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Incontrare Enea in Piazza Bandiera

Capitolo III Per un’epica dei vinti:

3.1 L’«ammotorato viandante»: mito e riscrittura del mito nel Passaggio d’Enea di Giorgio Capron

3.1.2 Incontrare Enea in Piazza Bandiera

Se al recupero delle forme tradizionali, sonetto e stanza – «recupero straniante, in funzione di difesa e riparo», come specifica Moliterni303 – viene affidata la sofferta possibilità del fare poesia, è nel ricorso al mito, realizzato nei poemetti, che Caproni rinviene (dentro l’estrema solitudine di un dopoguerra ingombro di macerie fisiche, ma soprattutto di quelle «rovine invisibili»304 ben più difficili da sgombrare)305 un nuovo strumento attraverso cui esprimere e dare voce alle fragilità e alle

302 SURDICH, Giorgio Caproni. Un ritratto, p. 57.

303 MOLITERNI,Poesia e pensiero nell’opera di Giorgio Caproni e Vittorio Sereni, cit., p. 102.

304 È questo il titolo di un racconto di Caproni apparso su «L’Unità» il 12 maggio 1946, dove significativamente l’accento

è posto, con insistente sottolineatura, sul senso di solitudine avvertito in quel primissimo dopoguerra.

305 Oltre ai lutti provocati direttamente dalla guerra, alle sofferenze e alle privazioni di anni veramente tragici, non è forse

da sottovalutare il peso di un altro “dolore”, autentica “rovina invisibile” ma non per questo meno ingombrante, anche nel processo di rielaborazione psicologica dei fatti della guerra: «Qui dovrei dire delle cose dolorose, non so se sia il caso, ma la peggiore delusione che ha provato un uomo della mia età… non ho il coraggio di dirlo, ma speravamo in una democrazia molto diversa dall’attuale, una democrazia che fosse veramente una democrazia e non una partitocrazia, come

tensioni del suo presente.

Punto iniziale di questo avvicinamento al mito di Enea compiuto dal poeta è l’incontro306 con un piccolo complesso scultoreo tutt’ora visibile in Piazza Bandiera a Genova (fig. 3), un fontanile in marmo realizzato nel 1726 da Francesco Baratta307 e collocato, dopo alterne vicende,308 in una delle «piazze più bombardate d’Italia». Il «monumentino» ritrae l’eroe secondo la tradizionale rappresentazione iconografica, attestata già a partire dal VI secolo a.C.: Enea in fuga dalla città in fiamme, nella notte in cui Troia cade, con il padre Anchise sulle spalle e il figlio Ascanio per mano. Da questo semplice spunto “biografico” scaturisce una costellazione di testi di carattere diverso, per lo più prose giornalistiche, dislocate su un arco cronologico che occupa oltre un trentennio di attività letteraria e che attraversa la produzione poetica degli anni Cinquanta per tornare, infine, come motivo ormai cristallizzato nei suoi elementi strutturali ricorrenti, alla pubblicistica d’occasione. È il segno di un’intuizione che sarà sviluppata compiutamente, ad un grado massimo di condensazione del significato, nella poesia, e che trasfigura un dato del proprio vissuto elevandolo (ma il processo avviene, per Caproni, per via di “scavo” minerario) a simbolo condiviso, rappresentativo di un’intera generazione, poiché «partendo dai laterizi delle proprie esistenze, e costruendo con tali laterizi le

effettivamente è oggi. […] io ho visto ragazzi di 18-20 anni che veramente hanno fatto miracoli di eroismo sotto la tortura, tormentati, senza un soldo in tasca, senza mangiare, e oggi, poverini, cosa fanno? Riceveranno magari una pensione di 200.000 lire al mese, è tutto quello che hanno avuto in premio, insomma». (CAPRONI, Era così bello parlare, cit., p. 167). L’intervista fu registrata il 24 gennaio 1988.

306 Il verbo incontrare diventa una vera e propria parola chiave nelle numerose rievocazioni dell’episodio, attraverso cui

trovano subito precisazione le coordinate emozionali entro cui collocare la rilettura del mito messa a punto dal poeta.

307 FRANCO CONTORBIA ha ricostruito puntualmente la storia del fontanile nel suo Caproni in Piazza Bandiera in Per

Giorgio Caproni, a cura di GIORGIO DEVOTO e STEFANO VERDINO, Genova, San Marco dei Giustiniani, 1997, pp. 215- 230. Contorbia rintraccia e identifica anche le probabili fonti utilizzate per la stesura degli articoli sul barchile, in particolare I quartieri di Genova antica: ricordi e descrizioni (Genova, Tip. Fabris, 1935), attribuito da Caproni ad un inesistente Guido Rusconi (in realtà Giulio Miscosi), cui si aggiungono una più antica Guida illustrativa del cittadino e

forestiero per la città di Genova e sue adiacenze di Federico Alizieri (Genova, Sambolino, 1875) e la Guida storico- artistica di Genova realizzata da Domenico Castagna e Mario Umberto Masini (Genova, M. U. Masini, 1929).

Sulla paternità dell’opera era stata fatta, nel tempo, molta confusione; lo stesso Caproni, in un articolo apparso su «La Fiera Letteraria» il 3 luglio 1949, si dimostra incerto sull’attribuzione, ricondotta «chi dice [a]l Parodi, chi, con maggior probabilità, [a]l Baratta», senza alcuna ulteriore specificazione dell’identità dello scultore (GIORGIO CAPRONI, Noi, Enea, «La Fiera Letteraria», 3 luglio 1949, p. 2).

308 «Enea giunse in Piazza Fossatello, a Genova, nel giugno 1844. Aveva prima sostato a lungo in Piazza Soziglia e di là

in Piazza Lavagna, e a riceverlo in Piazza Fossatello furono, se dobbiamo credere al nostro informatore, le bisagnine, cioè proprio le erbivendole le quali “gli fecero buona accoglienza data la comodità ch’esse ottenevano per lavare gli ortaggi. In Piazza Fossatello Enea, pazientissimo, in mezzo alle bisagnine sostò per riposarsi (e certo anche per rinfrescarsi in quella sua strana mansione d’acquaiolo) un periodo di tempo abbastanza proporzionato alla lunghezza e alla durata del suo straordinario pellegrinaggio o esodo da Troia. Fin quando, ancora una volta, nel 1870, ripreso il cammino, proseguì raggiungendo Piazza Bandiera dove tutt’oggi è in sosta» (GIORGIO CAPRONI, Il fuggiasco di Troia si fermò in Fossatello

proprie metafore, il poeta riesce a chiudersi e a inabissarsi talmente in sé da scoprirvi quei nodi di luce che son di tutta la tribù».309

Se è nella poesia che Enea si trasformerà compiutamente in allegoria dell’uomo contemporaneo, la caratterizzazione dell’eroe appare tuttavia subito nitida:

Enea è un uomo il cui destino m’ha sempre profondissimamente commosso. Figlio e nel contempo padre, Enea sofferse tutte le croci e le delizie che una tale condizione comporta. E dico, si capisce, Enea non come progenitore della stirpe Julia, di cui non m’importa un granché, sibbene come un uomo posto nel centro d’un’azione (la guerra) proprio nel momento della sua maggior solitudine: quando non potendo più appoggiarsi a nessuno (nemmeno al padre, vale a dire nemmeno alla tradizione ch’ormai cadente grava fragilissima sulle sue spalle) egli deve operare, del tutto solo, non soltanto per sostenere se stesso ma anche per sostenere chi l’ha sostenuto fino a ieri (il padre, la tradizione) e chi al suo fianco lo segue: cioè anche per Anchise e per Ascanio, e col frutto (tutti lo sanno) che a questo ne seguì.310

Caproni torna insistentemente ad occuparsi del complesso scultoreo dedicato all’eroe troiano: il 20 ottobre 1948 ne parla su «Voce Adriatica» (Monumento ad Enea); il 26 febbraio 1949 su «Il Lavoro Nuovo» (Il fuggiasco di Troia si fermò in Fossatello parlando con le rubiconde bisagnine); il 3 luglio 1949 su «La Fiera letteraria» (con un articolo significativamente intitolato Noi, Enea); il 31 ottobre 1959 su «Il Corriere Mercantile» (Enea a Genova. In Piazza Bandiera); il 17 dicembre 1961 su «La Giustizia» (Un monumento amichevole. Incontro con Enea); nel 1975 ne scrive ancora su «La Fiera Letteraria» e nell’ottobre 1979, interpellato dalla rivista «Weekend», in un articolo intitolato semplicemente Genova, quasi che, nella figura dell’eroe troiano, si potesse riassumere e condensare tutta l’«umanità» della città, tutto il suo significato. Ma Enea compare anche in alcune recensioni311 e soprattutto in numerose interviste,312 prima di approdare come presenza produttiva nella poesia.

309 CAPRONI, In Via Pio Foà con candore e con sgomento, intervista a cura di RENATO MINORE, «Il Messaggero», 17

febbraio 1983. Ora anche in RENATO MINORE, La promessa della notte. Conversazioni con i poeti italiani, Roma, Donzelli, 2011, pp. 37-48.

310 CAPRONI,Enea a Genova, «L’Italia Socialista», 7 ottobre 1948. Ora ristampato in appendice a CONTORBIA,Caproni

in Piazza Bandiera, cit., pp. 229-230: 229. Si tratta della prima attestazione giornalistica dell’episodio.

311 La più significativa è la recensione alla raccolta Poesie dell’amico Carlo Betocchi, uscita per la fiorentina Vallecchi

nel 1955. Betocchi vi viene descritto come un novello Enea, “l’uomo di casa nostra in figura d’operaio più che di intellettuale, che […] va o è andato vagando in cerca d’una nuova speranza da fondare, percorrendo intera quell’umile Italia che scintillante di sabbie marine o fluviali, di bianchi greti estivi dov’egli ha aiutato gli uomini a gettar ponti, alzare argini, affiancare strade dure e squillanti, finisce sempre col ritrovarsi nel volto unico d’una folla, umile nei secoli, che grigia sale in lunga catena sulle piramidi” (GIORGIO CAPRONI, Realtà vince il simbolo nella poesia di Betocchi, «La Fiera Letteraria», 23 dicembre 1956, ora in ID., La scatola nera, Milano, Garzanti, 1996, pp.100-101: 100).

312 Il motivo viene riproposto senza significative variazioni formali e di contenuto (e Caproni si sente quasi in dovere di

scusarsi per le frequenti ripetizioni) in numerose interviste. Volendo ritracciare l’itinerario che attraverso questi testi si delinea, andranno allora ricordati (oltre al già citato colloquio con Ferdinando Camon, ora raccolto ne Il mestiere di poeta, cit., pp. 125-136 («Dei miei genitori, quello ad esser più presente come tale, è mio padre, l’Anchise di quell’Enea in cerca,

Le idee fondamentali risultano tuttavia fissate già nel primo articolo del 1948:

Enea a Genova! Enea che, da Troia totalmente incendiata e diroccata dalla guerra, sia pure in monumento finisce la sua fuga proprio in una delle città più bombardate d’Italia, Enea monumentato lì non giustifica l’eccezionale meraviglia e l’acuta curiosità che subito la scoperta generò nel mio petto? […] cosa c’entra, a Genova, un monumento a Enea?313

A posteriori il poeta tornerà sull’importanza di quest’incontro nella genesi della futura raccolta:

non avrei mai scritto Il Passaggio d’Enea […] se non avessi incontrato, in piazza Bandiera, Enea in persona. Credo che Genova sia l’unica città del mondo ad avere eretto un monumento ad Enea. A Enea secondo la figurazione più scolastica, col vecchio Anchise in spalla e il figlioletto per la mano.

Nulla d’eccezionale dal punto di vista artistico. […] Ma eccezionale è il fatto che giustappunto Enea, scampato dall’incendio di Troia, sia andato a finire proprio sulla piazza più bombardata d’Italia. In quel povero Enea vidi chiaro il simbolo dell’uomo della mia generazione, solo in piena guerra a cercare di sostenere sulle spalle un passato (una tradizione) crollante da tutte le parte, e a cercare di portare a salvamento un futuro così incerto da non reggersi ritto, più bisognoso di guida che capace di far da guida. 314

dopo la guerra e l’incendio, d’una mai trovata nuova terra dove fondare la mai fondata nuova città: di quell’Enea che simboleggia un po’ il destino della mia generazione», p. 130); con Francesco Palmieri, Due domande a Giorgio Caproni, in «Avanti!» (18 novembre 1965); con Maria Luisa Valenti, Giorgio Caproni dai caruggi al Righi, in «Il Secolo XIX» (14 novembre 1972); con Jolanda Insana, A colloquio con Giorgio Caproni. Molti dottori, nessun poeta nuovo, in «La Fiera Letteraria» (19 gennaio 1975), pp. 9-11 («Il mio Enea è quello del monumentino di Piazza Bandiera, a Genova: la piazza più bombardata. Ho visto in lui l’immagine dell’uomo d’oggi (o meglio, degli anni ’50) solo a dover sostenere un passato decrepito e un avvenire ancora incerto sulle proprie gambe», p. 11); con Ada Muntoni Comparini, Il fine ultimo

del poeta è solo quello di far poesia, in «Dulcamara» (3, maggio-giugno 1977); con Guido Garufi, Intervista, in «Punto

d’incontro» (inedita, ma datata 7 ottobre 1980, dove per altro Caproni puntualizza: «Il mio Enea ha poco a che fare con quello di Virgilio. […] Enea che fuggito dall’incendio di Troia era venuto a capitare proprio nella piazza più bombardata della città. Enea non eroe, ma uomo»); con Geno Pampaloni, Intervista, inedita; con Renato Minore, In Via Pio Foà con

candore e con sgomento, in «Il Messaggero» (17 febbraio 1983); con Alberto Toni, Poeta ad occhi aperti, in «Paese

Sera» (6 gennaio 1984); con Isabella Donfrancesco, Tensioni e stupori di un cacciatore, in «L’informatore librario» (2- 3, febbraio-marzo 1984); con Michele Dzieduszycki, Un grande poeta racconta la sua vita: Ascoltate il vate della foresta, in «L’Europeo» (18 febbraio 1984); con Dante Maffia, Intervista a Giorgio Caproni, risalente al 1972-1973 ma pubblicata postuma in «Poesia» XI (113, gennaio 1998). Andranno poi aggiunte due interviste televisive che contengono riferimenti all’Enea caproniano: Settimo Giorno, a cura di Francesca Sanvitale e Enzo Siciliano, regia di Luigi Perelli, registrato a Roma il 12 settembre 1975 e trasmesso il 19 ottobre su Rai Due; Ritratto d’autore. I poeti: Giorgio Caproni, a cura di Franco Simongini, con Giorgio Albertazzi, andato in onda il 17 ottobre 1975. Tutte le interviste citate sono ora raccolte e dunque facilmente accessibili in CAPRONI Il mondo ha bisogno dei poeti: Interviste e autocommenti, cit.

313 CAPRONI, Enea a Genova, cit.

314 CAPRONI, Genova, in «Weekend», VII, 42, ottobre 1979, p. 21. Ma si potrebbe citare anche l’intervista rilasciata a

Jolanda Insana e apparsa su «La Fiera Letteraria» il 19 gennaio 1975: «Il mio Enea è quello del monumentino di Piazza Bandiera, a Genova: la piazza più bombardata. Ho visto in lui l’immagine dell’uomo d’oggi (o meglio, degli anni ’50) solo a dover sostenere un passato decrepito e un avvenire ancora incerto sulle proprie gambe». (A colloquio con Giorgio

Si tratta, si badi bene, di un eroe fragile, profondamente umano: Caproni recupera una figura «meno eroe che uomo», che proprio nell’esibizione della propria fragilità acquista il credito necessario per farsi autentica allegoria dell’uomo del presente. La rilettura di Caproni muove in direzione di una smitizzazione del personaggio: Enea non è qui il coraggioso dux incontrato nelle antologie scolastiche,315 ma un profugo che sosta tra gli ortaggi, «ben accolto dalle bisagnine», le erbivendole del mercato. È un Enea popolare, uomo comune: tuttavia, nota Piera Schiavo, «lo scarto fra l’altezza dell’eroe e la dimessa mansione d’acquaiolo che si trova ad esercitare non getta alcuna crepuscolare scintilla sulla riduzione del mito»,316 anzi, ne riscatta l’autenticità corrosa dall’uso falso ed ideologico che ne aveva fatto la propaganda fascista: non diversamente da altre figure che abiteranno, nelle raccolte successive, la poesia di Caproni, anche Enea appartiene a quei personaggi che, nonostante il crollo di ogni certezza, «nel caos», «riescono a conservare una loro unità e dignità di uomini, sia pure unicamente e paradossalmente basata sul puro e semplice dovere di vivere».317

Il significato di quest’Enea che sorprende e fa commuovere il poeta risiede tutto nella dialettica di relazioni che si istaurano fra passato-memoria, presente e futuro, tra l’essere insieme figlio e padre, in un cortocircuito emotivo cui Caproni aveva già dato e darà voce ancora, quasi vent’anni dopo, anche in poesia.318 Non dunque l’eroe fondatore dell’Impero o il valoroso condottiero, ma

semplicemente un uomo che con fatica tenta di salvare il patrimonio che ha avuto in eredità e nel contempo cerca di ricostruire (rifondare, verrebbe da dire, una nuova Troia: ma tale rifondazione non è più possibile) tra mille incertezze, il suo futuro: tra le macerie non ancora sgomberate di piazza Bandiera, Caproni incontra una figura di drammatica attualità e verità, simbolo della tragica condizione in cui si era venuta a trovare un’intera civiltà. L’Europa, che non aveva saputo evitare gli orrori dei bombardamenti e la barbarie dei campi di concentramento e che aveva ora di fronte l’incognita di un dopoguerra senza certezze, con un futuro «gracile», da ricostruire, riscopre in Enea una figura in cui riconoscersi, in cui trovare il conforto di una possibile identificazione, di fronte al venir meno di ogni valore, di ogni punto di riferimento. Come osserva Adele Dei, «la scelta di questo personaggio, tra i meno frequentati dall’immaginazione letteraria contemporanea, dipende dalla sua

315 «Il fato di Enea!, sentii soffiare al mio orecchio. Ma era una reminiscenza scolastica e subito la scacciai come cosa

indegna e del tutto retorica di fronte a quella minuta statua cariata così dimessa, così umana, così vera» (CAPRONI,Noi,

Enea, «La Fiera Letteraria», 3 luglio 1949).

316 PIERA SCHIAVO, Il passaggio d’Enea di Giorgio Caproni. La seduzione del titolo, in SANDRINI,G.(a c. di), Studi in

onore di Gilberto Lonardi, Verona, Fiorini, 2008, pp. 369-388: 378.

317 FRANCESCO PALMIERI, Due domande a Giorgio Caproni, in Il mondo ha bisogno dei poeti, cit., p. 62.

318 «Portami con te lontano / …lontano… / nel tuo futuro. / Diventa mio padre, portami / per la mano / dov’è diretto sicuro

/ il tuo passo d’Irlanda / - l’arpa del tuo profilo / biondo, alto / già più di me che inclino / già verso l’erba. / Serba / di me questo ricordo vano / che scrivo mentre la mano / mi trema. / Rema / con me negli occhi al largo / del tuo futuro, mentre odo / (non odio) abbrunato il sordo / battito del tamburo / che rulla – come il cuore: in nome / di nulla – la Dedizione». (A mio figlio Attilio Mauro che ha il nome di mio padre, p. 317). Il componimento risale al 1972 e appartiene alla raccolta

dolorosa pietà familiare e insieme dalla sua corrispondenza con un percorso storico e generazionale che tocca da vicino»:319 tocca Caproni come uomo (padre di famiglia; la prima figlia, Silvana, nasce nel 1939, il figlio Attilio Mauro nel 1941) e come poeta, per il valore universale, simbolico, della condizione che Enea viene ad assumere. Proprio la dialettica delle relazioni scolpite, in questo caso, nel marmo di un monumento rende improvvisamente e immediatamente visibile l’interferenza disturbante di passato, presente e futuro, la loro confusa e caotica sovrapposizione provocata dalla guerra, venuta ad alterare l’ordinata e logica successione degli eventi come delle situazioni. È l’avvento del «tempo diviso» in cui i figli muoiono prima dei padri e la tradizione si rivela essere un patrimonio inutile a comprendere il presente, un lascito inutilizzabile e vuoto.320 Rimane solo la dolorosa coscienza dell’impossibilità di ricucire lo strappo, di ricostituire una continuità interrotta per sempre, «gli anni spezzati» narrati nelle Biciclette: in questa prospettiva va letta l’insistita sottolineatura della solitudine di Enea, elemento ricorrente che accomuna prosa e versi.

Il complesso parentale acquista dunque in questa fase un’importanza fondamentale, «assurge al ruolo di sentimento dominante», come nota Biancamaria Frabotta, per la quale padre e figlio risultano, nel

Passaggio, «folgorati insieme dal rischio del transito».321 Diversamente da altri miti che pure

affrontano il complesso nodo emotivo del rapporto padre-figlio (si pensi ad esempio a Telemaco, alla sua attesa di Ulisse e allo sviluppo della loro relazione nel momento in cui il ritorno si realizza), il mito di Enea mostra e mette in pieno risalto le dinamiche parentali nella loro fragilità e nella loro reciproca interdipendenza: non potrebbe esistere Enea senza Anchise sulle spalle, né senza Ascanio da prendere per mano. In questo complesso intreccio di istanze risiede la forza attrattiva del mito e la sua capacità di offrirsi come interlocutore, lungo un percorso che, dopo Caproni, arriverà fino alle soglie della nostra più prossima contemporaneità.

Tra il 1948 (anno in cui avviene l’incontro con il monumento di piazza Bandiera) e il 1954 (a cui risalirebbero le prime stesure di Versi) matura l’avventura poetica del personaggio virgiliano dentro il Passaggio d’Enea, pubblicato infine per Vallecchi nel 1956. Dopo aver costituito l’elemento centrale e strutturalmente portante delle prose giornalistiche, Enea diventa, nella nuova raccolta, l’emblema sotto cui Caproni sintetizza e raccoglie tutta la produzione poetica edita fino a quel momento: nel nome di Enea, dunque, Caproni presenta al lettore un ventennio di intenso lavoro e di

319 DEI, Giorgio Caproni, cit., p. 92.

320 «Nessun’altra sortita di uomini fu più della nostra minacciata di rimanere, nel giudizio affrettato che poteva insorgere

in noi nei momenti di buio sconforto, senza suture tra le precedenti e le successive leve. Venutasi infelicemente a trovare per tutto il tragitto della propria acerbezza, isola non fortunata di solitudine, nella battuta d’arresto ch’è sempre una dittatura, […] un sospetto capzioso veniva a gravar su di essa, e cioè il sospetto d’una sua irreparabile insufficienza». (CAPRONI,La scatola nera, cit., p. 188).

riflessione poetica, con un’importanza attribuita al personaggio resa manifesta fin dalla soglia testuale del titolo.

Il carteggio con Carlo Betocchi, curatore dei rapporti tra il poeta e la casa editrice Vallecchi e grande amico di Caproni, testimonia la lunga e complessa gestazione del lavoro e la laboriosa ricerca di un titolo adeguato: «Carissimo Carlo – scrive Caproni, in una lettera datata 28 settembre 1955 – è inutile ch’io mi sprema le meningi: il titolo nuovo non esce. Così, a tutte le civetterie possibili, preferisco e scelgo una volta per sempre questo frontespizio: Primi e nuovi | VERSI | (1932-1955). È un titolo onesto, dopotutto, e non voglio pensarci più».322 Ma poco dopo Caproni è costretto a tornare sulla sua scelta: «gli ho mandato [a Gozzini di Vallecchi, con cui il poeta era in contatto per la revisione delle bozze] anche il titolo, IL FUOCO DEL CUORE (tolto da uno dei Lamenti, dei quali ne ho messi