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la riforma dell’ordinamento giudiziario ad opera del D.LGS 106/2006.

Capitolo 3: La riorganizzazione degli uffici del pubblico ministero.

3.2 la riforma dell’ordinamento giudiziario ad opera del D.LGS 106/2006.

Come abbiamo precedentemente osservato, con la l. 150/2005 si

è provveduto a riformare l’ordinamento giudiziario. I punti fortemente riformati sono, come abbiamo già evidenziato nel paragrafo precedente,

la struttura dei rapporti interni alle procure e la disciplina della titolarità

dell’esercizio dell’azione penale.

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Per quanto riguarda la struttura e i rapporti interni alle procure si

è visto un ritorno a quella che sommariamente era l’impostazione del periodo pre-costituzionalista, caratterizzato da una forte impronta

gerarchica, e incentrando i poteri e i doveri di organizzazione sulla

figura del procuratore della Repubblica, responsabile non solo

dell’esercizio dell’azione penale, ma anche del funzionamento e coordinamento degli uffici requirenti, attribuendo la competenza a

delegare gli affari ai vari sostituti in base alle loro attitudini.

L’ufficio del pubblico ministero è sempre stato caratterizzato da

tre elementi fondamentali, che sono: impersonalità, unità ed

indivisibilità, e proprio per il principio dell’impersonalità si può

giustificare un maggior potere di organizzazione e coordinamento che è

stato affidato al procuratore della Repubblica.

Dal versante dell’esercizio dell’azione penale, con la riforma apportata dal d.lgs. 106/2006, si è concretizzato il passaggio in capo al

procuratore della repubblica, della titolarità esclusiva per l’esercizio dell’azione penale oltre che della responsabilità per l’andamento degli uffici del pubblico ministero. Il procuratore della Repubblica, oltre a

determinare i criteri organizzativi del proprio ufficio, stabilisce anche le

regole per l’assegnazione dei procedimenti, prevedendo delle categorie di reati che permettono l’assegnazione automatica ai sostituti. L’assegnazione automatica di procedimenti, rappresenta l’eccezione

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all’assegnazione discrezionale del procuratore, delineando maggiormente la struttura gerarchica all’interno della procura.43

Come si è già osservato questa attribuzione in capo ad un singolo

soggetto della responsabilità complessiva del buon funzionamento ed il

corretto esercizio dell’azione penale, non ha mancato di suscitare forti critiche, principalmente per lo svotamento della figura dei sostituti, che

venivano così privati di qualsiasi autonomia, dovendo tener conto ormai

delle scelte operate da parte del procuratore capo per la trattazione dei

procedimenti. Vengono inoltre dati ampi poteri in caso di inadempienza

di queste linee di condotta da parte del sostituto, permettendo al

procuratore di revocare, con procedimento motivato, l’assegnazione del

procedimento, per la quale il vicario poteva presentare, entro dieci

giorni, osservazioni scritte ma senza la possibilità di altri strumenti di

impugnazione. La norma è riferibile quindi ai contrasti che possono

sorgere negli uffici, tra il capo ufficio ed i magistrati della procura, senza

però definirne bene i contorni. Sarà quindi possibile revocare il caso

nell’evenienza di violazioni dei criteri direttivi imposti, ma potrà avvenire anche a causa di contrasti che non vengono ben definiti

all’interno della legge già citata. Infatti come ci fa notare Fabrizio Vanorio, nel suo articolo Il pubblico ministero tra gerarchia e

responsabilità:

43 Quasi letteralmente, F. MÌNISCI, C. CURRELI, Il pubblico ministero. Compiti e poteri

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Possono formularsi vari esempi, quali l’adozione di condotte illegittime, comportamenti inurbani o carenze di equilibrio nei rapporti con i colleghi, le parti o la polizia giudiziaria […]. In questi casi non sempre è ravvisabile una violazione di determinati criteri, ma nessuno potrebbe negare la ragionevolezza di interventi di “salvaguardia” della funzione del PM da parte del dirigente in tali frangenti.44

Il CSM ha chiarito più volte che l’attribuzione dei procedimenti avveniva per designazione, evidenziando così che non si trattava di una

delega di poteri nuovi ai sostituti, ma più che altro un’attivazione di

poteri già esistenti, che diventavano operativi nel momento

dell’assegnazione. Anche volendo abbracciare questa tesi della differenza tra delega e designazione, non si può ignorare come all’art.2, 2° comma del d. lgs. 106/2006, il legislatore abbia stabilito i criteri ai

quali deve sottostare il sostituto nello svolgimento della delega

assegnatagli, evidenziando la volontà del legislatore di sottomettere la

pratica dei sostituti alla volontà del procuratore capo, autorizzato ormai

a dettare le linee di condotta in base alla propria volontà. Per rimediare

a questa condizione, pochi mesi dopo, è stata emanata la l. 269/2006,

che ha rimodellato l’art. 2, con lo scopo di delineare meglio il significato dell’esclusività dell’esercizio dell’azione penale in capo al procuratore, riconoscendo al sostituto una zona di autonomia professionale che gli

garantisce lo svolgimento del procedimento assegnatogli, con dignità e

responsabilità decisionale.

Nella realtà dei fatti le rettifiche di cui si sta parlando,

rappresentano mere modifiche di “facciata”, come ci fa notare Vincenzo

44 F.VANORIO,Il pubblico ministero tra gerarchia e responsabilità, in Quest. Giust.,

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Pacileo, nel testo Il pubblico ministero, Ruolo e funzioni nel processo

penale e civile : «è di immediata evidenza comparativa che sono rimasti invariati i poteri di direttiva che prima (d.lgs. 106/2006) il procuratore

poteva esercitare anche contestualmente alla delega e ora (l. 269/2006)

può abbinare all’assegnazione»45.

Un altro punto su cui il d.lgs. 106/2006 ha apportato maggiori

modifiche, è quello sulle misure cautelari. L’art. 3 della suddetta legge,

prevede il dovere per il magistrato dell’ufficio, che voglia disporre il fermo per un indiziato di delitto o che voglia procedere ad una richiesta

di misure cautelari, di ottenere l’assenso scritto da parte del procuratore capo, prima di poter procedere, senza però disciplinare né la procedura

per la richiesta dell’assenso, né tanto meno rimedi per eventuali dinieghi non giustificati. Questa scelta del legislatore trova giustificazione nella

necessità che lo svolgimento di una tra le più importanti funzioni del

pubblico ministero trovi nel sul svolgimento un indirizzo uniforme. Al

comma successivo del predetto articolo, vi è inoltre illustrata la

possibilità di escludere la richiesta dell’assenso scritto in base al valore del bene oggetto del sequestro o in base alla rilevanza del fatto per cui

si sta procedendo. La disciplina dell’assenso scritto ha sollevato dei dubbi sulla qualifica di questo atto, se considerarlo come una condizione

di ammissibilità delle richieste di misure cautelari o come un atto di

valenza interna all’ufficio. Sulla questione ha fatto luce la Corte di

45 V. Pacileo, op.cit., p. 40.

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Cassazione a Sezioni Unite46, che partendo dalla piena autonomia

d’azione di cui gode il magistrato requirente nello svolgimento delle proprie funzioni in udienza, ha esteso tale indipendenza funzionale

anche al potere di iniziativa cautelare durante la fase delle indagini

preliminari, ritenendo assurdo considerare invalida la richiesta

presentata senza assenso del procuratore della Repubblica durante la

fase delle indagini preliminari, e valida quella presentata durante

l’udienza dal magistrato assegnato47.

Come abbiamo già visto con la designazione del procuratore

della Repubblica come responsabile del funzionamento delle procure,

un altro compito di cui lo incarica la legge è l’emanazione di linee

direttive generali per l’utilizzo delle risorse tecnologiche, finanziarie e la gestione e l’impiego della Polizia Giudiziaria. Per quanto riguarda l’uso delle risorse tecnologiche e finanziarie, il riferimento principale è rivolto soprattutto all’utilizzo di intercettazioni, ovvero le consulenze o i depositi giudiziari, che devono essere sottoposti al vaglio del

procuratore capo. Mentre sull’impiego della Polizia Giudiziaria, non è specificato nella legge se si riferisca a tutte le sezioni ed i servizi della

P.G. o solo quelle sezioni istituite presso gli uffici del pubblico

ministero. Il principio è quello di permettere l’uso della polizia giudiziaria tenendo conto delle capacità e delle peculiarità di questo

46 Cfr. sentenza n. 8388/2009 (http://www.altalex.com/). 47 In questo senso, F.MÌNISCI, C. CURRELI,op. cit., p.14.

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organo evitando così di aggravare i compiti di quei reparti con minor

organico.

Come abbiamo potuto sottolineare all’interno del primo capitolo, altro elemento riformato dal d. lgs. 106/2006 all’art. 5, è stato il rapporto con i mezzi di informazione. La legge attribuisce al Procuratore della

repubblica, in via esclusiva, il compito di mantenere i rapporti con i

mezzi di informazione, compito che può essere delegato ad un

magistrato dell’ufficio, evitando in questo modo, una eccessiva esposizione mediatica dei magistrati del pubblico ministero, che poteva

alle volte mettere in dubbio l’imparzialità stessa della magistratura. La legge detta inoltre le modalità con le quali fornire le informazioni sui

procedimenti penali, ovvero riferendole in modo impersonale all’ufficio e non facendo nessun riferimento al magistrato assegnatario del

procedimento. Viene inoltre previsto il divieto nei confronti del

pubblico ministero di divulgare informazioni sull’attività giudiziaria dell’ufficio. Basandoci su un’interpretazione restrittiva della legge, dovremmo ritenere che il divieto operi anche su gli atti che non sono più

ricoperti dal segreto d’ufficio, ma tale interpretazione, come espongono chiaramente Francesco Mìnisci e Claudio Curreli nel libro Il pubblico

ministero. Compiti e poteri nelle indagini e nel processo:

Tale rigoroso orientamento sarebbe in contrasto con L’art.114 c.p.p. che disciplina il “Divieto di pubblicazione di atti ed immagini” e con l’art. 329 c.p.p. (“Obbligo del segreto”) che prevedono meccanismi di pubblicità degli atti di un procedimento penale.

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Con la conseguenza che, precludendo solo al P.M. una possibilità che è consentita a tutti gli altri soggetti, si giungerebbe alla violazione degli artt. 3 e 21 della Costituzione. 48

Non è prevista inoltre, una sanzione automatica per la violazione

di questo divieto, ma è invece previsto al comma 4 dello stesso articolo,

l’obbligo per il procuratore di segnalare la violazione esercitando così, il proprio potere di vigilanza. Le fattispecie di illeciti disciplinari legate

ai rapporti con i mezzi d’informazione, sono state elencate all’interno degli artt. 2 e 3 del d. lgs. 109/2006, che però esponeva una disciplina

più dettagliata per i giudici, mentre per quanto riguarda i pubblici

ministeri, effettuava un rimando alla legge sul riordinamento delle

procure. L’assetto appena delineato si contrapponeva alla sentenza delle Corte costituzionale n. 100/1981, che affermava il diritto dei magistrati

a poter esprimere liberamente il proprio pensiero, in modo equilibrato,

e che un abuso si sarebbe verificato solo nel caso in qui, le dichiarazioni

rese avessero leso in qualche modo diritti altrui.

La Sezione disciplinare del CSM, ha trattato il primo caso di

illecito disciplinare legato alle dichiarazioni espresse da un magistrato

ai mezzi d’informazioni, con la sentenza n. 3/2008. In questa sentenza si trattava di un caso in cui un pubblico ministero aveva violato il divieto

per i magistrati che non siano stati espressamente incaricati di

intrattenere i rapporti con i mass media, di esprimere opinioni e pensieri.

La Sezione disciplinare si è ricollegata alla sentenza della Corte

48 F. MÌNISCI,C.CURRELI,Ivi., p. 16.

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costituzionale, sopra citata, assolvendo il magistrato, poiché le

esternazioni non comportavano nessun tipo di abuso. Tramite questa

interpretazione, l’obbligo esposto al comma 4 dell’art. 5, che ricordiamo, incaricava il procuratore di vigilare e trasmettere gli atti

ogni volta che un magistrato non autorizzato rilasciava dichiarazioni ai

mezzi d’informazione, non deve riferirsi ad ogni dichiarazione non autorizzata rilasciata, bensì solo quelle che integrerebbero un abuso e

quindi un’ipotesi di responsabilità disciplinare.

Altro aspetto della riforma che ha inciso, in modo marcato,

sull’assetto dell’ordinamento penale, è stato il quasi svuotamento del ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura. Come sappiamo l’art 7-ter, comma 3, del r.d. 12 del 1941, destinava al CSM la

determinazione dei criteri per l’organizzazione degli uffici del pubblico

ministero, compito che in seguito alla riforma è passato sotto la

competenza del procuratore della Repubblica. Con una serie di

risoluzioni il consiglio ha però stabilito che i progetti organizzativi dei

procuratori della Repubblica, pur non dovendo essere approvati dal

consiglio stesso, devono ricevere una “presa d’atto” con eventuali osservazioni.49

Il CSM si è inoltre espresso su molte delle nuove funzioni

attribuite al procuratore capo dell’ufficio, come ad esempio sulla

49Quasi letteralmente, N. ZANON,F.BIONDI,Sistema costituzionale della magistratura,

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possibilità di revoca del procedimento preventivamente affidato ad un

sostituto. La norma, come abbiamo già visto, affida al procuratore la

possibilità di revocare il procedimento nel caso in cui il sostituto non

rispetti le linee guida dettate dal capo ufficio. Il Consiglio Superiore

della Magistratura ha sottolineato l’importanza della motivazione dell’atto di revoca, oltre a riservarsi un potere di intervento, prevedendo un dovere di trasmissione dell’atto di revoca, congiuntamente alle osservazioni del sostituto, per poter vagliare la ragionevolezza dell’atto, e nel caso in cui sia definita ingiustificata, poter procedere con i giusti

provvedimenti.

Come abbiamo analizzato, la legge 150/2005 e il d.lgs.

106/2006, prevedono la titolarità dell’azione penale a ciascun

procuratore della Repubblica di ogni procura del territorio, delineando

cosi un potere diffuso e non gerarchico, oltre a confermare la titolarità

in capo al Procuratore generale presso la Corte d’Appello, dei poteri di sorveglianza sui magistrati che ricoprono il ruolo di pubblico ministero.

L’art. 6 del decreto legislativo 106/2006 dice:

Il procuratore generale presso la corte di appello, al fine di verificare il corretto ed uniforme esercizio dell’azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto processo, nonché il puntuale esercizio da parte dei procuratori della repubblica dei poteri di direzione, controllo e organizzazione degli uffici ai quali sono preposti, acquisisce dati e notizie dalle procure della Repubblica del distretto ed invia al procuratore generale presso la Corte di cassazione una relazione almeno annuale.50

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Questa disposizione non mette in luce una struttura gerarchica,

dove il procuratore grazie al suo potere di vigilanza, può avere

un’incidenza sullo svolgimento delle attività degli uffici di procura, bensì come ci fa notare Niccolò Zanon e Francesca Biondi, nell’opera

Sistema costituzionale della magistratura, questa norma dovrebbe essere valorizzata per poter riuscire ad avere un sistema di uffici del

pubblico ministero più omogeneo e meno atomizzato.51

3.3 Il ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura dopo