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La lunga notte del ‘43 Il film

Il film “La lunga notte del „43” è uscito in Italia nel 1960 per la regia di Florestano Vancini; prodotto da Antonio Cervi e Alessandro Jacovoni per Ajace/Euro Iternational/ Metzer et Woog; sceneggiatura: Florestano Vancini, Ennio De Concini, Pier Paolo Pasolini; fotografia: Carlo Di Palma; montaggio: Nino Baragli; scenografia: Carlo Egidi; costumi: Pier Luigi Pizzi; musica: Carlo Rustichelli.

Interpreti e personaggi: Belinda Lee (Anna Barilari), Gabriele Ferzetti (Franco Villani), Enrico Maria Salerno (Pino Barilari), Gino Cervi (Carlo Aretusi), Andrea Checchi (farmacista), Nerio Bernardi (avvocato Attilio Villani), Raffaella Pelloni [Raffaella Carrà] (Ines, sorella di Franco), Isa Querio (signora Villani), Carlo Di Maggio (console Bolognesi), Loris Bazzocchi (sicario), Alice Clements (Blanche, moglie di Franco).

Nel 1960 La lunga notte del '43 venne presentato alla Mostra di Venezia, dove ricevette il Premio Opera Prima. Nel 1961 a Enrico Maria Salerno che nel film interpreta Pino Barilari, fu assegnato il Nastro d'argento quale miglior attore non protagonista. La critica dell'epoca accolse favorevolmente il film sottolineandone l'originalità e il coraggio della lettura storico-politica. Alcuni critici giudicarono però eccessiva la vicenda d'amore tra Anna e Franco, che tra l‟altro non è presente nel racconto di Bassani. Oggi, riconosciuta l'importanza dell'opera, si può rilevare come già in La lunga notte del '43 fosse delineato con lucida maturità il grande tema vanciniano del valore della coscienza individuale e della memoria critica del passato, che sarebbe stato sviluppato in alcuni tra i film più significativi del regista (La banda Casaroli, 1962; Le stagioni del nostro amore, 1966; Bronte: cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato, 1972; Il delitto Matteotti, 1973).

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Questa, in breve, la trama:

Ferrara, autunno 1943. Il farmacista Pino Barilari, infermo a causa di un'infezione venerea, passa le giornate a osservare dalla finestra della sua abitazione ciò che accade nel sottostante Corso Roma e a compilare in modo ossessivo le parole crociate della Settimana Enigmistica. Anna, la giovane moglie che gestisce la farmacia, lo tradisce con Franco Villani, figlio di una famiglia borghese antifascista. Sono i tempi della nascente repubblica di Salò e del nuovo Partito fascista

repubblicano che si ricostituisce a Verona. A Ferrara, uno squadrista della prima ora, Carlo Aretusi detto 'Sciagura', messo in disparte dai neodirigenti, complotta per togliere di mezzo il rivale Bolognesi, federale da lui ritenuto un debole. L'assassinio viene compiuto da un sicario e Aretusi riprende così la carica di dirigente

provinciale. Nel racconto di Bassani la morte di Bolognesi non è attribuita a Sciagura. La colpa del delitto è fatta ricadere sugli antifascisti. Calano le squadre fasciste da Verona e da Padova per fare vendetta. Nella notte fra il 14 e il 15 dicembre, mentre Anna si trova in casa dell'amante, gli squadristi irrompono nelle abitazioni a prelevare gli uomini più rappresentativi dell'antifascismo, fra cui il padre di Franco. Su ordine di Aretusi, undici persone vengono fucilate davanti al muretto del Castello Estense, in Corso Roma. Pino Barilari, non visto, dalla sua finestra è il muto testimone dell'eccidio. È l'alba. Anna, tornando a casa, ha la terrificante visione del mucchio di cadaveri e vede Pino che è ancora alla finestra. L'uno si accorge dell'altra. Anna comprende che il marito sa tutto e sconvolta gli chiede di parlare, ma lui tace, anzi si fa trovare a letto mentre finge di dormire. Anna torna quindi da Franco, decisa a rivelargli la verità, ma questi nel frattempo ha maturato la scelta di fuggire in Svizzera, si rifiuta di sapere e la scaccia. Anna, disperata, lascia la città. Estate del 1960. Franco Villani torna a Ferrara con moglie e figlio svizzeri e inutilmente cerca di avere notizie di Anna. Rivede però Aretusi, a cui finisce per stringere la mano come a un vecchio conoscente. Alla moglie che gli chiede chi sia quell'uomo risponde: "Era una specie di gerarca fascista, ma non credo che abbia mai fatto niente di male". Il film si chiude sull'inquadratura della lapide dei caduti nell'eccidio del 1943.

Esordio di Florestano Vancini, dopo undici anni di documentari, La lunga notte del '43 costituisce uno dei film più importanti sull'Italia fascista. Vancini adattò il

racconto di Giorgio Bassani, ispirato a un episodio reale, e portò sullo schermo una storia che tratta il dopo 8 settembre rappresentando non l'occupazione nazista, ma unicamente la guerra civile fra italiani. Il tema della Resistenza è solo accennato in una breve scena (ideata dallo stesso Vancini e curata nei dialoghi da Pier Paolo Pasolini): durante una discussione, alla decisione di Franco di fuggire in Svizzera viene contrapposta una soluzione alternativa, quella di reagire allo status quo. Come Bassani, anche Vancini sceglie di servirsi di minimi scarti dalla realtà storica. Questo gli permette di prendere le distanze dal dato di cronaca e di amplificare la valenza metastorica del racconto attraverso ulteriori elementi di finzione. Traducendo la complessa organizzazione di Bassani in una struttura narrativa più lineare, Vancini apporta significative modifiche: approfondisce la psicologia dei personaggi,

conferendo spessore al ruolo di Anna; con una brusca ellissi introduce un epilogo che aggiorna gli eventi al 1960, dando un giudizio sulla Storia ancor più amaro e drammatico rispetto al modello letterario. In tal senso, simbolica è la figura di Pino Barilari, la cui infermità fisica e la cui omertà denunciano la deficienza morale e il conformismo di una borghesia infettata dal fascismo sin dalla fase iniziale della sua ascesa (non a caso la malattia di Pino è stata contratta ai tempi della marcia su Roma). Ma Vancini si spinge oltre e sviluppa questa denuncia con l'invenzione del personaggio di Franco: il suo rifiuto di conoscere la verità è il rifiuto della memoria da parte di una generazione che col fascismo stabilisce un rapporto di consenso passivo e di connivenza, incapace com'è di fare i conti con le responsabilità del passato. Tutta la vicenda è immersa nell'atmosfera fosca e angosciosa di una

Ferrara autunnale, in parte reale e in parte magistralmente ricostruita da Carlo Egidi negli studi De Paolis di Roma. Splendido l'uso della profondità di campo nella fotografia di Carlo Di Palma, che spesso agisce sui volti dei personaggi per

sottolineare i momenti più drammatici. Di notevole effetto l'impiego di un allegro motivo di moda (Il barattolo di Gianni Meccia) che, con un forte cambio di registro, segna il balzo temporale al presente. Opera prima di Vancini che risente della sua formazione neorealista intrisa però di

quell'intimismo che verrà definito francese e che caratterizzerà il regista ferrarese, procurandogli accuse di riflusso che esploderanno anni dopo in quello che egli considererà il suo film più importante, Le stagioni del nostro amore, La lunga notte del '43 anticiperà anche il filone dei film denuncia/inchiesta degli anni „60 e ‟70 di cui lo stesso Vancini sarà protagonista con La banda Casaroli, La violenza, Quinto Potere, Il delitto Matteotti, Bronte – Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato e con il televisivo La Piovra 2. L'aiuto regista del film è il ferrarese Renzo Ragazzi grande amico di Vancini - assieme al futuro regista e scrittore Marco Leto. La britannica Belinda Lee, unica straniera del cast, che morirà tragicamente nel marzo del 1961, è doppiata da Lydia Simoneschi mentre Carlo Di Maggio è,

curiosamente, doppiato da Franco Volpi. A causa della delicatezza della vicenda narrata, tratta da un fatto vero (l'eccidio del novembre del 1943 di una decina di antifascisti ferraresi davanti al muretto del castello), Vancini incontrò non poche difficoltà a realizzare il film: i produttori avrebbero preferito che la rappresaglia venisse attribuita ai nazisti anziché ai fascisti ma Vancini tenne duro ed il film fu un grande successo. Il film, per la trama ed alcune sequenze vagamente erotiche che all'epoca erano ritenute scabrose, fu vietato ai minori di 16 anni. I partiti e le associazioni di sinistra e antifasciste, unitamente allo stesso Vancini, insorsero nei confronti di tale divieto, ritenendolo il frutto di una volontà puramente censoria nei confronti dei contenuti antifascisti e accusatorii del film, viste anche le traversie che il medesimo aveva subìto nella sua produzione. Il film fu girato prevalentemente in studio a Roma dove venne ricostruito integralmente il castello estense e l'allora corso Roma. Gli altri esterni vennero girati a Ferrara. Nel corso del film, il ferrarese Vancini (che riuscì a ricreare un clima cittadino ed un pathos incredibilmente

autentici utilizzando anche, come comparse, attori del teatro dialettale locale) omaggiò il famoso cantante ferrarese Oscar Carboni, nel 1943 star della Radio, facendolo citare da Ines (Raffaella Carrà) che dice: "...ieri sera alla radio abbiamo ascoltato Oscar Carboni (...) cantava Primo amore". Mentre sparecchia la tavola, alla sera, Belinda Lee ascolta un programma radiofonico EIAR dove si distingue

chiaramente la voce degli attori Wanda Tettoni e Giuseppe Rinaldi, inoltre la

di Ferrara - oggi demolito - durante la proiezione del film Violette nei capelli che fu un autentico successo di quel periodo. Prima del comizio di Aretusi a lato del Castello Estense vengono diffuse le note della canzone Vincere, vincere, vincere interpretata da Michele Montanari. Questa, in breve, la scheda critica del film che comunque fu accolto in maniera tiepida dalla critica; vediamo di riassumerne i contributi più significativi .

La critica

E‟ interessante la recensione che del romanzo e film fece Oreste Del Buono che ci fornisce una lettura abbastanza originale su Bassani:

“ E‟ uno dei pochi scrittori, per cui fascisti, antifascisti, agnostici, eroi, vigliacchi, persecutori e vittime siano anche essi umani, non schemi, non semplici macchine, ma veramente esseri umani da studiare, da comprendere. Da studiare, da comprendere sempre più, anche se, probabilmente, il senso finale della loro esistenza, dei loro rapporti con gli altri, e dell‟esistenza degli altri è destinata a sfuggire.”205

Del Buono non parla del film, ma evidenzia un aspetto interessante che Vancini ha sviluppato nella sua trasposizione filmica dal romanzo. Non a caso Vancini si è letteralmente inventato il personaggio di Franco Villani “emblematico” in quanto rappresenta la tipologia di quegli italiani “vigliacchi” che preferirono la fuga alla resistenza. E, allo stesso tempo, Franco Villani dà risalto alla figura di Anna che nel racconto appare sì come una donna che tradisce Pino, ma il suo ruolo non è così determinante come nel film.

“Non era trascorsa nemmeno mezz‟ora, invece, che era cominciata per la strada quella gran sparatoria: sparatoria che l‟aveva costretta a rimanere nella casa dove si trovava – la casa d‟un tale, eh già, il nome lasciamolo perdere! – fino alle quattro del mattino.” 206

Ecco, Bassani glissa sul nome dell‟amante e in questo suo essere “generico” c‟è già, in fieri, l‟idea che per Anna “uno vale l‟altro”, c‟è già l‟idea, insomma, che Anna, alla fine, sceglierà il mestiere di prostituta. Vancini, invece, fa di Anna una donna passionale, follemente innamorata di Franco che, alla fine, scacciata in malo modo da lui, sfuma, esce di scena; Vancini ha

voluto porre al centro del suo film una storia d‟amore del tutto assente nel racconto di Bassani, dove Anna sviluppa patologicamente un rapporto morboso – edipico

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ORESTE DEL BUONO, Eroi e vigliacchi in una notte del ’43 in “Cinema nuovo”, 25 maggio 1955, p. 397

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con Pino per poi scegliere la prostituzione come mestiere. La vicenda d‟amore ne “La lunga notte del „43” si svolge incurante degli

avvenimenti storici, è una sorta di “gabbia” isolata dove contano soltanto i dialoghi e le emozioni dei due protagonisti. Guido Aristarco ha trovato molte analogie tra questo film e “Senso” il film girato da Luchino Visconti, tratto dall‟omonima novella di Camillo Boito:

“Franco Villani è una specie di Franz Mahler: non prende coscienza, ma parentele col personaggio viscontiano sono palesi: i legami con Anna Barilari, del tutto egoistici, la ripulsa per la donna quando non gli serve più, il rifiuto di conoscere il nome dell‟assassino del padre, la salvezza fisica quale unica preoccupazione, la fuga in Svizzera, l‟inettitudine insomma alla vita, agli avvenimenti che incalzano.”207

E Anna Barilari, condizionata da un amore e dalla soddisfazione del “senso” troppo tempo attesi, scompare e impazzisce come Livia Serpieri. Una differenza sostanziale tra romanzo e film è fornita anche dall‟epilogo. Ne “La lunga notte del „43”, l‟epilogo contemplato dal film dove un ipotetico turista non si accorge

neppure dei segni dei proiettili chiaramente visibili ancora qua e là sull‟antica spalletta contro la quale furono allineati i condannati a morte. Distratti, anzi stranieri, sono il ragazzo e la madre, straniero lo stesso Franco Villani, che ha preferito la comoda neutralità svizzera e che non ha fatto nulla durante l‟arresto del padre e dopo l‟eccidio, che si è rifiutato di conoscere il nome del mandante e del responsabile. Vancini, con il suo epilogo, elimina il processo a Carlo Aretusi (Sciagura), ma non le riflessioni e le indicazioni di Bassani: “ Io fui soltanto il sodato di un‟idea” ,

continuava a ripetere compiaciuto; “il processo andava avanti a rilento nel caldo e nella noia, suscitando nel pubblico, che accorreva in gran folla ad ogni seduta, un senso crescente di inutilità, di impotenza”. Come nota Aristarco: “ Il regista, con la stretta di mano finale (tra Barilari e Sciagura, n.d.r.), rende più decisa e porta più avanti nel tempo la denuncia di quel vivere degli assassini accanto a noi. Perché gli altri dimenticano i “nostri ieri” 208

Vancini vede, ieri come oggi, secondo Aristarco, solo gli elementi negativi della

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GUIDO ARISTARCO, La lunga notte (Zurlini, Vancini, Pontecorvo) in “Cinema nuovo”, anno IX, settembre 1960, p. 451

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storia , nel passato e nel presente, si ferma, sia nell‟epilogo, sia nella descrizione della “lunga notte” alle involuzioni della vita italiana. E‟ cambiato il ritmo, per così dire, temporale, ma permangono nell‟epilogo le dissonanze e solo queste. Il passaggio di tempo, al dopoguerra, ai nostri giorni, è scandito dalla musica, ma

tale passaggio è soltanto formale, non sostanziale. Alle lugubri note di “ A noi la morte non fa paura. Viva la morte e viva il cimitero” che cantano i repubblichini venuti da Verona la notte dell‟eccidio si sostituiscono i ritmi della canzone di

Gianni Meccia, Il barattolo: “ Rotola, rotola, strada facendo rotola…” In maniche di camicia, sia pure bianca, Carlo Aretusi è spavaldo come un tempo, disponibile e in attesa. Tutto è come prima ? – si chiede Aristarco. Secondo il critico, quella operata da Vancini è più una variante che una “correzione” rispetto al testo letterario: una variante suggerita da esigenze di trasposizione cinematografica (come del resto, per ragioni strutturali, di racconto cinematografico, prende sviluppo la storia d‟amore tra Anna e Franco. Ma, a ben vedere, la prospettiva di Vancini è identica a quella di Bassani e rivela un atteggiamento di sfiducia nei risultati della lotta di liberazione e dell‟antifascismo. Sia Bassani che Vancini esprimono un “amaro e sconsolato risentimento per un dopoguerra che ha dimenticato ben presto” 209

Si tratta tutto sommato di una “resa”, di uno stato d‟animo sconcertante e indicativo, in quanto Bassani partecipò attivamente alla lotta e non meno

sconcertante e indicativo in un giovane come Vancini che vuole parlare dei propri tempi e di sé e aprire un colloquio con gli altri giovani sul passato in rapporto al presente. E , d‟altra parte, questa ricerca ,nell‟annata cinematografica del 1960, non viene tentata solo da Vancini. Se diamo un‟occhiata ai titoli dei film usciti in quell‟anno, troviamo infatti La dolce vita (1960) di Federico Fellini a cui si

contrappone polemicamente Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti e infine L‟avventura (1960) di Michelangelo Antonioni, Estate violenta (1959) di Valerio

Zurlini e Kapò (1959) di Gillo Pontecorvo. Risulta abbastanza evidente come ognuno di questi registi ha cercato, in modo diverso, di fornire una chiave

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G. C.FERRETTI , Bassani, Cassola e l’antifascismo delle generazioni di mezzo in “Il Contemporaneo”, aprile 1959

interpretativa e una lettura diversa del periodo post – bellico; c‟è chi, come Fellini e Antonioni, ha privilegiato di più l‟aspetto esistenziale, quasi ermetico di quegli anni, privilegiando l‟elemento impressionistico – metafisico che traspare dai personaggi e dalle situazioni e chi, come Pontecorvo, ha trattato la “notte e nebbia” nei campi di sterminio tedeschi con un realismo crudo e toccante. E, se i temi dell‟antifascismo, della Resistenza sono connaturati al nuovo cinema, al neorealismo, è interessante notare come molti nostri “ieri” siano rimasti dimenticati. Scrive a questo proposito Guido Aristarco:

“ Il 25 luglio, l‟8 settembre, la liberazione di Mussolini, l‟esordio dei CLN, non potevano non essere riferimenti e punti nodali, decisivi di un cinema dalla Resistenza nato. E‟ vero d‟altra parte che la caduta del fascismo, l‟armistizio, la “repubblica” di Salò, a esempio, non sono mai stati oggetto di singoli film, di una cronaca particolareggiata e tanto meno di una narrazione ampia e distesa. Il neorealismo si è fermato quasi sempre alla “cronaca”, alla constatazione, alla denuncia di certi fenomeni, senza far luce sull‟interiorità di essi fenomeni, in modo da essere oltre che informativo, formativo e in modo completo: da far luce cioè sulla recente storia d‟Italia in chi di quella storia fu protagonista inconsapevole d‟istinto, o in chi ne fu spettatore acritico, o in chi, per la troppo giovane età, non vi partecipò affatto.”210

Il dissidio esistenziale, le crisi d‟identità che compaiono nei film citati sono palpabili e indicativi di un‟epoca che si stava avviando a grandi trasformazioni. Ma l‟ottica con la quale ce la presentano i registi è quasi sempre negativa; non è un caso che i personaggi di Vancini come quelli di Zurlini siano tutti negativi: a Franco Villani, ad Anna Barilari, si aggiungono tutti gli altri: il farmacista paralitico, unico testimone oculare dell‟eccidio, che si chiude nel più completo mutismo, lo stesso padre di Franco, il cui antifascismo è debole e marginale e, nel film, risulta una figura scialba, quasi patetica. Sono comunque personaggi che non mancano di autenticità, di costruzione drammatica. Lo stesso Aretusi, ad es., sfata il mito di certi gerarchi romagnoli che, ancora oggi, passano per bonarie persone dedite più alla buona cucina e al “gallismo” che ai crimini e alla “politica” fascista. Aretusi, nel film, è freddo, cinico e calcolatore. Intervistato se, con questo film, avesse voluto dare un contributo alla Resistenza, Vancini rispose così:

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“ Prima del ‟43 in Italia, l‟antifascismo era un atteggiamento di gusto, di tacito disprezzo (…) Non c‟è dubbio che “La lunga notte del „43” si alimenta di un clima di memoria. Sono legato affettivamente agli anni descritti. Anche gli anni più tristi e più neri della gioventù assumono un tono suggestivo nella memoria. Quindi il film è tutto fondato sui ricordi. Se ho scelto il racconto di Bassani, lo si deve al fatto che in esso ho trovato qualcosa che era già in me.”211

A proposito di questa intervista, Aristarco sostiene, nel saggio citato, che la suggestione della memoria ha portato Vancini a errori di prospettiva e dimenticanze, a omissioni che compromettono una visione unitaria e totale degli anni cui si è affettivamente legati.

“ Giustamente Vancini ricorda, mentre scorrono sullo schermo i titoli di testa, le date più decisive che precedono la restaurazione del fascismo (…) ma ne omette altre non meno cruciali e decisive che si riferiscono alla “Notte del „43”. L‟esperienza storica contesta che in Italia l‟antifascismo fosse allora , e anche prima, soltanto un atteggiamento di gusto (…) e che l‟opposizione armata sia venuta solo dopo il ‟43. La formazione dei primi nuclei armati partigiani ha origini più remote.”212

Aristarco, in sintesi, contesta a Vancini una certa superficialità nell‟affrontare il tema dell‟antifascismo, notando anche come, nel film , l‟unica figura convinta a resistere e a non darsi alla fuga sia il giovane figlio dell‟antifascista che avrebbe dovuto fuggire in Svizzera insieme a Franco Villani e invece rimane e prende posizione; ecco, secondo Aristarco, questa figura, che nel film risulta essere marginale, poteva invece assumere un peso e una dimensione profondamente

storiche. Per il critico, Vancini, riducendo la realtà alla propria memoria, ci offre un film che

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