MATERIALE: calcare bianco136.
LUOGO DI CONSERVAZIONE: Museo Archeologico di Ioannina, magazzino. Inv.
23.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI: EVANGELIDIS 1952A, p. 311, nr. 1, con fig. 4.
DIMENSIONI
Alt. max. cons.: cm 37 Largh. max. cons.: cm 30 Prof. max. (alla base): cm 15
STATO DI CONSERVAZIONE: il fr. appartiene al lato sx. dell’acroterio, del quale
restano la parte inf. e il settore centrale, spezzato a dx. e superiormente. Il margine sx., lavorato a giorno, si conserva pressoché integro nonostante il degrado della pietra137.
DESCRIZIONE
L’elemento appartiene al lato inferiore sinistro di un acroterio centrale, che un tenone applicato al retro permetteva di inserire in un apposito catino d’incastro integrato nel blocco di colmo della sima frontonale. Il tenone, conservato in tutta la sua altezza e per oltre metà della larghezza originaria, presenta sulla fronte una sezione semi-cilindrica con una profondità alla base di cm 15, mentre sul retro ha la forma di un parallelepipedo (alt. cm 21, largh. max. cons. cm 14.5) che sporge di cm 5 rispetto alla lastra138 cui è applicata la decorazione. Essa consisteva di una composizione che si allargava verso l’alto, montata su un cespo d’acanto molle del quale si conserva la sola foglia sinistra. Questa, rappresentata di prospetto, s’incurva esternamente verso il basso, presentando nell’ultimo tratto una lavorazione a giorno. La foglia si divide
136
In EVANGELIDIS 1952A, p. 311 e nel registro Aʹ del Museo di Ioannina, inv. 23, l’acroterio è definito impropriamente “marmoreo”.
137 Su questo e altri pezzi E
VANGELIDIS 1952A, p. 311 ravvisava tracce di calcinazione (riferite in termini interrogativi nel registro Aʹ del Museo, inv. 23) che l’esame autoptico non ha potuto confermare. Il degrado, che si manifesta nella forma di una tessitura superficiale cribriforme, sembrerebbe piuttosto riconducibile ad agenti chimici (acidità del suolo).
138
42
lateralmente in due serie di lobi dalla forma triangolare a terminazione arrotondata, il cui numero risulta difficilmente determinabile a causa della forte abrasione della pietra e di una certa schematizzazione della resa; il contatto simmetrico dei lobi, le cui punte si toccano fino a saldarsi l’una con l’altra, dà vita a grandi e profonde zone d’ombra circolari – tre su ciascun lato – completamente chiuse a occhiello. La concavità della superficie dei lobi si raccoglie al centro della foglia in una profonda solcatura che ne asseconda l’inflessione. Del motivo che occupava il centro della composizione si può solo intuire la forma vagamente convessa, suggerita dal profilo del suo margine sinistro. Da esso si dipartono due volute avvolte in senso opposto, l’inferiore leggermente più piccola e rivolta in basso, l’altra, superiormente spezzata, rivolta in alto. I loro nastri, costituiti da un sottile filetto, si toccano verso l’interno, mentre due viticci sorgenti da ciascuna delle volute e piegati in senso opposto all’avvolgimento delle stesse convergono a loro volta sul lato rivolto verso l’esterno: lo spazio delimitato dai due viticci, estendendosi dal punto di contatto tra le volute fino all’intervallo concavo tra due lobi della foglia sottostante, assume dunque una forma ogivale quasi completamente chiusa. Un altro viticcio sorge dall’ultimo avvolgimento di ciascuna voluta e s’incurva in direzione opposta: quello della voluta superiore, oggi quasi perduto139, verso l’esterno, quello della voluta inferiore fino a toccare il bordo della forma convessa posta al centro della composizione.
TIPOLOGIA E DATAZIONE
Dal punto di vista stilistico, ciò che più caratterizza l’acroterio di Rodotopi è il particolare trattamento dell’acanto, con grandi occhi d’ombra perfettamente circolari determinati dall’accostarsi simmetrico dei lobi della foglia. Un simile trattamento, pur avendo i propri lontani prototipi nei capitelli corinzi della Tholos di Epidauro, le cui foglie plastiche e vive sono percorse da ricercati effetti coloristici140, compare qui in una versione semplificata che trova i suoi migliori confronti in epoca tardo-ellenistica, tra la seconda metà del II e la prima metà del I sec. a.C.141: ne sono testimonianza, a Roma, i capitelli corinzi in travertino e un frammento di fregio marmoreo di officina neoattica attribuiti alla prima fase del “Tempio B” di Largo Argentina, le cui zone d’ombra circolari e allineate richiamano coevi esempi greci come un capitello figurato dall’agorà di Messene142. La probabile appartenenza dell’acroterio allo stesso tetto dei frammenti di sima L11-L14, suggerita dall’impiego della stessa qualità di calcare e dall’apparente associazione a uno strato di distruzione che, contrariamente all’ipotesi di Evangelidis, sembrerebbe riferibile all’ultima fase del tempio anziché a quella medio- ellenistica143, invita tuttavia a prendere in considerazione l’eventualità di una datazione più tarda. È infatti noto come fenomeni di “inerzia” o attardamento di stilemi e
139 L’elemento è ben visibile nel disegno di E
VANGELIDIS 1952A, fig. 4. 140
Sui capitelli della Tholos di Epidauro: ROUX 1961, p. 359 s.
141 Sulla produzione di capitelli corinzi in Grecia nella prima metà del I sec. a.C., caratterizzata da una certa tendenza all’involuzione e alla stanca ripetizione di stilemi consolidati, v. HEILMEYER 1970, pp. 53- 55. Cfr. VISCOGLIOSI 1996, p. 119 s.
142
Largo Argentina: COARELLI ET AL.1981, p. 20 e tav. V, 2-3. Sui capitelli del “Tempio B” e sui suoi referenti formali v. da ultimo CAPRIOLI 2011, pp. 100-102 (con bibliografia). Messene: DAUX 1960, p. 696 e fig. 3. Cfr. HEILMEYER 1970, pp. 36, 53, con tavv. 3, 1; 60, 1-2.
143 I frr. di tetto “in marmo” (in realtà calcare bianco) che E
VANGELIDIS 1952A, p. 311 proponeva di mettere in relazione con la presunta distruzione del tempio nel 167 a.C. sono menzionati subito dopo lo strato di calce sbriciolata (ἄσβεστος) che circondava l’euthynteria dell’edificio, e che l’archeologo greco attribuiva allo stesso evento distruttivo. È pertanto verosimile, per quanto non esplicitamente affermato, che i frr. architettonici in questione provengano da tale strato. Sulla probabile pertinenza di quest’ultimo a una distruzione più tarda di quella ipotizzata da Evangelidis v. infra.
43
consuetudini precedenti, in Grecia e nel mondo provinciale in genere, caratterizzino di frequente la decorazione architettonica della primissima età imperiale144. Un trattamento dell’acanto abbastanza vicino a quello degli esemplari tardo-ellenistici sopra richiamati, per esempio, si osserva nei capitelli marmorei del rifacimento augusteo della skenè del teatro di Corinto145. Dal punto di vista tipologico, la mancata conservazione della parte centrale e del coronamento dell’acroterio146 non consente di proporre confronti puntuali. Il profilo convesso dell’elemento centrale, che si può ritenere sovrapposto alla foglia mediana della corona d’acanto che fungeva da base della composizione, fa pensare al fusto di un caulicolo dal quale sorgevano le volute, per quanto non si possa escludere che si tratti di un diverso elemento. Tutto ciò che si riesce ad afferrare è una certa elaborazione compositiva di lontana ascendenza ellenistico-orientale, evocativa cioè di una linea di sviluppo che dall’acroterio centrale del tempio ermogeniano di Artemide Leukophryene a Magnesia al Meandro arriva a quello del tempio del culto imperiale ad Antiochia di Pisidia147. Comune a questa linea tardo-ellenistica e alto-imperiale, al cui termine inferiore l’acroterio di Rodotopi potrebbe essere accostato, è l’innesto di un motivo figurato inquadrato da caulicoli angolari e volute contrapposte su una o più corone di foglie d’acanto delle quali le laterali si piegano verso il basso, esibendo un trattamento coloristico degli occhi d’ombra al contatto fra i lobi che si avvicina a quello dell’esemplare epirota148.
144 È quella che A
MY,GROS 1979, p. 138 definisce l’”esitazione provinciale” ad abbandonare gli antichi schemi. Cfr. DE MARIA,PODINI 2004, p. 77.
145
HEILMEYER 1970, p. 59 e nota 240, con tavv. 5, 4; 12, 1 e bibliografia. Nei capitelli del teatro di Corinto, riconducibili a una produzione ordinaria nella quale gli echi del nuovo linguaggio romano giungono alquanto attutiti (VISCOGLIOSI 1996, p. 120), le zone d’ombra, da circolari, tendono però ad assumere ormai la forma a goccia che si andrà progressivamente affermando a partire dalle fase augustea del tempio di Apollo in Circo, segnando il passaggio a una resa più naturalistica in rapporto allo schematismo dello stile secondo-triumvirale. Occhi d’ombra circolari ottenuti con profondi fori di trapano, nelle province, ricompariranno occasionalmente in età medio-imperiale: HEILMEYER 1970, pp. 71-74. È il caso dei Grandi Propilei di età antonina a Eleusi (HEILMEYER 1970, p. 73 e tav. 19, 1-3: capitelli e cornice), di un capitello di semicolonna al Museo archeologico di Marsiglia (HEILMEYER 1970,
loc. cit. e tav. 19, 4) e dei capitelli del propylon del santuario dei quartieri del Porto a Kos (RUMSCHEID
1994, cat. nr. 101.2-3 e tav. 62).
146 Sull’eventualità che all’acroterio vadano attribuiti anche un piccolo fr. di voluta e, meno verosimilmente, una palmetta oggi non più reperibile v. infra, R01.L16-L17.
147
Magnesia: PRASCHNIKER 1929, p. 40 s., con fig. 12; RUMSCHEID 1994, cat. nr. 137.19 e tav. 82, 1-3.
Colonia Caesarea/Antiochia, “Tempio di Augusto” (età augusteo-tiberiana): ROBINSON 1926, figg. 29- 30; RUMSCHEID 1994, cat. nr. 13.12 e tav. 8, 1.
148
Dal tempio del culto imperiale ad Antiochia di Pisidia viene anche un fr. di fregio marmoreo, stilisticamente inquadrabile in età augusteo-tiberiana, la cui foglia d’acanto presenta un disegno simile a quello della foglia dell’acroterio di Rodotopi: RUMSCHEID 1994, cat. nr. 13.5 e tav. 7, 3. Un po’ più tarda (metà I sec. d.C.) è probabilmente un’antefissa a palmetta acantizzata del Museo di Sparta (inv. 859), anch’essa caratterizzata da occhi d’ombra circolari: BILLOT 1997, pp. 257, 283, con fig. 5.
44
R01.L16
OGGETTO: voluta149.
MATERIALE: calcare bianco.
LUOGO DI CONSERVAZIONE: Museo Archeologico di Ioannina, magazzino. Inv.
2582.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI: l’elemento è inedito150.
DIMENSIONI
Alt. max. cons.: cm 8 Spess. max.: cm 6 Spess. min.: cm 2
STATO DI CONSERVAZIONE: spezzato sul lato sx. e inferiormente. DESCRIZIONE
Voluta a nastro piatto che avvolgendosi su se stesso assume un profilo semicircolare, terminando a uncino; il canale interno alla voluta è a sezione piana, profondamente incavato. Sul bordo esterno della faccia opposta si osserva ugualmente il nastro di delimitazione della voluta, mentre la parte centrale, incavata, non sembra recare traccia di avvolgimenti151. La superficie laterale dell’elemento, delimitata dai due nastri e rastremata verso il basso, reca una foglia d’acanto applicata, fortemente abrasa, rappresentata di prospetto; la foglia, su ambo i lati, si segmenta in una serie di lobi nei cui punti di contatto si creano profonde zone d’ombra perfettamente circolari; la cima della foglia si prolunga indefinitamente, trasformandosi in un filetto rilevato che asseconda la rastremazione della voluta.
TIPOLOGIA E DATAZIONE
Per quanto lo stato frammentario dell’elemento non ne consenta un preciso
149
Il registro Bʹ del Museo di Ioannina, inv. 2582, attribuisce erroneamente il fr. al pulvino (προσκεφάλαιο) di un capitello ionico. Tale interpretazione è incompatibile con le caratteristiche formali dell’elemento (v. infra).
150
Per quanto il registro del Museo non lo specifichi, né la notizia di EVANGELIDIS 1952A ne segnali il rinvenimento, è verosimile che il fr. provenga dallo scavo del 1952.
151 Lo stato di conservazione del fr., fortemente abraso, non consente di stabilire se la voluta fosse in origine a due facce o se il retro recasse un disegno semplificato, con il solo nastro esterno di delimitazione.
45
inquadramento, l’impiego della stessa qualità di calcare, bianca e farinosa, e soprattutto l’analogo trattamento della foglia d’acanto, con profonde zone d’ombra circolari completamente chiuse, sembrerebbero orientare verso una sua attribuzione all’acroterio L15, o eventualmente a un suo corrispettivo angolare. La posizione della voluta all’interno dello schema compositivo non è tuttavia determinabile.
R01.L17
OGGETTO: palmetta.
MATERIALE: calcare bianco152.
LUOGO DI CONSERVAZIONE: l’elemento non è più rintracciabile.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI: EVANGELIDIS 1952A, p. 311, nr. 2, con fig. 5.
DIMENSIONI153
Alt. max. cons.: cm 17 Largh. max. cons.: cm 10 Spess. max.: cm 6
STATO DI CONSERVAZIONE: il fr. corrisponde a poco meno della metà del lato
sx. della palmetta, spezzata inferiormente, al vertice e sul lato dx.154
DESCRIZIONE155
L’elemento, a giudicare dall’unica immagine edita, sembrerebbe configurarsi come una palmetta aperta con foglie a sezione concava bordate da un filetto: se ne osservano due interamente conservate e l’attaccatura di una terza a destra156. Al di sotto della foglia
152 In E
VANGELIDIS 1952A, p. 311 l’elemento (nr. 2) è definito “di marmo”. Dal momento tuttavia che tutti gli altri frr. di tetto da Evangelidis ritenuti marmorei (gocciolatoi L12-L14, acroterio L15), a un esame autoptico, sono risultati di calcare è legittimo supporre che anche il fr. L17 lo fosse.
153
Le dimensioni sono tratte da EVANGELIDIS 1952A, p. 311. 154 Anche sul fr. di palmetta L17 E
VANGELIDIS 1952A, loc. cit. riconosceva tracce di calcinazione da esposizione a una fonte di calore. Le forme di degrado osservabili sugli altri pezzi, tuttavia, sembrano piuttosto riconducibili ad agenti chimici (v. supra, note 122, 139).
155 La descrizione del pezzo, a causa del suo mancato reperimento nei magazzini del Museo di Ioannina, si basa unicamente sulla sintetica descrizione di EVANGELIDIS 1952A, loc. cit. e sul disegno di fig. 5. 156 Trattandosi di una riproduzione non fotografica ma grafica, e dunque condizionata dall’interpretazione dell’oggetto, rimane la possibilità che la palmetta fosse del tipo a fiamma chiusa, con l’estremità di
46
inferiore sinistra è posta una S a due volute quasi orizzontale, con soltanto una lieve inclinazione dall’esterno verso l’interno: il bordo superiore della voluta sinistra, rivolta in basso, tocca il bordo inferiore della terminazione della foglia. Il cuore della palmetta, conservato solo in parte, sembrerebbe presentare un contorno lobato, come nel tipo con palmetta secondaria “a conchiglia” utilizzata come cuore della palmetta principale157. Il bordo dell’elemento presenta a sua volta un profilo a lobi che asseconda il contorno delle terminazioni delle foglie, arrotondate e allargate alle estremità, e quello della voluta sinistra della S.
TIPOLOGIA E DATAZIONE
Evangelidis, descrivendo l’elemento, lo definisce un “frammento di acroterio a palmetta marmoreo”158, alludendo evidentemente a una palmetta di colmo. In assenza di riproduzioni del retro e della superficie inferiore non è possibile confermare o smentire tale interpretazione, che rimane valida in alternativa all’ipotesi dell’antefissa. Anomala in rapporto a entrambe è la posizione di una mortasa per perno di fissaggio, collocata non al di sotto della base, come sarebbe logico aspettarsi, ma apparentemente sul retro dell’elemento159.
Dal punto di vista formale la palmetta può essere ascritta al tipo, documentato in Epiro soprattutto dalla media e tarda età ellenistica, con due S affrontate e più o meno inclinate poste al di sotto o ai lati dell’elemento160. In redazione fittile lo si trova in due monumenti dall’alto significato celebrativo, che segnano il passaggio dalla locale tradizione tardo-ellenistica al nuovo linguaggio architettonico augusteo: il monumento della vittoria di Nikopolis e il tempio di Apollo ad Aktion. Da questi edifici provengono due serie di antefisse, identiche, con palmetta a fiamma chiusa montata su steli a S, in questo caso due steli principali affrontati da cui sorgono steli secondari a una sola voluta161: la posizione di questi ultimi, con la voluta tangente al bordo della foglia inferiore, corrisponde esattamente a quella della S della palmetta di Rodotopi. Lo stesso motivo della palmetta a fiamma chiusa montata su S a volute, con foglie strettamente accostate che creano lobi negli intervalli tra una foglia e l’altra e talvolta con una palmetta secondaria al posto del cuore, ricorre occasionalmente su acroteri che si richiamano al repertorio delle antefisse, e che sul piano stilistico possono essere genericamente datati tra la tarda età ellenistica e la prima età imperiale162. La probabile
ciascuna foglia incurvata a gancio e tangente il bordo inf. della foglia sovrastante: in palmette di questo tipo l’intervallo tra due foglie contigue viene ad assumere l’aspetto di un lobo interamente chiuso, che in caso di cattiva conservazione della pietra può facilmente essere confuso con l’interno concavo della foglia di una palmetta aperta. Tuttavia il ridotto spessore del contorno delle foglie e l’apparente assenza di solcature come quelle che si osservano, per es., in una palmetta fittile da Phoinike (PH01.T1) rendono questa ipotesi meno probabile.
157 V. per es. K
ALTSAS 1988, p. 34 s., cat. nrr. 64-66, con tav. 24 α-γ (antefisse a palmetta a fiamma chiusa, da Pella, con intervalli tra le foglie a sezione concava e palmetta secondaria al posto del cuore). 158 E
VANGELIDIS 1952A, p. 311: «Τεμάχιον μαρμαρίνου ἀνθεμωτοῦ ἀκρωτηρίου». 159 E
VANGELIDIS 1952A, loc. cit. Di questa mortasa non si fornisce alcuna descrizione né morfologica né dimensionale.
160
Sulla diffusione del “τύπος ελίκων” in Epiro v. VLACHOPOULOU-OIKONOMOU 1989. La più antica attestazione, secondo l’A., è fornita da una serie dodonea attribuita all’ala “O1” del c.d. Prytaneion e datata alla fine del III sec. a.C.: ibid., pp. 69-78, con tavv. 2 α-ζ, 3 α-ε, 4 α-δ. Per un esemplare fittile recentemente rinvenuto a Phoinike, con cuore della palmetta principale costituito da una piccola palmetta “a conchiglia”, v. PH01.T1.
161 Nikopolis (“tipo A”): K
APPA 2007, pp. 405 s., 408, con figg. 11-12, 14. Aktion: TRIANTI,LAMBAKI, ZAMPITI 2013, p. 281 s. e fig. 4.
162 B
ILLOT 1997, p. 257. Gythion: BILLOT 1997, p. 276. Messene: DAUX 1964, p. 741 e fig. 12; BILLOT
47
pertinenza della palmetta L17 allo stesso tetto dei frammenti di sima L11-L14 e dell’acroterio L15163 suggerisce di accogliere il termine basso di tale intervallo, mentre la scelta del calcare al posto della terracotta sembra indicarne l’appartenenza a una fase leggermente più avanzata, di maggiore padronanza delle potenzialità del nuovo linguaggio, rispetto alle antefisse ancora pienamente tardo-ellenistiche delle prime realizzazione augustee dell’Epiro e dell’Acarnania settentrionale164.
R01.L18
OGGETTO: 62 elementi geometrici, 54 a losanga e 8 triangolari, da rivestimento
pavimentale.
MATERIALE: marmo bianco (23 a losanga, 3 triangolari), bigio-azzurrognolo (20 a
losanga, 4 triangolari), rosa (11 a losanga, 1 triangolare).
LUOGO DI RINVENIMENTO: spazio compreso tra la fronte del “sekòs” e lo pteròn
est (scavi D. Evangelidis, 1952).
LUOGO DI CONSERVAZIONE: Museo Archeologico di Ioannina, magazzino. Inv.
163 La mancata conservazione della base e della metà dx. lascia aperta la possibilità, alternativa alle ipotesi della palmetta di colmo e dell’antefissa, che la palmetta L17 sia riferibile a un acroterio angolare o allo stesso coronamento dell’acroterio L15, per quanto quest’ultima ipotesi sia resa improbabile dalla presenza di una mortasa sul retro dell’elemento.
164 Che si tratti di produzioni locali è confermato dal rinvenimento, in un quartiere di abitazioni tardo- ellenistiche di Leukas, di un’antefissa uscita da una matrice identica a quella delle serie di Aktion e
48 24.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI: EVANGELIDIS 1952A, p. 307 s. DIMENSIONI165
Lato losanga: cm 14.2-14.5 Diagonale maggiore: cm 24.5 Diagonale minore: cm 14
Spess. max. (al centro): cm 5.3 ca.
STATO DI CONSERVAZIONE: la maggior parte degli elementi si presenta integra
o leggermente scheggiata in corrispondenza degli angoli.
DESCRIZIONE
Gli elementi appartengono a un rivestimento pavimentale a piccolo modulo166, interamente marmoreo, basato sulla ripetizione di due moduli geometrici semplici, uno rombico e nettamente maggioritario, l’altro a triangolo isoscele ricavato dal dimezzamento del primo, lungo la diagonale minore (cm 14) e in un solo caso lungo quella maggiore (cm 24.5). Nonostante si presentino in varie facies sia tessiturali che cromatiche, le specie marmoree rappresentate sembrano essere tre: un marmo bianco a grana fine di aspetto e qualità molto difformi, talvolta con vistose venature micacee o carboniose ad andamento parallelo; un bigio antico di tonalità variabile dal grigio più o meno scuro all’azzurrognolo; un marmo rosa tendente ad assumere una tessitura “a stuoia”, con clasti più o meno grandi di colore bianco o rosato e cemento che vira talvolta al rossiccio167. Quest’ultima specie è presente in percentuale minoritaria in rapporto alle altre due, che grosso modo si equivalgono, ma è possibile che una parte non quantificabile degli elementi originari sia andata perduta.
Le facce di ciascun elemento mostrano una lavorazione differenziata: quella superiore, piana e levigata, è delimitata da bordi di taglio regolare ottenuti con la sega, i quali in corrispondenza dei vertici terminavano a spigolo vivo; la parte inferiore, anziché assumere un andamento piano e parallelo alla faccia superiore, presenta una caratteristica forma “a cuneo”, a sezione tronco-piramidale più o meno schiacciata (lo spess. max., al centro, è superiore a 5 cm), con sfaccettature ottenute a martellina. Questa lavorazione serviva a garantire una migliore presa al sottostante nucleo cementizio, del quale si conservano consistenti tracce sul retro e sulle facce laterali, anch’esse martellinate, di alcuni elementi, sotto forma di grumi di malta mescolata a graniglia silicea e a terracotta sbriciolata.
TIPOLOGIA E DATAZIONE
A differenza delle crustae o lastrine solitamente impiegate nei sectilia pavimenta, di
165 Si riportano le misure medie degli elementi a losanga interi, soggette comunque a variazioni. 166
Per una definizione di “opus sectile a piccolo modulo con elementi semplici” v. GUIDOBALDI 1985, p. 208.
167 La varietà delle specie marmoree con simili caratteristiche macroscopiche, nell’impossibilità di prelevare campioni e sottoporli ad analisi archeometriche, non consente di andare al di là di qualche generica proposta di identificazione basata sulla sola autopsia, comunque non esente da rischi. Per il marmo bianco ci si deve limitare a una caratterizzazione in base alla grana (fine) e alle venature, che in alcune delle facies rappresentate, per la loro evidente natura micacea di colore grigio-verde, si avvicinano molto a quelle del pentelico. Abbastanza probabile è l’identificazione della specie rosata con la varietà “a stuoia” del marmor Chium o portasanta, cavato su larga scala dai Romani fin dal II sec. a.C.: LAZZARINI
2007, pp. 119-136. Più difficile, a causa della molteplicità dei bigi antichi di diversa provenienza, spesso con caratteristiche molto simili, impiegati in età romana (bardiglio di Carrara, lesbio, tenario, ecc.), pervenire a un’identificazione autoptica della terza specie. Per un quadro di sintesi sull’uso dei marmi bigi antichi nell’antichità v. LAZZARINI 2007, pp. 98-101 (con bibliografia).