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Dall’alienazione dalla società all’attivazione simbolica

Capitolo III Politiche di contrasto alla problematica dei NEET

3.2 Dall’alienazione dalla società all’attivazione simbolica

Le garanzie insite nel sistema impiegatizio giapponese e il ben oleato meccanismo di transizione scuola-lavoro, permettono all’economia giapponese di vantare, fino agli anni ’90, alti livelli di occupazione giovanile e un’ottima qualità dell’impiego. Le autorità, dunque, fino ai primi anni 2000 non sentono il bisogno di intervenire attraverso l’erogazione di ulteriori tutele mirate nei confronti dei nuovi entranti sul mercato del lavoro (Miyamoto, 2005).

Sebbene a partire dagli anni ’70 in poi non mancano in Giappone i giovani che trovano difficoltà a immettersi nel mondo del lavoro (come gli hikikomori, i moratorium

ningen24, i freeters ecc.), questi non vengono ancora percepiti dall’opinione pubblica

come una minaccia per l’economia nazionale, quanto piuttosto come mere problematiche sociali che le autorità tentano di contenere attraverso la promozione di dibattiti con forti implicazioni morali. A tal proposito, come sottolineato da Toivonen (2012b) questi ultimi finiscono per mettere in luce le mancanze delle nuove generazioni rispetto al percorso di vita riconosciuto dalla collettività come accettabile25, sancendone implicitamente

24La problematica dei “moratorium ningen” nasce negli anni ’70 e riguardava tutti quei giovani che rimandano le scelte più importanti della vita, soprattutto durante l’università e/o al momento di entrare nel mercato del lavoro.

l’alienazione dalla società26. Molte categorie giovanili, infatti, (il caso più eclatante è

proprio quello degli hikikomori) vengono proposte all’opinione pubblica come strettamente legate alla malattia mentale o a episodi di violenza. Tuttavia, a partire dal 2003, all’ennesimo aumento del livello della disoccupazione giovanile, il governo giapponese si rende conto di non poter più ignorare gli effetti negativi che le nuove generazioni inattive stanno portando sull’economia del paese. Per questo motivo, il gruppo target dei NEET viene appositamente adattato alla realtà giapponese da parte delle autorità, al fine di dare non solo un volto ai beneficiari dei nuovi programmi di welfare, ma allo stesso tempo anche a coloro che stanno impedendo la ripresa dell’economia del paese. Diversamente dalle categorie giovanili precedenti, infatti, i NEET cominciano ad essere percepiti come un problema strettamente occupazionale piuttosto che mentale (come era avvenuto nel caso degli “hikikomori”) (Toivonen, 2012b).

La modalità con cui le autorità scelgono di agire per contrastare l’alienazione sociale e riportare le nuove generazioni sul mercato del lavoro è quella della “attivazione simbolica”, che prevede la messa in atto di misure tangibili al fine di raggiungere i NEET e riportarli nel mondo del lavoro (molto simile alle politiche attive del mercato del lavoro già messe in atto in vari paesi europei e negli Stati Uniti, dal momento che si basano sullo stesso concetto, globalmente accettato, di “attivazione” e di “inclusione sociale”27)

(Toivonen 2012b).

L’obiettivo iniziale è quello di aumentare l’offerta di lavoro e quindi incrementare le possibilità occupazionali per ciascun futuro lavoratore. Tuttavia, al momento della concreta elaborazione delle misure di reinserimento, le istituzioni giapponesi si trovano di fronte a due principali ostacoli (si veda a questo proposito Toivonen, 2012b): in primo luogo, diversamente dai paesi occidentali, i quali storicamente hanno avuto a disposizione più tempo per consentire all’ideale di attivazione di realizzarsi attraverso politiche

26Il termine “alienazione” (sogai) viene utilizzato di proposito dai burocrati del MHLW, al fine di non riportare negli scritti ufficiali la parola “esclusione” (haijo). Quest’ultima ha da sempre avuto in Giappone un significato negativo in quanto implica un elevato grado di marginalizzazione e di discriminazione sociale. Per questo motivo gli studiosi nipponici hanno preferito tradurre il termine “esclusione sociale” (ampiamente utilizzata nel Regno Unito per alludere alla condizione di NEET) con il più generico “alienazione” (Toivonen, 2008).

27Per politiche attive intendiamo tutte quelle misure volte a orientare, istruire, formare e reinserire i giovani inattivi sul mercato occupazionale. A tal proposito l’Italia nel 2015 ha attuato lo “Youth Garantee” (Garanzia Giovani), il piano europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile e al sempre maggior numero di NEET.

istituzionali ben radicate, il Giappone dei primi anni 2000 manca di quei macchinari istituzionali che permetterebbero di tradurre facilmente il concetto di “attivazione simbolica” in misure concrete ed efficaci. Infatti, l’assenza di precedenti forme di assistenza sociale e di erogazione di sussidi economici nei confronti dei giovani lavoratori con un basso livello di reddito28, rende impossibile l’attuazione delle nuove misure attraverso canali già esistenti.

In secondo luogo, nonostante l’individuazione del target verso cui indirizzare le nuove politiche sia prontamente delineato dagli studiosi incaricati, ben presto le autorità si rendono conto della mancanza di un canale di accesso diretto nei confronti dei giovani in difficoltà. Infatti, storicamente in Giappone il principale destinatario delle misure di welfare è da sempre stata la “famiglia”, che si impegna a garantire il benessere dei propri membri e nel momento del bisogno ne costituisce il salvagente29 (Toivonen, 2012b). Inoltre, un altro possibile punto di accesso ai giovani è rappresentato dal sistema di transizione scuola-lavoro ma questo meccanismo non consente allo Stato di raggiungere tutti quei ragazzi senza un impiego ormai usciti dagli istituti scolastici, facendoli cadere all’interno di una zona grigia, inaccessibile attraverso i normali canali istituzionali (Toivonen 2012b).

Al fine di arrivare ai destinatari dell’attivazione, dunque, le istituzioni si vedono costrette ad avvicinare i NEET attraverso le rispettive “famiglie” che a loro volta fungono da tramite al fine di indirizzare i propri figli verso i centri di supporto istituiti dalle autorità a partire dal 2005 (come i “Campi per l’Indipendenza Giovanile” e le “Stazioni per il

28Per lungo tempo al centro delle politiche di welfare giapponesi sono stati i lavoratori di mezza età, ovvero i padri di famiglia, piuttosto che le nuove generazioni.

29In un’economia come quella giapponese, profondamente messa a dura prova dal lungo periodo di recessione e dal peggioramento della qualità del lavoro, i genitori diventano non più soltanto responsabili della cura dei figli fino al raggiungimento della maggiore età, ma anche del loro mantenimento fintanto che questi non riescano a conquistare la propria indipendenza economica e sociale (Miyamoto, 2005). Dal momento che, dopo lo scoppio della bolla speculativa molti giovani faticano a trovare un lavoro fisso o addirittura a immettersi sul mercato occupazionale, sempre più genitori si trovano a dover sostenere i propri figli fino alla tarda età. Questo non solo incide negativamente sul livello di reddito familiare, aumentando il numero dei componenti a carico del capofamiglia, ma costituisce anche un deterrente per i NEET che, avendo a disposizione un sostegno economico sicuro nell’immediato, non vengono spronati a uscire dalla condizione di inattività (Genda, 2013). Lo stretto rapporto di interdipendenza fra le nuove generazioni e le finanze delle rispettive famiglie può essere dunque valutato come la diretta conseguenza del

Supporto ai Giovani”). In altre parole, i genitori costituiscono il canale di accesso primario che permette di individuare e di supportare i NEET30 (Kudō, 2005).