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Dai cineasti britannici alla città come protagonista

Seconda parte Produzione di Traslazion

2.4 Metodologia di montaggio cinematografico e l’immagine della città

2.4.1 Origini del montaggio Nascita di un linguaggio

2.4.1.2 Dai cineasti britannici alla città come protagonista

Contemporaneamente, in Gran Bretagna, si sviluppa una corrente cinematografica con un particolare e chiarissimo marchio inglese, educativo e moralista, che avrebbe caratterizzato il cinema d’oltremanica nel corso di tutta la storia del cinema. A questa sostanziale impronta non corrisponde un nuovo genere di montaggio; essa costituisce tuttavia il principio tematico di ciò che sarà nel periodo classico il motore del racconto della maggior parte delle storie: l’eterna lotta del bene contro il male. Le note educative di questo genere di cinema insegnano, per esempio, a far attenzione per la strada, spiegano i danni dell’alcolismo e mostrano i poliziotti che arrestano i ladri. All’interno di questa prospettiva nasce una delle scene più impiegate nel cinema, quella dell’inseguimento. Come commenta

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Bernardi, la maggior attrazione del cinematografo e il miglior effetto speciale rimarrà sempre il movimento e l’inseguimento3.

Con il consolidamento dello schema dell’inseguimento, si ha la comparsa di un nuovo grande protagonista nelle vicende cinematografiche: la città, non più semplice sfondo di tipo teatrale, assume un ruolo attivo nella narrazione e viene gettata la solida base dello stretto legame fra il cinema e l’architettura. Con la città come scenario attivo, il racconto si nutre del carattere degli spazi urbani, trovando in questi uno dei più eloquenti narratori.

In questo contesto è significativo analizzare il movimento formato da giovani intellettuali francesi, alla fine degli anni ‘50, che prende il nome di Nouvelle vague. I giovani registi della Nouvelle vague, tra i quali Jean Luc Godard - autore di alcuni dei più rappresentativi film del movimento – si ispirarono, in chiave critica ai film classici americani. In questi modelli, che avevano ereditano dal cinema britannico la tematica dell’inseguimento fra i buoni e i cattivi, si creava un’immagine

cinematografica molto idealizzata: sullo schermo trionfavano i divi, mentre lo spettatore era signore assoluto della sala. Il cinema classico nordamericano aveva come principio la continuità narrativa, la trasparenza del linguaggio, lo spazio continuo e prospettico e si basava su un tempo lineare e perfettamente

comprensibile. In sostanza si trattava di un cinema di comprensione molto semplice e in genere accessibile per tutti i livelli culturali. La nouvelle vague ammira questo stile di cinema, ma lo interpreta in un modo “casereccio” e autentico: al posto dei sempre perfetti divi hollywoodiani, (come racconta Bernardi, la diva di Hollywood si sveglia la mattina già perfettamente truccata e pettinata) si vedono visi di uomini e donne normali e comuni, e al posto degli scenari spettacolari, appaiono la città e gli spazi quotidiani.

Così il cinema della Nouvelle vague e quello di Godard, parlano della realtà: ”le immagini non possono sostituirsi alla realtà, ma ci parlano della realtà e

3 Sandro Bernardi, “L’avventura del cinematografo. Storia di un’arte e di un linguaggio”. Marsilio,

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dialogano con essa, e tuttavia la realtà ha bisogno delle immagini per vedersi e per conoscersi”4.

Il primo film di Godard, Fino all’ultimo respiro (A bout de souffle), del 1960, è un doloroso confronto fra i sogni e la realtà, la storia di un piccolo delinquente parigino che sogna di essere come i grandi gangster del cinema nordamericano. Lo stesso Godard giudica il film come un viaggio nel cinema gangster, ma lo descrive anche come un viaggio alla maniera di Alice nel paese delle meraviglie: “una corsa

4 Sandro Bernardi, “L’avventura del cinematografo. Storia di un’arte e di un linguaggio”. Marsilio.

Venezia, 2010.

Sequenza d’immagini del film “Fino all’ultimo respiro” di Jean Luc Godad.

1960

Fonte: “L’avventura del cinematografo”. Sandro Bernardi

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dentro i giochi e gli inganni dell’inganno, in cui siamo sempre dentro e fuori dalle immagini. E’ una storia classica, ma anche una riflessione sul cinema, sui miti, sui sogni che il cinema genera, nel suo incrocio con la vita reale.

Per la prima volta quindi, la città ha un ruolo partecipe nella costruzione della storia e, dato che una città ha una identità propria che si può tradurre in

un’immagine, la città ha un carattere o un tono che tinge in modo particolare il Sequenza d’immagini della scena finale del film

“Fino all’ultimo respiro” di Jean Luc Godad. 1960

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racconto. Essa stessa è anche partecipe del gioco che Godard propone sulla riflessione della realtà: la città viene osservata, analizzata, viene resa reale mostrando tutto ciò che è bello e tutto ciò che non lo è. Così, lo spettatore può vedere sé stesso e identificarsi nel rapporto con lo spazio urbano al quale

appartiene. In Fino all’ultimo respiro, il regista mostra una città o un aspetto della città viva e piena di movimento: le scene esterne sono generalmente veloci, fra i flussi di automobili e i flussi di persone, mentre le scene interne sono lunghe e lente, perché la vita sta al di fuori dei muri. Su questo argomento riflette anche il regista tedesco Wim Wenders – anch’egli molto interessato alle questioni urbane – che nei sui film “The wings o desire” (1987) (Il celo sopra Berlino) e “Faraway so close”

(1993) mostra la città in modo differente: la vita è rappresentata dal rapporto fra l’abitante e il luogo e la città assume ancora una volta un ruolo attivo. In sostanza l’oggetto di riflessione è l’uso degli spazi, l’interazione, ciò che gli spazi producono nella percezione delle persone, più che la forma o l’immagine di sottofondo. In questo modo, la città – Berlino del 1993 in Faraway so close - è piena di movimento come la Parigi di Godard, ma è anche vuota e malinconica, e viva anche in questo aspetto. Il gioco di Wenders fra la realtà e la finzione è sottolineato dal temperamento della città, che mostra tutti i suoi stati d’animo, come se fosse un personaggio umano. Il vero protagonista, invece è un personaggio, Casiel, che ha un doppio ruolo: è un attore, ma allo stesso tempo è uno spettatore, che osserva costantemente la città e i suoi degli abitanti. L’osservazione è, in questo film, un

Sequenza di immagini “Wings of desire. Wim Wenders, 1987

Fonte “La profundidad de la pantalla” J. Gorostiza

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tema fondamentale: l’attore osserva la città come lo spettatore osserva il film, a volte l’attore entra nella città, ma in altri momenti lascia il suo ruolo di protagonista per tornare ad essere osservatore. E’ un gioco che coinvolge anche lo spettatore che, come si è già visto nella descrizione della doppia realtà (cap.2.2), nella sua percezione entra ed esce dallo spazio cinematografico.

“…mi ricordo di Brasilia, dove andai una volta affascinato dall’idea di una città pianificata da cima a fondo. Ho passeggiato a lungo per la città, sebbene non sia facile, perché i progettisti non avevano programmato che ci si muovesse a piedi […] Era questa l’euforia progettuale degli anni Cinquanta, che si è imposta a Brasilia; ma la cosa straordinaria è che, nonostante abbiano sbagliato tutto, su una piazza si ritrova la vita autentica: in un grande spiazzo, originariamente destinato a giardino pubblico, c‘era una specie di mercato delle pulci invaso da gente che, diciamo così, aveva bisogno di disordine nel bel mezzo di quella città così

mortalmente ordinata. Questo luogo non programmato, imprevisto, era il più bello e l’unico a misura uomo.”5

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2.4.2 Costruzione di un linguaggio: progettazione del