• Non ci sono risultati.

Repertori e linguagg

Emergono , a questo punto, in relazione a quanto analizzato fino ad ora, in modo assai evidente due degli aspetti più critici che un regista deve affrontare: da una parte i repertori letterari e narrativi cui attingere, dall‟altra il tipo di linguaggio che riesca a tradurre quei repertori nella loro “traduzione” filmica.

Nel suo saggio “Il discorso delle immagini” Lizzani scrive che il cinema non ha avuto il tempo di articolarsi in quella varietà di modelli, di metriche, di tipologie e generi che caratterizzano la letteratura, la musica, le arti plastiche e figurative.

Scrive Lizzani:

“Dopo la conquista, da parte del cinema, dello statuto d‟arte, si è passati alle analisi di tipo semiotico, alla verifica delle unità grammaticali e sintattiche, ai problemi della codificazione o trascrizione in simboli (dal linguaggio alla lingua) già sondati dalle prime estetiche del film, trascurando però il fenomeno più vistoso (…) e che avrebbe dovuto essere l‟oggetto del primo livello di riflessione: e cioè quello appunto, della egemonia – nel nuovo linguaggio e nel complesso dell‟ istituzione cinematografica (…) di un solo modello, di un solo autentico genere: il film di narrazione.”70

L‟istituzione cinematografica nel suo complesso ha privilegiato, secondo Lizzani, soprattutto dopo l‟introduzione del sonoro, il cinema narrativo che ha di fatto superato quella tendenza che voleva consacrare il cinema a diventare descrittivo e onirico.

Scrive Lizzani:

“ Si è immaginato un cinema, cioè, di Mèliés, tutto fantasia, e un cinema di Lumière, innestato sul ceppo di quelle prime registrazioni documentarie dei fratelli pionieri (…) E il richiamo a quella convivenza Mèliés – Lumière incisa nel suo codice genetico è sempre rimasto inascoltato o è stato interpretato come dilemma tutto e sempre all‟interno del cinema narrativo. E cioè: cinema narrativo realista o di fantasia.”71

Lizzani poi prosegue, citando Metz che in “Semiotica del cinema” sosteneva che l‟incontro tra il cinema e la narratività è un fatto storico e sociale, un fatto di civiltà,

70

C. LIZZANI, Il Discorso delle immagini (Cinema e Televisione: quale estetica?), Marsilio Editori, Venezia, 1995, pp. 45 - 46

71

stupendosi che le asserzioni di Metz non siano state riprese nel discorso sui “generi” cinematografici.

Scrive Metz:

“ Nel regno del cinema, tutti i generi non narrativi – il documentario, il film tecnico, ecc – sono diventati province periferiche, contee, per così dire, mentre il lungometraggio di finzione romanzesca che si chiama (…) un film tout – court, tratteggiava sempre più nettamente la via maestra dell‟espressione filmica.”72

E, per rendere ancora più plausibili le sue tesi, Lizzani cita anche André Bazin che aveva fatto, ancor prima, della narratività del cinematografo, l‟esito di una parabola in cui il romanzo è quasi predestinazione.

Scrive infatti A. Bazin:

“ Oggi finalmente si può dire che il regista scrive direttamente in cinema. L‟ immagine - la sua struttura plastica, la sua organizzazione nel tempo – dato che si appoggia a un maggior realismo, dispone così di molti più mezzi per piegare, modificare dall‟interno la realtà. Il cineasta non è più soltanto il concorrente del pittore o del drammaturgo, ma finalmente l‟uguale del romanziere.”73

La conclusione a cui arriva Lizzani è dunque quella che i “generi” di cui si parla sono solo le categorie, i sottogeneri di un macrogenere, il cinema narrativo.

Il discorso sui “generi” implica, come abbiamo visto un rapporto diretto con la letteratura; a questo proposito Lizzani sostiene che il rapporto del neorealismo con la letteratura fu un rifiuto della letteratura populista da una parte, dall‟altra rifiuto della letteratura “cosmopolita” che stava dietro i telefoni bianchi e, prendendo spunto dalla domanda su che cosa apparenti il neorealismo alla letteratura, sottolinea il vincolo di parentela tra cinema italiano e letteratura, sia per gli anni ‟30 che per il periodo posteriore.

Per Lizzani ci sono tre periodi fondamentali nel cinema italiano in perfetta sincronia con lo sviluppo della letteratura italiana.

Un primo periodo è quello del tentativo della cronaca diretta, dell‟adesione alla realtà che corrisponde a quanto si è fatto in letteratura nei primi anni del dopoguerra. Il secondo periodo è l‟esplosione del “personaggio”, la ricerca del personaggio nel cinema e in letteratura. Sono gli anni, appunto, in cui Pratolini

72

CH. METZ, Semiologia del cinema, Garzanti, Milano, 1989, pp. 133 - 134

73

collabora col cinema e in cui Lizzani, come abbiamo già scritto, lavora sui personaggi.

Il terzo periodo si sviluppa man mano che il colloquio con la realtà diventa più difficile (dopo gli anni ‟60) e la realtà diventa sempre meno catturabile negli schemi delle ipotesi neorealistiche e realistiche.

Lizzani, poi, evidenzia le differenze tra neorealismo letterario e cinematografico: “ Indubbiamente nel neorealismo letterario non è mancato un forte elemento di soggettività derivata anche dalla cultura che c‟era alle spalle dei neorealisti letterati, negli anni ‟30; una cultura che veniva fuori da Tozzi da una parte, ma anche dal Futurismo, dal realismo magico di Bontempelli, dalla prosa d‟arte di Cecchi; tutto questo non poteva non costituire una specie di attrezzatura da cui il neorealista letterario – anche se avesse voluto – non avrebbe mai potuto sganciarsi completamente, perché era il tipo di strumentazione letteraria nella quale si era formato. E quindi io distinguerei e direi che nel neorealismo letterario l‟elemento della soggettività è molto più

evidente.”74

Lizzani conclude dicendo che, a proposito del neorealismo cinematografico, toglierebbe questa ipoteca letteraria, usata forse più dalla critica che spesso ha sopravvalutato gli scritti rispetto alle opere.

In conclusione del suo discorso sul neorealismo, Lizzani scrive:

“ Neorealismo è definizione giusta se si intende con essa racchiudere il movimento generale di un gruppo di artisti verso la scoperta umana e spirituale del nostro paese. Neorealismo perché, tutto sommato, questo movimento non prende le mosse da oggi, ma si riallaccia ad altri momenti di interesse verso la vita dell‟uomo che la nostra cultura ha avuto nel corso degli ultimi cento anni.” 75

Ma, sempre nello stesso saggio, Lizzani fa una distinzione importante, affermando che se il cinema italiano si muove in un‟atmosfera neorealista, non si può certo dire che i registri diversi che questa atmosfera ha creato siano propriamente realisti. Per Lizzani il realismo è visione chiara della realtà nel suo sviluppo, nella premessa delle sue contraddizioni.

Ma se il discorso sui “generi” e quindi sui repertori della letteratura poteva sembrare addirittura scontato, diversa è la questione che riguarda i linguaggi o meglio il linguaggio che riproducesse in modo realistico le storie che sarebbero state narrate.

74

Cinema e letteratura del neorealismo, in Carlo Lizzani, attraverso il ‘900 op. cit. pp. 212 - 213

75

Certo c‟era la soluzione più facile che era quella di usare il dialetto e in effetti in molti casi fu fatto, anche se non bastava far parlare i personaggi in dialetto per farli apparire veri.

L‟unica soluzione poteva essere quella di definire il dialetto come un attributo solo di verosimiglianza e non di verità e realtà, senza negare che il dialetto potesse comunque diventare un veicolo verso il realismo.

Scrive a questo proposito Lizzani:

“ Da quando il cinema ha cominciato a balbettare, accanto alla querelle arte – non arte (era quella Lumière – Méliès) un‟altra questione ha tormentato i sonni di quanti osservavano il nuovo fenomeno: il nuovo linguaggio era o poteva diventare anche una lingua? Si poteva, con il repertorio di immagini offerte dal nuovo mezzo, costruire un vocabolario specifico, autonomo, articolare una grammatica, strutturare una sintassi?”76

Lizzani pensa di sì ed esemplifica dicendo che l‟inquadratura poteva essere il vocabolo, il montaggio forniva certe regole grammaticali di base (il campo, il controcampo) e la sequenza fondava la sintassi.

Il linguaggio scritto e le strutture della lingua scritta e parlata si sarebbero prestate meglio delle grammatiche musicali e figurative o dei codici della scultura, dell‟architettura e del teatro a dare un senso ad un linguaggio basato sull‟immagine e poi sul senso.

Insomma nel corso di quel primo mezzo secolo di vita in cui il cinema andava a caccia di una propria identità, il sogno di una cinelingua, di un vocabolario di immagini, di una grammatica e di una sintassi filmiche è stato molto forte.

I grandi teorici del film erano convinti che il cinema non potesse entrare nel territorio nobile dei linguaggi se non fosse diventato anche una lingua; ma alla fine fu proprio questa esasperata ricerca di un raffronto tra lingua delle immagini con i codici e l‟identità stessa della lingua parlata e scritta originale a ritorcersi contro il sogno della cinelingua.

Così Lizzani analizza le cause di questo fallimento:

“ Ma intanto: perché è impossibile costruire una cinelingua partendo da alcune presenti similarità tra il vocabolo delle parole e quello delle immagini? (…) Perché il cinema non dispone di quella “cassetta degli arnesi” insignificanti ma catalogabili e con i quali, come con i pezzi di un gioco, è possibile costruire più giochi con più possibili sensi. Con le immagini è impossibile, secondo lo

76

statuto di base di ogni semiosi, risalire a quella doppia articolazione che è la chiave di ogni lingua.”77

Lizzani, poi, procedendo nelle sue riflessioni, cita, a conforto delle sue tesi Metz che in “Semiologia del cinema” giungeva alle conclusioni che se la letteratura ha bisogno della lingua, è perché il suono che producono gli organi vocali non ha significato di per sé, ma ha bisogno di essere articolato per acquistare senso, mentre il cineasta non opera sul suono vocale, ma la sua materia prima è l‟immagine, vale a dire la duplicazione fotografica, di uno spettacolo reale che ha sempre e già un senso.

Insomma il cinema può essere linguaggio – lingua anche al di là dei confini più rigidi in cui obbligatoriamente si inquadra la lingua scritta.

Scrive Lizzani:

“ Del resto le difficoltà incontrate negli ultimi decenni da quanti, studiosi o autori, tentavano di fondare una cinelingua non derivavano soltanto dai controlli più severi che il taglio semiotico imponeva ai ricercatori, ma da una profonda trasformazione dei testi, dall‟evoluzione del linguaggio cinematografico: una mutazione particolarmente rilevante dagli anni quaranta in poi.”78

Nascono infatti dagli anni quaranta in poi due nuove tecniche che rivoluzioneranno in un certo modo anche il linguaggio cinematografico: il piano sequenza e il pan focus.

Il pan focus consente a ciascuna inquadratura una profondità di campo in cui le presenze di persone e oggetti, gli enunciati si moltiplicano rendendo più difficile il reperimento di punti codificabili; col pan focus diventano visibili contemporaneamente in ogni singola inquadratura, più azioni, più personaggi. Il contrappunto, possibile prima solo attraverso il montaggio alternato di più immagini, si trasferisce all‟interno di ogni singola inquadratura, offrendo quindi al fotogramma una potenza dinamica del tutto nuova che permette anche un nuovo tipo di coinvolgimento per lo spettatore e quindi, di conseguenza, una nuova e più articolata tipologia di linguaggio.

77

C. LIZZANI , Il discorso delle immagini, op.cit., p. 58

78

E così, allo stesso modo, il piano – sequenza, legando in una inquadratura unica più cineparole e addirittura più cinefrasi, rende altrettanto complicata l‟individuazione , nell‟ambito delle due dimensioni, non solo di punti o momenti simili a fonemi e quindi codificabili, ma anche ai tanti possibili cinemi.

Questa osservazione è capitale perché, ad eccezione dei film di invenzione pura o di avanguardia, la totalità del cinema di creazione artistica si è ispirata, per la codificazione del linguaggio cinematografico, a quella che governa appunto il linguaggio parlato o scritto e quindi, al di là delle osservazioni fatte fino ad ora, è da lì che bisogna partire o ripartire.

Scrive a questo proposito Jean R. Debrix:

“ Questo accostamento inconsiderato dell‟espressione cinematografica alla parola e alla scrittura, e da questa all‟espressione letteraria, è fondato o non è che un madornale errore? E‟ quello che vedremo. Tuttavia esso si spiega molto facilmente per il fatto che il pubblico ha sempre domandato al cineasta di raccontargli delle storie, di confezionare romanzi e drammi, cioè di fare in definitiva opera letteraria o teatrale. E siccome la letteratura e il teatro, fonti inesauribili di storie, avevano qualche buon secolo di vantaggio sul cinema, naturalmente i cineasti vi hanno attinto in massima parte non solo la loro ispirazione, ma soprattutto la tecnica di scrittura e conseguentemente la loro estetica.”79

E infatti la parola è un termine astratto, un segno convenzionale che si interpone come un riferimento tra l‟uomo e la realtà, mentre l‟immagine supera largamente il campo ristretto della coscienza intellettuale e tocca la coscienza affettiva.

Quindi l‟immagine cinematografica presenta subito delle priorità molto diverse da quelle della parola, poiché essa elimina ogni intermediario tra la rappresentazione mentale e l‟oggetto, rende inutile l‟intervento delle facoltà concettuali e non sollecita mai i meccanismi del pensiero agente e cosciente.

Non c‟è mezzo d‟azione più potente sul meccanismo della rappresentazione mentale che il film. Un‟immagine risveglia in noi sensazioni brusche e dirette poiché esse si offrono come pure percezioni spoglie di ogni traduzione verbale senza ricorso necessario al linguaggio.

Scrive sempre a questo proposito Debrix:

79

“ Pensiero intuitivo, vita mentale, psiche umana…non occorre altro perché noi comprendiamo che il linguaggio cinematografico è essenzialmente un linguaggio irrazionale, mentre il linguaggio parlato o scritto è un linguaggio razionale.”80

In questo suo breve saggio Debrix trova delle profonde analogie tra l‟immagine animata del cinema e il linguaggio poetico, perché, a suo avviso, l‟immagine animata del cinema possiede funzioni ipnotiche o suggestive che non possono imparentarsi altro che con la poesia in letteratura e quindi il cineasta non si comporterà come il prosatore. Laddove lo scrittore cerca di impiegare il massimo di chiarezza, il cineasta cercherà il massimo di emozione, di suggestione, di efficacia psichica. Nella creazione cinematografica, cioè nella traduzione auditivo – visiva d‟un dramma o d‟un racconto, dovrà sforzarsi non di trattare un “soggetto”, ma di sviluppare un tema, come il poeta. Il suo film non sarà dunque un concatenamento logico di fatti, di quadri e di scene, ma una composizione complessa di elementi auditivo – visivi che prenderà la forma di una specie di sinfonia e infine l‟insieme degli elementi cinematografici sarà animato da un ritmo che opererà come le cadenze della frase poetica o musicale, a volte allegra, a volte lenta, in modo da creare nello spettatore uno stato d‟animo appropriato allo sviluppo del tema filmico.

L‟emozione poetica nasce da un insieme di parole e da una cadenza incantatrice della frase e del verso; la stessa cosa avviene nel cinema dove l‟emozione estetica nasce da un assieme di immagini e da una cadenza sconvolgente della frase cinematografica, cioè della sequenza.

L‟opera dei grandi cineasti è piena di procedimenti cinematografici che sono dei veri procedimenti poetici, e lo vedremo in particolare per Lizzani: il contrasto, lo scorcio, l‟ellissi, l‟inversione, il simbolo…per essi un primo piano ben scelto, uno scorcio felice, dicono più di un lungo discorso.

Si pensi, ad esempio all‟inizio del film “Cronache di poveri amanti”, dove la lunga panoramica iniziale su Firenze e poi visioni che dettagliano sempre di più su antichi palazzi e monumenti “introducono” la voce fuori campo di Mario che anticipa il racconto della sua vita e di quella del quartiere.

80

Si vede proprio dall‟ “incipit” di questo film come il movimento del film si adatta al ritmo psichico dello spettatore e quando lo spettatore è caduto in trance il cineasta agisce su di lui come un ipnotizzatore: provoca in lui un‟allucinazione che ha la rapidità del sogno o del delirio, facendo sfilare sul suo “schermo mentale” una serie di immagini giustamente calcolate come potere di suggestione e ritmo di concatenazione tali da creare in lui il clima del sogno e dell‟incantesimo

Cronache di poveri amanti

Documenti correlati