• Non ci sono risultati.

La fine dell’identità di uomo e natura

Del diciannovesimo e del ventesimo secolo, Blumenberg non parla in maniera approfondita. L’elemento che maggiormente emerge è l’ulteriore sviluppo positivistico dei metodi e dei risultati scientifici che per tutto l’Ottocento contribuisce a evidenziare “il carattere fattuale della natura”171

, cioè a privilegiare un atteggiamento “realistico” nei confronti della natura, che si attiene ai “fatti”, all’esperienza, sulla base di osservazioni sperimentali e verifica delle ipotesi, in opposizione alle astratte meditazioni metafisiche. Prevale quindi una visione pragmatica della cultura e del sapere, inteso come sapere scientifico, sulla base del quale si crede attuabile anche un progresso razionale della società e dell’economia, un rinnovamento dei fenomeni sociali, che vanno liberati dall’influenza operata dalle questioni metafisiche e religiose.

In particolare, è da ricordare l’emergere nella seconda metà dell’Ottocento della teoria evoluzionistica formulata da Darwin che assesta un brutto colpo alla concezione creazionistica e provvidenzialistica del mondo. Darwin infatti mostra che l’ordine può originarsi dal caos per cause del tutto naturali, mentre si è visto come per molto tempo l’ordine del mondo era stato considerato la prima prova dell’esistenza di una mente divina, ma soprattutto estende il processo evolutivo anche all’uomo, eliminando la rigida separazione che distingueva l’uomo dall’animale e togliendo all’uomo quella posizione privilegiata nel creato che aveva sempre mantenuto in quanto essere spirituale e razionale.

A partire dalla fine dell’Ottocento, le grandi scoperte scientifiche misero in crisi i fondamenti su cui si era basata la scienza moderna a partire dal modello meccanicistico e di conseguenza anche l’infallibilità della ragione scientifica nel cogliere verità oggettive e assolute. Mentre il positivismo aveva svalutato la capacità della filosofia di giungere a una qualche certezza,

170

Hans Blumenberg, “Concetto di realtà e possibilità nel romanzo” ( traduzione di Francesco Peri), tratto dal convegno “Poetik und Hermeneutik” (Giessen, giugno 1963), poi raccolto nel volume Nachahmung und Illusion, a cura di H. R. Jauss, Eidos Verlag, Monaco, 1964, consultato in www.allegoriaonline.it/PDF/79.pdf, p. 127.

171

48

proprio per la sua soggettività, ora non solo la filosofia viene recuperata, ma si tende anche a mettere in evidenza la centralità del soggetto rispetto all’oggetto, l’intervento creativo dello scienziato e a rivalutare l’importanza delle ipotesi teoriche rispetto all’esperimento.

Da tutto ciò consegue una visione della natura che non solo perde sempre più la sua autorità, ma che appare addirittura brutta e informe:

Ciò che ci sta davanti come natura è il risultato di processi meccanici casuali, della condensazione di turbinante materia primigenia, dello scambio tra casuali mutazioni disseminate e il fatto brutale della lotta per la sopravvivenza. Un tale risultato può esser tutto tranne che oggetto estetico. Come potrebbe produrre il caso la meravigliosa evidenza del bello?172

Blumenberg cita anche una frase significativa che dà l’idea del clima dell’epoca, tanto più che viene pronunciata da uno dei pittori più influenti nel panorama artistico di inizio Novecento e non a caso esponente della corrente dell’Astrattismo, movimento che finirà con l’abbandonare del tutto la rappresentazione mimetica della realtà esterna a favore di un tipo di pittura in grado di trasmettere sensazioni, emozioni e addirittura l’impressione di determinati suoni attraverso la potenza espressiva di sole forme e colori sulla tela, Franz Marc: “Alberi, fiori, terra, tutto quell’anno mi mostrava il suo lato brutto, ripugnante, fino a che improvvisamente mi resi cosciente della bruttezza della natura, della sua completa impurità”173

.

Questa natura non ha più nulla in comune con quella che stava alla base del concetto di

mìmesis del passato nemmeno dal punto di vista del suo essere origine di tutte le forme esistenti: ora

anche l’uomo riesce a ricreare e a spiegare scientificamente i fenomeni naturali, anzi è proprio su questo che si basa il metodo sperimentale e la concezione del sapere moderno. Non resta più nulla ormai della concezione della natura come verità assoluta, espressione dell’ordine e della volontà divina da contemplare e imitare, ora la conoscenza reale è solo quella che proviene dalla sperimentazione scientifica e i limiti di ciò che è possibile per l’uomo sono dati dalla manipolazione della natura, che diventa sempre più uno strumento, un mezzo a disposizione della creatività e dell’inventiva dell’uomo:

Solo riducendo la natura al suo mero valore materiale ed energetico si è resa possibile una sfera della pura costruzione e della sintesi. Così si produce la situazione a prima vista paradossale che, nell’epoca della massima supremazia della scienza della natura, l’oggetto di tale scienza è nel contempo mortificato nella scala di valori dell’uomo. 174

172

Hans Blumenberg, op. cit., p. 82.

173 Ivi., tratto da Hans Sedlmayr, Art in Crisis: the Lost Center (trad. Brian Battershaw), Chicago: Henry Regnery, 1958,

p. 159.

174

49

Appare a questo punto pienamente realizzata la rottura dell’identità tra natura e uomo: l’uomo ha finito con il dominare del tutto la natura, natura che non è più vista come riferimento per il possibile, anzi, al contrario, è proprio l’uomo che, attraverso la sua “arte”, determina ciò che è possibile: “l’opera d’arte non vuole più significare qualcosa, ma vuole essere qualcosa”175

.

Nel concludere la sua indagine sul concetto di creatività, Blumenberg sembra lasciare aperta la strada di un ritorno alla natura, non come imitazione, ma piuttosto come un’anticipazione, in cui l’affermazione violenta dell’originalità dell’artificiale è stata solo una fase:

Ma qualcosa ci fa pensare che la fase dell’autoaffermazione violenta del principio di costruzione e del principio di autenticità, dell’“opera” e del “lavoro” sia stata solo transitoria. Il superamento dell’“imitazione della natura” potrebbe sfociare nell’acquisizione di una “previsione della natura”. Mentre l’uomo sembra completamente impegnato ad assicurarsi della sua potenza originaria nell’“attività metafisica” dell’arte, nell’opera creata si scorge inaspettatamente il presagio di un già- stato-da-sempre, “come se essa fosse semplicemente un prodotto della natura”.176

E’ come se tutte queste manifestazioni, portate all’estremo, di libertà creatrice siano nate dalla volontà di svincolarsi definitivamente dall’imitazione della natura, ma in realtà abbiano sempre portato in esse il riferimento all’unico mondo che realizza le possibilità dell’essere. Ne è un esempio, secondo Blumenberg, l’opera di Paul Klee “nella quale si mostra come nello spazio del liberamente creato, inaspettatamente, si cristallizzano delle strutture in cui si rivela con nuova persuasività qualcosa di originario, il già-stato di una causa prima della natura”177, è un tipo di pittura in cui la creatività si esprime nella produzione di forme nuove che nascono però dall’unione e da una reinterpretazione di forme, colori e immagini riprese dalla natura, al fine di mostrare la realtà sotto una luce inedita.

Torna allora la domanda finale già anticipata: “I mondi infiniti che Leibniz ha donato all’estetica sono solo gli infiniti rispecchiamenti di una figura fondamentale?”178

. Questa dura lotta nei confronti della mìmesis al fine di liberare definitivamente la creatività umana è stata inutile? Blumenberg non sembra essere di questo parere:

C’è una differenza decisiva tra l’accettare come inevitabile il dato e il poterlo ritrovare quale nucleo evidente nel campo d’azione dell’infinita possibilità e dunque riconoscere in libero consenso. E di questo in fin dei conti si trattava, dell’“essenzializzazione del casuale”179

.

175 Hans Blumenberg, op. cit., p. 83. 176 Ibid.,pp. 83-84. 177 Ibid.,p. 84. 178 Ivi. 179 Ivi.

50