A Gigliola Il giglio di Šarón (Ct 2,1)
Il Cantico dei Cantici, Šir hašširim in ebraico,1 non solo è uno dei testi più noti della Bibbia, ma è considerato uno dei poemi d’amore più importanti della letteratura di ogni tempo, pervaso da una pro- fonda grazia e sostenuto dallo slancio di una giovanile freschezza e innocenza. All’inizio del secondo secolo e.v. il saggio Rabbi ʽAqiba’ disse: “L’eternità non vale il giorno in cui il Cantico dei Cantici è
1 Questo particolare sintagma ha valore di superlativo; l’espressione è equivalente a “il cantico sublime”. Sono state formulate ipotesi molto varie sulla datazione del poema: probabilmente la sua redazione è da porre, soprattutto in base all’analisi dei dati linguistici, durante il periodo della dominazione persiana su Israele, tra il quarto e il terzo secolo a.e.v. La complessa struttura del componimento induce a supporre che alcuni canti e motivi diversi tra loro siano stati sapientemente riuniti e collegati insieme. Esiste una bibliografia immensa sul Cantico dei Cantici; mi limito in questa sede a indicare semplicemente, come lavori di riferimento, gli ampi commentari di G. Barbiero, Cantico dei Cantici. Nuova versione, introduzione e commento, Edizioni Paoline, Milano, 2004, e M. H. Pope, The Song of Songs. A New Translation with
Introduction and Commentary, Doubleday, New York, 1977. Per la storia dell’inter-
pretazione e i paralleli letterari si ricorda G. Ravasi, Il Cantico dei Cantici. Commento
e attualizzazione, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1992; per i riferimenti intertestuali
si cita in particolare Y. Zakovitch, The Song of Songs. Introduction and Commentary, The Hebrew University Magnes Press, Tel Aviv-Jerusalem, 1992 (in ebraico).
stato donato a Israele”2. È un testo assai controverso, in verità, che ha suscitato una mole ingentissima di analisi, interpretazioni e com- menti. È stato materia di studio e di riflessione poetica, nonché eser- cizio di preghiera e scuola di lettura allegorica in modo ininterrotto dall’antichità fino ai nostri giorni, coinvolgendo da un lato ambiti confessionali sia ebraici sia cristiani e dall’altro settori più stretta- mente letterari e il mondo scientifico e accademico.
Per quanto la struttura sia in buona parte dialogica e rappresenti un ideale duetto raffinato e sensuale tra un’amata e il suo amato, in- tervallato dalla presenza di un coro, pur tuttavia la figura femminile è predominante e la voce narrante che emerge più vivida è quella dell’amata, mentre la persona dell’amato e le sue parole risultano meno reali, o solo evocate.
È la protagonista femminile ad iniziare arditamente il poema, esprimendo il suo sogno e il suo desiderio3:
Ct 1,2 Mi baci con i baci della sua bocca! Le tue carezze sono più dolci del vino.
È la fanciulla a entrare in scena offrendoci un’orgogliosa e realistica descrizione del suo aspetto:
Ct 1,5-6 5Sono bruna e bella, figlie di Gerusalemme,
come le tende di Kedar, come le cortine di Salomone.
6Non guardate se sono moretta,
perché il sole mi ha abbronzata.
I figli di mia madre si sono adirati con me, mi hanno messo a custodire le vigne. La mia vigna, quella mia, non ho custodito.
Viene rivendicata e giustificata la bellezza dell’essere scura: “bruna e bella”4, e la sua piacevolezza: l’aggettivo še|orà, “bruna” (Ct 1,5) è
2 Mišnà, Yadayim, 3,5.
3 L’incipit: “Cantico dei Cantici, che è di Salomone.” (Ct 1,1) è stato inserito posterior- mente.
4 Molto comune è anche l’interpretazione “bruna ma bella”; la congiunzione we che
unisce i due aggettivi può assumere in ebraico sia una funzione coordinativa sia una funzione avversativa e non sempre il contesto permette di compiere una scelta netta e definitiva.
ripetuto nel versetto seguente nella forma attenuata e vezzeggiativa še|ar|òret, “brunetta, moretta” (Ct 1,6). La carnagione scura sem- bra non fosse apprezzata dalle più raffinate fanciulle cittadine. Poteva essere intesa anche come segno di maggior vicinanza alla natura, alla sua vitalità spontanea, ai suoi fenomeni e ai suoi segreti5.
Il richiamo alla vigna di Ct 1,6 propone un tema comune a tut- ta la letteratura del Vicino Oriente, ricco di valori simbolici, che compare altrove nel nostro componimento (Ct 1, 14; 2,15; 7,13; 8,11-12) e nella poesia biblica. L’ambientazione naturale è un tratto rilevante e costante del Cantico, il soggetto amoroso è sapientemente compenetrato con la natura, tanto da suggerire a molti studiosi para- goni con l’idillio teocriteo e in generale con la poesia bucolica.
Ct 7,12-14: 12Vieni, mio diletto,
usciamo alla campagna,
pernottiamo tra i cespi d’alcanna6. 13All’alba andremo nelle vigne:
vedremo se la vite ha gemmato se i boccioli si sono aperti, se sono fioriti i melograni. Là ti darò il mio amore.
14Le mandragore effondono profumo
E alle nostre porte è ogni sorta di frutti squisiti, nuovi ed anche stagionati:
diletto mio, li ho serbati per te.
Un’altra immagine ricorrente nel Cantico è quella del giardino (Ct 4,12-5,1; 6,2-3; 6,11; 8,13) che, insieme con le vigne, diventa me- tafora della donna stessa.
5 La letteratura vanta una lunga tradizione di donne “brune”, che talora hanno proprio la fanciulla del Cantico come prototipo. Si potrebbero citare, per esempio, proce- dendo per ampie e libere trasposizioni ed analogie, la bruna regina di Saba, esperta di arti magiche, fino alla Carmen resa famosa dalla musica di Georges Bizet. Nella tradizione religiosa compaiono numerose effigi di Madonne nere.
6 Seguo l’interpretazione di G. Barbiero, Il Cantico dei Cantici, cit., p. 338 e dell’edi- zione del Tanakh, The Holy Scriptures, a cura della Jewish Publication Society, Philadelphia-Jerusalem, 1985, ad locum.
Ct 4,12-15: 12Giardino chiuso, sorella mia sposa,7
fontana chiusa, sorgente sigillata.
13I tuoi germogli sono un giardino di melograni,
con i frutti più squisiti,
virgulti d’alcanna con cespi di nardo;
14nardo e croco,
càlamo aromatico e cinnamomo con ogni albero di incenso, mirra e aloe
con tutti i balsami più pregiati.
15Sorgente da giardino,
pozzo d’acqua viva, che scaturisce dal Libano.
L’ambientazione naturale non appare solo come immediata cornice della poesia d’amore ed esaltazione delle emozioni e dei sensi, ma an- che, soprattutto in questo caso, come paesaggio raffinato e civilizza- to dalla mano dell’uomo. La descrizione poetica, qui, come altrove, è ricca di simbolismi e intessuta di sottili richiami intertestuali, segno di una elaborazione letteraria attenta.
Il giardino del Cantico è evocazione del giardino di ʽEden nel rigoglio e nell’innocenza delle origini, quale appare nella Genesi (Gen 2,8.15). La figura femminile, l’amore e la sessualità nella no- stra composizione sono viste positivamente, diventano simbolo della vita e non sono gravate dall’ombra della trasgressione e dalla condanna cui la donna in particolare è soggetta nei testi di carattere sapienziale.
Il ruolo di primo piano che la figura femminile assume nel Cantico induce a ipotizzare la presenza di una donna come autrice almeno di un nucleo importante del poema. Shelomo D. Goitein aveva suppo- sto già nel 1957 che il Cantico fosse una composizione femminile e dopo aver citato i versi “Let me be a seal upon your heart, / Like the seal upon your hand. / For love is fierce as death, / Passion is mighty as Sheol; / Its darts are darts of fire, / A blazing flame” (Ct 8,6), aveva
7 Accolgo generalmente la lettura proposta da G. Barbiero, Il Cantico dei Cantici, cit.,
affermato: “Surely if of all the women’s poetry in the Bible only this verse had survived, dayenu – it would have been enough.”8
Epilogo
La fanciulla del Cantico viene chiamata la Šulammith (Ct 7,1) un appellativo più che un vero nome, che ricorre sempre con l’articolo e compare due volte nello stesso versetto. A questo termine sono stati attribuiti vari significati. È lei stessa, tuttavia, a presentarsi e a defi- nire, in un certo senso, la sua identità, in modo asseverativo, dando inizio a un nuovo canto:
Ct 2,1 Io sono il giglio della pianura, il narciso delle valli.
La protagonista si identifica con un fiore, dai delicati colori e dal piacevole profumo. Il suo nome, la sua stessa essenza sono espressi attraverso questa immagine bellissima.
Non è facile identificare i fiori che compaiono in questo verset- to. Sappiamo che sono tipici della terra d’Israele, di cui diventano quasi un simbolo in questa poesia che costantemente si richiama alla natura.
Il termine ebraico |ăvaṣṣéleth viene tradizionalmente inteso come giglio – simbolo, in Oriente, di bellezza, fecondità e ricchezza. Forse indica in modo specifico il giglio marino, il pancrazio profu- mato che fiorisce nella bella pianura costiera estesa tra Giaffa-Tel Aviv e il Carmelo. A quella piana ci si riferiva anticamente con il so-
8 S. D. Goitein, “Women as Creators of Biblical Genres”, Prooftexts 8 (1988), pp. 1-33, in particolare p. 29 (traduzione di Id., ʽIyyunim bamiqra’, Tel Aviv 1957, a cura di M. Carasik); si veda anche Id., “The Song of Songs: A Female Composition”, in A. Brenner (ed.), A Feminist Companion to the Song of Songs, Sheffield Academic Press, Sheffield, 1993, pp. 58-66 (traduzione parziale di Goitein, ʽIyyunim bamiqra’, cit., a cura di A. Brenner). La tesi viene accolta principalmente dalle moderne cor- renti di lettura femminista della Bibbia, di cui l’antologia su menzionata, a cura di A. Brenner, costituisce un significativo esempio. Per l’importanza attribuita al ruolo della donna nel Cantico, pur secondo prospettive molto diverse, si vedano anche G. Garbini, Cantico dei Cantici, Paideia, Brescia, 1992 e A. Luzzatto, Una lettura ebraica
stantivo comune šarón, che è poi diventato con il tempo il suo nome proprio “lo Šarón”. Anche il fiore è diventato noto come “il giglio di Šarón”. Nella traduzione del passo biblico ho comunque mantenuto il significato originario “pianura”, per rispettare il parallelismo che contraddistingue la poesia ebraica; nel secondo emistichio del verso abbiamo infatti il sostantivo comune “valli”.
Il termine |ăvaṣṣéleth ricorre solo in un altro passo biblico, nel libro del profeta Isaia, in un contesto escatologico, in cui il ritorno gioioso di Israele dall’esilio è annunciato dalla fioritura del deserto:
Is 35,1 Si rallegrino il deserto e la terra arida, la steppa esulti e fiorisca come un giglio.
In un foglio tornato di recente alla luce, vergato dal grande biblista ed ebraista fiorentino Umberto Cassuto (1883-1951), lo studioso scrive che il suo fiore preferito è il giglio di Šarón, citando diretta- mente il passo del Cantico dei Cantici e forse ricordando anche il giglio simbolo di Firenze.9
L’espressione |ăvaṣṣéleth haššarón, il giglio di Šarón, è cara alla nostra festeggiata e da qui deriva il suo nome, che così bene esprime la sua affascinante personalità, il nome di un fiore che racchiude la bellezza e la poesia della terra d’Israele e di Firenze.
9 Cfr. Ida Zatelli, “Umberto (Moše David) Cassuto”, in C. Michelstaedter, Le confessio-
ni e la turba goriziana, a cura di A. Cavaglion e A. Michelis, Aragno, Torino, 2010,
pp. 95-104: 100. Nei suoi anni giovanili U. Cassuto, professore di Lingua e letteratu- ra ebraica all’Istituto di Studi Superiori, che divenne in seguito l’Università di Firenze, scrisse un ampio saggio, assai innovativo per i tempi, dedicato proprio al Cantico dei
Cantici: U. Cassuto, “Il significato originario del Cantico dei Cantici”, Giornale della Società Asiatica Italiana, nuova serie 1 (1925-1928), pp. 23-52.
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