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Dalla committenza al collezionismo: la nascita dell’artista

«Tra i diversi tempi della storia, la lunga durata si presenta in tal modo come un personaggio ingombrante, complicato, spesso inedi- to. Ammetterla nel cuore del nostro mestiere non sarà un semplice gio- co, il solito ampliamento di studi e curiosità […] Per lo storico, accet- tarla significa prestarsi a un cambiamento di stile, di atteggiamento, a un rovesciamento di mentalità, a una nuova concezione dei fatti sociali […] è in rapporto a queste falde di storia lenta che è possibile ripensare la totalità della storia, come a partire da una infrastruttura»14. La lunga

durata di Braudel ci chiama a una scienza delle strutture: «per “struttu-

ra”, gli osservatori della realtà sociale intendono un’organizzazione, una coerenza, dei rapporti piuttosto stabili tra realtà e masse sociali. Per noi storici, una struttura è senza dubbio connessione, architettura, ma più ancora una realtà che il tempo stenta a logorare e che porta con sé molto a lungo»15.

13 Per descrivere questo tipo di pratica è stato coniato il neologismo prosumer a indicare

utenti che sono allo stesso tempo consumatori e produttori.

14 F. B

RAUDEL, Storia lunga e scienze sociali. La lunga durata, Parigi 1969, in

F. BRAUDEL (a cura di), La storia e le altre scienze sociali, Roma-Bari, 1974, 165. 15 Il termine struttura va qua intesa nella doppia accezione sociale e storica ben espressa

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Con il conforto delle parole di Braudel, nel cuore del nostro di- scorso sono due gli assi portanti che organizzano la discrepanza più ri- levante all’interno del sistema di produzione e legittimazione della pra- tica artistica: quello pre-moderno fondato sulla committenza, è quello moderno fondato sul collezionismo. I due si compenetrano nei secoli in un continuo balletto di continuità e differenze; le stesse che, più che contraddirne le forme, segnalano la direzione e accertano la sostanza del divenire delle strutture.

La data che aiuta a fissare il primo passaggio è il 1550. A Fi- renze l’editore ducale Lorenzo Torrentino pubblica la prima edizione de «le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Ci- mabue insino a’ tempi nostri». Pietra miliare della storiografia artistica, la fatica letteraria di Giorgio Vasari lega a doppia mandata la «Storia dell’arte» alla «Storia degli artisti». Come risaputo Vasari non è il pri- mo a scrivere degli artisti, prima di lui «I commentari» di Lorenzo Ghi- berti, il «De pictura» di Leon Battista Alberti e le riflessioni sparse di Leonardo Da Vinci avevano cercato di formalizzare la pratica e di arti- colare una tradizione tecnica e un discorso storico. Ma quando Vasari pubblica «le Vite» i tempi sono ormai maturi per costruire un vero e proprio «Racconto». Vasari formalizza l’artista e attraverso questo pro- cesso lo inventa. Per cristallizzarlo ha bisogno di una narrativa che di- venta mito e, in quanto tale, si affermi come Storia. «Quando parla di Michelangelo, i suoi criteri di giudizio non gli bastano più, e ha bisogno di ricorrere a Dio. È Dio che ha mandato Michelangelo in terra, dopo che egli ebbe veduti vani gli sforzi degli artefici per raggiungere la per- fezione...»16.

Nel momento in cui il Medioevo lascia spazio alla riscoperta dei classici e Dio sembra perdere parte del monopolio socioculturale, l’artista tenta di subentrare come nuovo creatore. Attraverso la riscoper- ta di un mondo antico, l’artista diventa da quel momento un creatore di

16 L. V

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mondi. Non è un caso che la «Storia dell’arte» sia stata scritta da un ar- tista. I contemporanei di Vasari e i suoi successori assistettero a un pro- getto di autolegittimazione: la tradizione su cui Vasari innesta la sua fatica è legata ad anni di richieste di affrancamento dal sistema in cui gli artisti si erano trovati a operare; l’eredità che Vasari lascia ai posteri è un bagaglio solido di «Verità» su cui costruire una tradizione e perse- guire l’emancipazione.

Le note tensioni fra Michelangelo e Giulio II Papa sono la pun- ta di un iceberg che si è sciolto nei secoli. Bisogna scomodare un altro mito per istituire l’altra sponda della disputa: è Marcel Duchamp con il suo ready made. L’azione dell’artista francese, noto per aver definiti- vamente sdoganato l’arte dall’abilità tecnica e averla aperta al concetto, dovrebbe essere omaggiata anche per aver chiuso la disputa fra artista e committente che si era aperta nel Rinascimento. Monte e valle del pro- cesso produttivo con Duchamp sono definitivamente separati, così co- me il committente è momentaneamente ibernato a favore del collezioni- sta. Il fatto è stato sottovalutato dagli storici dell’arte che per genealo- gia (vasariana) preferiscono analizzare gli stili e marginalizzare il pro- cesso17. Eppure quella dei meccanismi produttivi e distributivi e dei

rapporti di potere è una storia che ha risvolti importanti anche negli svi- luppi degli stili.

17 Fanno eccezione i noti saggi di A. H

AUSER, Storia sociale dell’arte, 4 volumi, Torino

1956 e F. ANTAL, La pittura fiorentina e il suo ambiente sociale nel trecento e nel pri-

mo quattrocento, Torino, 1960. Alcuni studiosi, soprattutto di storia della cultura, han-

no ripreso questi lavori, si veda a titolo di esempio BURKE, Storia sociale della cono-

scenza, cit. Lo stesso Burke è autore di un saggio sulla Storia dell’artista raccolto da

Giovanni Previtali per l’Enciclopedia dell’Arte Einaudi che nel secondo volume ha cer- cato di raccontare la storia di alcuni fra gli aspetti produttivi. P. BURKE, L’artista: mo-

menti e aspetti, in G. PREVITALI (a cura di), Storia dell’arte italiana. Parte Prima. Ma-

teriali e problemi. Volume secondo. L’artista e il pubblico, Torino, 1979. Ciò che sino-

ra manca nella letteratura è un’elaborazione critica in una visione di insieme e di lungo periodo, capace di armonizzare le conclusioni agli sviluppi attuali delle arti contempo- ranee.

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Sino alle soglie del Rinascimento l’artista non ha un nome: è un artigiano, quando è un buon artigiano spesso conduce una bottega che ne certifica la qualità tecnica. L’opera parte dal committente e al com- mittente ritorna. Onore e gloria ricadono sul solo committente. Il siste- ma è circolare: dal committente ha inizio e al committente ritorna. L’opera vive all’ombra del committente e l’artista all’ombra del manu- fatto.

La diffusione dell’immagine è ridotta: la rappresentazione visi- va è un fatto eccezionale, appartiene alla sfera del sacro, ai riti religiosi o ai grandi avvenimenti politici18. Il cerchio produttivo lega committen-

za, artista, sacralità dell’immagine e fruizione, ove – è importante sotto- linearlo – la sacralità corrisponde alla scarsità. Le immagini raccontano e alimentano il mito di chi detiene il potere «in cielo come in terra». Non esistono immagini buone o cattive e su di esse non si esercita alcun gusto o mercato. Le immagini semplicemente presenziano.

Quando Vasari racconta le imprese degli artisti parte del lavoro è già fatto. La nuova urbanizzazione è una realtà, così come l’econo- mia, soprattutto in Italia e nelle Fiandre, si è lasciata alle spalle il mo- dello unicellulare del medioevo ed è ormai orientata al commercio e a- gli scambi. Con le merci viaggiano anche le notizie, la fama e a volte anche le opere degli artisti. Ma è presto per parlare di un vero e proprio mercato dell’arte. Per ora la massima aspirazione di un artista è entrare nelle grazie di qualche ricco committente e lì poter esprimere il me- glio19.

18 Per una storia dell’immagine e della sua democratizzazione, J.A. R

AMIREZ, Medio de

masas e historia del arte, Madrid, 1981.

19 Fondamentale a questo discorso è la ricerca pluriennale di Salvatore Settis su Gior-

gione e i suoi committenti prima e più in generale sui rapporti fra artisti e committenti in Italia fra Quattrocento e Cinquento. I testi sparsi su vari volumi sono stati recente- mente raccolti: S.SETTIS, Artisti e committenti fra Quattro e Cinquecento, Torino,

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Più ci avviciniamo ai tempi della modernità conclamata e più il vecchio modello di produzione tende a distendersi. Il sistema s’ingran- disce. I primi a entrare in scena sono i mediatori fra l’artista che riven- dica le sue libertà e il committente che, da tradizione, intende esercitare il primato dell’invenzione. Quando giunge il critico si apre una nuova, enorme faglia: il concetto di gusto diventa principio di selezione. L’arte ormai è una disciplina solida, ha una storia e delle correnti di giudizio che cercano di orientarne il futuro. Gli artisti sono entrati nell’Olimpo di un mondo nuovo e forse subdolamente pagano20: la democrazia della

visione si fa avanti con forza e a essa corrisponde e ne è causa, un’importante densificazione sociale dell’immagine. I motori di questa rivoluzione sono diversi e vanno tutti inquadrati in quel movimento lungo che dal Rinascimento si muove verso la modernità con curiosità esplorativa: il mercato delle merci e della cultura, l’urbanizzazione, la distribuzione del reddito, lo studio dei classici primi e della natura do- po, le fortune della tecnologia. La stampa su tutte. L’affinamento delle tecniche riproduttive consente la diffusione dell’informazione, la cata- logazione, lo studio.