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MATERIALE: terracotta. Argilla rosata (7.5 YR/7/4) con ingobbio di colore giallo

pallido. Tracce di pigmento rosso sul cuore della palmetta e sul calice e il pistillo del fiore di loto, bianco sulle parti in rilievo della palmetta. Fondo bruno scuro159.

LUOGO DI RINVENIMENTO: Dodona, a monte del muro di contenimento “K”160

(scavi D. Evangelidis 1953161).

LUOGO DI CONSERVAZIONE: Museo Archeologico di Ioannina, magazzino. Inv.

3588.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI: EVANGELIDIS, DAKARIS 1959, pp. 47, 166, cat.

nr. 1, con tav. 10α; VLACHOPOULOU-OIKONOMOU 1986, p. 92, cat. nr. 5, con tav. 9α e dis. 15; EMMERLING 2012, pp. 99, 269, Tk 1, con fig. 37 (a sx.).

DIMENSIONI

Alt. max. cons.: cm 21.5 Largh. max. cons.: cm 17.6162

STATO DI CONSERVAZIONE: pressoché integra, a eccezione dell’estremità della

foglia mediana e dell’angolo inf. sx.

DESCRIZIONE. Palmetta aperta a undici foglie, con cuore a scaglia arrotondata, privo

di bordura, montata su un fiore di loto rovescio inquadrato da due steli a S a nastro piatto, affrontati e obliqui, desinenti in volute. Le foglie della palmetta, abbastanza ravvicinate, si allargano notevolmente alle estremità, che fuoriescono dal fondo conferendo all’elemento un profilo a lobi163. Le volute superiori presentano al centro un

159 V

LACHOPOULOU-OIKONOMOU 1986, p. 92, cat. nr. 5. Cfr. EVANGELIDIS,DAKARIS 1959, p. 166, cat. nr. 1.

160 E

VANGELIDIS,DAKARIS 1959, loc. cit. Il rinvenimento, nella pubblicazione, è localizzato “a sud di E1”, per quanto il muro di contenimento “K” si trovi piuttosto a sudest (così, correttamente, EMMERLING

2012, pp. 96, 269, Tk 1), nell’area antistante al “Naiskos A”. Questo muro è definito inspiegabilmente “più tardo (di età romana)” da VLACHOPOULOU-OIKONOMOU 1986, p. 92.

161 La data è riportata nel registro Δ′ del Museo Archeologico di Ioannina, p. 731, inv. 3588. 162

Le misure sono tratte da VLACHOPOULOU-OIKONOMOU 1986, p. 92. EVANGELIDIS,DAKARIS 1959, p. 166 riporta unicamente l’alt. (cm 18.5), inferiore a quella rilevata da A. Vlachopoulou-Oikonomou. Spess. max. n.r.

163 E

VANGELIDIS, DAKARIS 1959, p. 166 e VLACHOPOULOU-OIKONOMOU 1986, p. 92 registrano una sensibile inclinazione della palmetta verso dx.

101

occhio a bottone rilevato. Il fiore di loto, non molto aperto, si compone di due sepali164 e due petali che racchiudono un pistillo a forma di goccia allungata, collegato da un peduncolo al cuore della palmetta. Sulla voluta inferiore della S si innesta uno stelo secondario che risale lungo il bordo dell’antefissa descrivendo una voluta verso l’esterno; dal punto di innesto dello stelo secondario nella voluta inferiore nasce una foglietta lanceolata. Due mezze palmette rovesce a cinque petali, simmetricamente contrapposte, sorgono dagli angoli delle volute superiori delle S: la foglia mediana, più lunga, di ciascuna semipalmetta si estende parallelamente allo stelo principale, assecondandone la curvatura fino all’attacco della voluta inferiore; le quattro foglie minori, con la concavità rivolta verso l’alto e l’estremità arrotondata, si dispongono invece obliquamente verso il fiore di loto, sorgendo da un mezzo cuore. Tutti gli elementi si presentano ben delineati, a rilievo abbastanza basso ma non privo di plasticità.

TIPOLOGIA E DATAZIONE. L’elemento, in contrasto con l’opinione di Dakaris,

che lo ascriveva al tetto dell’oikos della prima fase edilizia di “E1” (fine V - inizi IV sec. a.C.)165, appartiene a una tipologia ben nota le cui varianti, create dai coroplasti corinzi tra il 330 e il 290 a.C.166, si trovano attestate pressoché simultaneamente in numerose località del Peloponneso, della Grecia centrale e nordoccidentale, grazie a esportazioni ad ampio raggio che almeno dal III sec. stimolano l’impianto di produzioni locali167. Per la forma del cuore della palmetta, a scaglia con vertice arrotondato168, l’antefissa T1 può essere assegnata a un primo sottogruppo dodoneo di quello che convenzionalmente – sulla base della provenienza dei materiali che hanno portato alla sua identificazione – può essere definito come “tipo Stoà Sud”169. La forma delle foglie,

164 Nell’immagine fotografica di E

VANGELIDIS,DAKARIS 1959, tav. 10α si riconosce un solo sepalo sul lato sx. Il particolare non è tuttavia segnalato dalle descrizioni edite basate sull’esame autoptico del pezzo, e nella ricostruzione di VLACHOPOULOU-OIKONOMOU 1986, dis. 15 figurano entrambi i sepali. 165 E

VANGELIDIS,DAKARIS 1959, pp. 47, 166. La stessa attribuzione è sostenuta per le antefisse cat. nrr. 1-9, nonostante la loro pertinenza (apparentemente riconosciuta in EVANGELIDIS,DAKARIS 1959, p. 174) a serie distinte. Cfr. EMMERLING 2012, p. 98 s. e nota 568. La datazione del gruppo di antefisse è rialzata alla seconda metà del V sec. in DAKARIS 1971, p. 40 (tav. 17, 2), mentre in DAKARIS 1998, p. 41 è indicato un orizzonte cronologico compreso tra prima e seconda metà del IV sec. a.C. (seconda metà nella didascalia relativa a D01.T1: ibid., tav. 18, 2). Sul problema v. EMMERLING 2012, p. 99, nota 573. Quanto all’appartenenza delle serie a “E1” (e più in particolare all’oikos), il contesto di rinvenimento dei frr. – a maggior ragione nel caso di T1, trovato a notevole distanza dall’edificio – non è minimamente in grado di comprovarla: EMMERLING 2012, p. 95 s.

166 B

ADIE,BILLOT 2001, p. 92. Per una prima definizione si veda BILLOT 1976, p. 123.

167 Per l’elenco delle località (limitatamente alla produzione di fine IV-III sec. a.C.) e la relativa bibliografia si rimanda a BILLOT 1976, p. 123, nota 93 e all’aggiornamento di BADIE,BILLOT 2001, p. 92, nota 278. Produzioni locali di III sec. sono note per Epidauro e per la Grecia occidentale (BADIE,BILLOT

2001, p. 92), mentre gli ateliers di Atene sembrano adottare il tipo non prima della tarda età ellenistica, riproducendolo fino alla media età imperiale (BILLOT 1976, p. 123 s.; BADIE,BILLOT 2001, p. 92 s.). 168

EMMERLING 2012, p. 99 assegna al medesimo sottogruppo i frr. Tk 2 (= D03.T1), Tk 3 (= D01.T16) e Tk 4 (= D01.T2). La mancata conservazione del cuore della palmetta, tuttavia, impedisce di escluderne la pertinenza al secondo sottogruppo del medesimo tipo (D01.T13, T15 = EMMERLING 2012, Tk 5-7), che differisce dal primo unicamente per il cuore profilato a losanga. La distinzione tra i due sottogruppi non emerge dal catalogo di VLACHOPOULOU-OIKONOMOU 1986, dove sia le antefisse con cuore a scaglia che i frr. di palmette (interpretate come antefisse di colmo) con cuore a losanga sono ascritti al tetto Δ3 (pp. 90- 112), la cui pertinenza all’oikos di “E1” non è messa in discussione dall’A. (ibid., pp. 100 e 109, nota 39). 169 B

ADIE,BILLOT 2001, p. 92. Il riferimento è alle antefisse del celebre portico di Corinto (BROONER

1954, p. 86 s., con tavv. 20.1, 21.1.a; HEIDEN 1987, p. 147 s.), il cui schema decorativo, tralasciando «the question of the exact date of the South Stoa (whether it was built in the 330’s or at the very end of the 4th century), [...] had a widespread influence on the decoration of many of the buildings of the latter part of the 4th century and into the 3rd century» (ROEBUCK 1994, p. 47, con tav. 17a). Il nome attribuito al ‘tipo’, come si rileva in BADIE, BILLOT 2001, p. 92, «ne prétend pas désigner en toute certitude le premier

102

con steli sottili ma non filiformi e terminazioni larghe e arrotondate, la disposizione obliqua delle S170, il rilievo basso e piatto ma nel contempo preciso e ricco di dettagli riproducono fedelmente i caratteri dei più antichi esemplari corinzi, nonché di altre serie contemporanee o di poco successive171. Gli elementi decorativi della base, per quanto semplificati, conservano un legame ben percepibile con le forme vegetali alle quali si ispirano, a differenza dei motivi lineari, disseccati e verticalizzati di altre serie epirote che si rifanno al medesimo tipo172. La qualità esecutiva e la vicinanza ai prototipi173, oltre a suggerire una prossimità cronologica (ultimo quarto del IV sec. a.C.)174,

exemple de cette composition», il cui prototipo pressoché coevo, secondo ROEBUCK 1994, pp. 45, 47, va individuato in un esemplare rinvenuto murato nella parete di una fornace del quartiere ceramico di Corinto (FA 414, tav. 14a). Un’esplicita ripartizione delle antefisse dodonee in tre diverse serie, tutte riconducibili al “tipo Stoà Sud”, si trova in BILLOT 1976, p. 123, nota 93. Ma si veda già LE ROY,DUCAT

1967, pp. 166, nota 2, e 169. Il confronto è stato poi ribadito da VLACHOPOULOU-OIKONOMOU 1986, p. 99 s. (con tav. 9α) ed EMMERLING 2012, p. 99.

170 L’inclinazione delle S è considerata un elemento di “tradizione corinzia” da V

LACHOPOULOU- OIKONOMOU 1986, p. 158.

171

EMMERLING 2012, p. 99 richiama, oltre alle antefisse della Stoà Sud (fig. 47), che restano le più simili, quelle analoghe e coeve dall’Asklepieion di Corinto (fig. 48; ROEBUCK 1994, pp. 48, FA 184 e 434, con tav. 18c-d) e un esemplare dal santuario di Poseidon a Istmia (tetto 2: HEMANS 1994, p. 81, cat. nr. 17, IT 168/234, con tav. 22a, attribuito all’ultimo quarto del IV sec.), che nonostante la somiglianza della base, tuttavia, si differenzia dall’antefissa dodonea per la maggiore spaziatura tra le foglie e la loro terminazione più stretta. Questi caratteri richiamano piuttosto il supposto “prototipo” delle serie corinzie: ROEBUCK 1994, pp. 45, 47. Molto vicine all’esemplare dodoneo sono anche le antefisse del tetto 81 di Delfi (HEIDEN 1987, p. 150 s.), considerato coevo alla stoà corinzia, come si evince in particolare dal fr. di base A.68 pubblicato da LE ROY,DUCAT 1967, p. 158, nr. 15, con tav. 65. Oltre che per il numero delle foglie (nove), l’antefissa della “Stoà del Porto” di Perachora (COULTON 1964, p. 122, con tav. B, a) differisce da quelle di Dodona e della Stoà Sud per una certa tendenza alla semplificazione.

172 “Piccolo teatro” di Ambracia: A

NDREOU 1983, p. 20 s., con tavv. 6α-β, 7, 8α; VLACHOPOULOU- OIKONOMOU 1986, pp. 114-121 (tetto A3, serie A3η: inizi III sec.), con tavv. 12β-γ, 13α-β e diss. 16α-β (fr. analogo al cat. nr. 12, tav. 12γ, dall’area del Mausoleo di Augusto a Nicopoli: KATSADIMA 2007, pp. 90, 93, cat. nr. 10, con figg. 10, 17). Kassope: VLACHOPOULOU-OIKONOMOU 1986, pp. 150-160 (tetto K3, serie K3η: seconda metà/fine III sec., anche se non si esclude una datazione alla prima metà), con tavv. 14γ-δ, 15α-γ. Gitana: KANTA-KITSOU, PALLI, ANAGNOSTOU 2008, p. 52, fig. 3; Schede G01.T1-T6 (“Mikròs Naòs”: II – metà I sec. a.C). L’evoluzione di queste serie, che a partire da forme organiche procedono lentamente verso una maggiore schematizzazione, conferma quanto rilevato da LE ROY, DUCAT 1967, p. 166, che cioè lo “style négligé” dell’ultimo terzo del IV sec. interessa la decorazione a rilievo delle antefisse con un certo ritardo rispetto alla decorazione dipinta delle sime. Cfr. VLACHOPOULOU-OIKONOMOU 1986, p. 98.

173 Anche l’originaria policromia dell’antefissa di Dodona corrisponde a quella dei confronti coevi: fondo bruno-nero, bordo esterno, cuore della palmetta, parte centrale del fiore di loto e a volte occhi delle volute superiori dipinti di rosso. Cfr. BROONER 1954, p. 86 (Stoà Sud); COULTON 1964, p. 122, con tav. B, a (Perachora). Un elemento di differenziazione è invece dato dalla particolare lungh. della foglia principale delle mezze palmette, che si estende fin sotto la voluta della S adiacente. Tale tratto trova un confronto nelle antefisse del “Katagogion” di Kassope (VLACHOPOULOU-OIKONOMOU 1986, tavv. 14γ-δ, 15α-γ), che differiscono tuttavia da quella dodonea per la forma romboidale del cuore, la riduzione a quattro foglie delle mezze palmette e la maggiore inflessione verso il basso delle foglie della palmetta principale. 174 Il primo a rilevare la strettissima vicinanza dei materiali dodonei alle terrecotte architettoniche della

Stoà Sud di Corinto e a trarne conclusioni di ordine cronologico è stato Ch. Le Roy: posto che «un écart

de près de 70 ans», quale quello che verrebbe a separare la decorazione dell’edificio corinzio da quella dell’oikos epirota secondo la cronologia di Dakaris (400 a.C. ca.), «semble invraisemblable», il tetto di Dodona «doit se situer lui aussi dans le dernier tiers du IVe siècle», obbligando a rivederne il rapporto con le fasi edilizie della c.d. hierà oikia (LE ROY,DUCAT 1967, p. 169). Delle due soluzioni proposte da Le Roy – pertinenza delle terrecotte a un rifacimento del tetto dell’oikos contestuale alla costruzione del recinto (seconda metà del IV sec. in base alla cronologia di Dakaris); edificazione dell’oikos non prima del 330 a.C. anziché all’inizio del IV sec. – VLACHOPOULOU-OIKONOMOU 1986, pp. 100-102 opta per la prima. La spiegazione alternativa – che evita il paradosso di attribuire la serie dodonea alla seconda fase di un edificio la cui datazione al 400 a.C. ca., relativamente al primo impianto, era stata basata proprio

103

sembrerebbero orientare verso l’attribuzione a un artigiano corinzio, anche se in mancanza di analisi archeometriche dell’argilla non è possibile stabilire se si tratti di un pezzo d’importazione o, come sembra probabile a partire dal III sec. a.C.175, del prodotto di officine d’ispirazione corinzia installatesi nel santuario epirota176.

D01.T2

OGGETTO: antefissa a palmetta.

MATERIALE: terracotta. Argilla rosata (7.5 YR/7/4). Fondo bruno scuro177.

LUOGO DI RINVENIMENTO: Dodona, “Edificio E1”, trincea “T-T1-T2” (scavi D.

Evangelidis 1954)178.

LUOGO DI CONSERVAZIONE: Museo Archeologico di Ioannina, magazzino. Inv.

3513.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI: EVANGELIDIS, DAKARIS 1959, pp. 47, 168, cat. nr. 12, con tav. 11β (in basso a sx.); VLACHOPOULOU-OIKONOMOU 1986, p. 93, cat. nr.

7; EMMERLING 2012, pp. 99, 270, Tk 4, con fig. 38 (a dx.). DIMENSIONI

Alt. max. cons.: cm 8.5

sull’analisi di tale serie – è stata ingiustamente ignorata dalla letteratura successiva, salvo essere riproposta (indipendentemente da Le Roy) da EMMERLING 2012, pp. 99, 269.

175 B

ADIE,BILLOT 2001, p. 92. 176 E

MMERLING 2012, p. 242, sulla scorta delle conclusioni raggiunte da HEIDEN 1987, pp. 49-51, 67, 135 in relazione alle terrecotte corinzie rinvenute in diversi santuari greci (Olimpia, Kalydon, Thermos), ipotizza la presenza a Dodona di artigiani di provenienza corinzia che vi avrebbero installato proprie succursali. Sarebbe importante appurare se il rivestimento di argilla liquida di colore giallo pallido, osservato sull’antefissa D01.T1 da EVANGELIDIS,DAKARIS 1959, p. 166 e VLACHOPOULOU-OIKONOMOU

1986, p. 92, ha un qualche rapporto con l’uso, riscontrato da J. Heiden, di rivestire i pezzi realizzati con argilla locale di un sottile strato di argilla corinzia sul quale poi si applicava la pittura (HEIDEN 1987, p. 4, con nota 11). Cfr. EMMERLING 2012, p. 242, nota 1477. L’esistenza di officine epirote attive nella produzione di antefisse del tipo “Stoà Sud” è attestata ad Ambracia dal rinvenimento di un fr. di matrice (Museo Archeologico di Arta, inv. 2839) nei pressi del “Piccolo teatro”: VLACHOPOULOU-OIKONOMOU

1986, pp. 184-186, tetto A4, serie A4μ, cat. nr. 1 (tav. 16γ, dis. 22), con datazione alla seconda metà - fine del III sec. a.C.

177 V

LACHOPOULOU-OIKONOMOU 1986, p. 93, cat. nr. 7. 178 E

VANGELIDIS,DAKARIS 1959, p. 168, cat. nr. 12. La data dello scavo è riportata da VLACHOPOULOU- OIKONOMOU 1986, p. 93.

104 Largh. max. cons.: cm 8179

STATO DI CONSERVAZIONE: si conserva la parte superiore dx. della palmetta con

tre foglie (due complete, quella inferiore mutila). Della foglia mediana e delle prime due foglie del lato sx. rimane l’attaccatura.

DESCRIZIONE. Palmetta aperta a undici foglie, sottili alla base, larghe e piatte alle

estremità, il cui profilo arrotondato fuoriesce dal fondo dell’antefissa.

TIPOLOGIA E DATAZIONE. L’elemento, per qualità dell’argilla e disegno delle

foglie della palmetta, può essere attribuito alla medesima serie dell’antefissa D01.T1, quasi integra, e del fr. D03.T1180, il cui modello è sicuramente individuabile nelle antefisse della Stoà Sud di Corinto181. La vicinanza a queste ultime invita ad abbassare la cronologia della serie all’ultimo quarto del IV sec. a.C., in contrasto con la cronologia alta (fine V - inizi IV sec.) sostenuta da Dakaris.

D01.T3-T4

Inv. 276 B, 2 Inv. 276 Γ

OGGETTO: antefissa a palmetta.

MATERIALE: terracotta. Argilla giallastra (5 YR/6/8)182.