L’uomo ha sempre cercato di liberarsi della coscienza della realtà dell’esistenza, della percezione dell’inesorabilità della morte, sperando forse di scongiurarne o di rallentarne il sopraggiungere, sprofondando nell’oblio, nella rimozione alla periferia della coscienza di quanto è per essa fonte di un turbamento tanto profondo quanto ineludibile.92
Al tempo stesso, il tratto inconsapevole della percezione di fondo dell’esistere, l’affiorare alla coscienza del richiamo sommesso del desiderio, quell’aggregarsi misterioso che di percezione in percezione, lentamente ma intensamente va a concretizzarsi nella ricerca di un significato, di una risposta, si offrono alla coscienza, come suoi dati immediati, nella fragranza e nell’incantamento di quel pensare che è tutt’uno con il respirare, tanto da renderne più intensa, ma al tempo stesso più struggente l’immersione, e conseguentemente più doloroso il distacco, sia quest’ultimo dettato dall’istanza della razionalità, o dal cedere, dal venir meno delle forze del corpo.93
La coscienza affiora nell’animo umano e si rinsalda nella continuità del tempo, come viva memoria, memoria dell’esperienza del passato, come acuta attenzione alla vita che si dispiega in questo momento sotto i nostri occhi, e come naturale tensione verso il futuro, un futuro che pur essendo ancora ignoto cerchiamo in tutti i modi di comprendere e prevedere.94
92 Blaise Pascal, Pensées, Éditions Brunschvieg, Garnier frères, Paris 1960. Scrive il filosofo: «Nous courons sans souci dans le précipice, après que nous avons mis quelque chose devant nous pour nous empêcher de le voir. […] Nous ne nous tenons jamais au temps présent. Nous anticipons l’avenir comme trop lent à venir, comme pour háter son cours; ou nous rappelons le passé, pour l’arrêter comme trop prompt: si imprudents, que nous errons dans les temps qui ne sont pas nôtres, et ne pensons point au seul qui nous appartient; et si vains, que nous songeons à ceux qui ne sont plus rien, et échappons sans réflexion le seul qui subsiste. C'est que le présent, d'ordinaire, nous blesse. Nous le cachons à notre vue, parce qu’il nous afflige, et s’il nous est agréable, nous regrettons de le voir échapper. Nous tâchons de le soutenir par l’avenir, et pensons à disposer les choses qui ne sont pas en notre puissance, pour un temps où nous n’avons aucune assurance d’arriver» (Pensiero 139, p. 172).
93 Maine de Biran, Mémoire sur les perceptions obscures, Armand Colin, Paris 1920. Il filosofo francese sembra nel seguente passaggio quasi essere assorto nella contemplazione della ricchezza della vita inconscia: «Ces mobiles secrets d’une foule d’actes et de déterminations demeurent pourtant profondément ignorés de l’être sensible, qui leur obéit, et se dérobent à la réflexion par leur intimité même. Aussi la partie de nous- mêmes sur laquelle nous sommes le plus complètement aveugles se forme-t-elle de cet ensemble d’impressions affectives, qui naissent immédiatement, soit des dispositions variables de la sensibilité intérieure, soit encore plus du tempérament fondamental dont ce que nous appelons le caractère est comme la physionomie, mais cette physionomie n’a point de miroir qui la réfléchisse à ses propres yeux, ou la mette en relief hors d’elle même».
94 Henry Bergson, La Conscience et la Vie, in L’Énergie spirituelle, Presses Universitaires de France, Paris 1911. Scrive il filosofo francese: «Conscience signifie d’abord mémoire. […] Une conscience qui ne
53
Nella storia del pensiero occidentale, la riflessione sull’intimo genetico legame tra il tempo, la memoria ed il sorgere e perdurare della coscienza nel tempo, ha alcune delle sue radici più antiche e profonde in quel misterioso accenno che fa Socrate, rivolgendosi a Menone, all’immortalità dell’anima, a quanto l’anima ha appreso nella sua esistenza antecedente alla presente, a quel ricercare ed a quel sapere che in fondo sono una reminiscenza.95
La tensione utopica alla rivelazione dell’essere, della bellezza e verità, del senso ultimo del creato e dell’esistenza dell’uomo, pur intensamente presenti nel pensiero platonico,96 emersero con struggente acutezza nel momento dell’incontro tra un uomo ed il suo Dio, di quell’incontro che è all’origine dell’alleanza di Jahwé con il suo popolo, alleanza che darà origine anche all’attesa messianica.
Levinas colse nel desiderio di paternità di Abramo il suo protendersi oltre se stesso, oltre la sua vita e il suo tempo, nella speranza di abbracciare nella discendenza tutto il creato, nell’alleanza rinnovata tra Dio e il suo popolo.
La narrazione biblica è centrata sull’esperienza di uomini in ricerca di una verità cui essere fedeli per la vita, e questa ricerca, come la natura stessa del suo oggetto sono nella coscienza dell’uomo, tanto profonde quanto non esauribili in un insieme di norme.
La coscienza è intensamente acutizzata e viva quando siamo chiamati a prendere delle decisioni, quando siamo liberi di orientare le nostre azioni in modo conforme alla nostra volontà.97
L’affiorare della coscienza è legato anche all’emergere della consapevolezza di essere immersi nella vita sociale, e che questa immersione caratterizza fin dall’inizio la mia formazione umana e la mia stessa presenza nel mondo.98
conservait rien de son passé, qui s’oublierait sans cesse elle-même,périrait et renaîtrait à chaque instant: comment définir autrement l’inconscience? […]. Toute conscience est donc mémoire - conservation et accumulation du passé dans le présent. Mais toute conscience est anticipation de l’avenir. Considérez la direction de votre esprit à n’importe quel moment: vous trouverez qu’il s’occupe de ce qui est, mais surtout de ce qui va être. […] la conscience est un trait d’union entre ce qui a été et ce qui sera, un point jeté entre le passé et l’avenir».
95 Platone, Menone, 80d e 81, in Opere, Sansoni, 1993. Scrive Heidegger, in un contesto riflessivo di ripensamento dell’intero corso del pensiero filosofico occidentale, volto a segnare il tempo presente: «Wir kommen für die Götter zu spät und für das Sein zu früh» (troppo tardi per gli dèi, e troppo presto per l’essere).
96 Platone, Fedro, 249c, in Opere, op. cit. Secondo Platone, la visione stessa della bellezza, anche nelle sue forme umane, riaccende nell’animo quella sete, mai del tutto sopita, del bene, del bello, del vero.
97 Henri Bergson, La Conscience et la Vie, in L’Énergie spirituelle, op. cit. Scrive il filosofo: «Quels sont, d’autre part, les moments où notre conscience atteint le plus de vivacité? Ne sont-ce pas les moments de crise intérieure, où nous hésitons entre deux ou plusieurs partis à prendre, où nous sentons que notre avenir sera ce que nous l’aurons fait. […]. Si la conscience signifie mémoire et anticipation, c’est que conscience est synonyme de choix». E in Évolution créatrice, Librairie Félix Alcan, Paris 1927, aveva scritto: «La conscience est la lumière immanente à la zone d’actions possibles ou d’activité virtuelle qui entoure l’action effectivement accomplie par l’être vivant. Elle signifie hésitation au choix. Là où beaucoup d’actions également possibles se dessinent sans aucune action réelle […], la conscience est intense» (p. 156-157).
54
Questa consapevolezza è accompagnata dal progressivo definirsi della coscienza morale, dimensione che si erge al di sopra dei puri istinti egoistici primari, ancora tutti ancorati alla forza delle sensazioni e delle emozioni non articolate, per assumere la forma del riconoscimento di un dovere.99
Alla formazione della coscienza morale concorrono tutte le risorse vive dello spirito, interamente tese ad operare una sintesi creativa di tutti gli elementi conoscitivi fino a quel momento acquisiti,100 per sortire, nell’imprevedibilità del gesto, il frutto migliore dell’amore verso l’altro unito ad una profonda saggezza di vita ed ad un senso profondo ed obiettivo del rispetto di quanto è giusto.101
Le potenze creative del gesto, unite alla profondità di un pensiero sul destino dell’uomo, costituiscono anche un argine di coscienza contro il prevalere nelle vite degli uomini della forza brutale della sopraffazione dell’uomo sull’uomo e del potere politico sulle aspirazioni del popolo.
La centralità nella coscienza del maturare di un senso di responsabilità nei confronti del senso ultimo della mia esistenza e dei compiti che ciascun essere umano deve in qualche 98 Henri Bergson, Les deux sources de la Morale et de la Religion, Presses Universitaires de France, Paris 1932, p.7: « Chacun de nous appartient à la société autant qu’à lui même. Si sa conscience, travaillant en profondeur, lui révèle, à mesure qu’il descend davantage, une personnalité de plus en plus originale, incommensurable avec les autres et d’ailleurs inexprimable, par la surface de nous-mêmes nous sommes en continuité avec les autres personnes, semblables à elles, unis à elles par une discipline qui crée entre elles et nous une dépendance réciproque ».
99 Ibidem, p. 23: « Aucune obligation n’étant de nature instinctive, le tout de l’obligation eût été de l’instinct si les sociétés humaines n’étaient en quelque sorte lestées de variabilité et d’intelligence. C’est un instinct virtuel, comme celui qui est derrière l’habitude de parler. La morale d’une société humaine est en effet comparable à son langage ».
100 Józef Tischner, Myslenie wedlung wartosci, Wydawnictwo Znak, Krakòw 2000 (trad. it., Il pensiero e i valori, di A. Setola, CSEO, Bologna 1980), pp. 173-174: «La liberazione della volontà buona, la sua difesa e il
suo rafforzamento sono un’Arte, la più grande di tutte le arti. […]. L’etica in quanto scienza dovrà essere scienza dell’arte della creazione. […] L’etica […] deve diventare essa stessa l’arte di centrare il senso dei valori. [Essa] testimonia chiaramente la vera natura del bene, che - come dicevano con una bella espressione gli antichi saggi - è ‘diffusivum sui’, ossia: una volta scoperto e percepito, il bene non ha bisogno di ulteriori stimoli, ma tende ad incarnarsi di suo proprio impulso».
101 Simone Weil, Quelques réflexions autour de la notion de valeur, Inédit (1941), Fonds Simone Weil, BNF, pubblicato in Œuvres, Gallimard, Paris 1999. Scrive la pensatrice: « Il faut se souvenir que la vérité est un valeur de la pensée. Le mot de vérité ne peut avoir d’autre sens. […] Mais la condition humaine rend l’exercice de la réflexion, au sens rigoureux du mot, presque impossible. Car puisque l’esprit est une tension vers quelque valeur, comment se détacherait- il de la valeur vers laquelle il est tendu pour la considérer, la juger et la mettre à son rang par rapport aux autres? Ce détachement exige un effort, et tout effort de l’esprit est une tension vers une valeur. […] On voit assez par là que la philosophie ne consiste pas en une acquisition de connaissance ainsi que la science, mais en un changement de tout l’âme. La valeur est quelque chose qui a rapport non seulement à la connaissance, mais à la sensibilité et à l’action; il n’y a pas de réflexion philosophiques sans une transformation essentielle dans la sensibilité et dans la pratique de la vie, transformation qui a une égale portée à l’égard des circonstances les plus ordinaires et les plus tragiques de la vie » (p. 123-124).
55
modo assumersi nei confronti di coloro che gli sono vicini, così fortemente sottolineata, inter alia, da Ingarden,102 diventa il centro di un processo di maturazione che mi rende consapevole anche del senso della riflessione teoretica, della sorgente originaria del pensiero filosofico, originaria quanto l’innato desiderio di comprendere e conoscere, come il senso profondo del pensiero platonico, ma in fondo anche di quello aristotelico, suggeriscono.
E’ una responsabilità che sento nei confronti dell’altro che mi chiede aiuto, che mi chiede di stargli vicino, di non lasciarlo da solo con la sua disperazione, con la sua fragilità che è all’origine della sua colpa e della sua malattia.
E, per contro, l’essere umano è ridotto in uno stato di quasi incoscienza quando la sua libertà sia delimitata da tutti i lati cosicché gli sia fatta violenza e non vi sia più per lui la possibilità di volere, di potere agire liberamente.103
Proprio le condizioni limite, nelle quali è stata superata la soglia dell’inviolabile integrità della coscienza, sono quelle che mostrano il tratto disumano ed estraniante della violenza del potere che, cancellando il limite tra esteriorità ed interiorità, violano la libertà e l’intimità della coscienza fino a sradicarne il desiderio stesso della felicità e la naturale inclinazione al bene.
E proprio le condizioni esistenziali estreme sono quelle nelle quali appare in forma più chiara il ruolo dell’interiorità e della coscienza, poiché come la libertà interiore è il centro di irradiazione di quella libertà che dovrebbe potersi esprimere negli atti, nella storia e nella vita della società, così ne è anche l’ultimo baluardo di resistenza quando drammatici eventi storici riducono da ogni parte la possibilità per l’uomo di sopravvivere.104
102 Roman Ingarden, Ksiazeczka o czlowieku, Wydawnictwo Literackie, Kraków 1972. Gli scritti morali di Ingarden vennero raccolti da Adam Wegrzecki in Wyklady z etyki e i più importanti furono pubblicati postumi in Ksiazeczka o czlowieku. Il testo raccolse sei scritti di argomento morale, tra i quali ricordiamo: Über die
Verantwortung (Sulla Responsabilità), Czlowiek i jego rzeczywistosc (L'uomo e la sua realtà) e Czlowiek i czas
(L'uomo e il tempo). La concezione assiologica dell’autore, alla definizione della quale egli stava lavorando ancora poco prima di morire, rimase incompiuta.
103 Roman Ingarden, Ksiazeczka o czlowieku, op. cit. In questo senso, Ingarden in Über die Verantwortung; ihre ontischen Fundamente, Reclam, Stuttgart 1970 (di questo testo esiste una traduzione italiana a cura di A.
Setola, Sulla responsabilità, CSEO Biblioteca, Bologna 1982, alla quale faremo riferimento per le citazioni) precisa: «Una decisione della volontà e un’azione possono valere come azione propria della persona in oggetto solo quando scaturiscono direttamente dal centro dell’io di questa persona»; infatti si debbono anche prendere in considerazione delle circostanze nelle quali l’uomo «non dispone più di nessuna sfera di decisioni e di azioni proprie e pertanto non è assolutamente libero, dal momento che tutto nella sua vita viene ottenuto con la forza dall’esterno».
104 Anche le condizioni di vero e proprio sfruttamento dell’uomo, non solo nel passato o nel Terzo Mondo, del lavoro, ma in realtà ancora molto diffuse anche nel nostro mondo, riducono la persona a puro ente meccanico, completamente asservita a fini del tutto estranei al suo essere, spogliandola persino del desiderio di un’esistenza più felice. Cfr. Simone Weil, La condition ouvrière, Gallimard, Paris 1951. Scrive la pensatrice francese, che abbandonò l’insegnamento per lavorare come operaia nelle fabbriche e impegnarsi nell’azione sindacalista, rendendoci una testimonianza tanto più incisiva in quanto frutto di esperienza in prima persona: «Les choses jouent le rôle des hommes, les hommes jouent le rôle des choses: c’est la racine du mal. […]
56
Quest’ultimo avamposto della vita nel mondo della morte, della violenza, dell’estraneità è il cuore coraggioso e vivo dell’uomo che, pur in tutta la sua radicale fragilità, è ancora capace di amare, di tendere all’altro una mano.105
Nombreux […] dans les grandes usines, et même dans beaucoup de petites, sont ceux ou celles qui exécutent à toute allure, par ordre, cinq ou six gestes indéfiniment répété, un par seconde environ, sans autres répit que quelques courses anxieuses pour chercher une caisse, un régleur, d’autres pièces, jusqu’à la seconde précise où un chef vient en quelque sorte les prendre comme des objets pour le mettre devant une autre machine […]. La pire attentat, c’est lui qui mériterait peut-être d’être assimilé au crime contre l’Esprit, qui est sans pardonne, s’il n’était probablement commis par des inconscients, c’est l’attentat contre l’attention des travailleurs. Il tue dans l’âme la faculté qui y constitue la racine même de toute vocation surnaturelle. La basse espèce d’attention exigée par le travail taylorisé n’est compatible avec aucune autre, parce qu’elle vide l’âme de tout ce qui n’est pas le souci de la vitesse. Ce genre de travail ne peut pas être transfiguré, il faut le supprimer» (p. 248).
105 Ricordiamo, contestualmente solo tre delle molte testimonianze che si potrebbero portare: la testimonianza di Padre Kolbe, l’ultima lettera di Leone Ginzburg alla moglie Natalia, riportata insieme alle molte altre testimonianze coeve raccolte per la prima vota e pubblicate nel numero del marzo 1949 de Il Ponte, La Nuova Italia, Firenze. Umanissima e profonda, la lettera di Emmanuel Mounier alla moglie quando seppe che la loro figlia Françoise era in coma. Anche nei versi di un grande poeta polacco, Tadeusz Rózewicz, pur così ancorato all’immanenza della carne, unica vera realtà esistenziale, troviamo questa sconcertante testimonianza, in Recopié le 7 Février 1988 (che riportiamo qui nella recente traduzione francese): «La vie / quel beau cercle / parfait / parfaitement / clos / […] / la seule / la vraie / sortie / de ce cercle / c’est la mort / attends! / […] Ton cercle de craie / plein d’ombres et de lumières / idéal parfaitement clos / c’est le dernier Dieu / à être resté vivant / par la mort / tu en sortiras / donne-moi la main». Tadeusz Rózewicz, Poezje
57