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Dall’inizio del XX secolo alla seconda guerra mondiale

Seconda Parte

3.1. Dall’inizio del XX secolo alla seconda guerra mondiale

A cavallo tra Ottocento e Novecento, Genova fu il principale porto italiano; tra il 1900 e il 1913 il movimento commerciale crebbe da 4,9 a 7,8 milioni di tonnellate, in stretta correlazione con l’ascesa dell’industria italiana.

Negli anni Venti e Trenta il porto raggiunse e superò i livelli precedenti alla Grande Guerra; nel 1919 furono movimentati 5,8 milioni di tonnellate di merce movimentata, passando a 8,4 milioni nel 1929; nel 1939 il traffico si attestò su 8,3 milioni di tonnellate, il decremento fu causato dal crollo internazionale del commercio marittimo e dalla crisi del 1929. Nonostante tale dinamica negativa, dal 1929 al 1939 il porto di Genova fu ampliato, nello specifico fu costruito un grande bacino oltre Sampierdarena343.

Circa l’80% dell’attività annuale del porto fu rappresentato dalle importazioni; e Genova si caratterizzò come un porto di arrivo, in cui gli sbarchi rappresentarono la grandissima maggioranza delle operazioni portuali344.

Il carbone fu la merce prevalentemente manipolata ed arrivava da Cardiff e Newcastle per essere distribuito in tutta la penisola italiana345. Dal 1875 al 1914 il 35- 40% del carbone importato in Italia giungeva al porto genovese.

Le altre merci principalmente movimentate furono il grano e le fibre tessili, Genova fu scalo nazionale per altri prodotti come la ghisa (42%), il ferro (66%) e il cotone (74%)346.

L’organizzazione del lavoro

L’incremento della movimentazione della merce presso lo scalo genovese incrementò l’impegno per rendere più ordinato il processo lavorativo e raffinare le forme di governo dei portuali. Un lungo dibattito politico condusse all’emanazione della legge del 12 gennaio 1903 per la costituzione del Consorzio Autonomo del Porto di Genova (CAP).

343 Maria Elisabetta Tonizzi, I numeri e la storia del porto di Genova, Comune di Genova Unita

Organizzativa Statistica, 2004, Genova pp. 11-12.

344 Marco Doria, Genova: da polo del triangolo industriale a città in declino, in “Atti della Società

Ligure di Storia Patria, n.s. XXXVII, fasc. II, Genova 1997, p. 388.

345 M. E. Tonizzi, I numeri e la storia, op. cit., p. 10.

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Presso il porto genovese, lo Stato italiano decise di formare un Istituto atto a incrementare l’efficienza dei servi marittimi e il controllo della forza lavoro: Il CAP fu istituito nel 1903347. L’assemblea era composta da rappresentanti dello Stato, enti locali, le Camere di Commercio del triangolo industriale (Genova, Torino e Milano), l’ente ferroviario e due delegati dei lavoratori348

. Tale assise si pose l’obiettivo di includere le organizzazioni operaie, presentandosi come istituzione di mediazione fra le diverse istanze socio-economiche349 .

All’inizio del XX secolo, la conflittuale dei portuali genovesi assunse una valenza nazionale e si è articolò in scioperi di lunga durata350.

Il CAP per denominare e quantificare la forza lavoro ha prescritto “l’obbligo d’iscrizione in appositi ruoli per tutti i lavoratori del porto, per limitare l’infiltrazione di personale non autorizzato351”. I funzionari del CAP, quindi, utilizzarono il censimento della manodopera, come strategia di conoscenza della forza lavoro e prevenzione delle agitazioni operaie.

Nel 1904 e nel 1906 i ruoli consortili accolsero più di sei mila unità. Nel 1906 si iscrissero 2.948 scaricatori del carbone e merci varie, 250 facchini di cereali e merci varie, 250 chiattaioli e 250 “caravana” e facchini operanti nei magazzini352

. I portuali genovesi furono suddivisi per categorie (carbone, cereali, e Merci Varie) per migliorare i servizi.

L’organizzazione atta a controllare i lavoratori si delineò attraverso nuove e specifiche relazioni gerarchiche. Presso ogni calata, un “gestore responsabile” si assunse il compito di mantenere l’ordine e di organizzare il reclutamento delle

347 M. Doria, Les dockers de Genes le travail entre èconomie et politique de 1800 à la seconde guerre mondiale, EDISUD, La Calade, Aix en Province, estratto da “Dockers de la Medittérranée a la mer du

Nord”, p. 22.

348 M. E. Tonizzi, Merci, strutture e lavoro nel porto di Genova tra '800 e '900, Franco Angeli, Milano

2000, p. 21.

349

M. E. Tonizzi, Traffici e strutture del porto di Genova (1815-1950), centro stampa del Consorzio Autonomo del Porto, Genova 1989, p. 116.

350 «Restano famosi lo sciopero proclamato nel dicembre del 1900 in occasione dello scioglimento della

seconda Camera del Lavoro; quello, che si protrae per 43 giorni nell’estate del 1901, dei facchini del carbone nonché lo sciopero dei lavoratori delle merci varie del 1902». M. Elisabetta Tonizzi, Merci,

strutture, op. cit., p. 22. Si veda anche M. Doria, Les dockers, op. cit. pp. 21-22.

351 Luigi Ferraris, L’organizzazione del lavoro dal 1903 al 1915, in Consorzio Autonomo del Porto di

Genova, Archivio storico del porto di Genova, 1903-1945, vol. II, Sagep, Genova 1993, p. 118.

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maestranze nei diversi momenti della giornata. Il CAP istituì un registro di

capisquadra, scelti tra il personale più preparato sul piano tecnico e affidabile dal punto

di vista disciplinare.

Il nuovo regolamento concedeva ai portuali genovesi il diritto di costituirsi in

cooperative353, le quali rendevano i lavoratori “più autonomi e responsabili”. Le

cooperative, inoltre, furono le organizzazioni dei lavoratori funzionali ad evitare la concorrenza illimitata dei disoccupati e le angherie dei caporali354.

La struttura delle cooperative fu adottata per la sua capacità di rendersi responsabile della corretta e precisa esecuzione del lavoro. Da un lato, i capisquadra delle cooperative ricevevano le richieste di caricare e scaricare le navi e dall’altro essi detenevano un buon grado di autonomia nell’organizzazione delle modalità di esecuzione della commessa355.

Il CAP incontrò notevoli difficoltà nel delineare l’organizzazione del lavoro in un settore altamente complesso356, visto che ogni tipologia di merce richiedeva una differente specializzazione.

Il governo della forza lavoro si realizzava attraverso la retribuzione dei lavoratori con il salario a cottimo357 e la delega del controllo del singolo operaio alle cooperative dei portuali358.

Il compito del CAP fu quello di regolamentare le attività delle imprese che operarono nello shipping (agenzie marittime, raccomandatari, assicuratori marittimi ed altre); dalla fine dell’Ottocento alla Grande Guerra le imprese impegnate nel porto genovese crebbero da 200 ad oltre 300359.

Le nuove normative del CAP sono state recepite in modo ostile dalle diverse agenzie marittime, che spesso le percepivano come un limite all’incremento dei propri profitti360. Agli inizi degli anni Venti i datori di lavoro si dichiarano favorevoli alla

353

M. E. Tonizzi, Merci, strutture, op. cit., p. 23.

354 Ugo Marchese, Economia marittima e sistema portuale, in A. Gibelli e P. Rugafiori, Storia d’Italia. Le regioni dell’unità a oggi. La Liguria, Einaudi, Torino 1994, p. 737.

355 L. Ferraris, L’organizzazione del lavoro, op. cit., p. 120. 356

Ibidem.

357 Il calcolo del cottimo mutava in relazione alla specifica tipologia merceologica movimentata. 358 M. E. Tonizzi, Traffici e Strutture, op. cit., p. 121.

359 M. E. Tonizzi, Il porto di Genova: 1861-1970, in «Memoria e Ricerca», n. 11, 2002, p. 31. 360 L. Ferraris, L’organizzazione del lavoro, op. cit., p. 121.

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pluralità di cooperative, ovvero si opponevano alle cooperative accusate di mantenere il monopolio del mercato del lavoro.

Il ventennio fascista

Epurazione e crollo degli lavoratori

Per via della crisi economica del 1921, un notevole numero di avventizi avanzò la richiedeva di poter lavorare in modo indipendente dalle cooperative dei portuali già operanti361. Nell’agosto del medesimo anno, il Fascio di combattimento genovese presentò la richiesta di operare in porto per dieci cooperative nuove.

L’azione dei fascisti in tema di organizzazione del lavoro portuale a Genova si sviluppò lungo tre coordinate: nuova selezione del personale, riduzione degli occupati e la costruzione di nuova struttura gerarchica. Il principale obiettivo del governo fascista fu quello di “pacificare” la vita politica del porto, attraverso la revisione dei registri e l’espulsione dei portuali “indesiderati”362. L’intervento di cambiamento qualitativo del governo della forza lavoro trasse origine dall’analisi della situazione antecedente, esposta chiaramente nel seguente testo del CAP del 1929:

La situazione portuale del 1922 era veramente preoccupante: una massa operai di 12.000 uomini, avvelenata dalla malsana propaganda sovvertitrice (…) colla perpetua minaccia di scioperi pretendeva aumenti o compensi extra. (…) la vita del porto era in mano di quegli agitatori (…) che imponeva la loro volontà all’Amministrazione consortile363.

Per quanto riguarda il controllo delle liste dei portuali, un decreto del 1926 stabilì che le maestranze non dovessero “provocare o cercare di provocare turbamento nella disciplina della massa operaia”. Il decreto prescrisse la cancellazione dai registri “per la loro condotta o per manifestazioni apertamente contrastanti alle generali direttive del R. governo”. Questa innovazione determinò l’esclusione di decine di dirigenti delle cooperative portuali e dei portuali attivi sul piano sindacale con orientamento socialista.

Il CAP mostrò come l’intervento fosse stato indotto dallo sciopero politico del 1924, in cui circa duecento portuali aderenti alla Corporazione Fascista cessarono di prestare il loro lavoro.

361M Pedemonte, in Consorzio Autonomo al Porto, La storia, pp. 124- 128. 362 M. Doria, Les dockers, op. cit., p. 30.

363 Consorzio Autonomo al Porto di Genova (d’ora in poi CAP), Lo sviluppo ed il riordinamento del porto di Genova, Relazione Settembre 1929, stabilimento Fratelli Papini, Genova 1929, p. 107.

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Dal 1925, la gestione fascista della portuali non mostrò la volontà di stravolgere l’organizzazione del lavoro o di reintrodurre la “libera scelta”, ma quella di modificare i meccanismi di selezione del personale e le relazioni gerarchiche364.

Nel 1922 fu istituita una commissione per la revisione dei ruoli ed eliminare i lavoratori considerati “pericolosi per il regolare andamento del lavoro”. A questa prima epurazione, il Presidente del CAP ha fece seguire un secondo intervento funzionale a espellere i portuali che per il “loro passato politico (…) potevano essere seminatori d’indisciplina nel porto”365

. Durante il ventennio fascista, i portuali genovesi hanno subito un crollo verticale, visto che da quasi 7.000 lavoratori del 1922 si è passato a meno di 4.000 nel 1939366. L’obiettivo primario dei nuovi dirigenti fu quello di “eliminare dal porto la gente superflua per procedere alla riduzione delle tariffe367”.

Tabella n. 1. Porto di Genova. Numero dei portuali. (1922, 1929 e 1939)

Anno Ramo Commerciale Ramo industriale

1922 6.888 3.654

1929 4.908 2.274

1939 3.600 1.483

Fonte: E. Tonizzi, Traffici, op. cit., pp. 197, 199, appendice tabella XXXVI. Questo fenomeno s’inserì nel contesto italiano, difatti, dal 1926 al 1930 nei principali porti (Genova, Napoli, Venezia e Trieste) vi fu un calo dei lavoratori del 23%368. Il monopolio della movimentazione della merce, carico e scarico, da parte del personale delle Compagnie Portuali fu ratificato dall’articolo 110 del codice di navigazione del 1942369.

Nascita delle Compagnie Portuali

Fin dal 1922, il sindacato fascista fu capace di incrementare i suoi iscritti; dal settembre del medesimo anno, 1330 portuali del Ramo Merci Varie si iscrissero a tale organizzazione; il settore dei carbonai, invece, rimase sotto l’influenza socialista sino al 1925. Nel 1929, il presidente del CAP ha sostenuto che lo spostamento di migliaia di

364M. E. Tonizzi, Traffici e strutture, p. 197. 365

CAP, Lo sviluppo ed il riordinamento, op. cit., pp. 110-111.

366 M. E. Tonizzi, Il porto di Genova, op. cit., p. 32. 367 CAP, Lo sviluppo ed il riordinamento, op.cit., p. 110. 368M, Pedemonte, op.cit, p. 132.

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occasionali al campo fascista fu causato dal desiderio di accedere all’ammissione dei ruoli, in contrasto con uno specifico controllo dell’avviamento al lavoro riservato a “portuali fissi” di area socialista370

.

Nel novembre del 1925, tutte l’organizzazione dei lavoratori portuali aderirono alla Corporazione Nazionale dei Lavoratori. Tra il 1924 e il 1928 al porto di Genova operavano dieci cooperative. I decreti consortili fra il 1926 e il 1928, secondo le indicazioni corporative, hanno proclamato il superamento delle cooperative e la nascita delle Compagnie Portuali, sotto la direzione del Sindacato Fascista371. Per un’analisi tecnica, la Compagnia addetta alla movimentazione della merce varie è stata suddivisa in due organismi (imbarco e sbarco) per sviluppare la formazione di un gruppi di lavoratori specializzati su un piano tecnico e di bagaglio di competenze372.

Tutti i portuali genovesi erano tenuti a riunirsi in Compagnie, sotto il controllo del Sindacato Fascista. L’assetto organizzativo delle maestranze genovesi rappresentò il modello per il Decreto Governativo del 24 gennaio 1929, che sostituì le cooperative con le Compagnie in tutti i porti italiani373. Negli anni Trenta, il sindacato fascista assunse un importante ruolo di mediazione sociale, perché invitò i portuali di ruolo a rinunciare ad alcune giornate di lavoro per consentire agli occasionali di lavorare. La compressione dei salari è stata controbilanciata, su un piano materiale ed egemonico, dall’istituzione dei servizi di previdenza e assistenza ai portuali.

La relazione annuale del 1929 del CAP mise in luce gli enormi limiti del sistema previdenziale e d’assistenza antecedente al 1922374e nel 1924 l’“Ufficio Autonomo per la Previdenza dei lavoratori portuali” inglobò gli enti preesistenti. L’istituto si avvalse di un fondo, che raccolse i contributi derivanti dall’applicazione di una percentuale sulle tariffe concernenti le merci. Con tele fondo si poté assistere i lavoratori a riposo, gli invalidi e le vedove dei portuali375, dal 1930 gli scaricatori portuali ricevettero i sussidi per le malattie e le somme per la copertura delle spese mediche e ospedaliere376.

370M, Pedemonte, op.cit, p., 129. 371 M. Doria, Les Dockers, op. cit., p. 31. 372

CAP, Lo sviluppo ed il riordinamento, op. cit., pp. 116-118.

373 M. E. Tonizzi, Traffici e strutture, p. 198.

374 CAP, Lo sviluppo ed il riordinamento, op. cit., , p. 108.

375 CAP, Il porto di Genova dal 1900 al 1950, tipografia Bertello, Genova 1950, p. 88. 376 Tonizzi, Traffici e strutture, op. cit., p. 199.

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