Catalogo dei frammenti architettonic
DESCRIZIONE 74 La decorazione a rilievo, con un aggetto massimo sul piano d
fondo di cm 6 ca.75, si applica a una lastra il cui spessore, che alla base è di cm 20, va rastremandosi verso l’alto assecondando l’andamento inclinato della faccia anteriore. Al centro è posto un personaggio maschile nudo di prospetto, con il corpo violentemente inarcato verso la parte destra del campo, nell’atto di colpire un essere anguiforme la cui coda emerge da sotto il ginocchio sx. della figura; la testa e il braccio dx. del personaggio centrale sono perduti, mentre di una seconda figura maschile, collocata al di là della linea di frattura sul margine dx. della lastra, si conserva soltanto la coscia dx. con il ginocchio, rappresentata di scorcio. Il retro dell’elemento presenta una superficie regolare fittamente lavorata con uno scalpello a punta tonda76.
INTERPRETAZIONE E DATAZIONE. L’identificazione della scena figurata con
l’athlos eracleo dell’Idra, proposta da S. Dakaris e accolta dalla quasi totalità degli interpreti, parrebbe confermata dalla presenza, oggi a malapena riconoscibile, di un granchio presso il ginocchio destro del personaggio centrale: è noto infatti come questo elemento, fin dalle più antiche occorrenze del tema, sia utilizzato frequentemente per connotare il paesaggio della palude di Lerna77. All’archeologo greco si deve anche l’interpretazione del rilievo come parte di una metopa, che in base a un’ardita lettura
prossimità dell’angolo inf. sx. L’ipotesi alternativa presa in considerazione dall’A., quella di un tentativo di sarcitura conseguente a una rottura della lastra probabilmente in fase di lavorazione, è del tutto improbabile.
71 Su questo «έξεργος όγκος» che farebbe pensare a un particolare non rifinito v. K
ATSIKOUDIS 1997, p. 259 e tav. 1β. Già EVANGELIDIS 1929, p. 111 credeva di riconoscere nell’elemento indizi di incompiutezza.
72 K
ATSIKOUDIS 1997, p. 258 parla a questo proposito di “βελονιές”, forellini simili a quelli praticati da un ago.
73
Ho potuto rilevare una tessitura del tutto simile della superficie su alcuni frr. architettonici dal tempio di Rodotopi, dove queste tracce erano state erroneamente ricondotte all’azione del fuoco: v. in particolare R01.L12.
74 Del pezzo, che interessa qui soprattutto per la sua presunta funzione architettonica, si fornisce una descrizione necessariamente sintetica, rimandando alla bibliografia richiamata supra (e nelle note ss.) per un più preciso inquadramento della scena figurata a livello iconografico e stilistico.
75 In corrispondenza della coscia sx. della figura principale: K
ATSIKOUDIS 1997, p. 258.
76 La nuova collocazione del pezzo nel cortile del Museo ha comportato la rimozione del supporto sul quale l’elemento era stato montato nel precedente allestimento, e la cui presenza aveva impedito a N. Katsikoudis di osservare il retro della lastra: KATSIKOUDIS 1997, p. 258.
77 D
AKARIS 1971, p. 53, con tav. 17, 1; KATSIKOUDIS 1997, p. 259, con tav. 1β. Il granchio, frequente in epoca arcaica sia in scultura che nella pittura vascolare, ricorre solo occasionalmente in età classica ed ellenistica (KATSIKOUDIS 1997, p. 261): KOKKOROU-ALEVRAS 1990, nrr. 2041 (rilievo votivo da Lerna, ora al Museo Nazionale di Atene, inv. NM 3617: III sec. a.C.), 2048 (skyphos megarese da Olimpia: III-II sec. a.C.), 2055 (statere d’argento di Phaistòs: fine IV-III sec. a.C.). Il particolare sembrerebbe escludere la lettura alternativa, proposta unicamente da VOKOTOPOULOU 1973, p. 95, che in base all’identificazione della figura centrale con un gigante anguipede attribuisce la scena a una Gigantomachia.
154
genealogico-propagandistica del tema iconografico veniva datata all’età di Pirro e attribuita a un’ipotetica prima fase del c.d. “Tempio di Eracle”78.
Il pezzo è stato oggetto di un riesame da parte di N. Katsikoudis, il quale, pur accogliendone la datazione all’inizio del III secolo e l’interpretazione in chiave “politica” come allusione ai progetti egemonici di Pirro79, ha negato che possa trattarsi di un rilievo metopale. L’obiezione di Katsikoudis, più che sulla relativa rarità dei soggetti narrativi nella scultura architettonica ellenistica80, insiste opportunamente sull’incompatibilità tra le dimensioni della lastra e quelle dei frammenti di triglifi rinvenuti da Sotiriadis, che secondo Dakaris avrebbero fatto parte dello stesso fregio81. Anche ammettendo una certa compressione della scena verso destra, in effetti, la forte inclinazione verso l’esterno della gamba del personaggio in cui si è proposto di riconoscere Iolao suggerisce che la rappresentazione si estendesse per una lunghezza considerevole, decisamente eccessiva per il fregio di un edificio delle dimensioni del “Naiskos A”82. Quanto al limite inferiore della rappresentazione, l’avanzamento irregolare del fondo a formare una sorta di base, riproduzione del terreno paludoso sul quale si muove il granchio, suggerisce di farlo coincidere con il bordo conservato. La figura centrale lotta pertanto inginocchiata con il ginocchio sinistro apparentemente premuto sulla coda serpentiforme del mostro, mentre l’incavarsi del fondo tra le sue gambe dà l’illusione dello spazio nel quale affondano i polpacci dell’eroe83, convergenti verso l’interno. È verosimile che il corpo di Idra occupasse la parte sinistra del campo, verso la quale Eracle, raffigurato con il braccio destro sollevato fin dietro la linea delle spalle, inclinata verso destra ad assecondare il ritrarsi del corpo di fronte all’avanzare del mostro, sembra sul punto di vibrare il colpo: le cavità sub-circolari in prossimità del margine sinistro, sia che questa parte del rilievo sia rimasta incompiuta, sia che abbia subito gli effetti di una rilavorazione o di un processo di degrado naturale, potrebbero allora essere riferite agli avvolgimenti delle spire84.
La posa inginocchiata rappresenta la variazione più significativa introdotta in uno schema iconografico il cui archetipo, riprodotto fino all’epoca imperiale, andrebbe riconosciuto per P. Moreno nel perduto gruppo lisippeo del santuario acarnano di Alizia85. L’impossibilità di dimostrare tale assunto, insieme all’assenza di elementi
78 La tesi è enunciata per la prima volta in D
AKARIS 1960, p. 7, nota 7. Cfr. DAKARIS 1971, p. 53. Sull’uso metodologicamente inaccettabile del rilievo per sostenere l’ipotesi dell’attribuzione dell’edificio a Eracle e la sua datazione all’età di Pirro v. infra.
79
KATSIKOUDIS 1997. L’interpretazione in chiave propagandistica si basa sul paragone, attribuito dalle fonti allo stesso Pirro o al suo ambasciatore Cinea di ritorno da Roma, tra le prodigiose capacità rigenerative dell’Idra e quelle dell’esercito romano all’indomani di Eraclea. Alle fonti richiamate da KATSIKOUDIS 1997, p. 263 s. e nota 39 – D.C., fr. 40, 28; Zonar. 8, 4, 3 – bisogna aggiungere: Plu., Pyrrh, 19, 7; App., Sam., 10, 8; Flor., epit., 1, 13, 19. Cfr. LÉVÊQUE 1957, p. 355. Sul desiderio di Pirro di emulare le gesta di Eracle (D.S. XXII, 10, 3): LÉVÊQUE 1957, p. 479; EMMERLING 2012, p. 182.
80 K
ATSIKOUDIS 1997, p. 260. Cfr. WEBB 1996, pp. 22, 48; RIDGWAY 1990, p. 150. 81
KATSIKOUDIS 1997, p. 260. Cfr. EMMERLING 2012, p. 181, con nota 1050. 82 Per le dimensioni dei triglifi e alcune ipotesi sulla scansione del fregio v. infra. 83 Non convince K
ATSIKOUDIS 1997, p. 259, il quale sembra ascrivere l’incavarsi del fondo (di cm 15 ca.) a una frattura accidentale.
84
Spire anulari fortemente incavate al centro caratterizzano l’iconografia dell’Idra in un rilievo inedito da me osservato nel piccolo Museo Archeologico di Vlorë in Albania, la cui provenienza (antica Aulon o altro centro dell’Illiria meridionale) non è purtroppo specificata.
85 Sul gruppo statuario raffigurante «τοὺς Ἡρακλέους ἄθλους» (Str. X, 459), eseguito da Lisippo per il santuario portuale di Alizia e in seguito trasferito a Roma da un anonimo funzionario romano: MORENO
1984. Sul presunto schema lisippeo della lotta con l’Idra: MORENO 1981, pp. 191-193; ID.1984, pp. 141- 143; ID. 1995, p. 362, secondo il quale lo schema sarebbe stato «fedelmente ripreso dal rilievo di Dodona» (fig. 1), «anteriore alla conquista romana» e dunque relativo «al tempo in cui i bronzi di Lisippo si trovavano ad Alizia» (MORENO 1981, p. 193). Tra le attestazioni iconograficamente più vicine al rilievo
155
datanti a livello stilistico, impedisce di pervenire a un sicuro inquadramento cronologico del rilievo86.
Per quanto riguarda la sua destinazione, il luogo di rinvenimento e la composizione della scena potrebbero suggerire un’ipotesi alternativa a quella della metopa. L’inconsueta posa inginocchiata del personaggio principale, alla cui sinistra si trovava invece una figura rappresentata in piedi, sebbene in una posizione di tensione indiziata dalla gamba piegata al ginocchio, potrebbe infatti trovare una giustificazione in un condizionamento di natura spaziale, ovvero nella progressiva diminuzione dell’altezza della lastra da destra verso sinistra. La possibilità che il rilievo vada riferito a una composizione frontonale, allora, merita forse di essere presa in considerazione87.
D02.L4-L5
L5 L4
epirota, in particolare per il ritrarsi del torso di Eracle dinanzi al mostro «come per un senso di ripugnanza» (MORENO 1981, p. 192 s.), si annoverano il rilievo forse metopale da Taranto conservato all’Antikenmuseum di Basilea (inv. 210, 50 a.C. ca.: MORENO 1981, p. 193 e fig. 35; ID.1995, 6.11.2; KATSIKOUDIS 1997, p. 261 s.), una coppa d’argento dalla Casa del Menandro di Pompei (MORENO 1981, p. 192 e fig. 36; ID.1995, 4.39.1) e soprattutto, malgrado la semplificazione della scena indotta dal mezzo e dal supporto, un intaglio su vetro del I sec. a.C. (Copenaghen, NM 188: KOKKOROU-ALEVRAS 1990, nr. 2073). In tutte le occorrenze dello schema Eracle è raffigurato in piedi, anche se il particolare del ginocchio piegato e premuto sul corpo di Idra, presente nel rilievo di Basilea e in una lastra Campana conservata ai Musei Vaticani (inv. 14160: KOKKOROU-ALEVRAS 1990, nr. 2076), rivelerebbe una “contaminazione” con lo schema della lotta con la Cerva: MORENO 1981, p. 193; ID.1995, p. 365. Cfr. KATSIKOUDIS 1997, p. 261; MYLONOPOULOS 2006, p. 195, nota 66.
86 All’impossibilità di conoscere non soltanto le iconografie, ma anche il numero e l’ordine delle fatiche rappresentate nel gruppo di Alizia (KOKKOROU-ALEVRAS 1990, p. 16 e nr. 1709) si deve aggiungere il fatto che lo schema delle gambe di Eracle, anche se non in relazione all’athlos dell’Idra, è già attestato in epoca classica (KATSIKOUDIS 1997, p. 261 s.), come rivela una statuetta non finita da un pozzo del Kolonos Agoraios di Atene (inv. S 948), datata su base stratigrafica al tardo V sec.: CORBETT 1949, p. 341, nr. 136, con tavv. 102-103. Ringrazio la dr.ssa Elena Gagliano (Università di Pavia, Scuola Archeologica Italiana di Atene) per la segnalazione e i preziosi suggerimenti.
87
Per una proposta di collocazione del rilievo v. infra. Sulla relativa rarità delle sculture frontonali nell’architettura templare ellenistica: RIDGWAY 1990, p. 150; WEBB 1996, pp. 23-25. Tra i confronti più interessanti vi sono le sculture in “pietra tenera” dei naiskoi funerari di Taranto (CARTER 1975; RIDGWAY
1990, pp. 180-185), che rivelano analogie con il rilievo dodoneo nello schema della figura inginocchiata e nella resa della linea del terreno: CARTER 1975, p. 55, nr. 95, con tav. 17c, p. 68, nr. 190, con tav. 31b.
156
OGGETTO: gradini di crepidine.
MATERIALE: calcare bianco compatto.
LUOGO DI CONSERVAZIONE: “Naiskos A”, al di sopra del muro est, all’altezza
del muro divisorio tra pronao e cella.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI: i due elementi sono inediti. DIMENSIONI
Alt. alzata: cm 22.5
Lungh. max. cons.: cm 32.5 (L4), 88 (L5) Prof. max. cons.: cm 72.5 (L4), 35 (L5)
STATO DI CONSERVAZIONE: spezzati da ambo i lati e verso l’interno, scheggiati
in vari punti.
DESCRIZIONE E INTERPRETAZIONE FUNZIONALE. I due elementi sono
riferibili allo stesso gradino o a due gradini di uguale altezza di una crepidine. Tale interpretazione è confermata dalla presenza, lungo tutto lo spigolo inferiore dell’alzata, della caratteristica cesellatura (alt. cm 2.8-3, prof. cm 2.3-2.5) che ne sottolineava la base con una sottile linea d’ombra88.
D02.L6
DIMENSIONI
Alt. alzata: cm 38
Lungh. max. cons.: m 1.95 Prof. pedata: cm 57.
OGGETTO: gradino di crepidine. MATERIALE: calcare bianco compatto.
LUOGO DI CONSERVAZIONE: all’interno dell’abside della basilica proto-bizantina
(“Edificio B”).
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI: l’elemento è inedito. STATO DI CONSERVAZIONE: spezzato sul lato sx.
DESCRIZIONE E INTERPRETAZIONE FUNZIONALE. L’elemento, per la
presenza di una cesellatura continua (alt. cm 4) lungo lo spigolo inferiore della fronte e del lato destro, è interpretabile come gradino di una crepidine, della quale occupava l’estremità destra89.
88
Su questa ciselure decorativa, attestata per la prima volta nella prima metà del V sec. a.C. (tempio di Zeus a Olimpia), v. MARTIN 1965, p. 350 s. Cfr. ORLANDOS 1966, p. 166, che data alla fine del V sec. la diffusione di tali ciselures (ὑποτομαί).
89 Un esame più accurato dell’elemento, in particolare del retro e della superficie della pedata, è stato impedito dalla fitta vegetazione che al momento della sua individuazione lo ricopriva in gran parte.
157
Ipotesi di ricostruzione e datazione
Il problema della forma architettonica del “Naiskos A”, in virtù della tradizione interpretativa che ha teso a riconoscervi due fasi separate da un evento distruttivo, è inscindibile da quello della sua datazione, che andrà pertanto affrontato congiuntamente. Si è accennato al rinvenimento, da parte di G. Sotiriadis, di quattro frammenti di triglifi in arenaria reimpiegati nel muro divisorio tra il pronao e la cella90. Dalle misure del meglio conservato di questi frammenti, D. Evangelidis ricavava le dimensioni del triglifo completo: cm 48 di larghezza e 85 di altezza91. L’archeologo si limitava a constatare che gli elementi, genericamente riferiti all’età ellenistica, erano stati reimpiegati come materiale edilizio successivamente alla distruzione del naiskos per opera di un incendio, del quale il suo predecessore aveva riconosciuto tracce apparentemente inequivocabili: residui carboniosi, depositi di cenere e frammenti di bronzo fuso nella terra di riempimento92. Tale incendio, in base a una lettura evenemenziale suggerita dallo stesso Sotiriadis e destinata a grande fortuna, era attribuito alla rovinosa incursione degli Etoli attestata dalle fonti per il 219 a.C. Quanto alla provenienza dei frammenti di trabeazione reimpiegati nel muro interno dell’edificio nel corso della successiva ricostruzione, Evangelidis ammetteva l’impossibilità di stabilirla con certezza93.
La pertinenza dei triglifi e di un frammento di cornice rinvenuto poco più a nord94 alla fase originaria dello stesso naiskos nella cui ricostruzione erano stati reimpiegati venne invece perorata da Dakaris sulla base di un criterio di datazione da lui stesso elaborato, che attribuiva all’ipotetica ricostruzione post 219 un drastico cambiamento nell’uso dei litotipi per la realizzazione di membrature architettoniche: la tenera arenaria utilizzata nelle precedenti fasi, la cui inadeguatezza era emersa drammaticamente nel corso degli eventi recenti, sarebbe stata sostituita dal più resistente calcare locale, associato al conglomerato riservato da allora ai fusti delle colonne95. La cronologia del primo impianto del “Naiskos A” era fissata dallo studioso
90 S
OTIRIADIS 1921, p. 385. 91 E
VANGELIDIS 1929, p. 106, il quale non specifica se l’alt. sia comprensiva del capitello del triglifo. Relativamente al materiale, l’A. parla genericamente di “poros”, mentre in EVANGELIDIS,DAKARIS 1959, p. 97 si specifica per la prima volta che si tratta dell’”arenaria (ψαμμιτόλιθος) grigio-verde” impiegata, secondo Dakaris, nelle più antiche fasi edilizie del santuario (v. infra).
92 S
OTIRIADIS 1921, p. 387. 93
EVANGELIDIS 1929, p. 107.
94 Su questo elemento, perduto, v. supra, nota 43. Alla stessa fase edilizia Dakaris riteneva di poter ascrivere anche il rocchio di colonna L2 (v. supra): EVANGELIDIS,DAKARIS 1959, p. 97, nota 3.
95 E
VANGELIDIS,DAKARIS 1959, pp. 63 s., 86, 109. Tra i motivi che indussero Dakaris a ipotizzare un cambiamento generalizzato dei materiali a cavallo del 219, come rileva EMMERLING 2012, p. 169, vi è
158
nell’età di Pirro (298-272 a.C.) conseguentemente alla sua attribuzione al culto di Eracle, che lo stesso sovrano eacide avrebbe introdotto a Dodona dalla Sicilia occidentale96. Alla presunta ricostruzione post 219 a.C., accogliendo la cronologia relativa dei materiali proposta da Dakaris, andrebbero invece ascritti tanto il capitello dorico in calcare L1 (v. supra) quanto un frammento di triglifo dello stesso materiale, leggermente più piccolo di quelli in arenaria, rinvenuto a est dell’edificio97.
L’assenza di contesti stratigrafici affidabili associati alle strutture, come solo di recente si è iniziato a riconoscere98, non consente di attribuire un valore cronologico ai diversi materiali impiegati negli edifici dodonei. La tesi di un cambiamento programmato e generalizzato a seguito di un evento traumatico il cui impatto sulla storia edilizia del santuario, malgrado l’enfatizzazione letteraria, rimane peraltro tutto da stabilire, non è dunque in alcun modo dimostrabile. Il fatto che sia l’arenaria sia il calcare e il conglomerato risultino reperibili in loco, e che il calcare fosse già impiegato nelle fondazioni e negli elevati degli edifici con ogni probabilità anteriori al 21999, giustifica inoltre l’idea di un uso combinato dei materiali – i più delicati dei quali erano senza dubbio protetti da un rivestimento di stucco – nell’ambito di un medesimo programma costruttivo e persino di uno stesso edificio o elemento architettonico100.
Nel caso del “Naiskos A”, il reimpiego di spolia nel muro divisorio rimane l’unico possibile indizio dell’esistenza di una fase dell’edificio anteriore a quella
proprio il reimpiego di elementi architettonici in arenaria nella supposta ricostruzione post-etolica del “Naiskos A”: EVANGELIDIS,DAKARIS 1959, pp. 97, con nota 3, 109; DAKARIS 1971, p. 53.
96 Datazione all’età di Pirro: E
VANGELIDIS,DAKARIS 1959, p. 97 (ancora sulla base delle caratteristiche costruttive del naiskos, confrontate con quelle della terza fase edilizia dell’”Edificio E1”, anch’essa datata al primo quarto del III sec.). A partire da DAKARIS 1960, p. 7, nota 7, il legame con Pirro è dedotto unicamente dall’attribuzione dell’edificio a Eracle, sostenuta qui per la prima volta. Cfr. HINTZEN- BOHLEN 1992, p. 72; KATSIKOUDIS 1997, p. 265. Il ruolo di Pirro nell’introduzione a Dodona del culto di Eracle, sul quale le fonti non sono affatto esplicite, è messo in discussione da ALROTH 1989, p. 74, con nota 444 ed EMMERLING 2012,p.182 s., mentre DIETERLE 2007, p. 129 si limita a porre la questione in termini interrogativi. I riferimenti a Eracle da parte di Plu., Pyrrh., 22, 5 e D.S.XXII, 10, 3 in relazione all’assedio di Erice (cfr. MOUSTAKIS 2006, p. 97 s.; LÉVÊQUE 1957, pp. 478 s., 647; HUTTNER 1997, p. 15) non sono sufficienti ad avvalorare la tesi. Così per l’inserimento di Eracle nella genealogia mitica della dinastia molossa a seguito delle nozze dell’eacide Olimpiade con l’argeade Filippo II (DAKARIS
1964, p. 119 ss.; DAKARIS 1971, p. 53 s.): EMMERLING 2012,p.180. La datazione del “Naiskos A” all’età di Pirro è accettata, tra gli altri, da HINTZEN-BOHLEN 1992, pp. 72, 234, nr. 3 e KATSIKOUDIS 1997, p. 256 s., il quale tuttavia, accogliendo le riserve di CABANES 1976, p. 331, non ne esclude l’attribuzione al figlio Alessandro II. Sul problema della dedica del “Naiskos A” v. infra.
97
Di questo fr., purtroppo irreperibile, si conosce soltanto la largh., stimata in cm 36.6 da EVANGELIDIS
1929, p. 107 sulla base della misura di glifi (cm 6) e femori (cm 6.2). 98 V. per es. E
MMERLING 2012, pp. 168-171. 99 E
MMERLING 2012, p. 170. 100
EMMERLING 2012, loc. cit. richiama, come esempi epiroti dell’uso combinato di arenaria e calcare, la
Stoà Nord e il c.d. Katagogion a Kassope: HOEPFNER, SCHWANDNER 1994, pp. 128, 133 s. La compresenza di arenaria (triglifi e cornice) e calcare (metope) nella medesima trabeazione era del resto ammessa dallo stesso Dakaris per la presunta prima fase del “Naiskos A”, in base all’interpretazione della lastra L3 come metopa.
159
visibile. L’osservazione dei resti non è purtroppo di grande aiuto. Almeno due dei tre elementi in arenaria attualmente inseriti nel tratto est del muro, come si è detto, sono compatibili sul piano dimensionale con i frammenti di triglifi rinvenuti da Sotiriadis, ma il loro avanzato stato di degrado impedisce ogni riscontro101. L’impressione che si ricava dall’irregolare sporgenza degli elementi dal filo dello zoccolo del muro è quella di una risarcitura sommaria102, difficilmente compatibile con l’ambizioso programma di ricostruzione e nuova monumentalizzazione del santuario che secondo la vulgata degli studi avrebbe seguito le devastazioni del 219. Sempre che se ne voglia ammettere la pertinenza al “Naiskos A”, ipotesi verosimile ma tutt’altro che certa103, i frammenti di fregio dorico potrebbero dunque essere stati incorporati nel muro divisorio nel corso di un parziale restauro dell’edificio – piuttosto che di una ricostruzione integrale eseguita nel rispetto del suo decoro monumentale – la cui cronologia non può essere in alcun modo precisata, ma potrebbe anche essere di molto successiva a quella solitamente accettata. Né tale restauro deve considerarsi necessariamente un effetto dell’incendio del quale Sotiriadis ritenne di riconoscere le tracce nell’area del “Naiskos A”, il cui asserito legame con gli eventi del 219 è a dir poco arbitrario104.
101 In letteratura non si fa alcuna menzione di un eventuale recupero degli elementi. La possibilità che due di essi possano essere identificati con le lastre in arenaria ancora inserite nel muro divisorio (rispettivamente alt. cm 49.5, largh. cm 48, spess. cm 21.5; alt. cm 84, largh. cm 43, spess. n. r.) mi è stata confermata dagli archeologi dell’Eforia di Ioannina (dr. G. Georgoulas, dr.ssa E. Skalisti). Un terzo elemento (alt. cm 57, spess. cm 11.5), messo in opera di piatto contro la faccia interna del muro longitudinale est, presenta una largh. (cm 53) superiore a quella attribuita da Evangelidis ai triglifi (cm 48). I resti di altre lastre di arenaria totalmente sfaldate o disciolte sono visibili all’estremità sx. del tratto est del muro divisorio.
102
A differenza degli elementi in calcare delle prime due assise, immorsati nel muro longitudinale est, la sovrastante lastra in arenaria all’estremità del muro divisorio si appoggia alla sua faccia interna. La sporgenza irregolare della lastra dal filo del muro, al pari di quella degli altri elementi (in arenaria e in calcare) ubicati alla sua sx., difficilmente avrebbe potuto essere dissimulata da una qualche forma di rivestimento parietale. La tecnica sommaria del muro divisorio è rilevata da EVANGELIDIS 1929, p. 106. Cfr. ID.1955, p. 169.
103 Così, sulla scorta di E
VANGELIDIS 1929, p. 107, EMMERLING 2012, pp. 169, con nota 992, 180 s. L’A. ricorda come l’appartenenza degli spolia utilizzati nella costruzione di un edificio a un predecessore o a una fase anteriore dello stesso, per quanto resa probabile da ragioni di convenienza ed economicità, non debba ritenersi necessaria.
104 E
MMERLING 2012, p. 181, con note 1046-1047 e, sulla tendenza generale a ricondurre ogni traccia di incendio all’incursione degli Etoli, pp. 239-241. Le fonti, del resto, conservano testimonianza di altri episodi distruttivi riguardanti il santuario (Traci, 88 a.C.: D.C. XXXI, 101, 2; Goti, 550 d.C.: Procop.,
Goth., 8, 22, 31) o l’Epiro in genere (spedizione punitiva di L. Emilio Paolo, 167 a.C.: D.S. VII, 7, 3;