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Dalla bicamerale del 1997 alla legge n 150/2005.

Capitolo 4: La separazione delle carriere dei magistrati giudicanti e requirenti.

4.2 Dalla bicamerale del 1997 alla legge n 150/2005.

Il punto di partenza di questo acceso dibattito può essere

individuato nei vari referendum sul tema della giustizia che, tra il 1986

ed il 199955, sono stati proposti da esponenti radicali, che miravano ad

una riduzione del potere della magistratura con una sua maggiore

responsabilizzazione. Già la Commissione Bicamerale del 1997, guidata

da Massimo D’Alema, aveva presentato dei progetti di legge che

regolassero in modo più preciso l’ingresso e i cambi di funzioni all’interno dell’ordinamento giudiziario, garantendo comunque l’unica soggezione alla legge, sia per i giudici che per i magistrati del pubblico

ministero.

La c.d. “Bozza Boato” del 1997 prevedeva un concorso ed un tirocinio unico per tutti i magistrati, implicando lo svolgimento iniziale

di funzioni giudicanti per un periodo di tre anni, che permetteva ai

magistrati, dopo una valutazione del CSM e apposite valutazioni e

formazioni, di essere assegnati alle funzioni requirenti. Per quanto

riguarda invece il cambio di funzioni, detto progetto, inseriva la

possibilità di un concorso riservato ai magistrati, per il cambio di ruolo

ed il conseguente svolgimento delle nuove competenze in un distretto

55 Dalla legge n. 352/1970, che prevedeva la possibilità di richiedere l’uso dello

strumento referendario, più volte è stato utilizzato per cercare di modificare, aspetti di ordinamento giudiziario. Principalmente sulla responsabilità civile dei magistrati, il sistema elettorale del Csm, la carriera dei magistrati, la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri ed il divieto di incarichi extra giudiziari. Più volte è intervenuta la Corte costituzionale dichiarando inammissibili molti di questi appena citati, in altri casi non è stato raggiunto il quorum, mentre solo uno (svoltosi nel 1987 sulla responsabilità civile dei magistrati), ha raggiunto un esito positivo. Per una lettura più esaustiva, E. BRUTI LIBERATI, L. PEPINO,Giustizia e referendum, Donzelli, Roma,

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diverso da quello in cui si operava prima. Inoltre si prevedeva anche la

divisione del CSM in due sezioni, una per la magistratura giudicante ed

una per quella requirente. La proposta non trattava una netta separazione

delle carriere, ma bensì «la distinzione delle funzioni nell’ambito dell’unico ordine giudiziario»56. Il progetto venne però respinto dall’Associazione dei magistrati che riteneva venisse creato in questo modo un ordine separato dei magistrati del pubblico ministero.

Del periodo referendario di cui si accennava prima, quello che

più ci preme trattare è sicuramente il referendum del 1999, con il quale

sono stati presentati quattro quesiti, che hanno superato il vaglio della

Corte costituzionale, riguardanti principalmente il sistema elettorale del

Consiglio Superiore della Magistratura, la separazione delle carriere o

delle funzioni tra i magistrati ed il divieto di incarichi extragiudiziari. La

campagna referendaria aveva come obbiettivo principale quello di

correggere degli aspetti del sistema giudiziario e ridurre l’elemento politico all’interno della magistratura. Non a caso il periodo di cui si sta trattando, è caratterizzato da forti scontri tra la magistratura e la politica,

con accuse verso i magistrati di essere schierati politicamente e di

svolgere il proprio ruolo con l’unico obbiettivo di perseguitare la fazione politica opposta.

Ad essere nel centro del ciclone è ancora una volta il pubblico

ministero. Come abbiamo più volte ribadito il p.m. viene classificato

56 R. CORONA, La specializzazione dei magistrati e la separazione delle carriere,

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come una figura ambigua della giustizia. All’epoca si arrivava da una fase particolarmente accesa di scontri, tra magistratura e politica, che

aveva prodotto Tangentopoli agli inizi degli anni 90’, mettendo in luce

la corruzione che abbondava, tanto negli ambienti politici che in quelli

giudiziari, come riportato nell’opera Giustizia e referendum, facendo

riferimento ad un diminuire dell’omogenea corruzione presente in entrambi i poteri in questione, facendo emergere le vere condizioni

all’interno dello Stato: «Questa omogeneità, di cui è stata per lustri simbolo la Procura della Repubblica di Roma, aveva prodotto omissioni,

insabbiamenti, avocazioni, competenze sottratte, connessioni ardite e

molti altri artifici, pur di non turbare gli assetti politici esistenti».57

Come sappiamo la nostra Carta costituzionale ci espone una

magistratura unica, con un unico canale di accesso e sotto la guida di un

unico CSM come organo di autogoverno, garantendone inoltre

l’indipendenza e l’autonomia da ogni altro potere e assoggettando i giudici soltanto alla legge. Abbiamo già trattato l’indipendenza della magistratura, sia nella sua manifestazione interna cioè nei rapporti tra i

magistrati, in cui viene ribadita la struttura non gerarchica della

magistratura, sia nella sua funzione esterna, riferita quindi ai rapporti

con gli altri poteri dello Stato.

L’obbiettivo del referendum era di rendere quasi impossibile il mutamento di funzioni dei magistrati, eccezione fatta per i trasferimenti

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d’ufficio e i trasferimenti verticali, smontando praticamente la struttura unitaria della magistratura, ma non producendo comunque un’effettiva separazione delle carriere. Per questo motivo la Corte costituzionale,

con la sentenza n. 37/2000, criticò la scelta del quesito da proporre per

il referendum (Ordinamento giudiziario: separazione delle carriere dei

magistrati giudicanti e requirenti), in quanto non adeguato alle effettive

modifiche che avrebbe comportato un esito favorevole dello strumento

di democrazia, che come abbiamo evidenziato, si limitava a modificare

la disciplina dei passaggi e dei trasferimenti da una funzione all’altra dei magistrati.

Un’altra proposta legislativa, che mirava alla separazione e ad una netta distinzione delle carriere dei magistrati, è stata presentata nel

2003, prevedendo per l’accesso alla magistratura, un concorso unico ma con posti distinti tra magistratura giudicante e requirente, che

comportava la scelta del candidato all’atto di domanda. Prevedeva

inoltre prove e commissioni valutative diverse per le due funzioni,

aumentava a cinque anni, ed in seguito ad un concorso, il tempo di

servizio necessario per poter richiedere il cambio di funzioni in una sede

diversa da quella in cui aveva operato il magistrato. Questa possibile

riforma, rimarcava ancora la volontà del governo di realizzare in modo

effettivo l’imparzialità dei giudici, tramite la separazione dei percorsi e l’aggravamento delle procedure per il cambio di funzione, ma non comportava comunque una netta separazione delle carriere.

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La Corte, sempre nella stessa sentenza su citata, spiegava che la

nostra Costituzione, pur considerando la magistratura come un unico

ordine, non prevedeva nessuna limitazione o imposizione riguardo la

separazione o il mantenimento congiunto delle carriere dei magistrati,

sottolineando inoltre la necessaria distinzione tra separazione delle

carriere, che precluderebbe il cambio di funzioni tra i magistrati, e la

separazione delle funzioni, che comporterebbe delle limitazioni per il

passaggio da una funzione all’altra, evidenziando come per tali decisioni esista un ambito in cui il legislatore è libero di effettuare scelte.

Ovviamente tale ambito non è privo di delimitazioni, come ci fanno

notare Nicolò Zanon e Francesca Biondi, affermando che: «Si può

ritenere che tale ambito sia delimitato da due principi: da un lato, quello

della terzietà del giudice, dall’altro, quello della necessaria appartenenza dei magistrati del p.m. all’ordine giudiziario»58.

Si individua, una sempre più forte volontà da parte del legislatore

di effettuare una distinzione più netta delle carriere, già nella riforma

della legge elettorale del CSM del 2002, sottolineando che la

componente togata dell’organo di auto governo debba essere composta

da quatto pubblici ministeri e dieci giudici. Effettivi passi in questa

direzione possono essere riconosciuti all’interno della riforma dell’ordinamento giudiziario che si è trattata nel capitolo precedente. Infatti con la l. n. 150/2005 e i vari decreti legislativi di attuazione

58 N. ZANON e F. BIONDI, op. cit., p. 250.

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successivi, dove viene prevista la possibilità per il cambiamento delle

funzioni, ma con particolari limitazioni, come ad esempio: un limite di

cambi durante la propria carriera individuato in un massimo di quattro

volte, oppure ancora un limite temporale, secondo il quale per richiedere

il cambio delle funzioni è necessario aver svolto la stessa funzione per

almeno cinque anni.

Contemporaneamente al tracciare questa distinzione più o meno

netta tra le carriere dei magistrati, come abbiamo trattato nel capitolo

precedente, si è operata anche una forte gerarchizzazione delle procure,

che ha già suscitato grandi dubbi sul mantenimento dell’indipendenza del pubblico ministero nello svolgimento delle proprie funzioni, al punto

che, la prima proposta della legge venne rinviata alle camere dal

Presidente della Repubblica, per far eliminare la parte in cui prevedeva

l’emanazione annuale delle linee di politica criminale da parte del Ministro della giustizia.

Come abbiamo già accennato poco fa, la riforma del 2005 con il

conseguente decreto legislativo di attuazione n. 160/2006 riformato

successivamente dalla legge n. 111/2007, aveva posto vari limiti nella

possibilità di passaggio, per i magistrati, da una funzione all’altra,

ponendo oltre ai limiti sopra descritti, anche un vaglio della richiesta di

cambio delle funzioni, da parte del Consiglio giudiziario con le

osservazioni del Presidente della Corte di appello, per il passaggio da

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da funzioni requirenti a giudicanti, era invece previsto il parere del

procuratore generale presso la Corte di appello.

Altro limite esposto nel decreto di cui si tratta, è il divieto per i

magistrati che hanno concluso il tirocinio, di ricoprire funzioni

requirenti oltre a non poter svolgere determinati ruoli, come ad esempio:

giudice per le indagini preliminari o per l’udienza preliminare. Queste

limitazioni, che avevano come principale motivo l’evitare di far ricoprire ruoli particolarmente delicati ai nuovi magistrati, hanno

prodotto una maggior carenza di organico all’interno delle procure già in emergenza, come evidenzia Carmela Salazar:

Sino alla riforma, infatti, le procure in costante carenza di organico, come quelle collocate nel Sud del Paese, sono state da sempre coperte da magistrati di prima nomina, la cui presenza ha sgravato i colleghi più anziani […] consentendo loro di far fronte ai carichi di lavoro più pressanti e delicati.59

Lo stesso CSM si è espresso sul problema proponendo al

Ministro di giustizia, di effettuare dei temperamenti della riforma,

permettendo l’assegnazione dei magistrati di nuova nomina, o tramite incentivi economici e alla carriera per quei magistrati, magari più

esperti, che decidessero di trasferirsi in quelle sedi classificate come

disagiate. Questa proposta ha però subito un netto rifiuto da parte del

Ministro di giustizia, che ha però modificato il numero individuabile di

sedi disagiate, da sessanta a ottanta, ed ha ampliato il numero di

magistrati trasferibili d’ufficio da cento a centocinquanta.

59 C. SALAZAR, op. cit., p. 253.

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4.3 Elementi a favore e contrari alla separazione delle