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La Custodia Attenuata.

CAPITOLO SECONDO I CIRCUITI PENITENZIAR

4. I circuiti detentivi penitenziari: la classificazione nelle circolari DAP.

4.4 La Custodia Attenuata.

La custodia attenuata non deve assolutamente sembrare un circuito disomogeneo dagli altri o del tutto esterno allo stesso istituto penitenziario: infatti esso può realizzarsi sia attraverso il ricorso a strutture esterne come avviene per la custodia delle detenute madri e dei tossicodipendenti, sia all’interno della stessa struttura dove vi sono soggetti sottoposti alla media o alta sicurezza.

La differenza con i circuiti dell’alta e media sicurezza, non sta nella vigilanza interna all’istituto, messa in atto dalla polizia penitenziaria, ma piuttosto nella vigilanza esterna: in questo tipo di restrizione viene a mancare del tutto la vigilanza perimetrale, quindi si ha una figura di istituto fuori dai normali schemi in cui siamo abituati a vedere il carcere, conseguenza certamente dovuta anche al fatto che ad essere sottoposti a questo tipo di “circuito” sono soggetti che non presentano particolari forme di pericolosità.

Come poc'anzi accennato, il circuito della custodia attenuata ha una pluridirezionalità, poiché si riferisce da una parte a detenuti tossicodipendenti e dall’altra detenute madri, per i quali differenzia la sezione e di conseguenza anche il trattamento. Si nota che il quadro detentivo di questo circuito ha delle basi ben diverse rispetto a tutti gli altri, proprio perché si riferisce a soggetti che hanno delle particolarità: da una parte i tossicodipendenti con il bisogno di instaurare un rapporto con l’amministrazione penitenziaria idoneo ad ottenere una misura alternativa a quella detentiva dopo l’attuazione di un programma terapeutico a cui il detenuto ha deciso spontaneamente di sottoporsi per evitare un contatto interno al carcere; dall’altra le detenute madri con il bisogno di mantenere il più possibile una vita simile a quella esterna, con l’assoluta

preminenza dell’interesse del figlio minore a non essere inserito nell’ambiente penitenziario.

Attorno alla fine degli anni 80 l’Amministrazione comincia a prendere consapevolezza delle problematiche sopra considerate e inizia quindi a creare delle sezioni all’interno dei penitenziari (Se.A.T.T ovvero sezioni aperte per il trattamento dei tossicodipendenti) o veri e propri istituti interamente adibiti a questa funzione (I.C.A.T.T. ossia Istituti a custodia attenuata per il trattamento dei tossicodipendenti).

Quanto ai detenuti con problemi di tossicodipendenza, a disciplina originariamente prevista trova sede nell’art. 84 della legge 685/1975, il quale prevede che colui che sia ritenuto dall’autorità sanitaria abitualmente dedito all’uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope ha diritto di ricevere le cure mediche a fini riabilitativi. Per dare attuazione a tale previsione sono state stipulate delle convenzioni con le competenti autorità regionali e provinciali e con le autorità sanitarie indicate dall’art. 92 della medesima legge.

Tale disciplina viene ripresa dal T.U in materia di stupefacenti del 1990( ), il quale detta le linee guida per il trattamento 19

penitenziario dei tossicodipendenti.

d.P.R 309/1990 “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli 19

stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”.

Merita precisare che la sperimentazione avviata negli anni ’80 viene oggi inquadrata nell’ambito dei nuovi principi dell’ordinamento penitenziario, ossia la modulazione dell’esecuzione della pena detentiva sulla scorta delle necessità di trattamento emerse dai risultati dell’osservazione scientifica di cui all’art. 13 o.p.

L’attuale art. 95 del d.P.R 309/1990 costituisce la norma centrale per l’attuazione della custodia attenuata, cosi come era stata sperimentata fin dal 1989 nella casa circondariale di Firenze nella quale si creò per la prima volta la differenziazione del detenuto tossicodipendente in via sperimentale e che ispirò poi l’attuale disciplina a livello nazionale, salvo la ricezione di detta disciplina da parte del d.P.R 230/2000: l’art. 115 comma III avalla in toto il progetto fiorentino recepito negli anni 90 stabilendo in particolare che se la custodia attenuata viene istituita presso una sezione invece che nell’intero istituto, questa deve essere sufficientemente autonoma.

In conclusione la custodia attenuata si pone sostanzialmente due finalità: in primo luogo l’offerta di un ambiente carcerario al ristretto, avulso da interferenze devianti ed orientato al superamento dello stile di vita socialmente screditato che in precedenza il ristretto teneva; in secondo luogo, l’approccio terapeutico verso il detenuto tossicodipendente, con la

predisposizione di strumenti capaci di stimolare un radicale cambiamento.

Sempre in ambito di custodia attenuata, il Parlamento con la legge 21 aprile 2011 n° 62 ha inteso valorizzare il rapporto tra detenute madri e figli minori, andando a conciliare, da un lato, l’esigenza di limitare la presenza negli istituti di bambini in età minore, dall’altro, di garantire la sicurezza dei cittadini anche nei confronti delle madri di figli minori, le quali abbiano commesso delitti che meritano di essere puniti con la pena detentiva a causa della loro gravità.

Il DAP ha affrontato questa necessità, avviando a Milano la sperimentazione di un tipo di istituito a custodia attenuata per madri denominato I.C.A.M.

Tale modello ha come caratteristica tipica, che lo differenzia subito da una normale detenzione sia di alta, media o attenuata sicurezza: la detenzione avviene al di fuori dell’abituale istituto carcerario, in particolare in una sede esterna dotata di sistemi di sicurezza non riconoscibili dai bambini, ma comunque idonei a garantire una certa sorveglianza nei confronti delle madri che rimangono pur sempre condannate.

Tale accorgimento trova una logica e condivisibile spiegazione nel fatto che si intende garantire la sicurezza della collettività attraverso la detenzione delle delinquenti, senza tuttavia

imprimere ai piccoli che frequentano bisognosamente le madri detenute uno status di soggezione.

Con questa prima sede distaccata si è avviato un procedimento di sviluppo e di nascita a livello nazionale di altri centri I.C.A.M per esempio a Firenze e a Torino.

L’operatività a regime di tale modello di custodia è presa in considerazione dalla legge n° 62/2011 che interviene sia in materia di custodia cautelare delle detenute madri sia di espiazione della pena detentiva da parte delle stesse.

Con riferimento all’applicazione della misura della custodia cautelare, l’art. 1 della legge appena richiamata attraverso una modifica all’art. 275 c.p.p., prevede l’aumento da tre a sei anni dell’eta del figlio al di sotto della quale non può essere disposta o mantenuta la custodia cautelare della madre in carcere (o del padre nel caso in cui la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole), salvo che sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.

Inoltre va specificato che alla presenza delle suddette esigenze, la legge aggiunge l’art. 285 bis c.p.p. il quel prevede la possibilità di disporre della c.d custodia cautelare della donna incinta e della madre di prole di età non superiore a sei anni in un I.C.A.M.

Molto importante è l’integrazione fatta all’art. 284 c.p.p. che prevede la possibilità di scontare gli arresti domiciliari, non nell’istituto, ma in un apposita casa famiglia protetta.

Le modifiche apportate nel 2011 alla legge sull’ordinamento penitenziario in materia di detenute madri, si estendono anche alla disciplina della detenzione domiciliare e della detenzione domiciliare speciale.

Una prima modifica va ad intaccare l’art. 47 ter, la c.d detenzione domiciliare, prevedendo un permesso alle donne incinta o madri di prole in età inferiore a dieci anni con lei convivente, sottoposte a una reclusione non superiore a quattro anni (anche se costituente parte residua di maggior parte), di scontare la pena all’interno di case famiglie protette.

Novellato è stato anche l’art. 47 quinquies della legge 354/1975, la c.d detenzione domiciliare speciale per le condannate madri di prole di età non superiore a dieci anni. La disciplina previgente stabiliva che dove non sussistessero le condizioni per l’applicazione della detenzione domiciliare ex art. 47 ter, in mancanza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e sussistendo la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, le detenute madri potevano essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione o in un altro luogo come quello di cura, assistenza, accoglienza, al fine di provvedere alla

cura e all’assistenza dei figli, dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena.

La legge 62/2011 aggiunge la possibilità anche per le detenute ergastolane di beneficiare della custodia attenuata, facendo riferimento tuttavia, non all’espiazione di un terzo della pena, ma un quantum stabilito precisamente dalla legge e quantificato in 15 anni di detenzione, da eseguire presso: l’istituto di custodia attenuata per detenute madri (I.C.A.M.); la propria abitazione o altro luogo di dimora, cura, accoglienza, sempre che non sussista il pericolo di fuga o di commissione di altri delitti; presso case famiglie protette nel caso in cui si ha l’impossibilità di disporre di una propria abitazione.

Infine va aggiunto che la nuova disciplina sulla detenzione domiciliare speciale non si applica nel caso di condanna delle detenute madri per i reati di grave allarme sociale di cui all’art. 4

CAPITOLO TERZO

REGIME DI SORVEGLIANZA PARTICOLARE: