Capitolo 3: La riorganizzazione degli uffici del pubblico ministero.
3.3 Il ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura dopo la riforma dell’ordinamento penale.
Come abbiamo avuto modo di osservare, durante la trattazione
di questo capitolo, la riforma, operata tramite la legge delega 150/2005
ed il conseguente decreto legislativo 106/2006, ha radicalmente mutato
la struttura ed i ruoli delle procure, e le funzioni degli organi che fino a
quel momento avevano ricoperto ruoli e funzioni primarie.
È da osservare che la riforma appena citata, oltre a modificare i
rapporti interni alle procure, con il passaggio in capo al procuratore della
Repubblica dell’esclusività dell’azione penale, ed il compito di gestire ed organizzare il lavoro e l’assegnazione degli incarichi ai sostituti, ha inoltre ridimensionato largamente il ruolo del Consiglio Superiore della
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Magistratura, che aveva svolto fino a quel momento un ruolo di
preminenza nell’organizzazione dell’attività giudiziaria.
Come abbiamo già detto, il CSM ha da sempre giocato un ruolo
fondamentale, all’interno dell’ordinamento giudiziario, rappresentando l’organo di autogoverno incaricato dell’organizzazione e rotazione dei magistrati, sia giudicanti che requirenti, oltre ad avere titolarità per le
sanzioni disciplinari e della gestione delle promozioni dei magistrati.
Con la riforma del 2006, come abbiamo già visto, il procuratore
della Repubblica diventa il nuovo vertice per l’organizzazione dell’apparato giudiziario requirente, con cui si vede assegnato anche il potere di assegnazione degli incarichi, all’interno della propria procura, ai sostituti ed ai vicari, eliminando il sistema tabellare che veniva
applicato da parte del CSM, che rappresentava un metodo,
d’assegnazione dei procedimenti, obiettivo e trasparente. Con la riforma in esame, il Consiglio si è visto spogliato di molte delle sue prerogative
sull’organizzazione giudiziaria che gli vennero affidate dalla legge sull’ordinamento giudiziario del 41’, che sono di conseguenza passate in capo al procuratore della Repubblica, vertice gerarchico degli uffici
di procura.
Per cercare di porre rimedio all’eccessiva gerarchizzazione delle procure, il Consiglio Superiore della magistratura è intervenuto con due
delibere fondamentali che perseguivano due obbiettivi principali: dare
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alleggerisse la morsa gerarchica; e ritagliarsi uno spazio di intervento
maggiore, che era stato fortemente limitato dopo la riorganizzazione dei
ruoli.
La prima risoluzione rilasciata il 12 luglio 2007, si fondava sulla
convinzione che il Consiglio mantenesse comunque uno spazio di
intervento sulle modalità e le decisioni prese dal procuratore della
Repubblica, anche dopo la riforma. Il CSM ha trattato vari punti critici
della riforma, cominciando dai provvedimenti organizzativi,
affermando che per poter garantire i principi espressi dall’art. 97 Cost.,
che esprime i principi di imparzialità, buon andamento e trasparenza, e
dall’art. 101 Cost. che esprime il principio di autonomia e indipendenza dei magistrati, si imponeva un vaglio valutativo del Consiglio. Ancora
nella stessa risoluzione, è stato trattato il potere di assegnazione o auto-
assegnazione dei procedimenti, escludendo la possibilità di scelte
arbitrarie del procuratore, imponendo di motivare l’atto, e inoltre ricordando che, in seguito all’assegnazione, deve essere rispettata l’autonomia professionale dei sostituti, escludendo la possibilità di revoche parziali, che si manifesterebbero nel caso in cui venissero
assegnati alcuni atti del procedimento ad un magistrato diverso da quello
inizialmente individuato. Altro elemento trattato è la possibilità, per il
procuratore generale, di emanare direttive e criteri specifici per lo
svolgimento degli incarichi, i quali devono obbligatoriamente
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procedimento, ovviamente senza ledere la sfera dell’autonomia del
magistrato. L’ultima punto trattato dalla risoluzione, è stato la possibilità, per il procuratore, di revocare l’assegnazione del procedimento. Facendo leva sulle modifiche apportate con la l.
296/2006, che ha il merito di aver attenuato la stretta gerarchica del
procuratore, inserendo elementi di salvaguardia per i magistrati della
procura. Il Consiglio, ha affermato che l’atto di revoca di un procedimento assegnato ad un sostituto, deve essere obbligatoriamente
un provvedimento motivato e necessariamente ricollegabile a violazioni
delle direttive impartite inizialmente, o a casi di contrati, tra il
procuratore ed il sostituto, sulle modalità di esercizio dell’azione penale, prevedendo inoltre, la facoltà per il magistrato assegnato, di presentare
osservazioni scritte. Nel caso in cui le motivazioni della revoca espresse
dal procuratore non dovessero essere ritenute congrue, il CSM si riserva
di intervenire con gli strumenti ritenuti maggiormente opportuni; per il
caso di contrasto tra magistrato assegnatario e procuratore, si presentava
la possibilità per il sostituto di richiedere l’esonero dal caso, come strumento di autotutela, per evitare l’insorgere di dubbi sull’autonomia della magistratura stessa.
La seconda risoluzione in esame è stata espressa il 21 luglio
2009, con la quale il Consiglio Superiore della Magistratura, si pone
come garante di altri elementi fondamentali al funzionamento della
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indirizzo sull’operato del procuratore della Repubblica, per tutelare i precetti costituzionali oltre che cercare di garantire una maggiore
omogeneità nell’esercizio dell’azione penale, che potrebbe risultare lesa dall’eccessiva atomizzazione delle procure, causata dai diversi indirizzi posti in essere dai vari procuratori.
Il primo punto considerato, nella risoluzione, è la ragionevole
durata del processo. Questo principio che sappiamo essere fondamentale
nel nostro ordinamento, potrebbe risultare leso a causa delle diverse
priorità dei vari procuratori. Per questo motivo il CSM consiglia
un’analisi sulle necessità e sui flussi dei procedimenti che pervengono in procura, in modo tale da stabilire dei criteri di priorità stabili e che
non ledano i diritti dei cittadini.
Altro elemento trattato nella suddetta risoluzione, è stato gli
elementi che i dirigenti dell’ufficio devono rispettare per garantire il corretto esercizio dell’azione penale, garantendo le regole del giusto processo. I punti principali sono: l’equa ripartizione degli affari ai
magistrati e ai gruppi di lavoro, tenendo in considerazione le dimensioni
dell’ufficio e rispettando i criteri stabiliti nel Regolamento del 13 marzo 2008 sulla permanenza dell’incarico presso lo stesso ufficio; la nomina di un procuratore aggiunto a cui affidare il gruppo di lavoro; il
procuratore deve inoltre provvedere al coordinamento e alla creazione
di protocolli che rendano più omogenei possibile gli indirizzi di
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in modo trasparente e che valorizzi le attitudini dei magistrati della
procura. Per ultimo il CSM ricorda la necessità di migliorare l’efficienza dell’utilizzo delle risorse tecnologiche e l’impiego della polizia giudiziaria, apportando migliorie per la programmazione nella gestione
delle risorse e nella diffusione delle innovazioni informatiche.
Con questa risoluzione, inoltre, il CSM presenta una serie di
vantaggi che si potrebbero ricavare nel momento in cui si creassero,
all’interno delle singole procure, dei gruppi specializzati stabili. Alcuni
di questi vantaggi potrebbero essere: un alto livello di professionalità,
sia dei magistrati che delle forze di polizia giudiziaria a disposizione
degli stessi, garantito da vari incontri svolti con l’obiettivo di
condividere le notizie e gli sforzi compiuti, e che garantirebbero una
miglior risposta degli uffici, alle necessità dell’ordinamento, potendo anche creare un apparato istituzionale che permetta un supporto
continuo per le vittime, di determinate tipologie di reati, classificate
come “deboli”( ad esempio, le vittime di violenza sessuale), con lo scopo di assisterle dalla consumazione del reato, fino alla conclusione
dell’iter processuale.
Come ben si intuisce, con queste due risoluzioni, il Consiglio
Superiore della Magistratura, ha cercato di riacquistare quel ruolo di
preminenza nell’organizzazione degli uffici giudiziari, che ricopriva prima dell’entrata in vigore del d. lgs. 106/2006 e l’abrogazione dell’art. 7-ter, comma 3 della legge dell’ordinamento giudiziario del 1941.
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Ovviamente ci si è chiesti che valore abbiano queste risoluzioni,
soprattutto nei confronti dei procuratori della Repubblica. Nelle
risoluzioni stesse il Consiglio ha chiarito che queste non sono
strettamente vincolanti, permettendo quindi in fine al procuratore di
discostarsi. Però non si deve trascurare un elemento molto importante,
il CSM mantiene comunque dei ruoli importanti sulla vita professionale
dei magistrati, compresi i procuratori della Repubblica, ed è sempre il
Consiglio ad essere incaricato di valutare l’operato dei dirigenti delle procure. Quindi con l’introduzione della necessaria comunicazione dei piani organizzativi della procura, il CSM ha a disposizione il quadro
completo che gli permetterà di valutare le capacità e la professionalità
del procuratore, che qualora subisca una valutazione negativa non potrà
concorrere per incarichi direttivi per cinque anni. Riprendendo le parole
di Carmela Salazar, in Problemi attuali della giustizia in Italia:
La spoliazione del compito di co-determinazione dei criteri di organizzazione appare in un certo senso compensata: il controllo del Consiglio non si svolge più ex ante bensì
ex post, assumendo esso a parametro – è sempre la risoluzione a chiarirlo – per un
verso le indicazioni da esso stesso fornite (ma resta possibile, come si è detto, discostarsene, purché con adeguata motivazione) e per l’altro i risultati raggiunti «con riguardo agli artt. 97 e 111 della Costituzione, per gli effetti che quel progetto può spiegare sul buon andamento dell’amministrazione e sulla durata ragionevole del processo».52
Come si vede l’autrice appena citata, mostra come effettivamente permanga in capo al Consiglio, uno strumento tramite il
quale imporre il proprio giudizio, ma ovviamente anche questa
52 C. SALAZAR, L’organizzazione interna delle Procure e la separazione delle carriere,
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prerogativa incontra dei limiti. Anche dopo le, già illustrate, risoluzioni,
il procuratore della Repubblica resta comunque il titolare esclusivo
dell’azione penale, e quindi, data la propria posizione, potrebbe comunque decide di organizzare il lavoro in procura in totale autonomia
e senza l’apporto di altri magistrati. Nel caso in cui questa modalità d’agire, venga usata dal Consiglio come pretesto per dare una valutazione negativa al magistrato, che ha comunque ottenuto risultati
apprezzabili, a quest’ultimo sarà garantita la possibilità di impugnare il provvedimento presso le corti amministrative.53
Altri punti fondamentali da trattare nell’evoluzione e trattazione di questa riforma sono dati dalle Sezioni unite della Corte di cassazione.
La Suprema corte con la sentenza n. 8388 del 22 gennaio 2009, ha
trattato un caso su un contrasto tra procuratore della repubblica ed i
magistrati del provvedimento, riguardante l’art. 3 del d.lgs. 106/2006, ovvero la necessità di ottenere l’assenso dal dirigente dell’ufficio per proporre l’applicazione di misure cautelari. Valutando quindi questo contrasto la corte ha riconosciuto che l’assenso del procuratore della
repubblica non è una condizione di ammissibilità della richiesta di
misure cautelari avanzata dal sostituto, per poter tutelare quella sfera di
autonomia garantita al magistrato nello svolgimento delle proprie
funzioni in udienza. Questa decisione è stata presa anche in
considerazione del fatto che, poco tempo dopo la sentenza il Consiglio
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dei Ministri, ha riformato l’art. 291 c.p.p., introducendo il comma 1-ter, che prevede necessariamente l’assenso del procuratore come condizione di ammissibilità della richiesta. In questo modo si rafforza
maggiormente la morsa gerarchica del procuratore che può apporre un
vero e proprio veto all’iniziativa del sostituto, ma che qualora decida di negare ingiustamente, la richiesta del vicario, potrà, oltre a subire la
valutazione professionale negativa da parte del Consiglio Superiore
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Capitolo 4: La separazione delle carriere dei magistrati giudicanti e