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Il procedimento applicativo del regime di sorveglianza particolare.

REGIME DI SORVEGLIANZA PARTICOLARE: APPLICAZIONE E PROBLEMATICHE

4. Il procedimento applicativo del regime di sorveglianza particolare.

L’art. 14 bis delinea nell’ottica garantistica della legge 663/1986 una procedura applicativa, oltre a meccanismi di controllo.

Sent. Cass. pen., sez. I, n. 3992 del 7 ottobre 1987. 26

Contrariamente a quanto auspicato circa una completa giurisdizionalizzazione del regime de quo, la competenza è attribuita dall’art. 14 bis comma 2 “all’amministrazione penitenziaria”. Tale locuzione faceva riferimento a tutti gli organi centrali e periferici preposti alla gestione degli istituti penitenziari, ad esclusione del direttore dell’istituto poiché quest’ultimo faceva parte del consiglio di disciplina a cui era demandato il parere obbligatorio per l’adozione del regime. Ecco perché la competenza veniva concentrata nella direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena ex organo centrale dell’amministrazione penitenziaria. Oggi invece, tale competenza è attribuita al DAP, istituito dall’art. 30 della legge 395/1990 nell’ambito del Ministero della giustizia, la cui principale funzione è “l’attuazione della politica dell’ordine e della sicurezza negli istituti e servizi penitenziari e del trattamento dei detenuti e degli internati, nonché dei condannati ed internati ammessi a fruire delle misure alternative alla detenzione”.

Il DAP in particolare non ha solo un potere decisorio, ma anche propulsivo poiché il procedimento può essere avviato su segnalazione o proposta della direzione dell’istituto o su segnalazione della autorità giudiziaria.

Attribuire tale competenza ad organi amministrativi non era l’unica scelta possibile poiché si sarebbe potuto considerare il regime di sorveglianza particolare, non una modalità del trattamento penitenziario (a cui è logicamente preposta l’amministrazione penitenziaria), ma una forma di detenzione sui generis: a questo punto l’opzione giurisdizionale avrebbe potuto ritenersi obbligata dall’art. 13 comma 2 della Costituzione.

Preliminare alla decisione è in ogni caso il parere del consiglio della disciplina, che deve essere integrato da due esperti in materie sociali, psicologiche o psichiatriche.

Un problema interpretativo riguarda l’ipotesi in cui l’istituto penitenziario possa contare sulla presenza di un solo esperto, ipotesi tutt’altro che infrequente, soprattuto negli istituti di modeste dimensioni. Non è difficile pensare ad una integrazione attraverso l’intervento di un esperto proveniente da un altro istituto anche se, tale ultimo soggetto risulta carente di conoscenze fondamentali relative a quell’ambiente carcerario e a quei detenuti, non potendo quindi giovare alla causa dell’esaminando.( ) 27

CANEPA, MERLO, Manuale di diritto penitenziario, op.cit., pag. 202. 27

Il parere è obbligatorio, ma non vincolante e deve essere formulato nel termine di dieci giorni (art 32 bis comma 1 Reg. esecutivo).

Tale parere viene formulato da parte del Consiglio di disciplina valutando la cartella personale del detenuto, ovvero con riguardo alla personalità, al programma di trattamento, alle relazioni degli operatori penitenziari; in particolare il parere dovrà contenere un giudizio sulla pericolosità soggettiva e quindi sulla necessità di sospendere il trattamento ordinario e imporre quello particolare.

In casi di necessità e urgenza prevede, tuttavia, la possibilità in via provvisoria di adottare il provvedimento prima dei pareri prescritti, quali devono comunque essere acquisiti entro dieci giorni. Scaduto questo termine l’amministrazione ha altri dieci giorni per decidere in via definitiva, decorsi i quali senza tale decisione, il provvedimento provvisorio decade.

Merita un’osservazione il fatto che il termine per la decisione definitiva (il secondo dei termini indicati) è previsto a pena di decadenza, mentre per quello riferito all’acquisizione dei pareri (il primo indicato) non è prevista tale sanzione. Sul punto, mentre è assodato che, se tale parere non interviene,

l’amministrazione non può decidere in via definitiva( ), 28

controverse sono le conseguenze nel caso in cui il parere intervenga dopo il decorso dei dieci giorni dal provvedimento provvisorio. In questa eventualità sembra si possa concludere per la legittimità a provvedere, prima di tutto facendo leva sulla non perentorietà del termine per l’invio del parere; in secondo luogo perché la garanzia per il detenuto è rappresentata dalla necessità per l’amministrazione di decidere entro dieci giorni dalla scadenza del termine per l’acquisizione del parere, quindi non può condizionarsi tale importante garanzia all’inefficienza degli organi amministrativi.

Non mancano tutta via opinioni che ritengano che i termini indicati dall'art. 14 bis siano tutti egualmente perentori.( ) 29

Il provvedimento con cui l’amministrazione decide di applicare al detenuto il regime di sorveglianza particolare deve essere motivato, avendo riguardo sia alla sussistenza dei presupposti della sorveglianza particolare, sia in relazione alle limitazioni imposte: dovrebbe cioè formularsi un giudizio di comparazione fra il sacrificio apportato alla vita detentiva del soggetto e l’esigenze di ordine e sicurezza. L’efficacia delle misure imposte

vedi Cass. pen., sez. I, n. 260 del 25 gennaio 1988: “il parere dell’autorità 28

giudiziaria che procede,(…) e senza il quale non può essere disposto o confermato il regime di sorveglianza particolare, non può intendersi acquisito facendo riferimento all’istituto eccezionale del silenzio-assenso".

CANEPA, MERLO, Manuale, op. cit., pag. 203. 29

ex art. 14 bis non può avere una durata superiore a sei mesi,

termine che tuttavia può essere prorogato illimitatamente per un periodo non superiore ogni volta a tre mesi. Ogni Proroga deve essere disposta con l’iter procedimentale prescritto per il primo provvedimento di regime speciale, non potendosi invece, applicare il procedimento d’urgenza di cui all’art. 14 bis comma 4, stante il potere di “disporre” in via d’urgenza il regime di sorveglianza particolare, non anche quello di protrarne l’efficacia.

In ragione dell’estensione del procedimento anche alle proroghe, esiste la possibilità di modificare le restrizioni già imposte, adattandole ad eventuali mutamenti della pericolosità del soggetto.

Il provvedimento deve essere comunicato immediatamente al Magistrato di sorveglianza il quale ha un generico potere di vigilanza quasi come fosse un controllo giudiziale indiretto, a prescindere dal reclamo che l’interessato ha diritto di proporre. Se il Magistrato ravvisa una illegittimità del provvedimento non può in ogni caso prendere provvedimenti direttamente, ma solamente sollecitare l’autorità amministrativa alla revoca del provvedimento illegittimo: ecco perché deve permanere la possibilità per l’interessato di fare reclamo ex art. 14 ter.

Infine il provvedimento deve essere comunicato dalla direzione dell’istituto anche all’interessato poiché è solo a tale momento che decorre il termine per proporre reclamo.

5. Il contenuto del regime di sorveglianza particolare