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PARTE SECONDA Giorgio Bassan

Corrispondenze e diversità tra romanzo e film

PARTE SECONDA Giorgio Bassan

Passando adesso al secondo autore che mi sono proposta di analizzare e al film ispirato al suo racconto, vorrei anticipare alcune premesse.

uscita, il 1946 che è lo stesso del romanzo di Pratolini.

Sulla poesia degli esordi, lo stesso Bassani dichiarò che non avrebbe L‟idea di stabilire una correlazione tra Pratolini e Bassani è nata da alcune coincidenze che ho trovato significative.

La prima: Bassani esordisce come poeta con “Storie dei poveri amanti e altri versi”, nel 1945/46; a questo primo volumetto segue “Te lucis ante” nel ‟47 e “Un‟altra libertà” nel 1951. Successivamente le poesie composte dal ‟42 al ‟50 furono raccolte nel volume “L‟alba ai vetri”, edito nel ‟63 (in cui il titolo della prima raccolta scompare per dar luogo a quello più generico di “Primi versi”).

Ora, questa mi è sembrata una coincidenza; da una parte il titolo “Storie dei poveri amanti” che richiama “Cronache di poveri amanti” di Pratolini e dall‟altra l‟anno di mai potuto scrivere niente se non avesse prima scritto “Te lucis ante”.

Molti critici hanno sottolineato il fascino singolare della prima poesia di Bassani fatta di cadenze musicali e di attenzione alle cose quotidiane, ma c‟è da aggiungere che già nelle prime pubblicazioni di poesie si presentano, come sorgente lirica, alcuni importanti elementi della sua biografia poetico – geografica: Ferrara, città e campagna, l‟ambiente israelita, i recuperi della memoria, il valore del tempo, il particolare rapporto con la famiglia, con l‟amore, la vita e la morte.

Inoltre, per quanto riguarda la Ferrara delle poesie giovanili è lo stesso Bassani che scrive che la sua terra gli “si mostra attraverso i colori intrisi d‟una luce come velata”, quella delle tele dei pittori ferraresi e bolognesi del Cinque e Seicento.

La linea di Bassani denuncia, insomma, per segni evidenti i suoi stretti legami con l‟opera narrativa dello scrittore sia per l‟intonazione religiosa che la caratterizza, sia per le nervature prosastiche delle sue strutture.

Già lo stesso Montale in una sua recensione a “Storie dei poveri amanti” apparsa ne “ Il mondo artistico e letterario” del 1 dicembre 1945 scriveva:

“ In lui il prosatore si avverte anche nel tessuto del verso che rifugge da ogni astrazione sonora e che si vale di un linguaggio che è realistico, ma non contraddice mai alle possibilità tonali della lirica…”

La seconda coincidenza riguarda invece i personaggi e il loro ruolo.

Nel racconto “La notte del „43”, il farmacista Pino Barilari è costretto, a causa di una malattia venerea contratta, pare, ai tempi della sua partecipazione alla Marcia su Roma, a vivere su una sedia a rotelle e passa quasi tutto il suo tempo dietro la finestra del suo appartamento posto proprio sopra la sua farmacia, a spiare il viavai della gente che transita per corso Roma, davanti al castello estense.

Nel romanzo di Pratolini, la “Signora” , anche lei semi – invalida e costretta quasi perennemente a letto, spia, anche se con gli occhi delle sue aiutanti, tutto ciò che avviene in via del Corno.

Entrambi questi personaggi sono accomunati da una finestra che è una specie di terzo occhio.

L‟ultima e forse più importante coincidenza riguarda gli argomenti trattati nel romanzo e nel racconto.

Nel romanzo di Pratolini, uno dei momenti di maggior tensione è rappresentato dagli avvenimenti che si verificano nella cosiddetta “Notte dell‟apocalisse”, quando vennero uccisi a Firenze dalle squadracce fasciste, per ritorsione, alcuni esponenti dell‟antifascismo locale.

Nel racconto di Bassani si narra l‟omicidio di undici antifascisti ferraresi, fucilati nella notte tra il 14 e il 15 dicembre del 1943 davanti al muretto del castello Estense in corso Roma, dai fascisti repubblichini comandati da Carlo Aretusi (detto Sciagura).

La ritorsione ,nel primo caso, riguardava l‟omicidio di un fascista, un certo Anfossi, (ucciso tra l‟altro, pare, dal fuoco amico dei suoi camerati che stavano cercando un sovversivo di nome Tribaudo.)

La ritorsione, nel secondo caso, doveva servire a vendicare l‟assassinio del Federale di Ferrara, Bolognesi. In realtà, nel film, era stato lo stesso Aretusi (Sciagura) a

commissionare a un suo sicario di fiducia l‟omicidio perché voleva prendere lui il posto di Bolognesi: nel racconto invece il mandante non è specificato, anche se si parla genericamente di un‟azione partigiana.

Prima, però, di entrare nel merito del racconto mi sembra opportuno inquadrare a livello tematico il contesto in cui va collocata la narrativa di Bassani.

Nota, a questo proposito A.A. Rosa che tra gli anni ‟50 e i ‟60 videro la luce una serie di opere che proseguivano a modo loro la ricerca realistico – storica della fase precedente ma al tempo stesso mostravano eloquentemente a quali esiti di compromesso essa dovesse approdare.

“(…) intendiamo riferirci a libri fortunati come Il Gattopardo (1958) di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, La ragazza di Bube (1959) di Carlo Cassola e Il Giardino dei Finzi – Contini (1962) di Giorgio Bassani. Cos‟hanno in comune queste tre opere diverse di autori così diversi come quelli che abbiamo ricordato? Hanno in comune la pessimistica svalutazione del piano storico, la decadente esaltazione dei sentimenti, l‟apprezzamento positivo della memoria, del ricordo: tutte cose estremamente rispettabili, e in altri momenti propizie ad operazioni di grande penetrazione artistica e conoscitiva; ma ora (…) ridotte ad elementi compostivi di un quadro esistenziale a bella posta collocato tra il buono e il cattivo, tra la felicità e l‟infelicità, tra il sentimento e la storia, che sembrava costruito per combaciare perfettamente con l‟immagine di sé che un pubblico medio – colto poteva essersi fatto uscendo dalla disillusione resistenziale e aspettandosi che qualcuno lo facesse protagonista di una storia capace di renderne il senso.”125

Quello che vuol dire Asor Rosa è che questi autori, ognuno a modo suo, cercano di uscire dalla ricerca stilistica del neo – realismo che, comunque, privilegiava l‟elemento ideologico su quello formale, per approdare ad un tipo di scrittura che realizzasse il massimo possibile della soggettività, riuscendo però a dimostrare la sua sostanziale coincidenza con l‟essenza della storia, utilizzando le componenti tipiche di una cultura letteraria decadente ma innestandole su storie la cui struttura tematica e ideologica era ricavata dalla capacità di elaborazione fantastica delle grandi masse di lettori di quegli anni.

Asor Rosa vuol dire, in sintesi, che quando il neorealismo si fa più intimista (ed è il caso di Cassola e Bassani) ed utilizza un nuovo linguaggio contribuisce a creare un mercato editoriale moderno.

Non è un caso che ho citato Bassani e Cassola, perché questi due autori si possono considerare gli anticipatori e gli autori più emblematici della crisi ideale, morale e

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stilistica che investì una zona abbastanza vasta della letteratura italiana intorno al 1956 – 57.

Nota, a questo proposito, Gian Carlo Ferretti:

“ Che la crisi precipitasse proprio intorno al 1956 – 57, era più che logico; la sfiducia negli ideali antifascisti diventava fatalmente sfiducia in una soluzione classista ai problemi della società italiana. Questi scrittori rimettevano in discussione l‟intero loro curriculum. Ma (…) non si trattava di una crisi puramente negativa, anche per il fatto che essa nasceva molto spesso, nel vivo delle opere, dallo scontro con i problemi più brucianti della realtà contemporanea. Al fondo di quel crollo di ideali si poteva cogliere, più o meno cosciente, l‟esigenza e talora lo sforzo di stabilire un rapporto diverso con la realtà, di superare anche nella tematica la fase della letteratura di guerra e di dopoguerra, per passare ad una più diretta partecipazione e ad una assunzione più intima e consapevole della società italiana contemporanea, con i suoi nuovi problemi e istanze.”126

Il momento della crisi appare prevalente negli “autori di mezzo”. 127

Nei racconti, romanzi di Bassani e Cassola tornano con una certa insistenza i dissidi originari, ma con un‟accentuazione nostalgico – moralistica e neorealistico- elegiaca, che nasce dalla contrapposizione tra “età eroica” dell‟antifascismo e dopoguerra come completa involuzione politica e morale, tra un mondo di valori collettivi che si sente irrealizzabile e lo scandaglio autosufficiente della propria coscienza individuale.

Ma, sempre in quegli anni, emergevano problematiche legate ad una nuova realtà in cui si colloca la produzione narrativa di argomento operaio e industriale, investendo direttamente i problemi della società italiana uscita dalla Resistenza e passata attraverso le lotte del dopoguerra.

E‟ vero che le figure e i problemi del mondo industriale e operaio, erano già apparsi anche prima, più o meno direttamente con Bilenchi, Vittorini, Pavese, Pratolini, ma solo ora si assiste ad una vasta e consapevole produzione di opere ispirate alla fabbrica e alla grande città moderna e solo in questi anni si ha per la prima volta nella storia della letteratura italiana, un fenomeno del genere.

Questo aspetto era stato colto in modo significativo da Rossana Rossanda che così scriveva:

“ La loro tematica, schematicamente polarizzata fra il volume del Vallini e quello dell‟Ottieri 128

resta una descrittiva della condizione operaia, nella quale o si smarrisce la classe o si smarrisce la

126

GIAN CARLO FERRETTI , Letteratura e ideologia , Editori Riuniti, 1974, pp.19 - 20

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Per “generazione di mezzo” si intende quella cui “è toccata in sorte”, secondo la definizione di Niccolò Gallo “di temprare una lezione culturale precedente acquisita, di saggiarne la vitalità nel quadro di una visione drammatica di avvenimenti”; la guerra, cioè, e la Resistenza ( in “Società” , settembre 1951, p. 403)

persona. Il Vallini, uscito di fabbrica, provato dalla pesantezza del lavoro non meno che dalla difficoltà o dalla sconfitta sindacale e politica, sembra fuggirne ogni carattere di generalità, alla ricerca dell‟individuo, della persona smarrita e avvilita, o isolata; e ci offre delle creature quasi spogliate dalla loro condizione di classe, materia vivente piuttosto d‟una psicologia per una storia, che già storia. L‟Ottieri ci dà invece la fabbrica, la macchina produttiva: così subita da sbiadire i suoi personaggi, immagine negativa d‟una condizione umana rimasta ancora inespressa. Ambedue , come del resto quasi tutta questa letteratura, sotto il segno della frustrazione: la condizione operaia assunta come il vivente ripiegato in sé” 129

C‟è insomma, in questi anni, una sorta di “limbo” narrativo che vede una crisi della stessa struttura narrativa e del tessuto stilistico.

Ma questo discorso può essere più semplicemente esemplificato se diamo una rapida occhiata al panorama editoriale coevo alle “Cinque storie ferraresi” che esce appunto nel 1956.

Solo due anni prima, nel 1954, era uscita “La Malora” di Beppe Fenoglio e nel 1955 vede la luce “Ragazzi di vita” di Pier Paolo Pasolini; sempre nel 1954 “Signorina Rosita” di Pizzuto e nel 1959 “Donnarumma all‟assalto” di Ottieri.

E questo, per restare cronologicamente vicini alla data di pubblicazione delle “Cinque Storie ferraresi”, perché, se ci spostiamo al 1962, anno di uscita de “Il Giardino dei Finzi Contini” vediamo che nel 1963 esce “Una questione privata” di Beppe Fenoglio e , proprio nel 1962 “Memoriale” di Paolo Volponi; nel 1965 “Bauséte” di Luigi Meneghello, “Il Maestro di Vigevano” di Lucio Mastronardi, sempre nel 1962, e “La vita agra” di Luciano Bianciardi.

Bastano da soli questi titoli per darci un‟idea di come le tematiche affrontate da questi autori siano profondamente diverse, ma unite, però da una stessa volontà di interpretare la realtà uscita dalla guerra, sotto diverse angolazioni, raccontando comunque un disagio che trovava la sua ragione di essere e le sue motivazioni profonde nelle ferite inferte dalla guerra finita da poco e da quel fenomeno complesso e variegato che fu la Resistenza.

Emergono, poi, da questi romanzi tipologie esistenziali e personaggi che vivono in maniera drammatica questa fase di transizione, ma i motivi ricorrenti, anche per ricollegarmi a quello che dicevo prima, sono comunque quelli caratterizzati dal

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E. VALLINI, Operai del Nord , Bari, Ed Laterza 1957; e O. OTTIERI, Tempi stretti, Torino, Einaudi, 1957 è una raccolta di testimonianze dirette raccontate in prima persona.

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tentativo si superare il trauma della guerra (Fenoglio, “Una questione privata”; Meneghello, “Bausète”) e l‟ingresso in una società in ricostruzione alle prese con l‟impatto spesso traumatico di una industrializzazione delle origini (Ottieri, “Donnarumma all‟assalto”; Bianciardi, “La vita agra”, Pasolini, “Ragazzi di vita”) Sarebbe indubbiamente interessante, ma ci porterebbe tropo lontani, analizzare con quali linguaggi e quali tematiche questi autori abbiano cercato di rappresentare i cambiamenti anche “epocali” avvenuti nel decennio (e oltre) che va dal 1950 al 1960. E d‟altra parte, se ripetiamo la stessa operazione comparativa con il romanzo di Pratolini, ci troveremmo di fronte a questi scenari: nell‟anno in cui vide la luce “Cronache di poveri amanti”, il 1946, Luciano Bolis pubblicava “Il mio granello di sabbia” e nel 1945 erano usciti “ Il vecchio con gli stivali” di Vitaliano Brancati e “Uomini e no” di Elio Vittorini; due anni prima, nel 1943, Carlo Levi aveva pubblicato “Cristo si è fermato a Eboli” e nel 1947, usciva il libro di Primo Levi “Se questo è un uomo” contemporaneo di “L‟oro di Napoli” di Giuseppe Marotta, “Spaccanapoli” di Domenico Rea, “Il compagno” di Cesare Pavese e “Il sentiero dei nidi di ragno” di Italo Calvino.

Ci troviamo quindi in un panorama editoriale che si colloca tra la fine degli anni‟40 e gli inizi degli anni ‟50; anche in questo caso, da questa sommaria ricostruzione, si può facilmente vedere che le tematiche affrontate da Pratolini trovano varie “corrispondenze” ; anche se in questo panorama compare in modo netto, specialmente nel romanzo di Primo Levi, la questione ebraica.

Ma tornando a Bassani, e al periodo che stiamo analizzando, c‟è da dire che, proprio negli anni che vanno dal ‟50 al ‟60, si parla sempre più frequentemente di crisi del romanzo.

Carlo Salinari, nel suo saggio “La questione del realismo” avanza l‟idea che la crisi del romanzo sorga, in primo luogo, dalla constatazione dello sviluppo tecnico e dalle nuove forme di comunicazione che si stanno affermando. Salinari sostiene che il cinema e la televisione hanno sottratto al romanzo territori vastissimi e questo significa che il romanzo ha visto restringersi il campo dei suoi lettori:

“ Insomma il fatto veramente nuovo, di cui si deve tener conto, è che il romanzo è stato superato dal cinema e dalla televisione.”130

Salinari è convinto che la suggestione esercitata dalle nuove tecniche “visive” non sia estranea al delinearsi di due tendenze della narrativa assai diffuse nell‟arco di tempo che va dal 1950 al 1960.

L‟una è quella della cosiddetta “ école du regard” che si afferma in Francia a che vuole appunto il romanzo visivo , in cui la narrazione sia legata essenzialmente al senso della vista e in cui sia del tutto abolita la psicologia. E‟ una ripresa della vecchia scuola naturalistica su un piano più intransigente e con una logica interna assai più rigorosa.

Ma, come nota Salinari, l‟ideologia ispiratrice di questo nuovo naturalismo non ha niente a che vedere con quella progressiva e democratica di Zola, ma riflette piuttosto quella propria dei gruppi più spregiudicati e moderni del capitalismo monopolistico e che la realtà che vuole rappresentare questo tipo di narrativa riflette una nuova forma di quell‟evasione, di quel disimpegno, di quella fuga delle idee e degli uomini che caratterizzano la letteratura decadente.

Salinari, a questo proposito, cita il giudizio di Bassani che mette in luce quale sia l‟ambiente storico in cui si affermano simili tendenze:

“ Nell‟immediato dopoguerra, Carlo Cassola scrisse due piccoli libri di racconti (“La visita”, “Alla periferia”) che anticipano curiosamente la visività da obbiettivo fotografico di Butor, Robbe Grillet, Nathalie Sarraute. Anche i romanzi di Bilenchi, della stessa epoca, sono prevalentemente visivi. Ma, a quel tempo, in Italia, c‟era il fascismo, la dittatura, la retorica più smaccata, più indecorosa impregnava ogni manifestazione pubblica e privata. In quelle condizioni, l‟assenza dell‟arte, la sua purezza, ebbero una precisa giustificazione e rappresentarono effettivamente una protesta dell‟intelligenza e del gusto contro la noiosa e offensiva volgarità delle sfere ufficiali: “Ora, io sono lontanissimo dal proporre l‟equazione fascismo – gollismo. Eppure…”131

L‟altra tendenza è quella che crede che la rappresentazione della realtà sia ormai un territorio esclusivo del cinema e della televisione e che l‟unica possibilità di romanzo che rimane sarebbe quella del romanzo soggettivo, scritto in prima persona o, nel caso che si utilizzi, la terza persona, affidarsi al monologo interiore. E‟ quindi in questo contesto che si sviluppa la narrativa tra gli anni ‟50 e ‟60. Ma torniamo adesso a Giorgio Bassani.

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C. SALINARI, La questione del realismo, op.cit, pp. 172 174

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Bassani narratore esordisce nel 1940, sotto lo pseudonimo di Giacomo Marchi (a motivo delle leggi razziali che vietavano agli israeliti di pubblicare libri), con un volume di prose intitolate “Una città di pianura”. La raccolta comprendeva. Omaggio, Rondò, Storia di Debora, Ancora dei poveri amanti, Una città di pianura.

Ancora dei poveri amanti è uno squarcio lirico che preannuncia le già citate “ Storie di poveri amanti” del 1945.

Delle cinque prose lo scrittore salverà solo la Storia di Debora che, profondamente rielaborata, assumerà successivamente il titolo di Lida Mantovani.

Le Storie ferraresi nell‟edizione del 1960 (che è quella definitiva) si aprono con un breve racconto, Il muro di cinta, da interpretare come una breve ma intensa variazione su quel tema della morte sempre presente nella narrativa di Bassani. Il racconto è ambientato nel cimitero di Ferrara, nel quale si sta inumando il cadavere di Celio Camaioli; in questa occasione, il nipote del morto, Girolamo, rievocherà un altro funerale familiare.

Un racconto più esteso e il cui testo ha conosciuto più redazioni e diverse intitolazioni è Lida Mantovani.

Come si è detto la storia uscì per la prima volta col titolo di Storia di Debora; poi ci fu una seconda edizione col titolo di Storia d‟amore (in “Botteghe oscure”, 1, 1949); una terza (Firenze, Sansoni, 1953, nella raccolta La passeggiata prima di cena) con lo stesso titolo; una quarta, già intitolata Lida Mantovani (in “Cinque storie ferraresi”, Torino, Einaudi, 1956); una quinta, la definitiva, nelle edizioni 1960.

Lida Mantovani nella sua redazione ultima si presenta come una “storia” esemplare, equilibrata nelle sue parti.

Lida è sedotta e abbandonata da un giovane ebreo di famiglia borghese e agiata., David. Oreste Benetti è invece il devoto artigiano che sposa Lida., dà il suo nome al bambino e poi muore, lasciando alla moglie una modesta agiatezza.

Scrive su questa storia Giorgio Varanini:

“ Lida Mantovani è forse la meno “ebraica” delle Storie farraresi , ma non certo la meno bassaniana, oltre che per la sapiente tecnica narrativa (…), per il pensoso riserbo con cui il Bassani si accosta alle creature umane che convoca nel racconto, e il senso di religioso rispetto con cui ne rappresenta le vicende e i destini. Come ne scrisse il De Robertis, riferendosi all‟edizione del ‟53, ciò che allo scrittore non era “riuscito di dire appieno” nella prima stesura della Storia di Debora , l‟ha bene espresso dipoi, “ non già per aggiunzioni, ma per germinazioni

profonde del tema, meglio infine riposseduto (…) Debora, la madre, David, Oreste Benetti (quest‟ultimo soprattutto) che altra vita acquistano; e le scene, su che solido equilibrio stanno, che pare un contrappunto di parti” 132

Sempre su questa storia mi sembra interessante riportare il giudizio di Gian Carlo Ferretti:

“ C‟è qui quel racconto analitico, quella ricerca ansiosa all‟interno dei personaggi e della città, da cui vengono affiorando interessanti interrogativi morali (…) Anche il paesaggio ferrarese, che tanta parte avrà in tutta la produzione successiva, partecipa intimamente ai rapporti psicologico – morali tra i personaggi e anzi contribuisce alla loro articolazione.” 133

La Passeggiata prima di cena (prima edizione, Sansoni, Firenze, 1953) è forse quello dei racconti di Bassani che nel gioco dei piani narrativi e del flash – back si avvicina più di ogni altra alla struttura della sceneggiatura cinematografica.

E‟ la storia di una ragazza del popolo, Gemma Brondi, che sposa un giovane medico ebreo ferrarese, il dottor Elia Corcos a cui sarà fedele fino alla morte.

Intorno a Gemma e al marito si muovono altri personaggi, come il vecchio Salomone, padre del dottore, e quello di Luisa, la sorella di Gemma che, da sempre innamorata del cognato, resta, dopo la morte della sorella, governante della sua casa.

“ Con una ricerca minuta che non trascura nessun particolare, Bassani sa articolare efficacemente la reciproca incomprensione tra la borghesia israelita di Ferrara (che sente come cosa sua il

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