizzazione politica” alla metà degli anni Cinquanta

I. 2.2 «scempio di lotte intestine»: la divisione interna e lo scontro tra corrent

I.3 Il «partito siciliano»: la politica autonomistica del Pc

I.3.1 Radici e ragioni dell’autonomismo comunista

Nel secondo dopoguerra siciliano, martoriato dalle distruzioni del conflitto e sconvolto dalle trasformazioni in atto nel resto del paese, tra i tanti nodi politici sul tappeto – oltre al ritorno alla democrazia e alle impegnative scelte che attendevano la futura classe dirigente – il problema istituzionale occupava un posto di rilievo.

Sin dal 1943 la fiammata del separatismo – che rappresentava lo sbocco di diverse tensioni sociali (risentimento popolare per le difficili condizioni economiche e strenue difesa degli interessi latifondistici da parte degli agrari) e di radicati fenomeni culturali (la tradizione sicilianista diffusa nei ceti intellettuali) – aveva costretto tutte le forze politiche a confrontarsi con esso487.

Se però per la Dc fu naturale riscoprire e valorizzare la tradizione regionalista, espressa da Sturzo per formulare una proposta di autogoverno che comunque mantenesse saldi i legami tra la Sicilia e lo Stato nazionale, la strada non fu altrettanto agevole per le altre forze politiche. In particolare per il Pci, lentamente riemerso dalla clandestinità subito dopo la liberazione, che non aveva alle spalle una cultura delle autonomie locali e al cui interno si registravano orientamenti divergenti: da una parte infatti spiccavano le tendenze filo-separatiste del gruppo palermitano vicino a Franco Grasso488; dall’altra invece si trovavano gli unitari come Giuseppe Montalbano, la cui linea venne sostenuta dall’Unione Sovietica nel dicembre 1943 tramite l’intervento del viceministro degli Esteri Andrej Vyšinskij489

, e che alla fine prevalsero anche in virtù del diffuso sospetto con

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P. TOGLIATTI, Testo del discorso svolto alla riunione dei dirigenti del partito di Messina l’11 aprile 1947, pubblicato col titolo Separatismo e autonomia in «Cronache meridionali», n. 7-8, luglio-agosto 1957, p. 427.

487 A. LI VECCHI, Autonomismo e separatismo, in Aa. Vv., Storia della Sicilia cit., p. 287.

488 Fin dal 1942 il gruppo che faceva capo a Franco Grasso aveva intrattenuto intensi rapporti con il leader del

Movimento indipendentista, Andrea Finocchiaro Aprile, tanto che dopo lo sbarco lo stesso Grasso aveva aderito all’Unione per l’indipendenza della Sicilia, costituita dai separatisti e dal piccolo nucleo azionista (S. FINOCCHIARO,

Il partito comunista nella Sicilia del dopoguerra (1943-1948), Sciascia, Caltanissetta-Roma, 2009, p. 23). Lo storico

Massimo Ganci sostenne in realtà che l’intenzione del gruppo di Grasso fosse di «far leva sulle istanze sociali e populistiche che c’erano nella base indipendentistica (in seno al M.I.S.) era nato un Partito Comunista Siciliano, di cui furono esponenti a Palermo Augusto Leca, figlio del noto antifascista anarchico Paolo Leca, e Cino Traina) per attirarle, denominatore comune del «sicilianismo», nell’orbita del comunismo nazionale» (ID., La Sicilia contemporanea cit., p. 157).

489

A. GUISO, Tra regionismo e nazione: la questione del separatismo nella politica del PCI in Sicilia (1943-1947), in «Ricerche di storia politica», anno II – 1/1999, p. 8. Il diplomatico sovietico nel corso di un incontro segretissimo con il

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cui erano viste a sinistra le tendenze autonomiste, per il pericolo di isolamento che esse comportavano rispetto alla sezione forte della classe operaia nazionale e al movimento antifascista che in quei mesi prendeva consistenza in ogni parte d’Italia490

.

Le indecisioni e le divisioni dei primi mesi vennero comunque sciolte di lì a poco grazie all’intervento di Palmiro Togliatti: questi nell’estate 1944, mentre affidava a un dirigente di spicco come Girolamo Li Causi l’incarico di edificare il “partito nuovo” in Sicilia e ricondurre all’ordine e all’unitarietà le tendenze massimaliste e rivoluzionarie ancora molto diffuse alla base, metteva a fuoco i termini del rapporto tra questione siciliana e politica comunista e poneva le basi della scelta autonomista del Pci491.

A guidare sin da allora Togliatti nell’analisi della realtà siciliana, che non conosceva direttamente, c’erano la padronanza del metodo di analisi marxista, l’esperienza e la dimestichezza col pensiero di Antonio Gramsci492. Tutti elementi che emergevano già in uno dei primi scritti dedicati al problema siciliano (Il popolo siciliano ha sete di libertà e fame di terra493). A suo avviso la «crisi profonda di delusione» del popolo siciliano nelle condizioni drammatiche del dopoguerra sembrava aver riportato la Sicilia al tempo delle rivoluzioni ottocentesche, e giustificava anche i consensi raccolti dal separatismo, che non poteva essere ridotto «coi discorsi, coi proclami, colle gesta e cogli intrighi di quattro facinorosi», ma andava considerato come «la tendenza a reclamare per l’isola una giustizia e una libertà ch'essa non ha mai avuto nel passato».

Dunque il nodo separatista e il problema dell’autonomia erano strettamente intrecciate. Il Partito comunista – su forte impulso di Togliatti – giustificava le aspirazioni secolari di riscatto sociale ed economico delle popolazioni siciliane e, come ufficialmente sancito da una risoluzione della Direzione, indicava nella soluzione di un autogoverno la via per risarcire i danni subiti dall’isola in ottanta anni di vita unitaria494

.

dirigente comunista, sostenne allora che l’Unione Sovietica era interessata all’unità e all’indipendenza dell’Italia, le quali non dovevano essere intaccate né dall’imperialismo né dal separatismo interno. Montalbano avrebbe riferito anni dopo (11 novembre 1950) il contenuto dell’incontro nelle pagine de «Il siciliano nuovo».

490 R. MANGIAMELI, La regione in guerra (1943-50), in M. AYMARD – G. GIARRIZZO (a cura di), Storia d’Italia.

Le Regioni dall’Unità ad oggi. La Sicilia, p. 534.

491

Sulla “svolta togliattiana” nel Pci siciliano vedi A. GUISO, Tra regionismo e nazione: la questione del separatismo

nella politica del PCI in Sicilia (1943-1947) cit., pp. 9-11. Per comprendere meglio il contributo di Li Causi

nell’edificazione del partito nuovo e negli anni decisivi della ricostruzione e della costruzione dell’autonomia regionale vedi il racconto autobiografico G. LI CAUSI, Terra di frontiera. Una stagione politica in Sicilia 1944-60, a cura di D. ROMANO, La Zisa, Palermo, 2008.

492 F. RENDA, Introduzione a P. TOGLIATTI, Per la Sicilia. Scritti e discorsi, Edizioni del Paniere, Verona, 1985, p.

15. In particolare a insistere sull’influsso del pensiero di Gramsci nella riflessione del segretario del Pci è Michele Figurelli, in ID., Togliatti e la questione siciliana, in F. DE FELICE (a cura di), Togliatti e il Mezzogiorno, Editori Riuniti, Roma, 1977, vol. I, pp. 113-161. Ma sul “regionalismo concreto” di Antonio Gramsci vedi la riflessione di E. SANTARELLI, L’ente regione, Editori riuniti, Roma, 1960, pp. 79-84.

493 P. TOGLIATTI, Il popolo siciliano ha sete di libertà e fame di terra, «l’Unità», 3 settembre 1944.

494 Il testo della risoluzione, datata 27 ottobre 1944, è riportato in «La Voce Comunista», 4 novembre 1944. Qui si

legge: «i comunisti rivendicano le libertà della Sicilia in un’Italia democratica. […] Essi sostengono che i siciliani stessi dovranno essere chiamati, attraverso le rappresentanze dei loro partiti e rappresentanti diretti del popolo a elaborare le

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Questo si sarebbe tradotto da una parte nella richiesta dell’istituzione dell’ente regione – esplicitamente avanzata nel corso del primo convegno regionale del Pci (gennaio 1945) – dall’altra nell’accoglimento della concezione “riparazionista” dell’autonomia, avanzata dal vecchio Enrico La Loggia sin dal saggio Ricostruire495, che avrebbe costituito l’impalcatura ideologica dello Statuto.

Ma l’attenzione con cui il Pci seguiva la questione siciliana, e l’interesse con cui intendeva rispondere al meglio agli interrogativi che essa poneva, avrebbe persino suggerito di modificare la stessa struttura organizzativa del partito, attraverso la costituzione della Federazione regionale che avvenne a inizio 1945496.

L’opzione autonomista del Pci, ben più di una scelta contingente e un mero riflesso difensivo, si tradusse pertanto in una convinta collaborazione alla stesura dello Statuto e all’iter che condusse alla nascita della regione speciale. L’autonomia pertanto offriva in Sicilia alla classe dirigente comunista la possibilità concreta di realizzare uno stretto dialogo con le altre forze politiche ed estendere il raggio di interlocutori sociali. Così nelle parole di Li Causi la linea del partito avrebbe dovuto tradursi concretamente nella ricerca della convergenza, già in sede di Consulta regionale, tra le «forze democratiche e progressive», per dare una direzione politica anti- reazionaria alla nascente autonomia e per ottenere il sostegno delle masse popolari ma anche dei ceti medi, dei commercianti e dei professionisti che intendevano lottare per lo sviluppo dell’isola497.

Nelle parole di Li Causi, che volendo accettare una lettura storicistico-idealistica del movimento socialista si potrebbe dire ricalcassero i passi dell’“autonomismo democratico” espresso dal noto Memorandum dei socialisti palermitani del 1896, dove la concessione di un governo locale era associata alle fondamentali richieste del movimento operaio498, si avvertivano soprattutto le esigenze tattiche suggerite dal momento politico e dall’analisi della struttura sociale siciliana.

La strategia autonomista va comunque inquadrata nel più ampio contesto del progetto del partito nuovo, in cui Togliatti fu impegnato sin dal suo ritorno in Italia per far superare al Pci certe incrostazioni settarie e i caratteri di plebeismo e trasformarlo in un partito di massa, attraente nei confronti dell’intera società, aperto a tutti gli strati sociali e specie ai ceti intermedi.499

misure costituzionali e amministrative che dovranno essere adottate dall’Assemblea Costituente italiana per la soluzione del problema siciliano.»

495

E. LA LOGGIA, Ricostruire, Palumbo, Palermo, 1943.

496 La Federazione regionale, il cui convegno costitutivo si tenne nel gennaio 1945, in realtà ebbe vita assai breve;

infatti nel gennaio 1947, venne inglobata nel comitato regionale, secondo il nuovo modello organizzativo nazionale proposto da Pietro Secchia (vedi l’Introduzione al I volume I Congressi regionali del P.C.I. in Sicilia, a cura e con introduzione di M. RIZZA, Istituto Gramsci Siciliano, Palermo, 1988, pp. 69-72).

497 G. LI CAUSI, Le ragioni dell’autonomia, «La Voce della Sicilia», 19 dicembre 1945.

498 Sul Memorandum del 1896, considerato il documento di nascita dell’“autonomismo democratico”, vedi il saggio di

Rosario VILLARI, Autonomia siciliana e sicilianismo (in particolare le pp. 118-124) raccolto nel volume Id.,

Mezzogiorno e democrazia, Laterza, Roma-Bari, 1979.

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E proprio ai ceti medi – cresciuti intanto nel corso del ventennio fascista – puntava Togliatti per radicare il partito al di fuori della classica alleanza operai-contadini, come testimonia la celebre conferenza del 1946 su Ceto medio e Emilia Rossa500.

Nelle specifiche condizioni della Sicilia l’autonomia, posta al centro di una complessa strategia politica e sociale, divenne lo strumento per realizzare tale alleanza con la piccola e media borghesia, senza la quale, secondo Togliatti, qualsiasi progetto di profondo rinnovamento sarebbe stato inesorabilmente destinato a fallire501. E in questo punto emergeva la saldatura tra problema dell’autonomia e questione separatista.

Come visto Togliatti aveva subito appuntato la sua attenzione sui nodi profondi sollevati dall’insorgenza separatista, che andava letta e interpretata – come Gramsci, in anticipo sui tempi, sembrava suggerire quando parlava nei suoi Quaderni di «un nesso storico da giustificare storicamente»502 – nel contesto siciliano di quegli anni e osservando le struttura sociale ed economica dell’isola nel suo complesso.

Le prospettive di azione del partito avrebbero dovuto prendere le mosse proprio da questo esame. Così a Messina nell’aprile 1947, parlando ai quadri del partito, il segretario svolgeva una dettagliata relazione, che diverrà il più celebre compendio della politica autonomistica del Pci503: ancora una volta prendendo le mosse dal pensiero di Gramsci504 Togliatti riconosceva una peculiarità della

500 D. SASSOON, Togliatti e la via italiana al socialismo. Il Pci dal 1944 al 1964, Einaudi, Torino, 1980, p. 290. 501 S. FINOCCHIARO, Il partito comunista nella Sicilia del dopoguerra (1943-1948) cit., pp. 178-179.

502 Gramsci in una nota su La Sicilia (in Id., Il Risorgimento, Editori riuniti, Roma, 1991, p. 170-171) commentava: «Se

in Sicilia il separatismo ci fosse stato, ciò non dovrebbe essere storicamente considerato né riprovevole, né immorale, né antipatriottico, ma solo considerato come un nesso storico da giustificare storicamente»; più avanti poi afferma: «lo strato sociale unitario in Sicilia è molto sottile […] esso padroneggia a stento forze latenti “demoniache” che potrebbero anche essere separatiste, se questa soluzione, in determinate occasioni, si presentasse come utile per certi interessi», e infine, a proposito dei moti del 1867 e di altre manifestazioni del I dopoguerra, le interpretava come «valore di sintomo per rivelare l’esistenza di correnti sotterranee, che mostrano un certo distacco tra le masse popolari e lo Stato unitario, su cui speculavano certi gruppi dirigenti.»

503 Il discorso ai quadri del partito di Messina, venne in parte pubblicato solo nel 1957 (in «Cronache meridionali», n. 7-

8, luglio-agosto 1957, pp. 423-440). Ma, a dimostrazione della sua rilevanza, veniva citato in una lettera della segreteria della Federazione messinese (26 marzo 1953) che accompagnava un volume donato a Togliatti dalla stessa federazione per il suo sessantesimo compleanno (il volume, che reca nella copertina il titolo con caratteri a rilievo «MESSINA A PALMIRO TOGLIATTI», è oggi conservato presso la biblioteca dell’Istituto Gramsci di Roma). Nell’incipit della lettera si legge: «Caro compagno Togliatti, i comunisti messinesi ricordano ancora con emozione vivissima il rapporto da Te tenuto all’attivo nello Aprile del 1947 al Cinema Casalini. Combattevamo allora la battaglia per eleggere la prima Assemblea Regionale Siciliana: e Tu ci desti orientamenti preziosi per comprendere sino in fondo il significato nazionale della lotta che il popolo siciliano conduceva per la sua libertà ed il suo progresso. Avevamo allora a Messina un Partito entusiasta, si, ma ancora poco capace di comprendere la sua funzione di guida di tutto il popolo; e Tu ci desti indicazioni indimenticabili per fare del nostro Partito la guida ne la grande lotta di rinnovamento della nostra terra, perché tutti gli uomini che soffrono e che lottano per un avvenire migliore – gli operai, i contadini, i giovani intellettuali – vedessero nel nostro Partito la loro bandiera.»

504

Nel saggio Alcuni temi della quistione meridionale, steso nel 1926 e pubblicato per la prima volta nel 1930 su «Lo Stato operaio», Gramsci infatti sottolineava come «la situazione siciliana ha caratteri differenziali molto profondi sia dalla Sardegna che dal Mezzogiorno». Qui infatti – a suo avviso – «i grandi proprietari sono molto più coesi e decisi che nel Mezzogiorno continentale; vi esiste inoltre una certa industria e un commercio molto sviluppato […]; le classi superiori sentono moltissimo la loro importanza nella vita nazionale e la fanno pesare. […] Le masse popolari siciliane sono più avanzate che nel Mezzogiorno, ma il loro progresso ha assunto una forma tipicamente siciliana: esiste un

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struttura sociale siciliana, ovvero la consistente presenza di esponenti della piccola e media borghesia sia in città che nelle campagne, i quali si ponevano tra i ceti popolari (contadini, operai) e gruppi dirigenti composti dai grandi proprietari fondiari. I membri di questo ceto – per lo più piccoli e medi proprietari, professionisti e intellettuali – erano legati agli agrari, che attraverso di essi governavano l’isola, e costituivano in buona parte i capi del separatismo. Era questa borghesia – la quale per cultura e tradizione «sente il problema dell’autonomia ed è capace di sentirlo fino al separatismo» – a dovere rappresentare secondo Togliatti un interlocutore sociale del Partito comunista505, che senza dare una chiara risposta al problema dell’autonomia avrebbe altrimenti consegnato tali elementi nelle braccia della vecchia classe dominante, già in passato abile a sfruttare l’“ideologia sicilianista” per affermare la propria egemonia culturale506

, o avrebbe lasciato che venissero attratti dalla Dc che poteva rivendicare l’autogoverno regionale. Nella questione dell’autonomia Togliatti riconosceva infatti gli elementi di una questione nazionale, e in questo trovava una concordanza di fondo con la linea sostenuta già da Lenin a proposito della Finlandia, quando nel concedere l’indipendenza al paese, si era operato un cambio della “costellazione delle forze”, e gli elementi più avanzati avevano strappato il vessillo dell’indipendenza alla reazione.

Le parole di Togliatti in proposito sono molto chiare ed è esplicito il suo intendimento quando sempre nel corso della conferenza di Messina affermava:

Quindi avete in Sicilia uno stato d’animo generale di ribellione e di diffidenza contro il governo del continente, contro l’apparato centralizzato di Roma. Ora, data questa situazione, abbiamo detto ai dirigenti del nostro partito in Sicilia: guai a voi se vi mettete contro questo sentimento; voi vi isolerete dalla grande massa del popolo, rimarreste il partito dell’unità italiana, ma non potreste divenire il partito delle grandi masse. Respingereste vasti strati della piccola e media borghesia nelle braccia dei gruppi reazionari, dei latifondisti o di quei partiti che diverrebbero autonomisti ad oltranza e mai potreste risolvere i problemi della Sicilia.507

socialismo di massa siciliano che ha tutta una tradizione e uno sviluppo peculiare». Peraltro era lo stesso Togliatti a sottolineare la “fonte” del suo pensiero, come quando nel comizio che tenne a Palermo il 12 maggio 1946, faceva chiaramente riferimento al saggio di Gramsci sulla questione meridionale (vedi il testo del comizio pubblicato il 14 maggio 1946 su «La Voce della Sicilia» col titolo La Sicilia avrà libertà se l’Italia avrà libertà). Ancora fu lo stesso Togliatti a sottolineare l’importanza del magistero di Gramsci per il partito, soprattutto per il fatto che egli «diventato socialista», continuava a essere «sardo» (ID., Gramsci, Editori Riuniti, Roma, 1967, pp. 50-51).

505 Le intuizioni di Togliatti sulla fisionomia del movimento separatista sono state pure confermate dallo studio

prosopografico condotto dalle ricercatrici A. CORSELLI e L. DE NICOLA CURTO (Indipendentismo e indipendentisti

nella Sicilia del dopoguerra, Vittorietti, Palermo, 1984): da questo studio, condotto su un campione di 1400 nominativi,

risulta infatti come il 44,80% della militanza era costituito da agrari (23,27%) e professionisti (21,52%), mentre accanto a questi erano molto minori le presenze di elementi provenienti dal settore industriale (4,24%), di artigiani (4,17%) e di impiegati (6,81%). Significativa era poi la massa costituita dagli studenti (22,40%), che avrebbero dimostrato una sufficiente capacità organizzativa autonoma. Altro elemento interessante da rilevare era poi la distribuzione territoriale delle forze separatiste: si segnala infatti una distribuzione piuttosto diseguale, concentrata soprattutto nelle aree urbane e nelle province del versante occidentale (in particolare Palermo e Agrigento).

506 Cfr. G.C. MARINO, L’ideologia sicilianista. Dall’età dell’illuminismo al Risorgimento, Flaccovio, 1988 (I ed.

1971).

507

P. TOGLIATTI, Testo del discorso svolto alla riunione dei dirigenti del partito di Messina l’11 aprile 1947, pubblicato col titolo Separatismo e autonomia in «Cronache meridionali», n. 7-8, luglio-agosto 1957, pp. 423-440.

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Come suggeriva pure la lezione gramsciana per vincere tale scontro con la classe dominante compito del partito sarebbe stato, oltre a quello di organizzare le masse dei contadini poveri, anche quello di disgregare il ceto intermedio intellettuale («l’armatura flessibile ma resistentissima del blocco agrario»).

E per operare questa disgregazione lo stesso Togliatti avrebbe quindi dapprima incoraggiato il partito – nonostante le forti titubanze della sua base e dei suoi stessi dirigenti – ad accettare le istanze autonomiste. Poi avrebbe avviato anche alcune iniziative culturali, quali la nascita della rivista «Chiarezza», per la quale lo stesso Togliatti aveva inviato Salvatore Francesco Romano, che ebbe proprio l’obiettivo di dividere i separatisti democratici da quelli di destra e coinvolgere i primi nella strategia politica del Pci508.

Tuttavia le difficoltà del settimanale – la cui esperienza venne chiusa pochi anni dopo – riflettevano la più generale difficoltà del partito in Sicilia ad accogliere e mettere in pratica la linea togliattiana: infatti mentre nel Movimento indipendentista si palesava sempre più chiaramente la sua prevalente vocazione reazionaria e il peso decisivo che al suo interno aveva la componente grande proprietaria, cresceva la contrapposizione radicale dei comunisti siciliani, che impedì ad una notevole parte di loro – come pure a molti dei suoi dirigenti nazionali – di «cogliere appieno la differenziazione interna al regionalismo separatista e le istanze democratiche che pur vi erano rappresentate, specie nelle città da ampi strati di piccola e media borghesia e da numerosi giovani, tra i quali particolarmente rilevante era la presenza studentesca»509.

Così mentre la linea del Pci siciliano appariva ancorata alla «lettura terzinternazionalista della dottrina leninista, che privilegiava i braccianti e i contadini poveri e guardava con sospetto ai contadini più agiati»510, d’altra parte la diffidenza della base comunista verso i piccoli e medi borghesi separatisti portava costoro, nel momento della dissoluzione del movimento, ad approdare in buona parte nella Dc.

Nel biennio 1947-48 il mutamento del quadro nazionale e internazionale, dove tramontava la fase della collaborazione del dopoguerra e si alzava la cortina della guerra fredda, accelerava i tempi della svolta siciliana. La formazione dei primi governi regionali, sostenuti dai partiti di centro-destra, e l’accentuarsi dello scontro tra movimento contadino e repressione agrario-mafiosa, avevano incrinato la strategia autonomista del Pci e messo in difficoltà il suo migliore interprete, il segretario Li Causi, accusato da una fronda di giovani raccolti attorno alla federazione comunista di

508 Cfr. M. PERRIERA, Marcello Cimino. Vita e morte di un comunista soave cit., pp. 101-102. 509

S. FINOCCHIARO, Il partito comunista nella Sicilia del dopoguerra (1943-1948) cit., p. 24. Ma sulla presenza di elementi di piccola e media borghesia e da numerosi giovani nel Mis vedi G.C. MARINO, Storia del separatismo

siciliano, 1979, pp. 111-114 e 143-146; A. CORSELLI, L. DE NICOLA CURTO, Indipendentismo e indipendentisti nella Sicilia del dopoguerra, Vittorietti, Palermo, 1983, pp. 68-71.