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Il punto di vista di Carlo Lizzan

Maciste quindi rappresenta il Bene mentre la Signora il Male; sono ambedue dei “personaggi” ed è, infatti, intorno a loro che si sviluppa gran parte della storia. Questo aspetto lo percepì, prima di tutti, Carlo Lizzani che infatti scrive:

“ Cronache di poveri amanti” mi emozionò subito, appena lo lessi, proprio perché, per me fu come una finestra improvvisamente aperta su un paesaggio umano sconosciuto e quasi mitico eppure così storicamente circostanziato, la rivelazione di un mondo che aveva preparato la nostra crisi di oggi e che la storia ufficiale stentava a riconoscere e a descrivere, “Cronache di poveri amanti” mi faceva sentire poi, in maniera particolarmente acuta, l‟esigenza della costruzione del “personaggio”.60

Con questo intervento, in realtà, Lizzani entrava nel vivo del dibattito sul realismo, polemizzando contro la degenerazione naturalistica, il facile bozzettismo, il macchiettiamo, l‟esibizione sessuale. Aspetto, secondo lui, del nuovo compiacimento per il verosimile e di una, invece, sostanziale paura per il vero, per il reale.

Per Lizzani il realismo è quella visione cinematografica che sia o si sforzi di essere studio e interpretazione poetica della realtà che ci circonda, nella profondità e complessità dei suoi conflitti e delle sue contraddizioni.

Scrive sempre Lizzani:

“ Ho sempre precisato che gli ultimi cinquant‟anni della nostra storia, proprio perché i più dibattuti e in fondo meno conosciuti e studiati, potessero essere, in particolare, un territorio fertilissimo di ricerche per tutti coloro che si sforzano di orientarsi secondo un principio realistico nella selva della nostra attuale problematica.” 61

Lizzani polemizza con il rigoroso determinismo cui finiscono per obbedire tanti personaggi del primo cinema italiano realistico in cui ha spesso giocato un ruolo determinante l‟interesse per l‟atmosfera, per l‟ambiente, per determinati eventi storici, per una suggestiva ma indistinta coralità e sostiene che la costruzione di un “personaggio” moderno non dovrebbe far prescindere dalla necessità di dare, a

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C LIZZANI , Attraverso il Novecento, Lindau SRL, 1998 – Torino, pg. 68

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questo personaggio, una maggiore libertà, un‟autonomia, una volontà e tendenza a trasformarsi e a trasformare il mondo da cui finora è stato rigorosamente condizionato.

Scrive sempre Lizzani:

“ I personaggi delle “Cronache” , e in particolare certi personaggi – quelli che ho più amato (e immagino che questo si sentirà chiaramente nel film) – potevano dare un notevole contributo a una polemica di questo genere. Su questa strada si poteva iniziare un discorso, un dibattito. E così io e i miei collaboratori ci siamo messi al lavoro.”62

D‟altra parte questo desiderio di uscire dagli schemi del naturalismo alla Zola, Lizzani lo aveva già manifestato quando, in un‟intervista rilasciata a Fernando di Giammateo, su “Rinascita sarda” (1 – 15 Marzo 1969), al giornalista che lo accusava di aver fatto un lavoro di asciugamento del romanzo, e di averlo ridotto a una storia il più possibile stretta, che cercasse di rendere non tanto il fiume del romanzo originale, quanto proprio il senso della storia, Lizzani risponde:

“ L‟opera di scarnificazione di certa ricchezza del romanzo si comprende se ci si riferisce ai miei interessi verso il cinema, verso la storia italiana e verso la letteratura e il romanzo. Mi spingeva a lavorare nel cinema, allora, l‟esigenza di una ricerca di approfondimento di aspetti della vita contemporanea, approfondimento che portava fatalmente alla ricerca di certe radici, al passaggio dalla Resistenza al mondo che aveva preceduto la Resistenza, dall‟illustrazione o da una certa interpretazione dell‟Italia del dopoguerra all‟esposizione di certe motivazioni storiche di questa Italia che era uscita da una guerra liberandosi e che aveva appunto una storia da raccontare.” 63

Ecco perché Lizzani sceglie il romanzo di Pratolini; perché in quel romanzo, attraverso il microcosmo di via del Corno, c‟è il tentativo di dare un‟immagine di una realtà italiana del periodo precedente la seconda guerra mondiale, cioè il periodo del fascismo.

Lizzani ha quindi privilegiato, nel film, gli aspetti più propriamente storici del romanzo di Pratolini, cioè le azioni dello squadrismo fascista, la vita di una piccola strada di Firenze, di una tipica città italiana nel momento in cui la tempesta politica, dopo la marcia su Roma, si va sistemando, si va conformizzando.

Scrive Lizzani:

“ Ho voluto fare un film che servisse non tanto il romanzo quanto una polemica interna del cinema italiano (…) e questo spiega perché io abbia liberato il film di quelle parti del romanzo

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C. LIZZANI, op. cit. pg. 69

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che, pure interessanti, lo avrebbero reso troppo vasto, privo di quegli obiettivi precisi che io perseguivo.”64

Nello sviluppo dell‟intervista, Di Giammateo “accusa” Lizzani di aver fatto scomparire nel film molti personaggi che nel romanzo avevano un‟importanza notevole perché servivano a dare il coro a Via del Corno e di aver descritto solo i personaggi fondamentali che devono svolgere la loro funzione fino in fondo e di avere in qualche modo “ingentilito” il romanzo attenuando la descrizione di certi episodi come quello dell‟uccisione di Maciste.

Emblematica, a questo proposito, la risposta di Lizzani:

“ (…) Con il film tratto dal romanzo di Pratolini, così come più tardi per Visconti con “Senso”, si voleva tentare questo passaggio, si disse allora, dal neorealismo al realismo (…). Questa volontà di essere asciutti può darsi che qualche volta abbia portato a quello che tu dici ingentilimento, ma che più di ingentilimento si potrebbe dire una volontà di evitare qualsiasi forma di retorica.”65

E infine, alla domanda che gli viene posta se pensi di essere rimasto fedele nella sostanza al romanzo di Pratolini, ecco cosa risponde Lizzani:

“ Il romanzo ha questa ambiguità, il suo testo offriva da una parte il pretesto per fare una delle cose più avanzate che si potevano fare allora nel cinema italiano, consentiva un recupero della storia che il neorealismo non sembrava orientato a compiere; dall‟altra era o poteva essere una delle più grosse tentazioni per fare un film di carattere naturalistico, decadente, di compiacimento verso un certo mondo di sottoproletariato di tipo zoliano (…). L‟operazione chirurgica che ho compiuto, il tentativo di spostamento dell‟asse, il ridimensionamento della materia, non sono stati fatti in astratto ma nel caldo di un discorso che si svolgeva nel cinema italiano di quegli anni, nella linea di un tentativo di approdo al realismo dopo la grande stagione del neorealismo, cioè dell‟immagine della realtà presa nell‟attimo bruciante in cui si svolge, quando viene invece la necessità di cominciare a studiare le contraddizioni, più palesi che durante la guerra o nell‟immediato dopoguerra. In “Paisà” o in “Ladri di biciclette” i fatti parlavano da soli e, in questo senso, pur trattandosi di un‟osservazione naturalistica, avevano quella trasparenza che li faceva diventare poesia, mentre più tardi, nella società italiana le contraddizioni cominciavano a essere più profonde, quindi bisognava scavare, e ci fu chi tentò, come feci io, di vederne le radici, o chi tentò, come fece De Sica con “Umberto D” di penetrarne alcuni aspetti che non erano più così patentemente neorealistici, aspetti e personaggi minori con i quali si dava alla realtà una visione più angolata, se vogliamo più ambigua.”66

Ho voluto riportare integralmente questa intervista perché riflette una profonda convinzione di Carlo Lizzani. E‟ un po‟ una sorta di sintesi delle teorie che poi riprenderà in un suo saggio a proposito dei rapporti tra cinema e letteratura.

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C. LIZZANI, op. cit, pg 100

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C. LIZZANI, op. cit, pg. 100

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Alla base di queste teorie c‟era effettivamente la polemica con il cinema formalista di Castellani, di Lattuada e Poggioli. Ma c‟era anche e si espresse in modo molto più duro la polemica contro i telefoni bianchi, contro il cinema fascista, contro il cinema astratto, privo di un qualsiasi contatto non solo con la realtà, ma proprio con la cultura.

Il gruppo di “Cinema” di cui Lizzani era uno dei principali rappresentanti riconosceva al gruppo dei “formalisti” una notevole libertà di scrittura, ma criticava la tendenza di questo cinema a prestare troppa attenzione alla realtà letteraria e non a quella del paese.

Scrive Lizzani:

“ Noi vedevamo come più degno di attenzione un approccio alla realtà, attraverso, sì, la letteratura, ma attraverso un tipo di letteratura come quella verghiana che ci sembrava portasse più vicini alle realtà tenute nascoste per oltre vent‟anni dal regime.”67

Lizzani mette in evidenza come il rapporto dei cineasti e dei teorici del neorealismo con la letteratura sia stato molto complesso; intorno ai capolavori del neorealismo lavorano crepuscolari e verghiani, proustiani e surrealisti, marxisti e idealisti, appassionati del Belli e del Porta come di Ungaretti, Cardarelli e Montale, seguaci di Hemingway, di Alain Fournier o di Kafka.

E ancora gli amori di Visconti per il Verga de “I Malavoglia”, quella di de Sica per “Un coeur simple” di Flaubert.

Nella sua “Storia del cinema italiano”, Lizzani evidenzia quanto fosse eterogenea la formazione del gruppo neorealista, ma la domanda che si pone a questo proposito è come mai un fenomeno così eterogeneo che si stabilisce intorno almeno a tre centri, quello rosselliniano, quello zavattiniano e quello viscontiano, si differenzia da tutte le scuole nate nel dopoguerra nel mondo o da scuole nate prima della seconda guerra mondiale.

Perché in paesi come la Jugoslavia, l‟Unione Sovietica, la Francia il tessuto linguistico cinematografico non subisce il terremoto che si verifica per un insieme di opere nel cinema italiano?

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C. LIZZANI in Cinema e Letteratura del neorealismo, a cura di Giorgio Tinazzi e Marina Zancan, Marsilio, Venezia, 1983

La causa, secondo Lizzani, è dovuta all‟ assenza in Italia di una cultura borghese, per la mancanza di una capacità dell‟intellettuale di avere un linguaggio che in altri paesi la letteratura ha reso flessibile.

La letteratura dell‟ „800, la cultura borghese hanno creato nei paesi prima citati un‟attrezzatura linguistica capace di contenere la realtà, una lingua mobile, flessibile che riesce a essere tramite tra l‟occhio dell‟artista e la realtà.

Ecco, secondo Lizzani, questo è il “salto” davanti al quale si è trovato il cinema italiano, il vuoto davanti al quale si è trovata anche, in gran parte, la letteratura italiana.

Partendo dal concetto che il romanzo ha egemonizzato in gran parte totalmente il cinema, il cinema potrebbe avere quindi un registro di espressioni più ricco di quanto non si sia verificato in conseguenza dell‟egemonia di quella struttura.

Ecco cosa scrive Lizzani:

“ E‟ indubbio che con questo cinema noi ci troviamo a dover fare i conti negli anni ‟ 40. Perché il cinema era questo, era struttura narrativa, era lingua, esigeva il dialogo, esigeva una necessità di espressione attraverso conflitti drammatici, ma tutto questo da noi non veniva soccorso da quella ricchezza, da quella struttura, da quel patrimonio letterario dell‟ „800 che la cultura borghese, la borghesia nel suo processo di osservazione della società aveva costruito e strutturato. In che modo dovevano parlare i nostri personaggi? Il dramma del neorealismo, dei film neorealisti era proprio come dovevano parlare. Che tipo di lingua avevamo a disposizione?”68

Per Lizzani, dunque, la creazione del linguaggio cinematografico non è un processo astratto e in Italia la nascita di un linguaggio cinematografico verrà ritardato dalle gravi carenze della nostra cultura.

Scrive Lizzani:

“Ma il cammino del linguaggio, il formarsi di una grammatica, si interrompono laddove comincia la crisi dei contenuti, quando i film, le immagini, non avevano più una sostanza umana, storica di cui nutrirsi (…) Gli austriaci Strohein, Pabst, i tedeschi Dupont, Fritz Lang, Murnau, Wiene, traducono in film gli stati d‟animo e le ribellioni, gli incubi e le evasioni morbose della borghesia dell‟Europa centrale, di quei ceti usciti disfatti e allibiti da una sconfitta sanguinosa e che non portano a termine il loro processo di decadenza (…)”69

E così mentre Chaplin, con il suo personaggio del mendicante solitario ci dava uno spaccato della società americana e nell‟U.R.S.S. Pudovkin ed Eisenstein

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Da Cinema e letteratura del neorealismo a cura di G.TINAZZI, MARINA ZANCAN, Marsilio, Venezia 1983 in Carlo Lizzani, attraverso il ‘900. op. cit. , pg 210

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inventavano un nuovo linguaggio cinematografico, il cinema italiano è ancora legato a film come “La cavalcata ardente” di Carmine Gallone, l‟ “Arzigogolo” di Mario Almirante e i vari Maciste all‟inferno, Maciste nella gabbia dei leoni etc… Ecco il “salto” di cui parlavo prima e a cui accennava Lizzani.

Per Lizzani la storia del cinema italiano ridiventa degna di interesse dal momento in cui appaiono le figure di Alessandro Blasetti e Mario Camerini, i due registi più significativi del secondo periodo del nostro cinema, il decennio 1930 – 40.

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