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Dal particolare all’universale

Ilaria Moschin

7. Dal particolare all’universale

L’americanità della rete è stata rivendicata ufficialmente per la prima volta da Hillary Clinton nel suddetto Five Freedoms Speech, come anche quella dei valori da essa veicolati di cui gli americani si fanno custodi (“[...] as the birthplace for so many of these technologies, including the internet itself, we have a responsibility to see them used for good”).

Tuttavia, anche se questi valori hanno origini statunitensi, sono percepiti dalla comunità di internet (e non solo) come valori univer- sali, a mio parere per una doppia coincidenza: da un lato la presun- ta neutralità della rete, dall’altro l’ambiguità di base della promessa americana.

Sin dalle origini, infatti, i valori sanciti nella Dichiarazione di Indipendenza, derivanti dalla fusione dei principi illuministi con il sentimento religioso e sintetizzati nella concezione dei diritti natu-

26 J. P. Barlow, A Declaration of the Independence of Cyberspace, 1996. <http://w2.eff.org/ Censorship/internet_censorship_bills/barlow_0296_declaration> (giugno 2010).

rali27, sono al contempo i valori di un popolo storico e di un popolo universale, il cui patto sociale si fonda sulla promessa di libertà per il resto del mondo.28 Inoltre, dal secondo dopoguerra in poi, come abbiamo visto, il discorso sui valori americani si intreccia profonda- mente con il discorso sulla tutela universale dei diritti dell’umanità tutta.

In quest’ottica non è difficile comprendere lo spirito universalista della “Raccomandazione sul rafforzamento della sicurezza e delle li- bertà fondamentali su internet” votata quasi all’unanimità nel marzo 2009 dal Parlamento europeo. Secondo questa raccomandazione, in- ternet “dà pieno significato alla definizione di libertà di espressione” e “può rappresentare una straordinaria opportunità per rafforzare la cittadinanza attiva”.

Partendo proprio dalle parole della suddetta “Raccomandazione”, il Presidente della Camera Gianfranco Fini, in occasione del conve- gno “Internet è libertà” tenutosi a Montecitorio nel marzo 2010, ha sottolineato il ruolo attivo della rete nell’incrementare la partecipa- zione alla cosa pubblica e ha invitato tutta la comunità internazio- nale a “creare un forte movimento a sostegno dell’assegnazione del premio Nobel per la pace 2010 a internet” perché “l’accesso [alla rete] deve essere considerato un vero e proprio diritto fondamentale dell’uomo”.29

Una richiesta di endorsement globale, dunque, per una proposta nata sulle pagine di Wired Italia, la versione italiana del magazine californiano creato, come abbiamo visto, dal gruppo di Steward Brand negli anni Novanta e discendente dall’incontro tra i New Communalists, la visione cibernetica della società e i tecnici e gli im- prenditori della Silicon Valley.

27 Cfr. T. Bonazzi, La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, Marsilio, Venezia, 1999.

28 Si veda I. Moschini, op. cit., 2007.

29 G. Fini, Internet è libertà. Perchè dobbiamo difendere la rete, 2010. <http://presidente. camera.it/105?shadow_interventi_presidente=271> (giugno 2010).

8. ‘Testimonianze’ multimodali

Per concludere la nostra panoramica sull’evoluzione del testo ne- gli ultimi venti anni, vorrei concentrare brevemente l’attenzione sul portale Web – http://www.internetforpeace.org – creato per lanciare la candidatura di internet al Nobel per la Pace. Tale sito (in fig. 3 la homepage) infatti è un testo che presenta le caratteristiche semiotico- linguistiche e valoriali sin qui analizzate.

Figura 3. Homepage del sito Web http://www.internetforpeace.org.

Innanzitutto, nonostante che il progetto sia stato ideato da un mensile italiano (Wired Italia), il codice linguistico scelto per il sito è l’inglese, la lingua franca delle comunicazioni internazionali. Lo scopo comunicativo è sicuramente quello di estendere il bacino di fruizione del messaggio, rendendolo ‘più universale’ e, contempora- neamente, trascendere i confini nazionali. L’opera di localizzazione del ‘prodotto’ viene lasciata agli utenti, i quali sono invitati a inviare la loro traduzione del testo nella propria lingua (“send your transla- tion”) per aiutare la ‘parola’ a superare eventuali barriere linguisti- che.

In alto a destra troviamo il simbolo del progetto: una colomba con il ramoscello di ulivo, di chiara derivazione biblica. I colori utilizzati sono il bianco e il verde che richiamano, rispettivamente, la purezza e la natura o, meglio, il rispetto per la natura così come invocato dalla sensibilità ecologista tanto cara alla controcultura degli anni Sessanta/Settanta e allo spirito emersoniano dei New Communalists.

La distanza dalla sfera economica viene marcata ulteriormente dalla scelta del dominio. Come è noto, infatti, “.org” è uno dei primi domini creati per la rete negli anni Ottanta, originariamente desti- nato soltanto alle organizzazioni no-profit. La connotazione che si è voluta dare è dunque quella di un progetto sociale universale e moralmente giusto, lontano dai profitti e dal mercato, pur essendo stato lanciato da una delle testate di Condè Nast. Infine, l’appello della campagna viene definito “manifesto”, come fosse uno scritto programmatico presentato da esponenti di movimenti politici e/o culturali e ne viene quindi amplificata la connotazione di dichiara- zione pubblica.

Per quanto riguarda i destinatari del messaggio, questi sono in- vitati ad aderire al progetto portando avanti una serie di azioni: dal caricare i loro contributi (“make your video”) al diffondere il messaggio sui social media (“Spread Internet for Peace across your blog and social media” nella sezione “Join us”). Un’esortazione alla partecipazione dal basso, enfatizzata dall’uso imperativo del verbo e dal tenore diretto e colloquiale della comunicazione derivante, come abbiamo visto, dall’essere parte dello stesso gruppo di pari, coinvol- ti nel comune progetto di migliorare la società. Piano le cui carat- teristiche richiamano la politics of consciousness teorizzata dai New Communalists, fondata sulla diffusione delle informazioni e della co- noscenza attraverso la tecnologia, al fine di sensibilizzare la coscienza degli individui e migliorare così la società in cui vivono. La libera cir- colazione delle informazioni – per i New Communalists come anche per Wiener – è, infatti, il requisito fondamentale affinché il sistema sociale possa raggiungere il suo equilibrio interno.

ne considerata il fondamento di una nuova società basata sui valo- ri dell’empatia (“Digital culture has laid the foundation for a new kind of society. And this society is advancing dialogue, debate and consensus through communication”). Valori che, secondo la storica statunitense Lynn Hunt30, sono alla base della nascita dei diritti na- turali degli uomini e della loro successiva tutela giuridica. Gli utenti attraverso il passaparola e attraverso la condivisione della conoscen- za, possono aiutare a diffondere dal basso questo messaggio, testimo- niando al contempo la loro adesione alla battaglia per i diritti umani, primo fra tutti, il diritto di parola.

Tra i principali strumenti di questo passaparola troviamo, oltre alla suddetta condivisione del sito sulle diverse piattaforme dei so- cial media, la creazione di User Generated Contents, ovvero di testi di nuova generazione. La richiesta di UGCs (“take part: make your video”) è visivamente marcata nella composizione del testo, dalla sua posizione, dalla grandezza del font e dal colore (l’arancione) che viene utilizzato anche per la cornice della parola “manifesto” nonché per l’introduzione e la conclusione del testo, dove troviamo l’esplici- to appello alla giustezza della causa (enfatizzata dall’uso del modale nel messaggio “Nobel Peace Prize should go to the Net”) e l’inclu- sione di tutti i sostenitori e (per estensione) di tutti gli web-users tra i vincitori del premio (“A Nobel for each and every one of us”).

Agli utenti (e potenziali futuri vincitori del premio Nobel) viene dunque chiesto di contribuire al progetto creando un proprio video e caricandolo sul canale di YouTube dedicato alla campagna (http:// www.youtube.com/internetforpeace). Cliccando sulla suddetta richiesta di UGCs si apre un link proprio al canale di YouTube, dove troviamo la stessa esortazione presentata in forma simile a un User Generated Content (si veda la fig. 4): una vera e propria ‘chiamata all’azione’ per tutelare i diritti della propria cittadinanza partecipativa, una cittadi- nanza che trascende i confini degli stati nazionali. La testimonianza della propria adesione a questa nuova “civiltà dell’empatia” – così

come la definisce l’economista statunitense Jeremy Rifkin31 – si rea- lizza, dunque, attraverso la creazione di testi di nuova generazione e la partecipazione a una conversazione multimodale globale.

Figura 4. Appello alla creazione del proprio contenuto video.

31 J. Rifkin, The Empathic Civilization: The Race to Global Consciousness in a World in

I siti Web sottoelencati sono stati visitati per l’ultima volta nel mese di giugno 2010. h t t p : / / w w w . e u r o p a r l . e u r o p a . e u / s i d e s / g e t D o c . do?type=TA&reference=P6-TA-2009-0194&language=IT http://www.internetforpeace.org http://www.myspace.com/whitehouse http://www.whitehouse.org http://www.wholeearth.com http://www.wired.it/magazine/archivio/2009/10.aspx http://www.youtube.com/internetforpeacewww.youtube.com/ internetforpeace

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