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L’Erosione del sistema di transizione scuola-lavoro

Fino alla fine degli anni ’80, la cooperazione tra le scuole secondarie superiori e le imprese garantisce una sicura transizione degli studenti verso il futuro impiego. Questa collaborazione, sotto la supervisione dell’ufficio del pubblico impiego (Hello-Work), si basa su accordi di lavoro di natura semi-formale (実績関係, jisseki kankei) attraverso i quali le scuole si impegnano a raccomandare i propri studenti e le imprese ad assumerne un numero consistente ogni anno (Toivonen, 2012b). Tuttavia, a seguito degli effetti che il prolungato periodo di crisi economica ha esercitato sulla struttura del mercato occupazionale, anche il sistema di transizione scuola-lavoro subisce conseguentemente un’importante erosione.

Analizziamo di seguito le cause che portano alla corrosione di questo meccanismo e alle relative conseguenze. A tal proposito, è importante indagare su questo accadimento, dal momento che la categoria dei NEET (come anche quella dei freeter) può essere considerata come una deviazione dal normale modello di transizione scuola-lavoro (Kosugi, 2006).

Uno degli elementi che concorrono a rendere meno efficace il procedimento che guida i ragazzi verso l’occupazione è costituito dal repentino mutamento della struttura economica del Paese. A tal proposito, secondo Toivonen (2012b), a partire dagli anni ’90 l’economia giapponese comincia a trasformarsi irreversibilmente in “post-industriale”, ovvero dove le maggiori opportunità di impiego si concentrano nel più flessibile settore dei servizi. Infatti, a seguito dello scoppio della bolla speculativa molte imprese falliscono, altre spostano la produzione in paesi in cui il costo del lavoro è di gran lunga inferiore, contribuendo a far sì che il settore manifatturiero, il quale fino ad allora aveva garantito un impiego sicuro alla maggior parte dei giovani giapponesi, finisca per lasciare il posto a quello più fluttuante dei servizi. In particolare, come evidenziato dai dati riportati nel Grafico 1.12, contrariamente agli altri paesi membri dell’OCSE, la percentuale della forza lavoro nel settore manifatturiero giapponese si riduce solo a partire dalla metà degli anni ’90, lasciando spazio a quello dei servizi, che vanta una forza lavoro pari al 58.7% nel 1990 e al 64.2% nel 2000 (Honda, 2005).

Grafico 1.12 Andamento percentuale della forza lavoro nel mercato manifatturiero

Fonte: Honda (2005).

Da ora in avanti coloro che si affacciano sul mercato occupazionale si trovano a fare i conti con evidenti disparità di trattamento: per assumere posizioni lavorative più prestigiose e retribuite nei settori finanziario, assicurativo, immobiliare e commerciale occorre adesso specializzarsi in un determinato campo e soprattutto conseguire una laurea. Coloro che possiedono il solo diploma di scuola superiore si trovano a doversi accontentare di stipendi più bassi e di impieghi nel campo delle vendite, alimentare o del consumo, che solitamente offrono meno tutele al lavoratore (Honda, 2005).

A seguito di questo importante cambiamento nell’economia del paese, il termine NEET viene per la prima volta importato dal Regno Unito con l’intento di dare un nome alla nuova categoria sociale che comprende al suo interno tutti quei giovani che, una volta terminato il periodo di studi, rimangono inattivi sul mercato del lavoro.

Un ulteriore fattore che concorre all’erosione del sistema di transizione scuola- lavoro è rappresentato dal sempre più crescente numero di ragazzi che, invece di cercare un impiego subito dopo la fine della scuola secondaria superiore, si iscrivono all’università o a scuole di specializzazione. Questo fenomeno può essere letto sia come causa che come conseguenza della perdita di efficacia del meccanismo di transizione verso il mondo del lavoro. Infatti, come evidenziato dal Grafico 1.13, a partire dai primi

anni ‘90 si registra un aumento nel numero dei ragazzi che, per aggirare il procedimento di avviamento all’impiego subito dopo il diploma, allungano il proprio percorso di studi e accedono all’università, con la speranza di poter ottenere un’occupazione migliore (Brinton, 2008).

Grafico 1.13 Andamento percentuale dei giovani che accedono a livelli di istruzione più

elevata.

Fonte: Brinton (2008).

Infatti, secondo un’indagine condotta dall’Ufficio di Gabinetto del Governo giapponese nel 2015, a partire dagli anni ’90 la percentuale dei ragazzi che entrano nel mondo del lavoro subito dopo la fine della scuola secondaria superiore subisce un’irreversibile decrescita, fino ad arrivare al 17.5% nel 2014 (contro il 69.8% dei giovani che ottengono un impiego dopo la laurea) (Cao, 2015).

Infine, l’aumento nel ricorso al lavoro irregolare rappresenta una delle maggiori cause che hanno portato il sistema di transizione scuola-lavoro a una perdita di efficacia nei primi anni ’90. Secondo Genda (2005), i ragazzi che terminano gli studi durante un periodo di recessione economica, sebbene inizialmente riescano a trovare un impiego regolare, hanno una maggiore possibilità di lasciare quella posizione entro tre anni dalla loro assunzione. Questo fenomeno si verifica poiché all’aumento del numero dei disoccupati si riducono inevitabilmente le possibilità per ciascun individuo di trovare

caso, il sistema di transizione scuola-lavoro fallisce il suo scopo e causa un incremento nel numero dei giovani che, scoraggiati, rimangono inattivi sul mercato del lavoro o sono costretti ad accontentarsi di un impiego irregolare.

Possiamo affermare, dunque, che l’erosione del meccanismo di avviamento all’impiego abbia innescato un cambiamento economico-sociale tutt’ora in corso, il quale contribuisce a giustificare la comparsa di giovani senza un’occupazione nel Giappone contemporaneo (Toivonen, 2012b).

Per concludere, alcuni media hanno duramente criticato questo meccanismo che accompagna i giovani diplomati verso il mondo del lavoro, affermando che gli istituti scolastici non avrebbero il diritto di influenzare e interferire con la libertà individuale di ciascuno studente, che invece dovrebbe essere lasciato libero di decidere il proprio futuro. Nonostante questa posizione sia innegabilmente fondata, secondo lo studioso Hiroshi Ishida (2015), dell’Università di Tōkyō, le scuole giapponesi hanno avuto il merito di attenuare le diseguaglianze sociali e di agire come “rete di sicurezza” per gli studenti più svantaggiati. Ishida (2015), inoltre, dimostra come il sistema di transizione scuola-lavoro tutt’oggi continui a svolgere un ruolo attivo, che permette a molti giovani con istruzione secondaria superiore di trovare un impiego in maniera efficiente.