• Non ci sono risultati.

Curtius, Virgilio e l’idea di Europa

Nel marzo 1946, nel corso di una conversazione radiofonica in tre puntate realizzata per il pubblico tedesco dalla BBC, Eliot, ricordando lo spirito di collaborazione intellettuale ed umana che aveva caratterizzato i fecondi anni di «The Criterion», sottolineava la dimensione sovranazionale e cosmopolita cui aveva aspirato quell’esperienza:

in starting this review I had the aim of bringing together the best in new thinking and new writing in its time, from all the countries of Europe that had anything to contribute to the common good.80

L’obiettivo era stato almeno parzialmente raggiunto, se non confermato e mantenuto negli esiti: nei diciassette anni di pubblicazione della rivista, Eliot era riuscito a radunare attorno al suo progetto editoriale molte delle voci di maggior rilievo ed interesse della scena culturale europea a lui contemporanea e a metterle in dialogo attivando dinamiche di autentica condivisione e di fertile confronto delle idee.

Nella ragnatela di relazioni81 disegnata attraverso l’esperienza di «The Criterion» rientrava anche Ernst Robert Curtius.

Nato in Alsazia, a Thann, nel 1886, esperto di letteratura francese (i suoi primi studi erano stati dedicati a Barrés e a Balzac), Curtius si era posto fin dagli esordi della sua attività critica il problema della difesa della tradizione dell’Occidente attraverso una riasserzione dei valori culturali e spirituali

80 [«Fondando questa rivista avevo l’obiettivo di raccogliere le migliori novità del pensiero e della letteratura del tempo,

da tutti i paesi d’Europa che avessero qualcosa con cui contribuire al bene comune»]. T.S.ELIOT,The Unity of European Culture, in Notes Towards the Definition of Culture, New York, Harcourt Brace and Company, 1949, tr. it. Appunti per una definizione della cultura, traduzione di GIORGIO MANGANELLI, Milano, Bompiani, 1952. Il discorso di Eliot rientrava in un programma radiofonico in tre puntate realizzate per il pubblico tedesco e andate in onda il 10, 17 e 24 marzo 1946. Il testo desunto dalla trascrizione di quelle conversazioni era stato poi pubblicato in appendice a Notes Towards the

Definition of Culture. Nel suo intervento Eliot rifletteva anche sui motivi che avevano provocato il fallimento del progetto

di «The Criterion» e la sua conseguente chiusura, avvenuta nel 1939: «I attribute this failure chiefly to the gradual closing of the mental frontiers of Europe. A kind of cultural autarchy followed inevitably upon political and economic autarchy. This did not merely interrupt communications: I believe that it had a numbing effect upon creative activity within every country» (pp. 119-120). [«Attribuisco questo fallimento principalmente alla graduale chiusura mentale dell’Europa. Una sorta di autarchia culturale è seguita inevitabilmente ad un’autarchia politica ed economica. Questo fatto non ha comportato solamente un’interruzione delle comunicazioni: credo che esso abbia avuto un effetto soporifero sull’attività creativa in ogni paese». Traduzione mia].

81 «Ma quante strade e quanti incontri allora, in una Europa spiritualmente liberata! Rilke tradusse liriche di Valéry di cui

mi mostrò il manoscritto; da Scheler vidi i primi numeri della «Revista de Occidente» di Ortega; Valery Larbaud faceva conoscere Joyce in Francia. […] Esisteva un’Europa dello spirito assai viva, oltre la politica, a dispetto di ogni politica. Un’Europa che non viveva soltanto in riviste e libri, ma nelle relazioni personali». (E.R.CURTIUS,Herman Hesse, in Studi di letteratura europea, a c. di LEA RITTER SANTINI,Bologna, Il Mulino, 1963, pp. 172-192: 173).

che contraddistinguevano l’identità europea.82 Anch’egli acuto osservatore della crisi, rifiutava tuttavia qualsiasi fatalismo di tipo spengleriano, riconoscendo nel declino in atto anche e soprattutto un’occasione irrinunciabile per una più salda ripartenza.83 Anche Curtius, dunque, partecipava da protagonista al vivace dibattito intorno all’idea d’Europa,84 identificando – proprio come Eliot – nel ritorno alla tradizione, ripensata nella sua matrice unitaria, il punto nodale attraverso cui risvegliare «the consciousness of Europe», la consapevolezza identitaria del continente, lacerato da esacerbati nazionalismi (si pensi alla contrapposizione crescente, anche a livello culturale, oltre che politico, di Francia e Germania, contro la quale Curtius si impegnò negli anni Venti in una profonda opera di mediazione85) e in particolare dallo sgretolamento di quell’unità che per il romanista era la caratteristica fondamentale della cultura occidentale.

Nel 1927 Curtius traduceva in tedesco The Waste Land, avviando di fatto la ricezione di Eliot in Germania; nello stesso anno, «The Criterion» ospitava tra le sue pagine un importante saggio del romanista, The Restoration of the Reason, già apparso su «Neue Schweizer Rundschau» e tradotto appositamente per la rivista eliotiana da William Stewart, docente all’Università di Bristol e amico di Curtius (un precedente contributo su Balzac, a firma del romanista tedesco, era stato pubblicato su «Criterion» nel 1924). Era la conferma di una collaborazione (e soprattutto di una amicizia epistolare) che sarebbe durata, con fasi alterne e aldilà di alcune divergenze intellettuali,86 fino alla morte di

Curtius, avvenuta a Roma nel 1956.

82 Cfr. E.R.CURTIUS,Restoration of the Reason, «The Criterion», VI, 5, November 1927, pp. 389-397.

83 Curtius condivideva le tesi di Spengler sul «tramonto dell’Occidente», ma le considerava un punto di partenza piuttosto

che di arrivo. L’epigrafe posta in apertura a Deutscher Geist in Gefahr (Lo spirito tedesco in pericolo, 1932), tratta da Hölderlin, ben riassume la posizione di Curtius in merito: «Wo aber Gefahr ist, / wächst das Rettende auch» (Ma dov’è il pericolo, / arriva anche la salvezza). Per il filologo tedesco, «le forze vitali tramandate dalla nostra cultura hanno mutato migliaia di volte la loro forma ma si sono conservate attraverso tutti i mutamenti»: le epoche di decadenza, nella storia, sono state spesso un momento di incubazione per successive e nuove rinascite.

84 Due importanti convegni sono stati dedicati al ruolo e alle posizioni di Ernst Robert Curtius nel dibattito interbellico

sull’idea di Europa. Mi riferisco a Ernst Robert Curtius et l’idée d’Europe. Actes du Colloque de Mulhouse et Thann des 29,30 et 31 janvier 1992, éd. JEANNE BEM et ANDRÉ GUYAUX, Paris, Honoré Champion Editeur, 1995 (in particolare, si segnala per la pertinenza alle tematiche affrontate il contributo di ANDRÉE THILL,L’image de Virgile chez Curtius, pp.

47-56) e Ernst Robert Curtius e l'identità culturale dell'Europa. Atti del XXXVII Convegno Interuniversitario (Bressanone/Innsbruck, 13-16 luglio 2009), a c. di IVANO PACCAGNELLA e ELISA GREGORI,Padova, Esedra, 2011. 85 Assolve a questa funzione, ad esempio, Die literarischen Wegbereiter des neuen Frankreich (I pionieri letterari della

nuova Francia, 1919), con la quale Curtius intendeva presentare al pubblico tedesco i nuovi autori della letteratura

francese (Gide, Romain Rolland, Claudel, Suarès, Péguy), per favorire la diffusione di una cultura che sapesse superare le diffidenze e i nazionalismi. Il libro ebbe un’ottima accoglienza da parte del pubblico, ma provocò a Curtius aspre critiche da parte del mondo accademico tedesco, per il quale – come ricorda Antonelli nella sua premessa alla traduzione italiana di Europäische Literatur und Lateinische Mittelalter – l’attività scientifica doveva mantenersi indipendente e slegata da interessi e finalità di tipo politico-culturale. Cfr. ROBERTO ANTONELLI, Filologia e modernità, introduzione a E.R.CURTIUS,Letteratura europea e Medio Evo latino, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1992, pp. VII-XXXIV. 86 Un raffreddamento dei loro rapporti avvenne in seguito alla pubblicazione di For Lancelot Andrewes: Essays on Style

and Order (1928), in cui Eliot si dichiarava «classicist in literature, royalist in politics, and anglo-catholic in religion»

I punti di contatto tra i due critici furono numerosi. Medesima era la risposta fornita alla percezione della crisi, la necessità cioè di far fronte (come una «falange») alla minaccia del caos opponendovi saldamente i valori dell’umanesimo europeo con i quali solamente era possibile tentare una ricostruzione:

The intellectual conscience of the European élite must of itself come to rescue here, before some revolutionary Moloch sets fire to our libraries or a new Attila devastates our fields. […] There exists a hidden aristocracy of Europe: […] we should form a phalanx, as Aeneas the penates of Troy, to set them up and do them honour upon the new soil that holds the promise of future greatness. […] On their shoulders rests the responsibility for the preservation, the recovery and the renovation of Europe.87

È un programma elitario, cui corrisponde una politica culturale di stampo conservatore e un’idea fortemente aristocratica della cultura, posizione, questa, largamente condivisa in quel generale e diffuso rappel à l’ordre postbellico e che troverà più chiara formulazione, in Curtius, nel quinto capitolo di Deutscher Geist in Gefahr (Lo spirito tedesco in pericolo, 1932), intitolato, significativamente, Humanismus als Initiative.

Con Eliot Curtius condivideva soprattutto una concezione della tradizione sovranazionale e fortemente unitaria, nello spazio e nel tempo. In maniera analoga al «senso storico» eliotiano, di cui qualcosa si è detto nel paragrafo precedente, anche per Curtius si trattava di operare un recupero del passato che non fosse sterile erudizione,88 ma consapevolezza del suo continuo farsi presente: «per la

1949: «Ma l’aperto europeismo del 1920 non fu che una promessa non mantenuta; Eliot ha sempre più concentrato il suo sforzo verso la revisione della tradizione poetica inglese dal 1580 al 1770. […] Della Francia degli ultimi trent’anni Eliot non ha accettato che Maritain e Maurras: tomismo e Action Française; della Spagna e della Germania, nulla. […] Alle splendide qualità della critica di Eliot si oppone un rigorismo che può arrivare addirittura ad uno sterile negativismo capace di far crollare la sua autorità di critico. Questo devono rimpiangere tutti coloro che considerano dovere della critica salvaguardare il patrimonio della tradizione europea». (E.R.CURTIUS,Thomas S. Eliot II (1949), in Kritische Essays zur europäischen Literatur, Bern, 1950, tr. it. Studi di letteratura europea, a c. di LEA RITTER SANTINI, Bologna, Il Mulino, 1963, pp. 121-164: 161-162).

87 [«La coscienza intellettuale dell’élite europea deve venire in salvataggio di se stessa ora, prima che qualche Moloch

rivoluzionaria appicchi il fuoco alle nostre biblioteche o che un nuovo Attila devasti i nostri campi. […] Esiste una aristocrazia nascosta dell’Europa: […] noi dovremmo formare una falange, come Enea con i penati di Troia, per ristabilirli e tributare loro gli onori dovuti sulla nuova terra che porta con sé la promessa della futura grandezza. […] Sulle loro spalle grava la responsabilità della sopravvivenza, della guarigione e del rinnovamento dell’Europa». Traduzione mia]. CURTIUS,The Restoration of the Reason, cit., pp. 391-396.

88 Curtius sosteneva la necessità del recupero e della diffusione di un classicismo che fosse «the organization of the human

domain by means of Reason that assigns values, imposes standards, decides and directs. This reason created valid forms in the thirtheen and the seventeenth centuries. Our task is – not to resuscitate these forms artificially, but to revive the

spirit which created them, and so to create a form of Reason proper to the twentieth century. Only so will we overcome

letteratura, tutto il passato è presente»89 e questo significa che in qualsiasi momento «posso instaurare un rapporto diretto, intimo, pieno con le opere letterarie di ogni tempo e ogni popolo», in una condizione di sincronia che è caratteristica specifica della letteratura e per merito della quale «la letteratura del passato è sempre in grado di offrire un contributo a quella del presente».90

Nel 1930 Curtius pubblicava la sua ultima opera dedicata specificamente alla letteratura francese,

Einführung in die französiche Kultur (Introduzione alla cultura francese), per allargare la sua

riflessione successiva ad orizzonti più ampi, nello spazio e nel tempo.91 Non si trattava tanto di una svolta radicale, quanto di una progressiva maturazione e messa a fuoco di percorsi epistemologici già compresi nell’opera precedente e che trovavano ora precisazione all’interno di un contesto più ampio. «Col passare degli anni – dirà poi Curtius, guardando retrospettivamente alla propria esperienza – […] la continuità divenne per me più importante dell’attualità: Virgilio e Dante divennero più importanti dei poeti nati dopo la morte di Goethe».92 Torna l’accento sulla continuità della tradizione europea, realizzata nel segno di Virgilio e Dante, cui sarà da accostare la categoria funzionale dell’unità nel processo di ricostruzione dell’Occidente.

Era stato Max Rychner, direttore del «Neue Schweizer Rundschau», a fornire a Curtius l’occasione di scrivere su Virgilio, nell’anno delle celebrazioni bimillenarie per la nascita del poeta. Un secondo contributo sull’autore dell’Eneide, più tardo (1951), sarà invece legato alla figura di Rudolf Borchardt, su cui avremo modo di tornare nel prosieguo di questa analisi.

Per Curtius, come anche per Eliot, Virgilio rivestiva un significato che andava al di là della sua vicenda umana e letteraria e la sua commemorazione, in quel preciso momento della storia, offriva

of the European man» [«l’organizzazione dell’umano per mezzo della Ragione, che attribuisce valori, impone standard, decide e interviene. Questa ragione creò forme valide nel tredicesimo e nel diciassettesimo secolo. Il nostro compito non è risuscitare in modo artificiale queste forme, ma far rivivere lo spirito da cui derivarono, e così creare una forma di Ragione adeguata al ventesimo secolo. Soltanto così noi supereremo i diversi tipi di radicalismo e conseguiremo quel fine che più è importante oggi: la ricostruzione dell’uomo europeo». Traduzione mia]. (CURTIUS,The Restoration of the

Reason, cit., p. 396, corsivo mio).

89 CURTIUS,Letteratura europea e Medio Evo latino, cit., p. 22. 90 Ivi, p. 23.

91 In appendice ai Kritische Essays, Curtius riporta uno scritto apparso su «Die Wandlung» nel 1945 e concepito

originariamente come presentazione per Europäische Literatur und lateinisches Mittealter, nella quale delinea brevemente il percorso che lo aveva condotto (per «un’urgente necessità psicologica») a «cambiare il campo delle sue ricerche»: «Sentivo il bisogno di ritornare agli antichi tempi; oggi direi simbolicamente, agli strati arcaici della nostra coscienza: prima di tutto al Medio Evo romanzo. Al di là di esso, cercavo, senza saperlo bene, la strada verso Roma. Fin dal mio soggiorno, Roma era diventata per me la città santa; e non solo in tutti i suoi stadi storici, ma pure nella sua essenza spirituale, in un senso dunque che trascendeva anche la storia. Così Roma era una patria ereditata non tanto d’elezione, quanto “scoperta”: una meta di pellegrinaggio. Ogni nuovo soggiorno romano aveva rafforzato questo rapporto vitale: mi sapevo legato alla Roma aeterna. Capii, col passare di anni e di decenni, che questo legame nascondeva il segreto di un simbolo. Quando conclusi il mio lavoro sulla Francia, si era aperto qualcosa. La via era libera per immettere nelle mie ricerche il fiume delle esperienze romane». (CURTIUS,Studi di letteratura europea, a c. di L.RITTER SANTINI, Bologna, Il Mulino, 1963, pp. 495-500: 496).

all’Occidente l’irripetibile occasione di una presa di coscienza di sé e di una salvifica quanto improcrastinabile restaurazione:

La grandezza e il significato di Virgilio, la sua missione che non ha trovato e non potrà trovar sostituti in nessuna epoca, non derivano affatto, o per lo meno non derivano soltanto dalla sua importanza personale; non si rivelano che a coloro cui non sfugge cosa il kairos sa aggiungere al singolo.93

Virgilio come garanzia del durevole nel cambiamento, della continuità della tradizione nonostante la discontinuità della storia assumeva un ruolo di primo piano nel programma culturale di Curtius: «la ripetizione è una restituzione, trovare significa ritrovare, e rinnovare è confermare e accrescere i beni acquisiti: ecco il senso dell’esigenza più intima di Virgilio».94

Curtius riconosce a Virgilio quel grado di assoluta perfezione formale95 che già Eliot aveva annoverato tra le caratteristiche che facevano del poeta latino «the classic of all Europe»; tuttavia, la sua importanza, la sua assoluta necessità per l’Europa hanno a che fare con ragioni non solamente di carattere estetico o storico:

[…] credere che le grandi opere siano da interpretarsi […] come “segni”, come “espressioni” del loro ambiente culturale. Proprio Virgilio sembra dar ragione a questa teoria: ma non si va abbastanza lontano se si vede in lui il rappresentante della Roma d’Augusto.

Virgilio è più di tutto questo, e la sua opera non può essere valutata con la stessa misura che si adotta per l’Ara pacis Augustae. Egli è più del simbolico rappresentante dell’eternità romana e della latinità perenne, per quanto elevato e potente egli si riveli in questa funzione. Lo si deve cogliere nella sua assoluta grandezza e validità di artista, nella sfera della sua atemporalità se si aspira alla purezza e alla chiarezza del giudizio estetico. Come fenomeno storico Virgilio è ad un tempo romano e più che romano. Aldilà dei millenni, è il genio spirituale dell’Occidente.96

Curtius affidava a Virgilio una fondamentale «missione storica» che già una volta il poeta latino aveva assolto, nel suo incontro con Dante (e Franco Arato ricorda che si tratta dell’agnizione più

93 CURTIUS,Virgilio (1930), in Studi di letteratura europea, cit., pp. 9-23: 10. 94 Ivi, p. 12.

95 «Virgilio ha creato per l’Occidente il modello di tutta la poesia d’arte; per questo egli è esteta ed è più di ogni altro

poeta, una guida alla cultura estetica». (Ivi, p. 22).

celebre della storia della letteratura medievale,97 aperta da quel delicato e potentissimo «Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte» pronunciato da Dante nel I canto dell’Inferno, v. 79); «fra le miserie del nostro continente ridiventato selvaggio» una nuova «missione» si presentava al poeta latino, riconciliare ancora una volta le molte antitesi storiche e spirituali del continente, per giungere ad una «pienezza carica di senso simbolico».98 Andrà osservato che, al di là di una certa oscurità che contraddistingue il passo, Curtius riservava a Virgilio un’investitura simbolica di enorme rilevanza anche programmatica, un peso culturale che non aveva eguali nella storia dell’Occidente.

Tale funzione traeva la sua ragion d’essere proprio dall’interazione di Virgilio con Dante, a tal punto – scrive Curtius – che essa «fa parte della definizione di Virgilio»:99 senza Dante, Virgilio non potrebbe rappresentare ciò che ad oggi egli rappresenta per l’«uomo europeo». Nella convergenza dei nomi di Virgilio e Dante si era cioè realizzato qualcosa di unico e straordinario:

La concezione della Commedia poggia sull’incontro spirituale di Dante con Virgilio. Nell’ambito delle letterature europee non v’è nulla – o quasi – che possa essere paragonato a questo fatto. La riscoperta di Aristotele nel XIII secolo fu opera di più generazioni, ed avvenne alla fredda luce di ricerche intellettuali. Dante, riscoprendo Virgilio, fece scoccare ad un tratto una scintilla ardente tra due grandi anime. La tradizione dello spirito europeo non conosce nessuna situazione altrettanto sublime, delicata, feconda. È l’incontro dei due più grandi Latini e – storicamente – rappresenta il suggello di quella continuità che il Medio Evo latino ha stabilito tra il mondo antico e il mondo moderno. Soltanto chi sa afferrare Virgilio nella sua piena altezza poetica (trascurata dai Tedeschi dopo il 1770) sarà in grado di apprezzare fino in fondo Dante.100

L’Europa di Curtius convergente nei nomi di Virgilio e di Dante era uno spazio fortemente unitario, latino e cristiano.

La seconda occasione di ripensare al significato di Virgilio si presentò a Curtius circa vent’anni dopo questo primo scritto. Il filologo tedesco fu invitato a partecipare, nell’ottobre 1951, ad una conversazione radiofonica prodotta dalla BBC che intendeva presentare al pubblico inglese la figura di Virgilio. Curtius ripercorre per veloci tappe l’itinerario della sfortunata ricezione di Virgilio in

97 FRANCO ARATO,Virgilio e l’Occidente: Curtius e Haecker, in Ernst Robert Curtius e l'identità culturale dell'Europa,

cit., pp. 131-141: 137.

98 Ivi, p. 23. Si noti la conclusione del saggio, dove Enea diventa simbolo di una condizione universale, condivisa: «Tutta

l’esistenza umana si rispecchia nelle peregrinazioni di Enea sull’aspro cammino verso una seconda terra promessa, che è tanto lontana dalla prima». Nell’«aspro cammino» non sarà forse troppo forzato scorgere una fatica che anche la generazione di Curtius provava in quel drammatico volgere di anni.

99 Ivi, p. 10.

Germania, dove la precoce predilezione di Omero e della Grecia, caratteristica del Romanticismo, comportò la svalutazione della letteratura latina e in particolar modo di Virgilio, considerato un semplice imitatore, inferiore (se non addirittura mediocre) nella potenza epica e nel sentimento. Nel