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Ogni forma di espressione artistica, ogni rappresentazione pittorica si rivela essere, ad un’analisi filosofica, intrinsecamente, misteriosamente, quantunque spesso in forma implicita o inconsapevole, una presenza che è presenza di un’assenza, indecifrabile frammento di dimensioni che la trascendono, dimensioni che aprono ad un’ulteriorità metafisica.

La poesia é, come scrisse Heidegger, dare nome alle cose, nominarle come se fosse la prima volta; nell’opera d’arte, nella pittura, «accade un far insorgere l’ente che nel che e nel come del suo essere, in essa è all’opera questo: un avvenire, ossia un accadere, della verità».188

Nella creazione artistica, nell’espressione pittorica, le persone, le cose, le semplici forme, le ‘pure’sensazioni espresse, rappresentate o più semplicemente tratteggiate, sono colte nel loro esserci date in quel momento, e tuttavia, al tempo stesso, nell’atto stesso di dar loro forma sulla tela, si avverte tutta la caducità della loro rappresentazione, si percepisce come una loro astanza, il tratto irriducibile dell’essere, del vivente, ad ogni umano tentativo di prensione, di comprensione.

Scrive Jean-Luc Marion: «Le tableau, donc le visible par excellence, s’offre au dilemme de deux figures d’apparition, inverses, adverses et pourtant indispensables, inséparables. La théologie devient, dans cette situation, une instance irrécusable de toute théorie du tableau. […] Le temps vient peut-être de se délivrer et de voir le visible en face, comme le don de l’apparaître».189

L’icona, in particolare, sorse come questa ‘presenza’ muta, atta ad essere colta solo nella contemplazione orante: solo in questa assorta meditazione, solo nel raccoglimento, ci è dato di compiere un cammino ascetico, il cammino del ‘pellegrino russo’, un cammino di liberazione interiore che si spinge anche oltre i vincoli del sensibile, pur portando con sé tutta la fragilità dell’esperienza umana.

L’arte dell’icona nacque e si trasmise, nel corso dei secoli, nel vasto e complesso mondo bizantino, esteso sia storicamente che geograficamente, della chiesa greco-ortodossa; l’icona nacque come espressione della religiosità popolare e contadina, una religiosità tutta animata da ideali monastici. Molte di queste icone furono opera di monaci anonimi, che

188 Martin Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, a cura di Dino Zaccaria e Ivo De Gennaro, Christian Marinotti Edizioni. Scrive Heidegger : « Nell’opera d’arte si é messa in opera la verità dell’ente. ‘Mettere’ qui significa: condurre nello stare. Nell’opera, un ente, un paio di scarpe contadine, viene a stare nello staglio del proprio essere. L’essere dell’ente perviene alla stabilità del suo netto mostrarsi » (p. 43).

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‘ricomposero’ le figure seguendo alcuni modelli iconografici tramandati da una generazione all’altra, e tutto questo, quantunque nel solco della sua tradizione si siano formate anche grandi scuole artistiche, e, sia pur molto più sporadicamente,vere e proprie personalità artistiche, come Andrej Rublev.190

L’arte dell’icona nacque come arte povera, che originariamente e costitutivamente non ha mai nutrito aspirazioni puramente artistiche ed estetiche.

Dipinta su una semplice tavola di legno, frutto della meditazione e della preghiera, della tensione ascetica alla contemplazione del volto di Dio, essa si annuncia umilmente come dimensione di ricerca di un contatto, di un incontro tra l’umano e il divino.

La misericordia divina, che ne è anche uno dei temi centrali, accanto all’armonia trinitaria, ne è, per così dire, l’essenza stessa: una misericordia che tutto abbraccia, che si lascia intravedere, sia pure soltanto in effigie, un’ effigie sommamente imperfetta e che è in se stessa più espressione della proiezione di un desiderio umano che manifestazione del divino, vera e propria presenza divina; o forse, più in profondità, essa dovrebbe essere considerata presenza come in tutte le altre realtà umane: “Dio si manifesta nelle piccole cose”.

Secondo la ‘teologia’ orientale della bellezza, che è all’origine dell’arte dell’icona stessa, o che ne é, quanto meno, una delle più profonde interpretazioni, la bellezza diventa una delle sedi della Rivelazione, del manifestarsi dello splendore, della luminosità interna, dell’incarnazione del divino nell’umano, di quella incarnazione della quale il volto è manifestazione, presenza muta ma parlante, ‘sineddoche’.

Non il moltiplicarsi delle sensazioni, dei rimandi, delle stimolazioni sensibili, sensuali e culturali, ma una concentrazione muta e raccolta, rivolta all’essenziale, che, a partire da quella immagine, da quanto lo sguardo di quel volto dipinto suggerisce, vada oltre l’immagine stessa, trascenda quell’immagine come ogni altra manifestazione sensibile, per trattenere l’essenziale: quest’essenziale è una bellezza che è in se stessa bontà, che, solo in quanto misericordia, raccoglie «tutti i frammenti di bontà, d’amore e di bellezza sparsi nella storia» per restituirli, offrirli alla contemplazione come via della presa di coscienza dell’umano, della tensione, che attraversa tutto l’umano, alla salvezza.191

Nascono così, oltre ed al di sopra degli idoli, fiera delle vanità umane, e degli dei troppo antropomorfi, i tentativi di rappresentarsi il divino come amore e come misericordia,o se si

190 Tra i testi “classici”, che occorrerebbe consultare per entrare nell’affascinane e misterioso mondo dell’arte dell’icona, cercando di accostarsi all’interpretazione della sua complessa e profonda significazione e simbologia, si ricordano in questa sede, la fondamentale introduzione all’arte bizantina di Alice Bank, una delle più grandi bizantinologhe del secolo, premessa al testo L’art Byzantin dans les musées de l’Union

Sovietique, Editions d’Art Aurora, Leningrad. Si veda anche l’accurato ed approfondito testo di Leonid

Ouspensky e Vladimir Lossky, The meaning of icons, St. Vladimir’s Seminary Press, Crestwood, New York 1982.

191 Pàvel Nicolàjević Evdokìmov, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, San Paolo, 2002. Dalla prefazione a cura di Jacques Rousse.

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preferisce come compassione, come piena rivelazione della verità, finita e fragile, della natura umana e come tentativo di raccogliere tutta intera questa verità e di salvarla dall’oblio, dalla morte, dal male.

L’icona è rappresentazione di un divino che consola e che salva, di un divino che raccoglie, come nella rappresentazione iconografica, musicale, della pietà (dello Stabat

Mater), che accoglie, ‘assorbendolo’, riassumendolo in sé, tutto il dolore del mondo per

farne un’offerta all’Eterno.

L’icona è l’immagine alla quale è rivolta la confessione della sofferenza, del limite, del peccato umano. L’icona è, al tempo stesso, l’immagine alla quale è rivolta la preghiera per la salvezza delle anime e dei corpi.

Luogo di scontro e di incontro tra l’umano ed il divino, dove tutte le passioni umane sono espresse ma purificate ed innalzate, e dove il miracolo dell’insperato, dell’impossibile, del folle divino, sembra essere preannunciato come sperabile e possibile.

L’icona diverrebbe, ipso facto, idolo, se fosse adorata in se stessa, così come ogni forma di bellezza contiene in se stessa una tentazione idolatrica. L’icona apre alla trascendenza solo se è contemplata come semplice, umile ed imperfetta immagine di una dimensione che sfugge in essenza ad ogni rappresentazione, definizione, sia essa teologica, filosofica, iconografica.

Il senso dell’icona è quello di trasformarsi in segno di una testimonianza vissuta. Icone sono, propriamente parlando, solo i martiri (οι µαρτυροι, i testimoni), i santi, tutti gli uomini che divengono con la loro stessa vita presenze parlanti, rivelative di una presenza-assenza del divino nel mondo.

L’icona è, e deve essere considerata, solo come segno di una presenza che in essa non può essere mai contenuta, né pienamente espressa o rivelata. L’icona deve presentificarsi come presenza visibile che apre alla ricerca di una presenza invisibile che va oltre l’immagine.

Scrive Evdokìmov: «L’icona è la visione delle cose che non si vedono. Ancor di più, essa suscita ed attesta la presenza del trascendente, è il luogo teofanico, ma la sua strada ha attraversato il cammino della croce e della morte».192

L’icona è espressione di una tensione utopica,193 è un’immagine che consola ed incoraggia e che, come quella candela che le è posta innanzi, alimenta la speranza, il sogno delle cose impossibili, il desiderio dell’eterno.

Luogo dove, nella purezza e armonia dei tratti del volto misericordioso del divino, tutte le tensioni umane sembrano ricomporsi ed innalzarsi.

192 Pàvel Nicolàjević Evdokìmov, La donna e la salvezza del mondo, Jaca Book, Milano 1980 (p. 133). 193 Pàvel Nicolàjević Evdokìmov, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, op. cit. Scrive Evdokìmov: «L’invisibile si rivela nel visibile: ‘Chi vede me vede il Padre’. Dunque, l’immagine fa parte dell’essenza del cristianesimo allo stesso titolo della parola » p. 47.

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La bellezza dell’icona è al tempo stesso corporea ed incorporea, materica, fisica, e metafisica.

Alla povertà del legno, secondo Evdokìmov, è affidata tutta una ricchezza di significati. Ai tratti umani, tutti antropomorfi, di un volto, è consegnato il compito impossibile di presentificare l’eterno (che non ha volto né mani).

Come scriveva Tischner, la creatività estetica, che dà vita all’immaginazione, preannunzia una creatività più grande, più profonda, quella dell’etica, la vera arte creativa.

Per questa stessa motivazione, tutto il senso dell’arte delle icone è da annoverarsi nella loro capacità di divenire uno dei momenti nei quali la contemplazione si trasmuta in vita vissuta, e la liturgia si trasforma da celebrazione religiosa in momento nel quale si rinnovano gli intenti di vivere secondo quell’insegnamento, quei valori e, più precisamente ancora, imitando quella figura.

I santi ed ogni uomo che accetti di vivere umilmente seguendo i valori del Vangelo sono le vere icone. Ogni culto delle immagini diverrebbe idolatrico, se si smarrisse il senso della sua incommensurabile distanza e imperfezione nei confronti del modello che si sforza di rappresentare. Allo stesso modo, ogni sacralità diviene idolatrica, superstizione, se accarezza la tentazione di essere in se stessa sede della perfezione e luogo di incontro dei perfetti, donde anche tutta la controversia sul modo di intendere l’elezione.

L’icona deve rivelare, rammentare la presenza di Dio nel mondo e rimanda colui che la contempla alla condivisione della sua vita con i fratelli. Questi ultimi sono la vera icona del Cristo.

L’icona, l’immagine del divino esprime figurativamente quella ‘tensione verso’, quell’esperienza di rapporto con l’ineffabilità di Dio.

Questa stessa tensione, questa ricerca di un contatto con l’Eterno svela misticamente l’uomo a se stesso, mostrandogli al contempo la sua caducità e l’insorgere in lui del desiderio metafisico, di un protendersi, oltre i suoi stessi limiti, verso l’eterno.

Espressione dell’arte popolare e soprattutto della fede che animò dall’interno il movimento monastico orientale, l’icona è incomprensibile, è come un’immagine muta, al di fuori dell’intenzionalità che, fin dalle sue origini, la attraversò.

L’icona è «quello spazio sacro in cui, nella bellezza, l’immagine compie la parola».194 La “bellezza che salva” é espressione, secondo Evdokìmov, di questo desiderio di incontro con l’ Eterno, ne è come una figura premonitrice, come un nunzio.

La bellezza si annunzia come una dimensione nella quale qualcosa è rivelato, rimanendo al contempo nascosto.

194 Pàvel Nicolàjević Evdokìmov, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona, op. cit. Dalla prefazione di Jacques Rousse, p. 20.

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Qualcosa è svelato nel momento in cui esso sfugge ad ogni forma di prensione conoscitiva: qualcosa si trasforma sotto i nostri occhi, riaffermandosi come trascendente, pur nella sua prossimità al destino dell’uomo.

L’icona è una bellezza luminosa che rievoca una presenza, una figura, un insegnamento, tramandato, e per così dire consegnato in un testamento, ed è al tempo stesso apertura all’infinito allo Spirito che soffia dove vuole.

Oltre la narrazione degli episodi biblici ed evangelici, narrazione di carattere ‘storico’, si apre lo spazio infinito della presenza dello Spirito. La bellezza, nell’arte dell’icona, è, secondo Evdokìmov, «luogo cosmico dell’irradiamento del divino». L’icona è testimonianza, memento, dei fatti narrati nella Bibbia, ed al tempo stesso apertura all’eterna presenza dello Spirito. Essa spalanca, oltre la tela dipinta, il mistero della presenza dello Spirito nel mondo e nel cuore dell’uomo.

L’icona è, innanzi tutto, raffigurazione del volto, del volto umano di Gesù-icona vivente dell’Eterno, tanto che l’icona riceve la sua stessa significazione da quest’apertura temporale, costitutiva del figlio di Dio: una presenza, viva, ma della quale, al tempo stesso, si avverte la mancanza, l’assenza nel momento presente. Di questa figura, l’icona, é anche, al contempo, memoria, ed anticipazione, attesa di un compimento.

Nell’oriente bizantino, l’icona è concepita come «somiglianza e preghiera» ed il suo messaggio dovrebbe esser letto così : «Ricordati di colui che viene». 195

L’arte sacra ha il suo ubi consistam nella dimensione del sacro, nella celebrazione liturgica, essa è presentificazione del volto di Cristo. Essa è dimensione di irradiamento dello Spirito. Scrive Evdokìmov: «Lo stato di grazia illumina per far vedere la luce. L’icona la rivela a tutti; ‘preghiera’, essa purifica e trasfigura a sua immagine colui che la contempla; mistero insegna che lì vi è il silenzio abitato, la gioia del cielo sulla terra, lo splendore dell’al di là».196 E l’autore prosegue: «Lo Spirito […. ] resta nascosto, misterioso, silenzioso, ‘non parla da sé’. La sua persona si nasconde nella sua stessa epifania […. ]. Alla soglia dell’ineffabile Sapienza di Dio, egli fa contemplare la bellezza sofianica del Senso e la costituisce come Tempio cosmico della Gloria».197

Come la luce, l’icona rivela, in essa soffia lo Spirito, quello Spirito che soffia dove vuole, quello Spirito che si manifesta come luce e come vita.198 L’icona è solo un’immagine, ma è

195 Ibidem.

196 Pàvel Nicolàjević Evdokìmov, La teologia della bellezza. Il senso della bellezza e l’icona, Ed. Paoline, Roma 1971, p. 223.

197 Contestualmente, Evdokìmov, proprio in relazione all’icona, cita i Padri del VII Concilio: «Ciò che la parola dice, l’immagine ce lo mostra silenziosamente».

198 Pàvel Nicolàjević Evdokìmov, La teologia della bellezza. Il senso della bellezza e l’icona, op. cit. Scrive Evdokìmov: «L’alfa e l’omega si congiungono, “Sia la luce” trova il suo compimento in “Sia la bellezza”. Sull’icona della Sofia possiamo contemplare la Bellezza divina che salva. L’indicibile del Regno, la sua visione, fanno traboccare l’anima e presentire la luce dell’Ottavo Giorno, lo Spirito Santo che fa irradiare

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un’immagine attraverso la quale lo Spirito si rivela all’uomo e gli rivela la sua verità, la sua realtà di creatura fragile e finita.

Nel corso di tutta la riflessone platonica e neo-platonica, e particolarmente nel solco della riflessione neo-platonico-cristiana, come in Origene, la bellezza, che è in se stessa luce, rivela all’uomo gli archetipi di tutte le cose, i logoi, principi informanti, entelechie sottesi a tutta la realtà.199

All’interno di questa visione, la forma stessa del corpo sarebbe, per sua natura, luogo teofanico, poiché il corpo stesso si edificherebbe come tempio per lo Spirito.

Questa stessa visione filosofico-religiosa del rapporto tra lo spirito e il corpo, verrà espressa, molti secoli più tardi, da Jacob Boehme, nel suo Mysterium Magnum.200 Così si esprimeva il pensatore tedesco, manifestando questa stessa sensibilità metafisica: «Si nous considérons le monde visible avec son être et que nous considérons la vie des créatures, nous y trouvons alors un symbole du monde invisible selon l’esprit qui est latent dans le monde visible comme l’âme dans le corps, et nous y voyons que le Dieu caché est proche de tout et compénètre tout, tout en restant parfaitement caché à l’être visible».

L’icona é espressione di una ricerca di bellezza tutta umana che tenta di esprimere e di accostarsi alla bellezza divina. L’icona è prossimità attraverso l’intento impossibile della rassomiglianza.

L’icona è preghiera, attraverso intento arduo di innalzarsi a Dio e di farlo anche contemplando un’immagine creata da uomini e che dovrebbe evocare l’Eterno, farne avvertire la presenza.

L’icona è questo tentativo tutto umano di unificazione degli ‘opposti’, di ricongiungimento dell’umano al divino. La sua prima “legittimazione” si trova già nel libro della Genesi, laddove si dice dell’uomo che egli fu creato ad immagine e somiglianza di Dio.

Ripercorrendo la vicenda millenaria della pittura delle icone, ci accorgiamo che l’artista, il monaco ingenuo e d’animo semplice, poco incline alla riflessione teologica, così come il grande Rublev, avvertirono sempre di poter rappresentare il divino con il volto umano, sentirono sempre come fosse possibile rivelare, attraverso la rappresentazione del finito e dell’imperfetto, una scaglia dell’ir-rapresentabilità, dell’incommensurabilità e dell’imperscrutabilità divina.

Ed è in questa stessa prospettiva che il culto delle immagini poteva essere accettato, come presenza di un’immagine che essendo e rimanendo consapevolmente solo un’immagine, si trova in quel luogo di preghiera e di meditazione per invitare i fedeli ad

l’umanità di Cristo, la ‘fiaccola di vetro’ splendente di tutti i colori dell’al di là e icona folgorante della Gloria trinitaria» p. 402.

199 Una realtà che il neoplatonismo cristiano concepisce, naturalmente, come creata, e nella quale, quindi Dio stesso avrebbe infuso, insieme alla vita, il principio informante.

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andare oltre l’immagine, ed anche oltre la figura che l’immagine rappresenta per avvertire la presenza dell’Eterno dentro di sé e nel volto mortale e sofferente dei fratelli.

Creatura creata da Dio, l’uomo diventa a sua volta creatore di immagini che celebrano la perfezione del suo creatore. L’immagine è presenza muta che invita a scoprire la presenza divina nel mondo e ad adorarla. La contemplazione umile e devota alla quale invita l’icona mette a tacere il tumulto insensato delle argomentazioni razionaliste e teologiche dell’esistenza di dio, e riconduce la presenza del divino a presenza nel mondo e nel cuore dell’uomo che vi crede, presenza prossima all’umile condizione umana.

L’icona è bellezza senza tempo e memento mori, consolazione e sollecitazione a divenire più simili a quel volto, la cui contemplazione accosta alla contemplazione dell’ “Ecce homo”

L’icona è espressione di una fede incrollabile nell’uomo e nel suo esser destinato ad una salvezza; l’icona è il miracolo della bellezza che prelude ed introduce al miracolo della Grazia.

L’icona promette questa Grazia, ed al tempo stesso, in una forma misteriosa, anticipa un po’ di quella consolazione che sarà data solo oltre questo tempo e questa vita.

L’icona è anche testimonianza di una fede che continua a credere in un dio vivente, e non in un astratto deismo misteriosofico,201 non in una divinità tanto perfetta quanto insensibile al destino dell’uomo su questa terra. L’icona è l’umile testimonianza di una fede semplice che crede in un dio incarnato, un dio dal volto umano e prossimo all’uomo.

Vera bellezza, l’icona è segno, segno di una luce che da essa emana, ma la cui origine non è nell’immagine stessa, la cui sorgente è profondamente presente come Grazia nel cuore dell’uomo. Di questa luce, l’immagine iconica non è che un pallido riflesso.

Epifania, come il roveto ardente, luce taborica del divino, del trascendente che non può che manifestarsi, in mille forme, e che, al tempo stesso nessuna dimensione umana può effettivamente, compiutamente portare ad espressione.

201 Vladimir Sergeevic Solov’ev concepì il fascino della Sofijia, Saggezza, Saggezza di Dio, personificazione del principio divino del mondo in una figura femminile di bellezza sconfinata. Nel 1882, scrisse alcuni versi dedicati alla Sofijia: «Nel paese delle gelide tempeste, tra le nebbie canute / Tu sei apparsa nel mondo, / E come un povero bambino tra due campi nemici / non hai trovato rifugio». Nella prefazione di Nina Kauchtschischwili a, Vladimir Sergeevic Solov’ev, Scritti Letterari, Edizioni S. Paolo, Milano 1995.

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Parte seconda – Una ricerca di valori, tra estetica ed etica,

nell’opera di Ingarden, Tischner, Levinas

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