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D ALLA CONTEMPLAZIONE DELLA BELLEZZA AL DESIDERIO DELLA BONTÀ , LA VIA DI P LATONE

I. TRA ESTETICA ED ETICA : DUE VISIONI DEL RAPPORTO TRA BELLEZZA E

I.II. D ALLA CONTEMPLAZIONE DELLA BELLEZZA AL DESIDERIO DELLA BONTÀ , LA VIA DI P LATONE

PLATONE

Socrate, maestro di vita

Nel Simposio, come, d’altro canto, in quasi tutti gli snodi cruciali del pensiero platonico, la riflessione filosofica più profonda, in questo testo sull’ έρος, è ‘espressa’ da Socrate, il quale, in tutta l’opera platonica, ma segnatamente nell’Apologia, e nel Fedone, incarna la figura vivente, al tempo stesso umanissima, storica ed ideale, del maestro.

Socrate è sempre tratteggiato negli scritti platonici come la figura del maestro, del maestro di una ricerca di verità che dura tutta la vita, di una ricerca che si esprime tutta, nella sua serena, distaccata, quotidiana, ironica e al tempo stesso appassionata attitudine ad indagare le pieghe più riposte del reale, dei moti dell’animo umano.

Socrate si staglia nell’opera di Platone come maestro morale che si rivela esser tale, alla presenza degli interlocutori, in ogni momento, in ogni gesto di questa vita, vita della quale egli seppe cogliere, e sempre esprimere con pacatezza e misura, il vero significato.

Questo significato emergeva, era colto via via a partire da un’esperienza e da una conoscenza della stessa, della quale egli non si nascondeva provvisorietà e precarietà, anche attraverso un modello di ricerca della verità concepito come tenace approssimarsi al vero, senza mai svelarne i segreti ultimi, se non attraverso allusioni che ne conservassero il senso dell’elevazione e del mistero.

Socrate è descritto come un maestro di vita, come appassionato “oratore” inserito nella quotidianità della vivacissima dialettica ateniese, figura viva, che interroga i suoi concittadini, dando il suo parere, offrendo il frutto della sua riflessione, rendendo la sua testimonianza, fino al momento supremo della morte che ne suggella e ne consacra l’eredità morale e filosofica.

Quell’eredità morale e spirituale che, incarnata in quel tempo, dalla sua figura “storica”, almeno quale emerge dall’accorata testimonianza ed apologia platonica, e soprattutto concernente le amare vicende del processo alle quali fece da singolare contrappunto la serenità della morte del filosofo ateniese, ha, in seguito, attraversato come un’icona quasi mitica, “sacrale”, della saggezza, della σοφία, i millenni.45 E tuttavia, viene fatto di notare come, nonostante questo grande rispetto da parte di Platone nei confronti del suo antico maestro, maestro del quale egli serbò sempre grata e rispettosa memoria, quando il filosofo deve “rivelare” le verità più alte, come in questo caso nel Simposio, Socrate “riporti” questa

45 La figura di Socrate come personificazione della saggezza, come figura che cerca il vero nel dialogo, é viva ed operante ancora oggi, e non unicamente nei testi di ricerca filosofica quanto, altresì, nell’immaginario collettivo.

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definizione dell’ έρος come una “rivelazione” di ascendenza religiosa e di forma mitologica, da lui raccolta dalla bocca di una sacerdotessa, Diotima.

Anche questo tratto narrativo mitologico, come tutti gli studiosi del pensiero platonico hanno sempre evidenziato, caratterizza l’introduzione delle riflessioni più importanti del pensiero platonico.

Eros platonico nel Simposio, nel Fedro e nel Fedone. Uno sguardo contemplativo e puro La sacerdotessa Diotima introduce la figura dell’ έρος come quella di un demone, figura che, nella cultura greca, era la figura mediatrice, virtuale, tra gli dei e gli uomini, ovvero da interpretarsi come presenza di colui che unifica, in forma armonica il mondo umano al mondo divino, rendendo possibile una comunicazione tra questi due mondi, senza che il dio si manifesti, ‘perda’ la sua trascendenza, calandosi nel mondo umano.46

Amore è, in questa visione mitologica, figlio di Poros e di Penia, del genio e della povertà, e fonde e conserva dentro di sé qualcosa di entrambi i suoi genitori, sempre sospeso tra necessità e genialità, indigenza e espressione dei suoi prodigiosi talenti creativi.

La fragilità e la mancanza sono all’origine della ricerca, di quella ricerca che sola induce ad intraprendere quel cammino che consente di liberarsi delle false credenze, delle ombre illusorie del reale, e di intravedere, come in filigrana, la struttura del reale.

Nel pensiero platonico, l’amore è sempre, virtualmente, pensato come l’amore per la sapienza e la saggezza, desiderio e ricerca di verità, di quella verità della quale gli esseri umani conservano come una traccia mnestica: l’amore è, secondo Platone, per sua stessa natura, ϕιλοσόϕια, amore della sapienza, ricerca filosofica.47

Nell’ έρος, concepito come un cammino tutto in salita, l’uomo si libera, a fatica e progressivamente, dei suoi angusti orizzonti per aprirsi alla contemplazione dell’immensa vastità dell’essere.

46 Scrive Marco Vannini, in Il volto del dio nascosto. L’esperienza mistica dall’Iliade a Simone Weil,Civiltà e Religioni, Mondadori, Milano 1999, nel capitolo dedicato alla Fonte greca, p. 53: «L’assoluta

trascendenza di Dio (theós, al singolare, dice Platone), che non si mescola ai mortali, e, insieme, l’unità del tutto, divino e umano, che è saldamente connesso, nelle sue parti attraverso la mediazione del demonico, e soprattutto di amore, che mette in comunicazione Dio e l’uomo. In quanto però sempre desiderio, amore non è dio: Dio è il bene, che è sempre al di sopra dell’essere- di qualsiasi essere».

47 Cfr., Marco Vannini, Il volto del dio nascosto. L’esperienza mistica dall’Iliade a Simone Weil, op. cit., pp. 53-54: «Tutti gli individui vanno in cerca di questa luce, perché “in effetti gli uomini non amano altro che il bene”, quindi desiderano possederlo per sempre ed essere in tal modo felici, ma in realtà il desiderio più profondo è quello di generare, di produrre nella bellezza. Non tanto, dunque, contemplare o possedere un oggetto estraneo, per grande e nobile che sia, ma nella “contemplazione” (theoría) generare lógos, generare pensiero […] la generosità del generare (anche l’italiano rispetta la parentela etimologica del greco e del latino), propria di chi non se ne sta rivolto a un solo oggetto, ma all’infinito mare della bellezza, che ha riconosciuto essere tutta syn-ghenés, con-genere».

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Suscitato dal desiderio che la visione della bellezza, dapprima di un corpo bello, ed in seguito di tutti i corpi belli, induce nell’animo umano, l’amore si volge naturalmente verso la contemplazione dell’anima bella, delle anime belle, fino a pervenire alla contemplazione dell’armonia e della bellezza che regna nelle istituzioni e nelle leggi giuste.

Sempre salendo ed estendendo la propria visione, l’amore sospinge l’animo umano fino alla contemplazione filosofica di una bellezza che è, al tempo stesso, una e molteplice, come di fronte ad un ampia distesa d’essere, ad una vastità ‘sconfinata’ nella quale la bellezza permei di sé la totalità dell’essere, dispiegandosi in una molteplicità d’apparizioni che ne intessono l’unitaria bellezza.

E così, con anima “magnanima”, l’essere che abbia percorso, passo dopo passo, tutto questo cammino ascetico, di purificazione, di distacco, di contemplazione disinteressata dell’essere, sarà in grado di generare pensieri e discorsi elevati (λόγοι), di generare la virtù e di “assimilarsi” a Dio.

L’ έρος è l’amore della generazione nella bellezza, desiderio di immortalità che diviene manifestazione possibile dell’immensità dell’essere sia attraverso la procreazione, che, e forse, secondo Platone soprattutto, creando e lasciando ai posteri la memoria di opere la cui gloria sia imperitura.

La contemplazione della bellezza, del divino, con lo sguardo costantemente concentrato sulla perfezione, vede nascere dentro di sé la vera virtù, che è bellezza e bontà al tempo stesso; in questo itinerario, l’anima diviene simile al divino (immortale), a quel divino della cui visione egli si nutre.48

Tutta la riflessione sull’ έρος apre, con grande naturalezza e pacatezza -virtù incarnate così pienamente nella figura del maestro Socrate- alla meditazione sulla morte, sulla mortalità del corpo, di quel corpo nel quale sono rinchiuse le anime,49 e, per contro, sull’immortalità dell’anima.

È l’affascinante visione di Platone sul rapporto tra una corporeità fragile e caduca ed il principio divino ed immortale in essa vibrante, tutto attraversato da un desiderio di elevazione. È l’affascinante visione che, nelle sue sfumate e variegate interpretazioni, ha attraversato, e permeato dall’interno, tutta la nostra visione del senso ultimo della vita,

48 Scrive Marco Vannini, in Il volto del dio nascosto. L’esperienza mistica dall’Iliade a Simone Weil, op. cit. p. 54: «Questa bellezza è per Platone il divino in sé, che ha caratteristiche assolutamente impersonali (to théion, al neutro), come una pura luce. La si contempla non con gli occhi del corpo, ma con quelli dell’intelligenza, ovvero dell’Amore, e questa contemplazione non ha niente di estatico, se per estasi si intende l’uscita di condizioni di normalità: è invece il compimento della razionalità e la pienezza dell’Amore. […]. È infatti tutta la vita ad essere trasformata dal contatto con il divino: l’uomo che ha visto la bellezza eterna non potrà più diventare vile, meschino, scambiando per l’Assoluto le piccole cose, e sempre genererà (si noti l’insistenza platonica su questo concetto) opere di vera virtù -non sue vuote immagini, frutto di illusioni-, diventando così, per quanto possibile, immortale e amico di Dio».

49 Secondo l’antica concezione orfica, concezione della quale Platone, consapevolmente ed attraverso la mediazione pitagorica, come esplicita nel Cratilo, riprende l’assunto fondamentale (cfr. Gianfranco Ravasi,

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attraverso i secoli e nel corso dei millenni. Su di essa, intorno ad essa, a partire da essa, sono stati scritti centinaia di commentari, di letture interpretanti, di testi filosofici, la ricchezza delle cui risonanze, come negli affascinanti disegni leonardeschi raffiguranti il moto ondoso, pare tendere all’infinito. In questa sede, ne trarremo solo qualche spunto, a partire, naturalmente, da un confronto serrato con quell’immagine antropologica dominante che fuoriesce dalla Bibbia, ed interpretando i due testi antichi come due letture, che, pur concependo l’essere umano, nel senso del vivente, come uno, un σύνολον, avrebbe detto, più tardi, Aristotele,50 e pur cogliendo entrambi, nella contemplazione della bellezza, l’incipit di un itinerario di purificazione che attraversa i valori etici come suo momento essenziale, approdano a due visioni profondamente diverse della destinazione stessa della vita umana.

Altra ed affascinante questione, filosofica e storico-filosofica, e che qui non ci é dato di approfondire, sarà quella di studiarne l’intrecciarsi, il sovrapporsi, il fondersi nel corso della storia del pensiero tardo antico, intendiamo appunto la fusione di queste due concezioni per certi aspetti, come sottolineato sopra, così diverse; e quindi lo studio approfondito della loro rielaborazione “integrata”, a partire dal testo della Sapienza, dalle Lettere Paoline, dal brevissimo scritto/lettera A Filone, per proseguire con Origene, Sant’Agostino, San Tommaso e molti filosofi del pensiero medioevale cristiano.

Il Cantico ed i Dialoghi platonici: intrecciarsi e divaricarsi di temi

La prima riflessione, significativa ai fini della presente ricerca, concerne l’analisi di una notazione a margine delle motivazioni che presiedettero alla scrittura dei testi essoterici di Platone; questo rilievo concerne le amarezze che la degenerazione della vita politica ateniese doveva necessariamente avere suscitato nell’animo di tutti coloro che, come Platone, avevano profondamente a cuore il destino etico della politica, e che per questo fine si erano adoprati; da questa esperienza doveva, almeno in parte, esser derivata una concezione critica della natura umana, e segnatamente, dell’insidia rappresentata da quella sua innata istintività, bramosia, passionalità, spesso all’origine di tanta violenza.

E tuttavia, non possono essere ricondotte ad elementi biografici o esperienziali queste visioni tanto profonde quanto antiche che presiedettero alla rielaborazione della concezione platonica dell’uomo, della sua natura, del suo destino; nel pensiero platonico, non avrebbe potuto, in ogni caso, esser oggetto di riflessione solo ciò che era stato storicamente vero o che era storicamente, in quel momento, vero; il tema della ricerca del fine ultimo di una vita

50 Aristotele fu, in questo snodo del suo pensiero, come in molti altri, al tempo stesso allievo, continuatore fedele e geniale ed originale interprete del pensiero platonico, quantunque molto più ‘in linea’ con il pensiero platonico di quanto alcuni commentari sembrino voler sottolineare, anche in virtù della considerazione che in fin dei conti ad informare di sé la materia, il sostrato materiale, sia il suo principio informante vitale, spirituale, intelligibile.

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filosofica doveva essere ciò che ‘costitutivamente’ è in un modo poiché costitutivamente deve essere così.

E tuttavia, rileggendo queste pagine, ci pare di poter cogliere come, nella evocazione – delineazione dell’έρος platonico, traspaia, forse, la nostalgia per un incontro umano in qualche misura mancato, e non solo poiché, naturalmente, come nella visione essenziale del pensiero greco, nel suo complesso, vi manca una presenza muliebre, con il suo portato di diversità e complementarietà, ma per quel suo tendere, quel suo elevarsi alla contemplazione delle realtà che si pongono al si sopra del finito, dell’individuale, di quanto sia percepibile dai sensi, ed in una parola dell’umano, sempre corporeo, fragile, e caduco.

La corporeità, al pari di ogni passionalità umana, è certo avvertita anche nel mondo biblico, prima ancora che in quello cristiano, come nodo, viluppo inestricabile di un dramma, e tuttavia, ad esempio nel Cantico dei Cantici, se ne avvertono anche bellezza, sacralità (corpo dello sposo, colto come un tempio), l’essere espressione e via dell’amore, di quell’amore che apre alla contemplazione del divino e che aspira ad andare oltre la morte.

Questi due ultimi elementi sono presenti anche nella definizione dell’eros platonico, e tuttavia, essi sono intesi come riscatto dell’anima dalla prigionia della corporeità, ascesi dell’anima alla dimensione puro-contemplativa.

Platone, giustamente, mostra divisibilità (infinitudine), molteplicità della realtà corporea, ed altrettanto giustamente, coglie l’istanza fondamentale costitutiva di ogni conoscenza, e non puramente del pensiero (logico), ma dell’animo stesso che vuol ‘cum-prendere’ il mondo, di unicità, di perfezione, di purezza formale e dello scoprirsi l’anima stessa, quando essa rientri in se stessa, essere in se stessa questa dimensione, possederla come sua irrinunciabile, caratteristica, attitudine, attitudine forse all’origine di quella sua inesausta ricerca di coincidenza tra le strutture del pensiero ed i principi informanti la realtà.

La realtà sensibile è, giustamente, colta come molteplicità / complessità, con tutti i suoi elementi frastornanti ed inquietanti per la coscienza, per quella coscienza che deve rientrare in se stessa per conoscersi.

Ciò nondimeno, è come se della realtà e dell’esperienza sensibile si cogliesse essenzialmente il tratto di imperfezione, anziché coglierne, al contempo, la ricchezza e la vitalità.51

Anche nel Cantico, appare il tratto chiaroscurale, inquietante, della dimensione sensibile e sensuale, come pure quello dello stesso sentimento amoroso, ma se ne valorizzano anche intensità e naturale tensione alla perfezione.

Comprendere, secondo il pensiero platonico, come nel Cantico dei Cantici, significa comprendere le motivazioni della realtà, cercare di farne emergere quel disegno unitario ed

armonico, in virtù del quale, la realtà è come, dove, e quando, è bene che sia.

51 Si noti, contestualmente, la diversa attenzione che riserverà Kant all’esperienza sensibile, nell’Estetica Trascendentale della Critica della Ragion Pura.

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Nei Dialoghi platonici, tra i molti esempi di ricerca di questo disegno unitario che vi si incontrano, possiamo ricordare l’esempio della lettura del libro, del quale si comprendono via via, nel corso della lettura, i significati delle parole, leggendo e rileggendo il testo nella sua complessità e riuscendo a cogliere, al contempo, il particolare inserito nel suo quadro d’insieme.

Nel pensiero platonico, come nel Cantico dei Cantici, un’unità vivente ed armonica è sempre concepita come sottesa a quanto si svolge sotto i nostri occhi. Il mondo si rivela essere un insieme armonico (κόσµοσ) che la mente umana, pian piano, scopre e almeno parzialmente comprende.

Questa unità vivente ed armonica comprende in sé, ordina, tutto quanto appare nel mondo disperso e questa unità superiore è colta come dimensione trascendente rispetto all’esperienza dei sensi.

Nel pensiero platonico, come del resto anche nel Cantico dei Cantici, è l’amore, l’eros a costituire un ponte tra queste due dimensioni: quella tutta terrena della sensualità e della corporeità e quel tendere dell’animo umano verso la perfezione, quel suo desiderio di affrancarsi dalla morte.

In Platone, l’anima trova dentro di sé la visione di questa perfezione originaria e si scopre come inesauribile fonte di energia, fonte di pensiero, di contemplazione distaccata, di conoscenza.

In Platone, l’inquietudine generatasi nell’animo umano per la percezione del divario tra aspirazione e tensioni dell’uomo e realtà terrena, storica, inquietudine che è anche all’origine della ricerca, può essere superata e “scongiurata” solo attraverso un itinerario ascetico di distacco da quella stessa realtà corporea, sensibile, troppo contraddittoria, complessa ed inquietante.

La stessa dimensione etica per essere veramente tale deve assurgere ad un superiore distacco.

E questo elemento di distacco, di dovere distaccato da una compassione / passionalità umana è presente anche nel culto degli Ebrei per il rispetto rigoroso dei precetti della Torah, e tuttavia nel cuore dei comandamenti biblici vi è qualcosa che coinvolge l’amore per il prossimo, per se stessi e per Dio, in un unico pensiero, articolato sulla base di un legame di analogia.52

Se l’amore della corporeità bella è il risvegliarsi di questa ricerca di bellezza, pure, vera bellezza, nel pensiero platonico, è solo quella delle anime, così come vero amore è solo l’amore delle anime e non l’amore dei corpi.

Per contro, nel Cantico dei Cantici, la bellezza del corpo umano è colta come fulgida espressione della persona, sua “individualissima”, particolare complessione, figura.

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Nel Fedone (62b/69e,81d-c,92a), Platone si richiama ad antichi miti, nei quali si faceva riferimento alla nascita degli uomini da un peccato originario che traeva origine da un venir meno, da parte dell’uomo, alle norme dell’ordine divino, per cui il principio divino che era originariamente insito nell’animo umano, si era come frantumato, disperdendosi in un’infinità di corpi.

Questa visione di una “caduta”, di una colpa originaria si ritrova anche nella Bibbia, così pure come l’intuizione che la sensualità, le passioni, peraltro al pari della sete della conoscenza, possano distogliere l’uomo dalla tensione verso l’Eterno.

E tuttavia, nella visione biblica, non le passioni, non la sensualità per sé prese, quanto, piuttosto, l’esaltazione idolatrica di una dimensione terrena, la divinizzazione di un aspetto che esse possono suscitare, sono riguardate come esistenzialmente illusorie, e moralmente da temersi.

Nella visione platonica, via maestra di quest’itinerario di liberazione è l’uso dialettico del pensiero, la comprensione di una realtà che contiene in sé una dualità, una molteplicità di elementi.53

Nell’orizzonte “escatologico” del pensiero platonico, gli eletti (il termine contestualmente usato da Platone, è il termine religioso dei misteri) coloro che si fossero purificati dalla sensibilità / corporeità, sensualità / passionalità, sarebbero stati gli unici esseri umani a potersi librare al di sopra del male, dell’errore, della finitudine umana, di quella finitudine che è parzialità, e quindi illusione, immersione nei sensi che perdono, che smarriscono la coscienza di una vocazione contemplativa più profonda ed al tempo stesso più alta.

Anche in Platone, alcune dimensioni fondamentali, tra le quali l’eros, sono più enunciate, contemplate nella loro misteriosa forza, che spiegate (visione mitologica); anche in Platone, esse conservano un tratto enigmatico, affascinante, misterioso, forse ad alludere al carattere vitale, geniale di una dimensione che fonde ed innalza pulsazioni istintive, fino a purificarle trasformandole in pura disincarnata contemplazione di una bellezza che non è di questo mondo.

Profondamente diverso è, tuttavia, l’orientamento dell’animo platonico, che percorre una via ascetica, di distacco (contemplazione-teoresi), nonché quella profondamente greca dell’equilibrio, della misura che contempla gli opposti e che, in qualche misura, assegnerà alla dimensione gnoseologica, puro-teoretica, anche una valenza “salvifica”.

53 In rapporto al pensiero platonico si vedano le acute analisi di Reale sulla centralità della teoria delle idee dei Numeri e dei Principi primi, teoria della quale la dialettica non è solo un metodo, ma un’espressione nel pensiero platonico, in Per una nuova interpretazione di Platone - Rilettura della metafisica dei grandi dialoghi

alla luce delle ‘dottrine non scritte’, Vita e Pensiero, Milano 1990. Si vedano anche le riflessioni, in proposito,