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DAL REDITUS ALL’EXITUS: LA RIAFFERMAZIONE DELL’UOMO COMUNE

III. ASCESA E DECLINO DEL GENIO

III.6. DAL REDITUS ALL’EXITUS: LA RIAFFERMAZIONE DELL’UOMO COMUNE

Dopo la revisione della figura del genio come artista compiuta da Nietzsche e quella del genio come filosofo compiuta da Wittgenstein, a Carl Jung può essere attribuita la riesamina della figura del genio come santo. A differenza di Nietzsche e Wittgenstein, però, che nella loro fase matura sono arrivati al rifiuto definitivo di queste figure in nome della riaffermazione della dimensione totalmente empirica dell’uomo, egli mantiene le premesse dualistiche di derivazione neoplatonica, mentre per la sua negazione sarà necessario fare riferimento all’opera di Freud:

In addition to our immediate consciousness, which is of a thoroughly personal nature and which we believe to be the only empirical psyche […], there exists a second psychic system of a collective, universal, and impersonal nature which is identical in all individuals.274

274 Carl Gustav Jung, The Archetypes and the Collective Unconscious, New York, Princeton University Press, 1990, p.

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Anche alla base del pensiero di Jung sta la suddivisione dell’uomo in una parte empirica e individuale e in quella trascendente che è parte dell’inconscio collettivo, impossibile da percepire con i sensi, ma la cui esistenza può essere dimostrata, ad esempio, dalla presenza di elementi universali, forme primordiali impresse nella mente di tutti gli uomini e di tutte le culture, simboli primi comuni a tutto il genere umano, che egli definisce archetipi. E’ infatti una condizione indispensabile di qualsiasi discussione sul genio il postulare “one psyche with a power to function outside the bounds of space and causality”275

, in grado di cogliere il senso della vita, e di cui la parte empirica costituisce la dimensione percettiva e, in quanto tale, relegata a un particolare punto di vista limitato e individuale. Jung condivide, quindi, alcuni punti cardine della metafisica formulati da Schopenhauer e critica l’approccio esclusivamente scientifico adottato da Freud, considerandolo incapace di fornire una soluzione reale dei problemi, proprio perché basata su una visione solo parziale della psiche umana, che non tiene conto della dimensione noumenica. Jung, proprio come Nietzsche e Wittgenstein, cerca di individuare una figura che sia in grado di porre rimedio a questo dualismo, di far comprendere all’uomo il senso dell’esistenza e di guidarlo in una prospettiva attraverso cui i problemi non vengano risolti razionalmente, ma semplicemente smettano di essere tali: questa figura è quella del medico psichiatra.

Jung rifiuta, a tal proposito, la soluzione nichilistica proposta da Schopenhauer, il reditus deve fermarsi prima di arrivare alla negazione della volontà di vivere, all’ascesi totale del santo. Il compito della psichiatria appare essere, piuttosto, lo stesso della tragedia per Nietzsche: deve condurre, cioè, a un’affermazione della vita. La “guarigione”, quindi, non sta nell’eliminazione del nostro io empirico a favore di quello noumenico, bensì in un giusto equilibrio tra queste due parti, tra le due diverse energie che governano la psiche, come avviene in un certo senso nella figura del “genio apollineo” delineato da Nietzsche. In questo processo di maturazione, Jung riconosce il ruolo importante svolto dalla religione, dalla psichiatria e dall’arte:

La creazione artistica costituisce secondo lui una indispensabile compensazione all’esaurirsi dell’energia psichica dell’uomo sotto la pressione dell’intelletto, […], essa restituisce all’uomo il suo equilibrio distrutto dalle tendenze coscienti di una data epoca.276

L’arte è, quindi, in grado di sollevare l’uomo oppresso da un’eccessiva preponderanza della sua parte “materiale”, senza però mai perderla completamente, anzi, l’esistenza stessa di questi elementi “curativi” nel mondo dimostra che, come nell’uomo la parte noumenica cura quella

275 Jerry S. Clegg, op. cit., p. 92.

276 Stefan Morawski, Assoluto e forma. A proposito della filosofia dell’arte di Malraux, s.l., Edizioni Dedalo, 1971, p.

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empirica, allo stesso modo “the world is put together as if it were a doctor doctoring himself”277

, rivelando che il vero fine della volontà è, in realtà, quello di guarire l’uomo, e il genio, cioè lo psichiatra, è colui che consapevolmente si pone al servizio di questa volontà di vivere. Jung, quindi, pur condividendo alcuni aspetti della filosofia di Schopenhauer, arriva a degli esiti che la ribaltano completamente:

Therein lies the social importance of art; it is constantly at work educating the spirit of the age, since it brings to birth those forms of which the age stands most in need. Recoiling from the unsatisfying present the yearning of the artist reaches out to that primordial image in the unconscious which is best fitted to compensate the insufficiency and one-sidedness of the spirit of the age. […]. Thus, as in the case of the single individual whose one-side conscious attitude is corrected by unconscious reactions towards self-regulation, art also represents a process of mental self-regulation in the life of nations and epochs.278

Un ruolo, poi, fondamentale è quello che Jung attribuisce alla coscienza, intesa come la voce universale e naturale proveniente dall’inconscio collettivo, che parla al singolo secondo i dettami della volontà che regola il mondo: la coscienza stessa, quindi, è la volontà che si manifesta nell’uomo, la natura che cura se stessa, favorendo, da una parte, lo sviluppo della nostra dimensione spirituale e, dall’altra, limitandola con la volontà di vivere. In questo modo il reditus al mondo noumenico si blocca a favore di un exitus, in un viaggio che inizialmente tende al trascendente per poi riconfermare l’immanente: è dal continuo flusso di energia che scorre tra questi due poli, dalla continua tensione tra queste due spinte opposte che, come in una lampadina, l’uomo diventa consapevole di se stesso e sviluppa il pensiero, differenziandosi dagli altri animali, che vivono un’esistenza cieca, guidata solo dalle necessità della vita organica. Grazie al movimento interno della coscienza, inoltre, l’uomo, non solo diventa consapevole di se stesso, ma anche del mondo in cui vive e di ciò che lo circonda, liberandolo dalle tenebre in cui è immerso. E’ la coscienza, quindi, lo scopo finale della volontà, ciò che completa e dà senso all’intera creazione conferendole un’“esistenza oggettiva”279

. Si tratta di una sorta di seconda creazione di cui, non il genio, ma gli uomini comuni, dotati di coscienza, e quindi di capacità di pensiero, sono gli autori, mentre il genio, cioè lo psichiatra, si limita a svolgere un ruolo ausiliare, curativo della psiche.

Con Jung, quel carattere di limite conoscitivo, fondatore del mondo che Schopenhauer aveva attribuito al genio nella sua ascesa all’essere, comincia a essere riferito all’uomo comune. Ma è soprattutto con Freud che l’uomo, inteso nella sua dimensione esclusivamente naturale, si afferma

277 Jerry S. Clegg, op. cit., p. 98. 278

Carl Gustav Jung, “On the relation of Analytical Psychology to Poetic Art”, British Journal of Medical Psychology, vol. 3, 1923, pp. 227-231, consultato in A. Rothenberg, C. R. Hausman, The Question of Creativity, Durham (North Carolina), Duke University Press, 1996, p. 126.

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definitivamente: con la negazione del dualismo di essere e apparenza, le premesse su cui si basava la validità del concetto genio si distruggono ed esso finisce col diventare addirittura espressione di un disturbo psichico.

III.7. FREUD: LA NATURA PATOLOGICA DEL GENIO E IL TRIONFO DELLA