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Il «piloto vinto d’un disperso emblema»: il Recitativo di Palinuro

Capitolo III Per un’epica dei vinti:

3.1 L’«ammotorato viandante»: mito e riscrittura del mito nel Passaggio d’Enea di Giorgio Capron

3.2.4 Il «piloto vinto d’un disperso emblema»: il Recitativo di Palinuro

Nel 1936, dando alle stampe la seconda edizione del Sentimento del Tempo, Ungaretti forniva alcune indicazioni sui progetti ai quali stava lavorando in quel momento, includendo tra essi La fedeltà di

Palinuro. Il lungo decennio di lavorazione che porta alla pubblicazione del testo, avvenuta nel 1947

sulla rivista «Poesia», e che conduce, con variazione del titolo, all’inserimento della lirica nel centro tematico e strutturale della Terra Promessa, testimonia non solo delle difficoltà tecniche e dei condizionamenti formali con cui lo schema della sestina obbligava Ungaretti a confrontarsi, ma soprattutto dell’importanza di una figura, Palinuro appunto, alla quale il poeta avrebbe dimostrato, nel tempo, una coerente e «strenua fedeltà», non dissimile da quella attribuita al suo eroe e che ne contraddistingue l’ethos.

Il testo confluito nella nuova raccolta rappresentava, tuttavia, solo il punto di arrivo di un percorso iniziato – lo si è visto in precedenza – ancora negli anni Trenta, con il viaggio in Cilento raccontato nella terza pagina della «Gazzetta del Popolo» e in particolare con una prosa, La pesca miracolosa, datata 5 maggio 1932, nella quale la vicenda di Palinuro risultava delineata con precoce e sorprendente chiarezza. In quel testo risultavano infatti già enucleati i tratti su cui avrebbe insistito la caratterizzazione della figura proposta da Ungaretti, gli snodi attraverso i quali ricostruire anche la storia di una fascinazione profonda ed eloquente per la vicenda del fedele nocchiere d’Enea. Nella puntuale aderenza al materiale virgiliano (corrispondenza tematica: la fedeltà di Palinuro,411 il sonno, la caduta in mare, la lotta dell’eroe contro la morte, ma anche – con un grado maggiore di vicinanza

409 In Il poeta dell’oblio, Ungaretti aveva parlato proprio di rovina come «principio di un disperato restauro nell’oblio da

chiarire»: cfr. UNGARETTI, Il poeta dell’oblio, in Vita d’un uomo. Saggi e interventi, cit., pp. 398- 422: 410. 410 GUGLIELMI, Interpretazione di Ungaretti, cit., p. 155.

411 «non ullum pro me tantum cepisse timorem / quam tua ne, spoliata armis, excussa magistro, / deficeret tantis navis

e comprensione del testo – lessicale),412 Ungaretti interviene ad investire il personaggio di una figuralità nuova, rinnovata dall’apporto della poetica dell’innocenza e soprattutto della memoria.413 Ancora una volta, cioè, la lettura di Ungaretti non è semplice riscrittura del mito, ma potenziamento dello stesso con l’aggiunta di livelli ulteriori di significato: «Va, al timone della sua nave, Palinuro in mezzo al furore scatenato dall’impresa cui partecipa, l’impresa folle di raggiungere un luogo armonioso, felice, di pace: un paese innocente, dicevo una volta».414 Come già il poeta, che in

Girovago aspirava a «Godere un solo / minuto di vita / iniziale», cercando «un paese innocente», così

Palinuro (insons, per Virgilio: “senza colpa”, appunto) diventa qui, per Ungaretti, il simbolo dell’uomo che tenta di riconquistare una sua Terra Promessa, origine edenica e meta del viaggio, «prima immagine» e «ossessiva mira».

Palinuro realizza però che il perseguimento costante di un’immagine, di un’idea, non è sufficiente per assicurarne la realizzazione o l’effettivo raggiungimento: la sua fedeltà è destinata a infrangersi contro la drammatica consapevolezza dell’inanità di qualsiasi tentativo. È una ricerca, ancora una volta, fallimentare; tuttavia, Palinuro rimane «disperatamente fedele alla Terra Promessa»,415 di quella fedeltà straordinario e incorruttibile emblema. Se nel Porto Sepolto – osserva Carlo Ossola – il poeta sembrava aver scoperto «l’allegria del sopravvivere al naufragio e aveva ritrovato il coraggio di ripartire alla ricerca del paese innocente, ora invece egli avverte la follia di tale impresa, necessariamente votata alla sconfitta».416

Paradossalmente, però, è proprio la morte a farsi garanzia e mezzo del recupero ad un livello non corruttibile di esistenza, come già avveniva nel sistema della memoria.

Lo afferma chiaramente la terzina conclusiva del componimento,417 nella quale si scioglie il complesso e articolato gioco delle opposizioni tra le sei parole-rima scelte da Ungaretti (furia, sonno, onde, pace, emblema, mortale):

412 Numerosi lessemi dell’Eneide sono puntualmente riscontrabili anche nella riscrittura ungarettiana; di alcuni di essi

viene rispettata anche la posizione in clausola (è il caso di undae e quies, più volte in posizione di fine verso). Ripresa letterale dell’originale latino è anche «sciolse l’occhio», v. 19, che traduce il virgiliano «lumina solvit» (V, v. 856).

413 In questa prospettiva andrà considerato l’intervento di Ungaretti che sulle due diverse versioni della fine di Palinuro

trasmesseci nell’Eneide (nel finale del libro V, vv. 833-871, il timoniere cade in mare per intervento intenzionale del dio Sonno; nel VI libro, vv. 337-383, la morte dell’eroe sembra invece da imputarsi alle condizioni del mare in tempesta) opera in maniera sincretistica, accettandole entrambe senza contraddizione. Nel Recitativo il sonno non sarà però da intendersi come personificazione della divinità, ma come «furia» che lusinga con il suo «diletto assopente degli ozi» (UNGARETTI,Note a cura dell’Autore e di Ariodante Marianni, cit., p. 798), cioè come condizione soggettiva della

coscienza che, indebolita, conduce al nulla. Quella di Palinuro è, complessivamente, un’esperienza morale.

414 UNGARETTI, Note a La Terra Promessa, in ID., Vita d’un uomo. Tutte le poesie, cit., p. 797. 415 Ivi, p. 798.

416 OSSOLA, Commento a La Terra Promessa, in UNGARETTI, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, cit., p. 1051.

417 Riporto per facilitare la comprensione anche il verso conclusivo dell’ultima sestina, legato da enjambement al primo

verso della terzina finale. UNGARETTI,Il Recitativo di Palinuro, in Vita d’un uomo. Tutte le poesie, cit., p. 290. Sono i

[Ma nelle vene già impietriva furia] Crescente d’ultimo e più arcano sonno, e più su d’onde e emblema della pace così divenni furia non mortale.

Attraverso la morte, mostra l’eroe, l’uomo può sconfiggere la sua condizione mortale perché «ciò che è stato, è stato per sempre» e la sua fedeltà sopravvive, permane, mutata nello «scoglio ingigantito» nel quale essa «ha trovato forma per i secoli».418 Spogliato della sua sostanza umana, della sua fisicità, nel passaggio attraverso la morte, Palinuro assurge ad idea, ad emblema inobliabile, cristallizzato; la sua «disperata fedeltà», distrutta nella sua forma umana, transeunte, si perpetua intatta nel nome, infine «non mortale», come recita la clausola epigrafica su cui si chiude il componimento: nella caducità l’eroe scopre (e ci consegna) la sua verità immortale. 419

Ungaretti affida alla sestina il compito di dare forma ed espressione alla vicenda di Palinuro. Delle estreme difficoltà tecniche che questa forma metrica presentava, il poeta si dimostra ben consapevole, come si evince da una nota manoscritta conservata tra le carte del poeta e oggi offerta nel ricco apparato del Meridiano curato da Carlo Ossola con il commento, oltre che di Ossola, di Francesca Corvi e Giulia Radin:

Fare una sestina è un giuocare agli scacchi. Un poetone, per esempio il Petrarca, sapeva vincere la partita arrivando a risultati musicali supremi. Come Beethoven arrivava a risultati poetici supremi ricorrendo alla sinfonia. Si trattava, sullo schema furia mortale emblema sonno pace, che è quello che l’Eneide propone per delineare idealmente il personaggio di Palinuro, di dare questa volta uno dei momenti della mia opera in preparazione La Terra

Promessa. Come e quando sarà compiuta, lo sa Iddio. Mi nacque nel 1936 e,

si vede, avanzo adagio. Ma quali siano le mie speranze, lo potrà immaginare il lettore…420

Costruita sul modello sperimentato da Arnaut Daniel ed utilizzato poi da Dante e da Petrarca, la sestina421 si presentava come un gioco virtuosistico estremamente complesso, «una spirale, un gorgo

418 UNGARETTI,Note a cura dell’Autore e di Ariodante Marianni, cit., p. 797.

419 Sul valore della morte come “condizione iniziale” e non “terminale”, nella poesia di Ungaretti, cfr. le osservazioni di

Georges Poulet,in UNGARETTI,Il Taccuino del Vecchio. Con testimonianze di amici stranieri del Poeta raccolte a c. di LEONE PICCIONI e uno studio introduttivo di JEAN PAULHAN,Milano,Mondadori, 1960, p. 108.

420 UNGARETTI, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, cit., p. CXXII.

421 La sestina si compone di sei stanze di sei endecasillabi, più un congedo di tre versi (endecasillabi). Le sei stanze sono

di rispecchiamenti lessicali (e fonici) e di opposizioni-confluenze semantiche»422 teso all’esaurimento delle possibilità distributive dei suoi elementi. Le sei parole-rima scelte richiamano gli elementi fondamentali della vicenda mitica e insieme costituiscono una significativa sintesi, osserva Ossola, del «mito ungarettiano della “vita d’un uomo”»,423 proponendo un suggestivo accostamento tra il poeta e l’eroe, autorizzato del resto dallo stesso autore quando scrive che «il poeta (come farà il Palinuro della Terra Promessa) dichiarava […] la sua disperata fedeltà alle immagini, anche se esse non sono se non “illusione dei nostri sensi”»:424 come Palinuro, anche il poeta e la sua parola naufragano, perché impegnati in una quête irrealizzabile, cioè a raggiungere «l’immagine della nostra purezza che ritorna nelle nostre visioni, fuggitivamente», dirà Ungaretti nella Terza Lezione di commento alla Canzone.425 L’uomo, destinato dalla sua caducità biologica alla morte (emblema –

mortale), è sottoposto, nel suo viaggio terreno che non conosce sosta (furia – onde) alle lusinghe del

nulla (sonno – pace), che lo stesso Ungaretti non manca di mettere in relazione al kief, «l’assopimento agognato, […] il diletto assopente degli ozi»426 di provenienza araba. Ma nella morte egli acquista una memoria duratura, diventa emblema autentico (era il punto da cui eravamo partiti, ma l’immagine assume ora la – seppur «ironica» - concretezza del «sasso»), «emblema di resistenza e di vita – come osserva Maria Carla Papini – sfida, disperata, consapevolmente vana, ma pur resistente e salda, al nulla».427

Così, la vaghezza dell’immagine recuperata dalla memoria si condensa infine nel rigore della forma emblematica, rappresentata dallo scoglio, ma anche dall’adozione di una forma metrica come la sestina, caratterizzata da un’estrema fissità e solidità, essa stessa emblema di resistenza al nulla.428

l’ultima parola-rima di una stanza diviene la prima della stanza seguente, mentre la prima diviene la seconda, e così via, secondo lo schema 123456→615243, che genera l’ordine ABCDEF - FAEBDC - CFDABE - ECBFAD - DEACFB - BDFECA. Nel congedo si ripetono tutte le parole-rima, recuperate ad un margine più ampio di libertà dispositiva.

422 PAGLIA, Il grido e l’ultragrido, cit., p. 198. Come esemplificazione di tali confluenze-opposizioni semantiche, si

consideri come Ungaretti vada trasformando gli antonimi in sinonimi e attribuendo a termini positivi (es. «pace») contenuti semici opposti, nella confusione degli attributi (es. quelli della «furia»: a proposito della pace, Ungaretti scrive: «Da echi remoti inviperiva pace». Per un approfondimento, si rinvia a GUIDO GUGLIELMI, Giuseppe Ungaretti e la

memoria dell’Eneide, in AA. VV., Mnemosynum. Studi in onore di Alfredo Ghiselli, Bologna, Patron, 1989, pp. 311-324.

423 OSSOLA,Commento, in UNGARETTI,Vita d’un uomo. Tutte le poesie, cit., p. 1051. 424 Lo riporta Piccioni nel suo Le origini della Terra Promessa, cit., p. 1307.

425 UNGARETTI,Terza lezione, in Vita d’un uomo. Tutte le poesie, cit., p. 791.

426 UNGARETTI, Note a La Terra Promessa, in ID., Vita d’un uomo. Tutte le poesie, cit., p. 798. Per il riferimento a Ossola,

invece, si rinvia a OSSOLA, Commento, cit., p. 1051.

427 MARIA CARLA PAPINI,Lettura del Recitativo di Palinuro di Giuseppe Ungaretti, in «La modernità letteraria», 1, 2008,

pp. 109-119: 119.

428 Diversa l’interpretazione che dà Guglielmi a proposito dell’adozione, da parte di Ungaretti, della forma della sestina:

secondo il critico, tale scelta non ha a che fare con la «perennità delle forme» quanto piuttosto con il loro deperimento: «Evocata è proprio una distanza temporale: non la perennità delle forme, ma il loro deperimento. E il progetto di reintegrazione dei valori formali viene così a risolversi in un alto e barocco patetismo delle forme, nel colpo di dadi di una scommessa formale. Ungaretti, in sostanza, sa che alla tradizione non ci si può volgere se non con un’applicazione

Il mito del nocchiero d’Enea può allora essere letto anche come mito della poesia capace di ritrovare la saldezza nel nome, unica luce concessa all’uomo di fronte alla vanità del tutto e nonostante quella vanità.429