Localizzazione: Dodona, Ioannina. 481930, 4377534, 637 m s.l.m.
Definizione: tempio, oikos (fase I), prostilo tetrastilo ionico (fase II).
Posizione: alle pendici sud dell’altura dell’”acropoli”, al centro del percorso sudovest-
nordest, noto convenzionalmente come hierà odòs, sul quale affacciano gli edifici naomorfi del santuario.
Storia delle ricerche
Il notevole edificio quadrangolare più tardi denominato “E1” venne messo in luce dal diplomatico di Arta K. Karapanos nel corso delle sue indagini pionieristiche nel sito di Dodona, condotte nel 1875 su concessione della Sublime Porta: il tempio sul lato nord del complesso non venne intercettato, ma l’ingente quantità di materiali rinvenuta nelle operazioni di sterro (soprattutto monete e iscrizioni oracolari incise su laminette di piombo) e la stessa configurazione della struttura – in apparenza interpretabile come un recinto ipetrale suddiviso internamente in più “vani” – indussero Karapanos ad annoverarla tra gli edifici «affectés aux différents moyens de divination employés par l’oracle de Dodone»1.
Con l’annessione dell’Epiro alla Grecia (1913) e la ripresa delle ricerche nel sito per opera della Società Archeologica di Atene, l’edificio fu oggetto di indagini più approfondite da parte di D. Evangelidis. Si cominciò così ad intuire l’articolazione del complesso, dotato a nord e a sud di avancorpi aggettanti (prostôa) e formato da una serie di recinti concentrici che sembravano testimoniare un’intensa stratificazione di fasi2. Gli scavi degli anni Trenta, a tratti interrotti per mancanza di fondi e per altri impedimenti, non apportarono sostanziali modifiche al precedente quadro esegetico, se è vero che ancora nel 1941 – in quello che si configura come il primo tentativo di sintesi
1 Cfr. C
ARAPANOS 1878, p. 20 s., con tav. III, nr. 5. 2
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dei dati archeologici relativi al santuario dopo quello di Karapanos – lo studioso danese E. Dyggve poteva ancora interpretare l’”Edificio E1” come herôon ipetrale, costituito da un recinto con peristilio centrale e due propyla simmetrici sui lati nord e sud3. Soltanto negli anni Cinquanta si cominciò a comprendere la natura della fondazione quadrangolare al centro del lato nord del recinto, attribuita a un edificio templare – erroneamente datato all’epoca romana – costruito al di sopra di un precedente naiskos4.
All’inizio degli anni Sessanta, quando la direzione degli scavi di Dodona – scomparso Evangelidis nel novembre del 1959 – venne assunta dall’allievo S. I. Dakaris, si giunse alla pubblicazione in forma monografica di quella che da allora, in base all’interpretazione di un celebre locus polibiano (IV, 67, 3-4), sarebbe stata ricordata in letteratura come hierà oikia5. L’influenza di quest’opera, di per sé meritoria, sulla storia degli studi dell’ultimo mezzo secolo è stata talmente sottile e pervasiva da sortire alla lunga un effetto inibitore. Nonostante alcuni errori o semplificazioni fossero già stati segnalati, alla metà degli anni Sessanta, dalla recensione di M. Andronikos6, la linea interpretativa e la rigida griglia cronologica proposte da Dakaris hanno finito per sedimentarsi in una sorta di vulgata, ben presto ammantata da un’aura di auctoritas che si è tradotta in un certo immobilismo degli studi dodonei. Tra tutti gli edifici del santuario la c.d. hierà oikia, proprio per l’attenzione preponderante riservatale da Dakaris, è quello che ha sofferto maggiormente di questa situazione. A differenza di quanto è avvenuto per i c.d. naiskoi, almeno a livello di interpretazione funzionale e proposte di attribuzione, nessuno dei contributi dell’ultimo decennio è riuscito a incanalare gli spunti critici, che pure non sono mancati7, verso un’autentica revisione delle conoscenze sull’”Edificio E1”, vuoi perché incentrato su argomenti in una certa misura slegati dalle vicende edilizie del santuario8, vuoi per una sorta di “timore reverenziale” che ha operato a livello inconscio. Tra i lavori in controdenza, oltre a
3 D
YGGVE 1941, pp. 95-110, con fig. 16. 4 E
VANGELIDIS 1953, p. 160 s., con fig. 1; ID.1954, p. 188 s. 5
EVANGELIDIS,DAKARIS 1959, pubblicato nel 1964 e preceduto dal più breve ma altrettanto influente DAKARIS 1960 [1962].
6 A
NDRONIKOS 1966. 7 Prima di Q
UANTIN 2008, tra i lavori più interessanti si segnalano MYLONOPOULOS 2006 e DIETERLE
2007, che nonostante le critiche a singoli aspetti della ricostruzione di Dakaris ne lasciano sostanzialmente invariato l’impianto generale.
8 È il caso dei contributi dedicati alla raccolta e al commento del ricco materiale epigrafico legato all’attività dell’oracolo (LHÔTE 2006, EIDINOW 2007) o agli aspetti politico-istituzionali del santuario (MOUSTAKIS 2006), talvolta con implicazioni riguardanti la storia dell’intera Molossia (MEYER 2013).
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quello del 2008 di F. Quantin9, si segnala la monografia di T. E. Emmerling sui c.d.
Kultbauten. La studiosa, dichiarando di voler ripartire dalle fondamenta – «der
archäeologische Befund und seine Interpretation»10 – anziché dai piani alti dell’edificio ermeneutico innalzato negli anni intorno a queste costruzioni, ha affrontato per la prima volta in maniera realmente critica il problema delle fasi e persino della destinazione funzionale dell’”Edificio E1”, al quale è dedicata la parte più consistente del suo lavoro11. Il pregio maggiore di quest’ultimo consiste nel tentativo di sciogliere quell’intreccio inestricabile di descrizione e interpretazione che costituiva il limite principale della monografia di Dakaris12, e che ha portato spesso a scambiare per dati oggettivi le letture esegetiche fornite dagli scavatori.
La mole dei dati disponibili, incomparabilmente più elevata di quella reperibile in letteratura per i naiskoi di Dodona e in generale per i templi dell’Epiro, e la possibilità di disporre di recenti puntualizzazioni che, nonostante occasionali errori e qualche nodo problematico13, appaiono sostanzialmente condivisibili nel loro impianto, hanno imposto l’adozione di un taglio selettivo e in parte diverso da quello impiegato per gli altri edifici. Prima di procedere alla descrizione dei resti della componente naomorfa dell’”Edificio E1” e all’analisi critica dei dati sulla sua forma e cronologia, in particolare, è indispensabile illustrare sinteticamente il complesso dispositivo architettonico nel quale essa, a partire da un certo momento della sua storia edilizia, risultò integrata. Nel farlo si seguirà la tradizionale scansione in fasi delineata da Dakaris all’inizio degli anni Sessanta, che ha rappresentato e in parte continua a rappresentare il quadro di riferimento di ogni trattazione dell’architettura dodonea, nonostante il carattere apodittico e per molti aspetti problematico dei suoi presupposti (v. infra).
9 Q
UANTIN 2008, i cui elementi di maggiori novità riguardano tuttavia l’interpretazione funzionale dei
naiskoi, mentre per la c.d. hierà oikia, nonostante le interessanti notazioni di carattere lessicale e storico-
religioso, si conservano le cronologie e l’interpretazione tradizionale. Sulla linea inaugurata da Quantin si pone PICCININI c.d.s., che approfondisce il discorso sui naiskoi senza mettere in discussione le proposte di datazione di Dakaris (p. 169, nota 16).
10 E MMERLING 2012, p. 21. 11 Ibid., pp. 23-175. 12 Ibid., in particolare p. 26.
13 Entrambi derivano principalmente, come si vedrà, dalla scelta o dalla necessità di operare unicamente sull’edito anziché sui materiali, anche quando conservati sul sito. Dal punto di vista della lettura funzionale di “E1”, poi, si può notare una certa tendenza a a trascorrere da una sana prudenza venata di scetticismo, assolutamente apprezzabile e doverosa dopo le posizioni fideistiche di una parte consistente della letteratura passata, in un iper-scetticismo a volte un po’ insistito, per es. nei confronti dell’interpretazione come tempio (non necessariamente l’unico e il principale) dell’edificio prostilo sul fondo di “E1” (v. in particolare EMMERLING 2012, pp. 92-94).
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L’”Edificio E1”, fasi edilizie: il quadro tradizionale
A dispetto della fama di antichità e dell’amplissimo raggio di frequentazione dell’oracolo nel corso delle età arcaica e alto-classica14, il santuario di Dodona sembra essere rimasto privo di una facies architettonica stabile e riconoscibile almeno fino alla fine del V, se non fino all’inizio del IV sec. a.C.15 Della fase terminale di questa lunghissima “protostoria”, di cui restano soltanto materiali mobili di carattere votivo e responsi oracolari incisi su laminette di piombo16, serberebbe ricordo un abusatissimo frammento di un autore attico di IV sec. a.C., Demon, tramandato da Stefano di Bisanzio: in un momento che Dakaris riteneva non troppo anteriore il santuario di Zeus, «τοὶχους μὴ ἔχοντα», “privo di muri”, avrebbe avuto come unica protezione un circolo di lebeti17 su tripodi bronzei che nella ricostruzione dell’archeologo greco avrebbero circondato la phegòs, la quercia mantica, già menzionata nell’Odissea, nel cui tronco e nelle cui radici si riteneva avesse sede la divinità18.
Intorno al 400 a.C., all’epoca dell’ingresso del santuario tesprota nell’orbita dello stato molosso in piena espansione19, un piccolo edificio a oikos, concepito probabilmente come un deposito per offerte votive e arredi sacri piuttosto che come l’autentica “casa” della divinità20, avrebbe affiancato la sacra quercia21: la cronologia di
14 V. L
HÔTE 2006, p. 429 s.,con carta relativa alle frequentazioni del santuario dodoneo basato sullo studio dialettologico ed epigrafico delle laminette oracolari. Tra le consultazioni pubbliche si distinguono quelle delle poleis di Corcira (nrr. 1-4, nella nr. 2 con Orikos), Taranto (nr. 5), Eraclea di Lucania (nr. 6A) e degli ethne o stati tribali dei Bylliones (nr. 7), dei Mondaiates in Tessaglia (nr. 8B), dei Caoni (nr. 11), dei Dodonaioi (nr. 14).
15 Sulla fase “pre-edilizia” del complesso oracolare (VIII-V sec. a.C.): E
VANGELIDIS,DAKARIS 1959, p. 114 ss., con fig. 91; DAKARIS 1971, p. 38 s. Sullo spinoso problema delle origini del culto, che Dakaris faceva risalire al II millennio a.C.: DIETERLE 2007, pp. 235-262.
16 Per le offerte votive è utile soprattutto D
IETERLE 2007, pp. 70-102, 169-234. Per le laminette oracolari cfr. LHÔTE 2006, EIDINOW 2007, DAKARIS,VOKOTOPOULOU,CHRISTIDIS 2013.
17
Per una silloge delle testimonianze letterarie su Dodona si rimanda a DIETERLE 2007, pp. 275-340. Per la testimonianza di Demon, motivata dalla volontà di spiegare l’origine dell’espressione proverbiale “Δωδωναῖον χαλκεῖον”: FrGrHist III, b, 201-202, apud St. Byz., s.v. Δωδώνη. Cfr. PICCININI c.d.s., p. 168, dove si sottolinea come il passo «clearly shows no interest for an accurate depiction of reality». 18
Hom., Od. XIV, 327-330. Cfr. Hes., Op., fr. 134: «ναῖον δ’ἐν πυθμένι φηγοῦ» (riferito a Zeus). 19 D
AKARIS 1971, p. 20 s. Ancora in Arist., Mete. I, 4 Dodona è localizzata in Tesprozia. 20 D
AKARIS 1971, p. 40: «This little temple built near the oak was not the dwelling of the god; it only housed the offerings». Cfr. PARKE 1967, p. 115 s. (a proposito di Zeus Naios): «His manifestation was a sacred oak tree. Perhaps he even lived in the tree. At any rate it, and not an image, was the outward sign of his presence, and this would not call for a temple to house it, but at most for a wall or fence to enclose it». Per il problema dell’interpretazione funzionale degli edifici naomorfi di “E1” si rimanda alla sezione finale di D02, dove si propone una revisione della documentazione relativa al problema della localizzazione del tempio di Zeus.
21 La prova dell’ubicazione della phegòs sul lato est di “E1”, secondo Dakaris, sarebbe fornita dalla presenza di una grande fossa (“T-T1-T2”) scavata dai cristiani per estirpare l’albero, e forse per cercare un tesoro che si riteneva sepolto ai suoi piedi: EVANGELIDIS,DAKARIS 1959, pp. 66-68. Una scrupolosa revisione dei dati che hanno portato a tale conclusione si trova in EMMERLING 2012, p. 75 s., dove in base
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questa modesta costruzione naomorfa, che avrebbe costituito il nucleo embrionale dell’”Edificio E1” (fase I) e insieme il punctum originis dello sviluppo monumentale di Dodona, era dedotta da Dakaris da diversi frammenti di terrecotte architettoniche rinvenuti all’interno del complesso (v. infra).
L’esigenza di separare la sede dell’oracolo dal circostante spazio del temenos – delimitato per la prima volta da un peribolos e ben presto occupato da altri naiskoi – si tradusse nella seconda metà del IV secolo nell’erezione di un recinto in opera quadrata isodoma (m 13 in senso est-ovest e m 11.80 sull’asse nord-sud) intorno alla quercia e al tempietto-oikos (fase II)22; la fronte di quest’ultimo venne inscritta all’interno del recinto – dotato di un’apertura ad ante in prossimità dell’angolo di sudest, non in asse con il tempietto – a differenza del corpo che sporgeva dall’angolo di nordovest23. Una capanna ellissoidale di incerta datazione nei pressi del lato sud del recinto – che Dakaris proponeva di relazionare con la tradizione mitica relativa ai Selloi, hypophetai di Zeus dagli strani costumi semibarbarici – sarebbe stata obliterata nello stesso periodo24.
Un’ulteriore espansione dell’”Edificio E1” (fase III) era datata dall’archeologo greco verso l’inizio del III secolo, durante il regno di Pirro (297-272 a.C.)25. Al vecchio
peribolos si sostituì un recinto di dimensioni allargate (m 19.20 sull’asse est-ovest e m
20.80 sull’asse nord-sud), dotato di un ingresso al centro del lato sud quasi allineato con la facciata del tempietto. Un portico a Π di ordine ionico occupò i lati nord, sud e ovest del nuovo recinto, determinando con la ritmica scansione del colonnato un movimento verso il lato orientale – non porticato – contro il quale si sarebbe stagliata la mole della
phegòs; la parete di fondo dell’oikos tardo-classico fu assorbita dal perimetro della
costruzione, così che il tempietto, inscritto completamente all’interno del recinto, venne
al confronto (a tratti forse un po’ meccanico) con le testimonianze archeologiche di fosse o pozzetti di piantumazione in contesti santuariali si sostiene l’impossibilità di attribuire con certezza il taglio nella roccia nel punto più profondo della trincea alla presenza dell’albero. Cfr. EMMERLING 2012, pp. 263-268, app. 1. Il ruolo della quercia (o delle querce) nel procedimento mantico, secondo l’A., non emergerebbe con chiarezza dalle fonti letterarie: ibid., pp. 72-74.
22
EVANGELIDIS,DAKARIS 1959, pp. 39-47, con figg. 33-38 e tav. 7; DAKARIS 1971, p. 41 s., con fig. 10. 23 Questo recinto, come nota P
ARKE 1967, p. 118, «was designed to enclose the smallest area that would include both the temple and oak even at the sacrifice of symmetry».
24 Cfr. E
VANGELIDIS,DAKARIS 1959, pp. 24-30; DAKARIS 1971, p. 40 s. I Selloi sono citati nella celebre preghiera di Achille al dio di Dodona: Hom., Il. XVI, 233-235. L’impossibilità di pervenire a una datazione della struttura obliterata dal recinto era già sottolineata da ANDRONIKOS 1966, p. 272. Cfr. QUANTIN 2008, p. 15 e nota 23. Difficilmente sostenibile, come nota EMMERLING 2012, p. 230, nota 1402, è la pretesa di DIETERLE 2007, p. 111 di vedervi un dispositivo destinato a delimitare il sito della
phegòs.
25 E
VANGELIDIS,DAKARIS 1959, pp. 48-78, con tav. 8; DAKARIS 1971, pp. 43-46, con figg. 11-13. Per quanto la presenza di Pirro a Dodona sia ben documentata e in un certo senso scontata, la tendenza a sopravvalutare il ruolo del sovrano quale artefice pressoché esclusivo dello sviluppo monumentale del santuario è stata rilevata a più riprese. V. per es. CABANES 1976, p. 331.
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a spezzare la continuità del portico nord inserendosi tra la seconda e la terza colonna a partire da ovest26.
È a questo dispositivo architettonico comprendente la phegòs, l’oikos di Zeus e il recinto porticato – secondo una proposta che ha rappresentato un punto fermo nella storia degli studi dodonei – che alluderebbe secondo Dakaris l’espressione “ἱερὰ οἰκία” tramandata da Polibio, dalla cui singolarità parrebbe di potersi dedurre il carattere “ufficiale” della definizione27. Il locus polibiano riguarda un episodio al quale si è preteso di attribuire, talvolta in maniera un po’ troppo rigida ed esclusivista, il valore di un vero e proprio spartiacque nello sviluppo monumentale del santuario, che da una circostanza di per sé funesta – la devastazione e l’incendio di gran parte degli edifici e degli anathemata che nell’arco di circa un secolo si erano andati sempre più affollando all’interno del temenos – avrebbe ricavato uno stimolo ad arricchire una facies architettonica fino ad allora relativamente modesta. All’inizio dell’autunno del 219 a.C. lo strategòs della Lega Etolica Dorimachos condusse una fulminea incursione nei territori interni della Molossia, accanendosi con violenza sacrilega sul santuario federale del da poco costituito koinòn degli Epiroti28. Alla furia distruttrice degli invasori non sarebbe scampata, secondo Polibio, neppure «τὴν ἱερὰν οἰκίαν»29, vale a dire, nella lettura di Dakaris, l’autentico cuore sacrale del manteion dodoneo, sede del tempio-
oikos e dell’oracolo di Zeus Naios. Dello stesso episodio Diodoro Siculo fornisce una
versione leggermente diversa, affermando che gli Etoli “incendiarono il santuario eccetto l’oikos” – generalmente identificato con il naiskos all’interno di “E1” – oppure, secondo una lettura alternativa, “eccetto il sekòs”30. Dakaris, optando per la prima lettura e cercando di conciliare le versioni dei due storici, ipotizzava che il piccolo
oikos, per quanto sicuramente danneggiato e smantellato almeno in parte, non fosse
26 M
YLONOPOULOS 2006, p. 191 sottolinea il contrasto tra il basso muro di recinzione della fase II, che avrebbe consentito di vedere gli atti rituali che svolgevano all’interno di “E1”, e la compatta e chiusa unità raggiunta dal complesso con la III fase edilizia. Cfr. EMMERLING 2012, p. 92 s., con nota 538. 27 Per un ampio commento al passo polibiano e al significato dell’espressione ‘hierà oikia’ v. Q
UANTIN
2008, pp. 20 s., 26 s. L’impossibilità di ricondurre le “case sacre” note epigraficamente a un’omogeneità di funzioni e/o a una specifica tipologia edilizia è oggetto dell’analisi di EMMERLING 2012, pp. 81-83. 28
Sull’episodio e sui suoi antefatti v. CABANES 1976, pp. 244-248, 332. 29
Plb. IV, 67, 3.
30 D.S. XXVI, 7. Il termine ‘sekòs’, più che alla “cella” di un edificio templare (così P
ICCININI c.d.s., p. 168, nota 8), potrebbe riferirsi a un «enclos ou l’enceinte consacrée à une divinité» (HELLMANN 1992, p. 368), secondo l’accezione più comune nel lessico sia letterario che epigrafico e particolarmente adatta a descrivere la peculiare forma architettonica di “E1”. Cfr. EMMERLING 2012, p. 259. Il significato di «partie principale du temple, la cella», passato nella moderna letteratura archeologica, è attestato in iscrr. di IV sec. a.C. da Delfi ed Epidauro e di II sec. d.C. dall’Egitto: HELLMANN 1992, loc. cit., con riferimenti bibliografici. Cfr. la definizione di Hsch.: «σηκός · ἐνδότερος τόπος τοῦ ἱεροῦ».
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stato tuttavia incendiato, dal momento che il rogo si sarebbe inevitabilmente propagato alla quercia attirando sugli Etoli un sacrilegio troppo grande31.
All’indomani di questo episodio – anche grazie al ricco bottino raccolto da Epiroti e Macedoni l’anno successivo, nel corso della spedizione punitiva contro l’etolica Thermòs32 – il santuario sarebbe stato interessato da un ambizioso programma
di ricostruzione, dal quale l’aspetto della hierà oikia sarebbe risultato interamente trasformato (fase IV): mentre il recinto mantenne infatti le dimensioni della fase precedente e anche il portico interno venne ricostruito nelle stesse forme, ma sostituendo la tenera arenaria delle membrature architettoniche con il più tenace calcare, il modesto ingresso ad ante al centro del lato sud cedette il posto a un propylon monumentale dalla fronte ionica tetrastila, e un’analoga trasformazione subì anche il piccolo oikos sul fondo del recinto, notevolmente ingrandito e armonizzato nelle proporzioni e nella facies architettonica al “temenos” in miniatura destinato a contenerlo33.
Se la cronologia relativa delle quattro macro-fasi sopra delineate sembra trovare conferma nei rapporti tra le stratigrafie murarie delle varie parti dell’”Edificio E1”, la loro datazione assoluta si appoggia a criteri di diversa natura e consistenza – particolarità tecnico-costruttive e considerazioni sull’uso dei materiali, monete o frammenti di iscrizioni rinvenuti in posizioni stratigrafiche raramente affidabili, eventi storici noti dalle fonti letterarie e invocati, in genere sulla base della sola equazione “E1” = hierà oikia = tempio di Zeus, come terminus ante o post quem – recentemente fatti oggetto di una critica serrata da parte di T. E. Emmerling34. L’analisi della studiosa, per la prima volta, ha coinvolto anche i frammenti architettonici fittili e lapidei pubblicati da Dakaris nella monografia sulla “hierà oikia”35, spesso a seguito di un’attribuzione forzata e quanto meno opinabile alla luce dei dati sul contesto di rinvenimento. È importante notare come sulle datazioni proposte da Dakaris per questi materiali, malgrado successive e parziali rettifiche o puntualizzazioni che finora avevano però riguardato le sole terrecotte architettoniche36, abbia continuato a fondarsi il quadro ricostruttivo della storia edilizia del santuario di Dodona, con conseguenze importanti soprattutto per la definizione cronologica delle fasi più alte. La novità
31 E
VANGELIDIS,DAKARIS 1959, p. 135; DAKARIS 1971, p. 46. 32
CABANES 1976, p. 248. 33 E
VANGELIDIS,DAKARIS 1959, pp. 98-112, con tav. 9;DAKARIS 1971, pp. 46-49, con figg. 15-17. 34 E
MMERLING 2012, pp. 95-115 (fasi I-II), 115-148 (fase III), 148-172 (fase IV). 35 E
VANGELIDIS,DAKARIS 1959, pp. 166-175. 36
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dell’approccio della Emmerling rende dunque perdonabili alcuni limiti dell’analisi, dovuti essenzialmente alla scelta di operare sull’edito senza procedere a verifiche autoptiche direttamente sui pezzi, il che è comprensibile quando si tratta di materiali di non immediata accessibilità, come quelli conservati nei magazzini del Museo Archeologico di Ioannina, meno quando si tratta di frammenti conservati sul sito. La possibilità di visionare personalmente una parte consistente dei materiali già pubblicati da Dakaris mi ha permesso in molti casi di confermare, in altri di precisare o rettificare in modo più o meno sostanziale le valutazioni della studiosa37. Trattandosi di membra
disiecta, di materiali provenienti cioè da un areale abbastanza ampio – compreso tra il
“Naiskos Z” a ovest e i naiskoi “Θ” e “Γ” a est e nordest – che soltanto la pubblicazione unitaria aveva fatto illusoriamente apparire come un insieme coerente, l’inquadramento stilistico-formale, la datazione e (in rari casi purtroppo) le possibilità di attribuzione a un determinato edificio saranno affrontati nelle schede del Catalogo in appendice a “E1”. Nei prossimi paragrafi invece, dopo la descrizione dei resti dell’oikos delle fasi I- III e del naòs tetrastilo della fase IV, si presenterà un quadro di sintesi limitato ai materiali più significativi ai fini della datazione e della ricostruzione della componente naomorfa di “E1”.
Fasi I-III: l’oikos
Descrizione dei resti38
All’interno della cella e del pronao del naòs della fase IV, a una quota leggermente inferiore rispetto all’euthynteria e a una distanza di m 2.60 ca. dal margine