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Dall'hostis all'hospes

II. Cittadinanza, amicizia, ospitalità

II. 6 Dall'hostis all'hospes

La prima riflessione sulla cittadinanza nasce da un’osservazione che può apparire ingenua, ma che merita quanto meno di essere esplicitata: perché due esseri umani, pur vivendo nello stesso territorio, possono avere o meno diritti e doveri, in base a dove sono nati? Perché chi è cittadino gode di diritti che ad altri sono negati e come mai un contratto di lavoro può modificare la situazione? Parlando di cittadinanza, si dà troppo spesso per scontato il suo aspetto inclusivo, quello che

permette al cittadino di appartenere a pieno ad una comunità. Ma ci si dimentica del suo aspetto esclusivo, che marchia i non appartenenti alla comunità privandoli dei diritti e dei doveri che dalla cittadinanza scaturiscono.

Per comprendere il perché di questa duplicità è necessario risalire alla genealogia del termine, giungendo ad analizzare la figura del civis romano. La parola latina civis non ha una traduzione univoca e può assumere i significati di città, cittadino e cittadinanza219. Questi termini, nonostante siano accomunati dalla stessa radice etimologica ed esprimano un’evidente correlazione, nascondono in realtà interessanti differenze.

Un aiuto nell’individuazione di queste differenze ci arriva dagli studi del linguista Emile Benveniste. Secondo l’autore francese, bisogna considerare insieme il termine greco pòlis e il latino civitas220. Nonostante tali sostantivi non abbiano niente in comune da un punto di vista strettamente linguistico, la storia ha provveduto a creare un’associazione, prima nella formazione della cultura romana (in cui è fondamentale l’influsso greco), successivamente nel processo di costituzione della civiltà occidentale moderna. Nella ricostruzione storica e terminologica di Benveniste, il termine pòlis assume il senso di ‘fortezza, cittadella’. Questo era il significato preistorico della parola. Un termine importantissimo nella tradizione politica indoeuropea, che ha assunto nella lingua greca il significato di città prima e di Stato poi. In latino, invece il termine identificativo per la città è urbs, la cui origine è sconosciuta. Secondo la ricostruzione di Benveniste però il termine

urbs, designando la ‘città,’ non è correlativo del greco pòlis ma di astu. Il

corrispondente latino al greco polis è il termine secondario civitas, che indica alla lettera l’insieme dei cives ‘concittadini’.

In ciò che può sembrare una pura digressione etimologica, si nasconde in realtà una differenza fondamentale. Il rapporto che il latino stabilisce fra cives e

civitas – la città in quanto insieme dei cittadini – è l’inverso di quello che mostra il

greco tra polis e polites – in cui i cittadini sono gli abitanti della città221. Non a caso i Greci vincolarono la cittadinanza al privilegio di servire la città. Il cittadino era figlio

219 In particolare sulla traduzione del termine Cfr. la voce civis, in L. C

ASTIGLIONI,S. MARIOTTI,

Vocabolario della lingua latina, Loescher, Torino 2010.

220 Cfr. E. Benveniste, Vocabolario delle istituzioni indoeuropee, pp. 280 e ss. 221 Cfr. Ivi, p. 281 in cui l’autore parla dell’origine di civitatis e polis.

di cittadini, maschio, libero, maggiorenne e partecipava attivamente alla vita della città222. Nell’impero romano invece, il concetto subì un’evoluzione: perse il legame con la città e venne esteso, con i privilegi che discendevano dall’essere cittadino romano, a gran parte del mondo allora conosciuto. L’evoluzione del concetto, ovviamente, non fu immediata. È infatti solo con il periodo imperiale, a partire dalla

Consitutio Antoniana, che la cittadinanza romana, prima riservata soltanto agli italici

e alle colonie dell’impero, venne allargata a tutto il territorio italiano e ai sudditi delle Province223.

Prima di Roma, tutte le città […] erano città chiuse, non accessibili agli stranieri, [...] Anche la cittadinanza era delimitata da mura. Chi non era nato tra esse, non ne diventava cittadino. [...] Roma invece divenne ciò che nessun’altra città era mai stata. Essa era strutturata per intefacciarsi con tutto lo spazio esterno, fino ai limiti del mondo allora conosciuto e per organizzare l’incontro e l’interazione dei popoli

224

.

Dall’emanazione del decreto dell’imperatore Caracalla, fu sancita l’espansione del diritto romano che stabiliva le norme d’appartenenza al populus

romanus, in cui continuavano a persistere alcune importanti differenze fra liberi e

schiavi, fra civis e hostis, fra civis e peregrinus.

Per comprendere queste distinzioni, ancora una volta sembra essere necessario ricorrere allo studio sulle origini delle istituzioni indoeuropee di Benveniste e, in particolare, all’attenzione che lo studioso ha dedicato al significato che ha avuto la parola latina hostis, che indicava lo straniero, ovvero il non cittadino.

Un hostis non è uno straniero in generale. A differenza del peregrinus che abita al di fuori del territorio, hostis è lo straniero in quanto gli si riconoscono dei diritti uguali a quelli dei cittadini romani. Questo riconoscimento dei diritti implica un certo rapporto di reciprocità, presuppone una convenzione: non è chiamato hostis chiunque non sia romano. Un legame di uguaglianza e reciprocità si stabilisce fra questo straniero e il cittadino di Roma, ciò che può condurre ad una nozione

222 A confermare il legame inscindibile fra cittadinanza e partecipazione alla vita della città, ci sono le

riflessioni di Aristotele, per il quale soltanto chi partecipava alla vita politica della polis e apparteneva ad una comunità etico-culturale, poteva essere considerato cittadino.

223 La Consitutio Antoniana fu emanata dall’Imperatore Antonio Caracalla nel 212 d.c. L'editto

nasceva da un’esigenza di tipo fiscale, aveva come scopo quello di rendere i cittadini uguali davanti al fisco, incrementando le entrate di denaro nelle casse dell’impero.

224A. T

AMBURRINO, I romani, la tecnologia e un futuro possibile, MachinaTecnologia dell’antica Roma, Roma 2009, p. 47. Sullo stesso tema cfr. V. MAROTTA, La cittadinanza romana in età

imperiale (secoli i-iii). Una sintesi, Torino, 2009, pp 109 e ss. Si segnala anche G. PURPURA,

specifica di ospitalità. Partendo da questa rappresentazione, hostis significherà ‘colui che è in relazione di compenso; ciò che è proprio il fondamento dell’istituzione dell’ospitalità225

.

Sempre secondo l’autore francese, l’ospitalità come relazione instauratasi tra individui o gruppi evoca inevitabilmente il concetto di potlatch. Questo concetto definisce una cerimonia rituale basata su una serie di doni e contro-doni. Per le popolazioni indiane del Nord-Ovest dell’America, in cui questo sistema era utilizzato, un dono crea sempre l’obbligo nel partner di un dono maggiore, come per effetto di una forza irresistibile. Il potlatch è una figura indispensabile per la comprensione dei legami che sussistono tra persone, famiglie e tribù delle popolazioni che lo adoperano. Il “debito d’ospitalità”, infatti, è un legame economico: una sorta di promessa talmente inscindibile da diventare ereditaria. I figli risulteranno obbligati a ricambiare con un dono maggiore di quello ricevuto dal genitore defunto:

L’ospitalità si chiarisce con il riferimento al potlatch di cui è una forma attenuata. Essa si basa sull’idea che un uomo è legato a un altro (hostis ha sempre un valore reciproco) dall’obbligo di compensare una certa prestazione di cui è stato il beneficiario. La stessa istituzione esiste nel mondo greco sotto un altro nome: xénos indica delle relazioni dello stesso tipo tra uomini legati da un patto che implica degli obblighi precisi che si estendono anche ai discendenti. La xénia, posta sotto la protezione di Giove xenio, comporta scambio di doni tra i contraenti che dichiarano la loro intenzione di legare i loro discendenti con questo patto226.

Una delle espressioni indeuropee di queste istituzioni è proprio il termine latino hostis. In epoca storica, quando esistevano ancora i clan, l’hostis, inteso come legame obbligatorio con l’ospite, aveva preso forza nel mondo romano. Ma l’evolversi della legislazione e il tipo legame che presupponeva fra gli individui, resero l’hostis incompatibile con gli ordinamenti successivi. Soltanto la distinzione fra ciò che è esterno e ciò che è interno alla civitas diventerà fondamentale. A seguito di un cambiamento semantico di cui non conosciamo le condizioni precise, la parola

hostis ha finito con l’assumere un’accezione assai vicina al significato di “ostile” –

attributo che si applica esclusivamente al “nemico”:

225 E. B

ENVENISTE, Vocabolario delle istituzioni indoeuropee, cit., p. 275.

Di conseguenza, la nozione di ospitalità è stata espressa da un termine diverso dove sussiste tuttavia l’antico hostis, ma composto con pot(i)s: è hospes > hospite/hot-s. in greco l’ospite (accolto) è lo xénos è quello che riceve lo xenodòkos in sanscrito atithi-“ospite (accolto) ha per correlato atithi-pati “colui che riceve”: la formazione è parallela a quella del latino hospes227.

L’uomo libero diviene così un ingenuus, ovvero un uomo che è nato nella ristretta cerchia di società che può godere pienamente dei suoi diritti; di contro, tutti coloro che non appartengono a questa parte di società non sono liberi, pertanto diventano stranieri senza diritti. Eppure, oltre alla schiera degli esclusi dai diritti, c’è anche una figura destinata ad una vita peggiore: lo schiavo228. Questa condizione non appartiene soltanto all’uomo non nato libero, poiché poteva diventare schiavo anche uno straniero catturato o venduto in quanto bottino di guerra.229

A differenza di quello che accade nelle società contemporanee, la nozione di straniero non poteva essere delimitata in maniera troppo netta nelle civiltà antiche, in quanto non esistevano criteri validi erga omnes230. Per fare un esempio: un individuo nato in un altro paese poteva non essere completamente escluso dalla condizione di cittadino romano, magari a differenza di altri individui dello stesso paese di provenienza. Queste differenze non erano né casuali né basate su privilegi arbitrari, bensì rispettavano alcune convenzioni. Secondo la ricostruzione di Benveniste, l’esistenza di queste differenze è confermata a livello linguistico dall’esistenza di alcuni termini come il greco xénos che significava ‘straniero’ e ‘ospite’231. Lo xénos poteva usufruire delle leggi dell’ospitalità. Ma le definizioni non sono solo quelle analizzate fino ad ora. Sempre all’interno del Vocabolario delle istituzioni

indoeuropee troviamo altre due definizioni per intendere la stessa figura, quella

descritta oggi dalla parola straniero, nella lingua latina: se intendiamo per straniero 'colui che viene dal di fuori', il termine latino che lo indicava era aduena; volendo invece intendere ‘colui che è al di fuori dei limiti della comunità’, troviamo la figura del peregrinus232.

Dall’esistenza di ben quattro termini indicanti lo straniero, sembrerebbe facile 227 Ivi, p. 275. 228 Ivi, p. 276. 229 Cfr. Ibidem. 230 Cfr. Ibidem. 231 Cfr. Ibidem. 232 Cfr. Ibidem.

trarre due conclusioni provvisorie:

Nell’antichità non esistevano ‘stranieri’ in sé: le nozioni differenti di hostis,

peregrinus, xénos e aduena devono la loro esistenza al fatto che lo straniero

è poteva essere sottoposto sempre ad un regime particolare.

 Nozioni che nella società contemporanea sono distinte giuridicamente e semanticamente come quelle di nemico, di straniero e di ospite, nelle lingue antiche – in particolare nel greco e nel latino – erano caratterizzate da strette connessioni233.

Questa seconda conclusione sembra essere il punto di partenza fondamentale per una genealogia del concetto di cittadinanza che tenga conto di come, nella società contemporanea, si è arrivati a considerare lo straniero necessariamente come un nemico e, di conseguenza, il nemico come uno straniero.

La cittadinanza degli antichi aveva dunque una funzione determinante di dominio e di esclusione, nonostante presupponesse anche l’esistenza di alcuni stati ibridi capaci di interrompere, almeno in apparenza, la situazione permanente di inter- ostilità che regnava tra i popoli o le città. Senza questo strumento, si sarebbero identificati gli stranieri e i nemici con enormi difficoltà. Se dunque inquadrassimo la cittadinanza esclusivamente in questi termini – l’importanza di tracciare una netta differenza fra amici/concittadini e nemici/stranieri – sarebbe necessario approfondire l’analisi verso una dimensione rimasta finora sotto-traccia: quella spaziale e territoriale. In particolare, sembra necessario rivolgere lo sguardo alla dimensione nazionale, che si è definitivamente affermata soltanto dopo fine della rivoluzione francese. Senza considerare l’emergere della questione territoriale in questo fondamentale punto di snodo sulla modernità, ogni discorso critico sulla cittadinanza rischia di perdere tutta la sua efficacia.

233 Cfr. Ivi, pp. 276 – 277.