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Cronache di poveri amanti Il Film

Credo non esista un modo migliore per iniziare un discorso sul film che cedere direttamente la parola a Carlo Lizzani, che, nell‟intervista concessa a Di Giammateo che abbiamo già precedentemente citato, così si esprimeva:

“ (…) Ma il vero successo internazionale arrivò con Cronache di poveri amanti, film che segnò anche la fine della cooperativa. Veniva considerata una struttura produttiva anormale che non poteva funzionare nel sistema allora vigente. Il film fu selezionato al Festival di Cannes, si cominciò a parlarne per la Palma d‟Oro. E la delegazione italiana si mise a intervenire, a fare pressioni sulla giuria. Jean Cocteau, che era in giuria, raccontò a Sergio Amidei, il grande sceneggiatore di Roma città aperta, che una notte Nicola De Pirro, direttore della cinematografia italiana, entrò nella camera di Cocteau, si mise in ginocchio e piangendo gli disse: “ Voi, grande maestro, grande scrittore, voi non sapete che Lizzani è comunista e che il film è prodotto da una cooperativa marxista. Se ottiene la Palma d‟Oro sarà un sostegno straordinario per il prestigio del Partito Comunista Italiano! Siamo in periodo elettorale, e questo potrebbe aiutarli a vincere le elezioni!” 81

Poi, in un intervento successivo, Lizzani riprende il discorso:

“ Non credo che Cocteau, con questa sua indiscrezione, abbia voluto confessare masochisticamente una sua obbedienza alle pressioni politiche italiane. Può darsi che, comunque,

Cronache… non avesse vinto la Palma d‟Oro per altre ragioni, ma certo l‟episodio è significativo.

E non basta. A sorpresa, quando dopo il successo di Cannes cominciano le trattative per alcune vendite all‟estero, la cooperativa viene a sapere che da parte del Governo c‟è un veto all‟esportazione del film. Ed è perfino difficile capire le ragioni del veto. Intervengono parlamentari. Pajetta tempesta di telefonate Andreotti. Ma è chiaro: siamo nel ‟54 ed è partita l‟offensiva di Scelba, annunciata appunto in quelle pagine del Messaggero che ho ricordato. La Cooperativa spettatori produttori è sospettata di finanziare il Partito Comunista! Ve lo immaginate ? Povero partito, se fosse stato dipendente dagli incassi di una piccola produzione indipendente come quella di Genova che, in realtà, da quel veto viene travolta! Infatti (essendo Cronache di poveri amanti più costoso di Acthung! Banditi!) la cooperativa non riesce a far quadrare più i conti senza gli attesi incassi dall‟estero, ed è costretta a chiudere i battenti.” 82

Il film Cronache di poveri amanti esce nel 1953 prodotto dalla Cooperativa Spettatori Produttori Cinematografici s.r.l. di Genova – Roma ed è distribuito dalla “Minerva Film” di Roma.

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C. LIZZANI, Attraverso il ‘ 900, cit. pg 318

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Gli aiuti alla regia di Lizzani sono Enzo Alfonsi e Giuseppe Dagnino , l‟assistente alla regia è Paolo Russo, mentre la sceneggiatura è firmata da Sergio Amidei, Giuseppe Dagnino, Carlo Lizzani e Massimo Mida. Direttore della fotografia Gianni Di Venanzo e direzione musicale di Mario Zafred.

Gli attori: Anna Maria Ferrero (Gesuina), Cosetta Greco (Elisa), Antonella Lualdi (Milena) Marcello Mastroianni (Ugo), Bruno Berellini (Carlino), Irene Cefaro (Clara), Adolfo Consolini (Maciste), Giuliano Montaldo (Alfredo), Gabriele Tinti (Mario), Eva Vanicek (Bianca), Wanda Capodaglio (“Signora”), Garibaldo Luci (Staderini), Mario Piloni (Osvaldo), Fosco Cecchi (“Pisano”).

Il film ottenne il “Premio internazionale della Giuria” al Festival di Cannes, edizione 1954 e il “Nastro d‟Argento” per le migliori musiche e scenografia.

Lizzani ha girato il film Cronache nel 1953, ma non era il progetto cinematografico che aveva previsto per quell‟anno. In quell‟anno infatti aveva pensato di girare, insieme a Rodolfo Sonego un documentario sull‟alluvione del Po di due anni prima, ma siccome i due non trovarono i finanziamenti il progetto fu abbandonato.

Poi si verificò un caso che sarebbe stato favorevole a Lizzani. Infatti Luchino Visconti che aveva progettato di trarre un film da Cronache di poveri amanti aveva abbandonato quel progetto perché Sergio Amidei, sceneggiatore e produttore, non aveva reperito i soldi per realizzare il film che, nelle intenzioni di Visconti, avrebbe dovuto riprodurre integralmente il romanzo trasformandolo quasi in una sorta di Kolossal alla Via col vento.

Scrive Lizzani :

“ Complessivamente, l‟avventura del film è durata sei anni. Uscito nel 1947, il libro di Pratolini, una Major di Holliwood aveva manifestato l‟intenzione di portarlo sullo schermo. Jhon Garfield si offrì per la parte di Ugo; a Gerard Philipe piaceva il personaggio di Maciste; a Lucia Bosè , Milena. In Italia, anche Giuseppe De Santis e Mario Camerini avrebbero ambito realizzare il film. Mancò ogni volta un produttore che avesse del “coraggio”.” 83

Quando Lizzani venne a conoscenza della rinuncia di Visconti, insieme a Gaetano “Giuliani” De Negri, si rivolse a Sergio Amidei chiedendogli se poteva dare loro i diritti. Nonostante Lizzani e De Negri fossero amici di Pratolini, i diritti di

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C. LIZZANI , Cronache di poveri amanti in “Cronache di poveri amanti – Pagine di celluloide” a cura di Eligio Imarisio, Ed. Le Mani, Recco (Genova), Aprile 2010, p. 16

produzione cinematografica erano comunque nelle mani di Amidei e quindi della “Colonna Film”.

Amidei rispose affermativamente e quindi il cerchio si stava chiudendo. I diritti per la versione cinematografica del libro tornarono a Pratolini che era un amico ma che tuttavia doveva rapportarsi con la sua casa editrice, la “Vallecchi”.

All‟editore fu pagata, anche grazie a Pratolini, una cifra di favore e quindi Lizzani, lo stesso Pratolini, Massimo Mida, Giuseppe Dagnino e, naturalmente, “Giuliani” si misero al lavoro.

Scrive Lizzani:

Quello che mi affascinava del romanzo Cronache e che mi piaceva portare in scena era proprio il suo coro della strada in contrappunto alle vicende individuali dei personaggi. Una caratteristica del libro, ma anche in generale, del cinema neorealista. Una di quelle cose che, ancora oggi, mi fanno dire che il nostro neorealismo si affermò ovunque non solo grazie ai contenuti nuovi, sorprendenti per il mondo, di un‟Italia sconosciuta degli “umili”. L‟Italia per certi aspetti di Manzoni e di Verga, ma anche perché l‟occhio degli autori cominciava a curiosare dietro le quinte, dietro i personaggi di primo piano, e persino a guardare indietro al passato, e non solo alla realtà quotidiana. E mentre la macchina da presa scavava nei dettagli, nella psicologia e nel coro, non ci rendevamo pienamente conto del particolare linguaggio, nuovo, che avevamo conquistato.”84

Ecco, dunque, che ritornano in queste parole di Lizzani gli elementi di cui abbiamo a lungo parlato prima: i repertori narrativi, i personaggi e il linguaggio che poi sono i tre punti forti del cinema di Lizzani e di gran parte dei film neorealisti.

Il riferimento a Manzoni e a Verga denota una scelta tematica che ha come riferimento una società di umili a cui entrambi seppero dare voce e statuto narrativo; la stessa operazione la farà Lizzani con Cronache…

Lo stesso discorso vale anche per i personaggi. Lizzani, in linea con Manzoni e Verga, dà voce a personaggi marginali ma riserva un ruolo quasi fondamentale ai personaggi principali; si pensi alla Signora che dalle sue finestre domina Via del Corno, così come l‟Innominato dominava la valle dall‟alto del suo castello, oppure a un Maciste, novello Fra‟ Cristoforo; certo possono sembrare accostamenti azzardati, ma le tematiche e gli sviluppi, seppur in cronologie diverse, si somigliano parecchio. E sempre spingendosi avanti, ecco che il Coro di Via del Corno richiama analogie neppure troppo velate con il “coro” di Acitrezza ne “I Malavoglia”, anche se i

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sottoproletari cornacchiai dimostrano, a volte, un barlume di coscienza politica da cui erano esenti i popolani di Verga e, per finire, la riscoperta di un nuovo linguaggio su cui, comunque, torneremo più avanti e il “rimescolamento dei generi”.

Cronache … secondo Lizzani vuol dimostrare che la lezione neorealista non si lega alla sola attualità, alle riprese “dal vero”, ma che si può trasferire anche nel racconto storico e infatti la vicenda narrata si svolge trent‟anni prima.

Come è noto la vicenda del romanzo si svolge in via del Corno85 che fu ricostruita

nei teatri di posa degli studi romani della De Paolis. La scelta di non girare il film nella via fiorentina fu dovuta all‟esigenza di non bloccare la vita quotidiana di una strada e dei suoi abitanti e inoltre c‟era la questione dei costumi riferiti al 1925. Via del Corno fu costruita nelle sue proporzioni quasi naturali. Andava a stringersi in modo che, inquadrando sempre verso la parte con l‟arco sul fondo, si ricavava l‟impressione di una sua maggiore lunghezza, però si poneva la questione della luce. Gianni Di Venanzo ebbe però l‟idea di girare sì in un teatro di posa, ma in uno spazio aperto.

Ecco come ce lo racconta Lizzani:

“ Nella strada, ricostruita presso gli studi romani della De Paolis, subordinammo i nostri tempi a quelli della giornata effettiva, con il grande vantaggio di ottenere una fotografia cruda, molto simile a quella che sarebbe stata la fotografia vera degli esterni fiorentini. Anche le notti furono girate realmente di notte. Infatti, essendo la strada costruita in esterno, per avere quella particolare luce bisognava aspettare la notte vera (…) Girammo parte degli esterni a Firenze, dopo andammo a Roma, e poi di nuovo, a conclusione, per altri esterni a Firenze.”86

Riguardo alla scelta del Cast, nota sempre Lizzani, c‟era l‟esigenza commerciale di scritturare alcuni nomi di richiamo, che però non erano toscani e quello della “fiorentinità” era un requisito a cui il regista teneva molto anche perché una delle prerogative della stagione neorealista è consistita nel dare voce a tutte le regioni italiane, a tutti gli strati sociali, a tutte le “voci” che contraddistinguevano la società degli anni Cinquanta.

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Via del Corno è lunga 50 metri e larga 5. E‟ senza marciapiedi. Confina ai due capi con Via dei Leoni e via del Parlascio, a pochi metri da Palazzo Vecchio

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La scelta di far interpretare Ugo a Mastroianni, già bravo e famoso, ma non ancora impegnato in ruoli drammatici si rivelò vincente, anche perché Mastroianni fu un valido aiuto nell‟affiancare Adolfo Consolini, il discobolo, che interpretava Maciste e non era un attore professionista; d‟altronde una delle lezioni del neorealismo classico era quello di affiancare agli attori professionisti gli attori cosiddetti “di strada”

L‟altro personaggio, “La signora” fu interpretato da Wanda Capodoglio che ne rese un ritratto indimenticabile.

Lizzani racconta che la vicenda del film e la sua vita con il pubblico furono emozionanti perché Cronache… uscì in un periodo in cui si era acutizzata l‟offensiva dei Conservatori e la voce del governo contro la cinematografia neorealista si era fatta sempre più aspra perché si diceva che non dovevano circolare all‟estero film in cui si mostrava un‟ Italia sempre più povera, sempre piena di disoccupati e di conflitti sociali.

Di questi film, continua Lizzani, si sosteneva che erano tutti comunisti, anche se girati da registi come De Sica e Rossellini che certo non erano comunisti.

Ecco cosa scrive Lizzani:

Tornando a Cronache… (…) io ebbi vicino Pratolini, che non si dimostrò contrario ai tagli che dovevamo fare e di cui comprese la necessità di natura finanziaria e di autocensura. La figura della “Signora”, i suoi rapporti omosessuali con le servette, tutto messo in ombra. Sapevamo già che il film avrebbe avuto parecchie difficoltà per ragioni politiche, tanto più le avremmo “giustificate” se avessimo toccato anche aspetti di erotismo ambiguo (sai che festa i bigotti!)”87

Pratolini fu effettivamente molto vicino a Carlo Lizzani nella lavorazione del film ed ebbe un rapporto molto meno distaccato di quello tenuto con altri registi che avevano trasposto sullo schermo i suoi romanzi.

Interessante la lettera che scrive a Romano Bilenchi il 10 febbraio 1954, quando il film era appena uscito nelle sale. Ne riportiamo soltanto un brano molto significativo: “ Davvero ci sarebbe da farne un romanzo” 88 scrive Bilenchi all‟amico, a

proposito delle vicissitudini occorse alle Cronache… cinematografiche.

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C. LIZZANI, Cronache…, cit. pp. 20 - 21

88

VASCO PRATOLINI , La lunga attesa. Lettere a Romano Bilenchi (1935 – 1972), a cura di Mazzucchelli, Bompiani, Milano, 1989, p. 56

In altre occasioni lo scrittore ha ricordato i continui viaggi da Napoli (dove allora abitava)a Roma, ancora nel 1947, quando sembrava che il film si sarebbe dovuto realizzare per la regia di Luchino Visconti. Oppure il viaggio a Parigi, sempre nel 1947, quando si pensava a una produzione francese e Visconti organizzò certi sopralluoghi cui partecipò anche Pratolini e fu in quella occasione che conobbe Gerard Philipe, che era un suo mito e che avrebbe sognato nella parte di Mario (che nel film fu invece interpretato da Gabriele Tinti)

E comunque passarono anni prima che il film potesse realizzarsi, grazie alla “Cooperativa Spettatori Produttori Cinematografici” e Pratolini seguirà da vicino la lavorazione del film recandosi spesso sul set che poi sono le vie stesse di Firenze. C‟è un aneddoto a questo proposito che ci racconta lo stesso Pratolini:

“ (…) durante le riprese di una scena della Notte dell‟Apocalisse, si avvicinarono alla macchina due uomini sui cinquant‟anni (…). Uno portava occhiali neri, pensammo lo offendesse la luce dei riflettori. Erano due antifascisti che episodi simili a quello che si stava girando li avevano visti e patiti. Mentre gli attori recitavano, mi venivano i bordoni (i brividi) disse uno dei due. L‟altro, quello che portava gli occhiali, annuì. Poi disse: “ Sono cose di cui, senza odio, ma nessuno se le dovrebbe mai dimenticare”. E aggiunse: “ Io chissà se arriverò a vedere il film. Mi è cascata anche quest‟altra cateratta.” Così sapemmo perché portava gli occhiali neri. Era stato bastonato a sangue e ferito, più volte, “ a tempi de‟ tempi”, come disse, “ a questi tempi qui”, e accennò attorno alla scena, si portò una mano agli occhiali: “e queste sono le conseguenze”, concluse.” 89

Questo incontro gli sembra la dimostrazione di ciò che per lui rappresenta la forza del cinema e cioè di rendere assoluto e irripetibile quello che la pagina scritta affida alla capacità fantastica ed emotiva del lettore. L‟immagine sullo schermo ha la capacità di materializzare immediatamente ogni figura, ogni ambiente, ogni gesto e di fissarlo in modo indelebile nella memoria dello spettatore e lo stesso accade anche per i tempi, cosicché il passato diventa presente e “i tempi de‟ tempi” diventano “questi tempi qui”.

E‟ ,questo, un argomento centrale nei rapporti tra romanzo e film e vale quindi la pena sentire cosa scriveva Pratolini a questo proposito:

“ Il romanzo accumula fatti e circostanze servendosi delle parole: ha quindi bisogno, per esistere, che il lettore gli presti la complicità della propria immaginazione (…) Dalla descrizione, anche la più minuziosa, dell‟aspetto, della fisionomia di un personaggio, ciascun lettore ne deduce (e reinventa) un‟immagine sua propria a seconda della propria capacità fantastica, delle proprie abitudini, della propria natura (per cui) esistono tanti volti di Renzo e Lucia quanti sono coloro

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VASCO PRATOLINI, Ho ritrovato i poveri amanti nelle Cronache di Carlo LizzanI , in “Cinema Nuovo”, II, 20 , I° Ottobre 1953, p. 207

che ne hanno imparato la storia (…). Al contrario, il film presenta bello ed ottenuto il risultato di questa mediazione (…). Lucia è questa Lucia, ed è così che cammina, si siede e ragiona; la pioggia è questa pioggia, in questo preciso modo Renzo ne resta inzuppato; posò il bicchiere, questo bicchiere e in questo esatto modo lo posò. Il film ha già operato la sintesi tra realtà ed immaginazione.”90

Ma c‟è anche un altro aspetto interessante da mettere in evidenza riguardo al “punto di vista” di Pratolini; un aspetto che riprende il discorso di Lizzani sul “personaggio” e dimostra senza ombra di dubbio l‟identica visione che entrambi ebbero sul ruolo del personaggio che, come abbiamo visto precedentemente, rivestiva un ruolo centrale nell‟analisi di Lizzani..

Ecco cosa scrive, a questo proposito Pratolini:

“ Così come il personaggio è la prima rivelazione che l‟individuo ha di se stesso, in uno con la scoperta e il possesso dell‟immaginazione. (L‟immaginazione medesima è movimento, è essa stessa vita). Il bambino riconoscerà sempre con inconscia delusione i protagonisti delle favole nell‟album che gliele illustra. Acquisita che abbiamo la ragione, accompagnare i personaggi nel corso delle loro vicende romanzesche significa riscattare con le loro gesta la nostra inerzia di lettori.”91

Sempre sui rapporti tra romanzo e film, Guido Aristarco sosteneva che Le Cronache… di Lizzani erano un invito al romanzo ed il primo positivo incontro del realismo cinematografico con la narrativa italiana. Di quale natura era dunque questo incontro tra letteratura e cinema, tra romanzo e film, tra Pratolini e Lizzani ? Pratolini era convinto che il romanzo contemporaneo avesse mutuato dal film quei valori di folgorazione, di sana aridità, di rigore narrativo che sono tra i caratteri più attivi della sua modernità, senza perciò abdicare dalla sua natura di documento. Ecco cosa scrive Aristarco a questo proposito:

“ Il film storicizza il movimento, il tempo del romanzo non è mai il tempo del film e viceversa; non esiste tra di essi contemporaneità narrativa (d‟azione) e di ritmo (di stile). Nel romanzo la vita è fatalmente rivissuta, mentre nel film è colta nel suo accadimento reale. Sembra invece incontestabile al Pratolini il fatto che tra film e romanzo esiste un rapporto di solidarietà, per meglio dire di affinità elettiva: una attrazione reciproca, una simpatia tra le due narrative, una consonanza di idee.” 92

E‟ in questo ambito che avviene l‟incontro tra Cronache… romanzo e Cronache… film, un incontro che è comunque il frutto dell‟attrazione reciproca di intellettuali

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VASCO PRATOLINI , Per un saggio sui rapporti fra letteratura e cinema , in “Bianco e Nero”, IX, 4 giugno 1945, pp. 17 - 18

91

VASCO PRATOLINI , op. cit. pg 16

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militanti e che si fonda su una maturazione di coscienza e su un‟esperienza umana fatta attraverso la frattura provocata dalla guerra.

Come abbiamo già scritto, la lettura del romanzo fa sentire a Lizzani l‟esigenza della costruzione del personaggio, visto da una nuova prospettiva, dentro un più equilibrato rapporto tra uomini e società.

Nel leggere Le Cronache… e quindi nel raccontarle per “la seconda volta” (sullo schermo), quale “complicità” della propria immaginazione Lizzani ha prestato al romanzo? – si chiede Aristarco – Quale “intelligenza, stato d‟animo, salute” ha subordinato al “movimento” del racconto letterario ?

Indubbiamente, e lo stesso Pratolini lo conferma, Lizzani ha saputo creare per ogni personaggio una fisionomia da cui ogni spettatore deduce o reinventa un‟immagine sua propria a seconda delle proprie capacità fantastiche, delle proprie abitudini, della propria natura.

Ma, e forse questo è un limite del film, la paura di tradire in qualche modo il romanzo, ha creato nel regista una specie di complesso che lo ha costretto a una eccessiva fedeltà alla materia offertagli dal libro, determinando un atteggiamento in un certo senso “contemplativo” e questo gli ha impedito di individuare, al di fuori e al di là di quella “inventività” narrativa che lo percorre da cima a fondo i limiti del romanzo.

Perché Pratolini, come osserva Niccolò Gallo, nel suo “dichiarato realismo arriva al racconto lungo e al romanzo , solo mediante una particolare tensione lirica, assumendo vicende e personaggi in qualche modo simbolici; sotto la sua libertà d‟invenzione – apparentemente legata alla cronaca – agiscono le medesime ambizioni figurative nutrite da gran parte della narrativa contemporanea, legata al suo processo di lento smaltimento di suggestioni e climi letterari. I suoi sbalzi di narratore vanno individuati nell‟interno dissidio tra la sua fedeltà a immagini e ombre della propria formazione letteraria e l‟impegno di una narrazione libera, spiegata, che trova il suo più fedele respiro (…) nel tessuto poetico di tutta la sua letteratura precedente.”93

D‟altra parte l‟esigenza storicistica di Pratolini non escludeva i simboli e sarà lui stesso a dichiararlo quando scrive nelle Cronache… che la gente per lo più analfabeta agisce secondo il proprio istinto ed ha quindi bisogno di simboli per accedere alle idee e quindi, nell‟interpretazione dei “cornacchiai” Fascismo è Carlino, Antifascismo è Maciste.

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Ecco, come scrive Aristarco, forse un grosso limite è stato questo: di raccontare una situazione reale, quella relativa agli anni 1925/26, come una “cronaca” e “cronaca” nell‟interpretazione di un cornacchiaio fermo con la memoria a quell‟epoca senza calarla invece nella prospettiva in cui quella cronaca rivive a distanza di anni, in relazione a una realtà che è cambiata e ad una formazione

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