EAVITT, Il corpo di Jonah Boyd, cit., 162. 24 L
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Aveva completato il testo – scrivendo gli ultimi due capitoli – e l’aveva inviato a Georgiana Sleep, l’editor che aveva implacabilmente criticato i suoi primi tentativi:
«Questa era la lezione che volevo dare a Georgiana: lei avrebbe respinto il mio romanzo, e io, in tutta tranquillità, le avrei rivelato che non era affatto il mio romanzo: era di Jonah Boyd. […] Georgiana comprò il libro […] dimo- strandomi che le sue reazioni erano sempre state sincere; il che significava che il problema ero sempre stato io, io e quello che avevo scritto. Un’umiliazione assolutamente personale e segreta era il prezzo che dovevo pagare per ottenere alfine ciò che avevo sempre voluto»25.
Seguono le solite tribolazioni – la paura di essere scoperto – la pubblicazione, con vendite abbastanza contenute, e soprattutto il con- tratto per un nuovo romanzo che lo porterà al successo. Ancora una vol- ta l’epilogo rimanderà a un testo per gran parte sovrapponibile a quello che il lettore ha appena letto, ma con un interessante slittamento pro- spettico. Come Ben aveva completato il testo di Boyd, così Denny por- terà a termine il dattiloscritto di Ben, alla sua morte, rispettandone la paradossale angolazione narrativa:
«Lo ammetto, scoprire che aveva deciso di raccontare la sua storia dal mio punto di vista sulle prime mi sconcertò; strano battere un racconto il cui narratore, invece di essere io stessa, è l’idea che un altro ha di me […] Tut- tavia ho resistito all’impulso di cambiare o correggere»26.
E così, anche il romanzo di Leavitt può essere ricondotto, al- meno in superficie, alla stessa opzione degli altri due testi americani: è il plagiario – e non un testimone esterno – l’artefice del racconto, ma non basta la piroetta finale per nascondere l’evidente suggestione di una nuova possibilità. Sfuggire alla polarità prospettica plagiato/plagiario
25 L
EAVITT, Il corpo di Jonah Boyd, cit., 223-224. 26 L
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significa aprire il racconto del plagio a una dimensione completamente diversa, scoprire la forza – nell’economia narrativa – di un’altra voce, seguirne incertezze e scoperte, costeggiare altre storie.
4. L’altra faccia della medaglia
Rispetto a tutti i casi fin qui considerati il passaggio a «Delitto di stampa» implica un forte cambiamento di prospettiva: il testimone finisce per essere il protagonista e anche se si parla molto di «plagio» la sua imprevedibile declinazione rende questo romanzo di Jean-Jacques Fiechter difficilmente comparabile agli altri. È la storia di una vendetta consumata attraverso un falso, una diabolica macchinazione che porterà a un’accusa di plagio: una specie di delitto perfetto in cui l’arma è un romanzo. La cronologia è piuttosto complessa e ancora una volta sarà opportuno – con forte sacrificio di alcuni effetti narrativi – riportare il racconto, almeno parzialmente, a una linearità temporale. L’inglese Edward Lamb e il francese Nicolas Fabry si conoscono dagli anni dell’adolescenza, trascorsa per buona parte ad Alessandria in Egitto, prima del secondo conflitto mondiale. I loro caratteri sono all’opposto: Edward vive nell’ombra, Nicolas nella luce. Con altri amici Edward condivide la passione per la letteratura e la redazione di una piccola ri- vista:
«[…] Nicolas mi aveva portato una novella che aveva scritto in inglese. Avevo quasi promesso di pubblicargliela sul numero successivo di “Lettere d’Oriente”. Senza leggerla. Mi fidavo ciecamente. Avevo avuto torto. Era un plagio sfrontato del Diavolo in corpo. C’erano persino, inframmezzati al riassunto, passi interi dell’opera di Radiguet. Come aveva osato? In ogni caso, io invece non avevo osato dirgli che il suo testo era pessimo, e per di
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più scandaloso. Mi ero detto che risistemandolo sarei riuscito a nascondere il saccheggio […]»27.
Un giorno Edward incontra Yasmina, figlia giovanissima di un capo beduino, e se ne innamora immediatamente. Il loro idillio dura al- cuni mesi ma viene interrotto bruscamente dalla tragica morte della ra- gazza. Per più di trent’anni lui se ne considera responsabile: il padre di lei – immagina – l’avrebbe uccisa dopo averne scoperto l’amore clan- destino. Non ha alcuna certezza, solo un’ipotesi e il senso di colpa che condizionerà tutta la sua vita. Poi scoppia la guerra e i due amici torna- no in Europa: Nicolas si distingue nell’aviazione, Edward mette a frutto le sue conoscenze linguistiche negli uffici dei servizi segreti:
«Inchiostri, carta, macchine per scrivere e timbri non avevano più segreti per me. Le mie conoscenze, affiancate dalla pazienza e dal fiuto, mi permet- tevano di fare la differenza tra un falso ‘buono’ e uno ‘cattivo’. La squadra di falsari professionisti […] riconosceva che ero diventato un maestro in materia. Avevo talento»28.
Nicolas dimostra in guerra grande valore: un incidente, però, gli provoca reiterati vuoti di memoria. Edward sottrae dall’ospedale un rapporto su quelle amnesie:
«Giuro che, in quel momento, ero mosso soltanto da commiserazione. Ma forse già allora, inconsciamente, volevo mettere da parte un’arma contro di lui, nel caso in cui un giorno ne avessi avuto bisogno»29.
Dopo la guerra intraprende la strada dell’editoria, mentre l’amico ha un certo successo come scrittore. Edward diventa il suo edi-
27 J.J. F
IECHTER, Delitto di stampa, Roma, 2000, 33. 28 F
IECHTER, Delitto di stampa, cit., 52. 29 F
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tore inglese e anche il suo traduttore. Compito che porta avanti con zelo molto particolare:
«Avrei potuto accontentarmi di fornirne una versione perfettamente fedele, una traduzione letterale, ma mi toccava fare ben di più di questo perché, stranamente, consideravo quei libri un po’ come fossero miei. […] Abboz- zava le trame, dipingeva gli sfondi a pennellate sommarie. Io, ripassando dopo di lui, ridisegnavo l’abbozzo, lo rifinivo. Nel fare questo lavoro, pro- vavo un piacere segreto. Quello di sapere che il successo di Nicolas, in Gran Bretagna e in tutti i paesi di lingua inglese, era opera mia. […] Lui non fece mai allusione a quelle ‘traduzioni’. Fece sempre quello che non si accorgeva di niente. Che orgoglio!»30.
Edward vive la sua vita con l’idea fissa di essere stato derubato del suo genio da Nicolas. Forse, però, anche di altro. Come intuisce nel momento in cui l’amico gli porta il suo ultimo manoscritto, «Bisogna amare». In quel libro scopre con orrore, con evidenza appena dissimu- lata dalla finzione narrativa, che era stato Nicolas la causa della morte di Yasmina, comprende tutta la verità con trent’anni di ritardo:
«Scorrendo quelle pagine, le mie vampate di odio, il mio desiderio di ven- detta, acquistavano in profondità quel che perdevano in virulenza. A crimi- ne occulto, magia vendicatrice, sottilmente distillata, supplizio machiavelli- co, interminabile […]. Ignoravo ancora come avrei fatto, ma sapevo di do- ver colpire il punto più vulnerabile dell’armature di Nicolas: la sua ope- ra»31.
Proprio nella forza di quel romanzo – e nel suo prevedibile suc- cesso – intravede lo strumento della sua vendetta. All’inizio il piano non è del tutto chiaro: comincia a tradurre il libro con pochi misurati aggiustamenti. Poi, poco alla volta, le sue competenze editoriali, lingui-
30 F
IECHTER, Delitto di stampa, cit., 69-70. 31 F
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stiche e di falsario fanno il resto: vecchie risme di carta, materiali di ri- legatoria, un autore poco noto morto all’inizio della guerra e una casa editrice scomparsa durante il conflitto. Prende corpo, in pochissime co- pie, un libro in cui Edward riversa la sua traduzione inglese di «Bisogna amare: Love is a Must» di Erwin Brown. Macchinazione laboriosa per uno scopo semplice: creare un falso, antecedente al libro di Nicolas, so- stanzialmente identico. Porre dunque le condizioni preliminari di un i- potetico plagio. Il libro viene dunque discretamente collocato sugli scaffali di alcuni librai antiquari, una copia viene inviata anonimamente a Nancy Pickford, una giornalista con il dente avvelenato nei confronti dello scrittore, e a tempo debito arriva il tocco finale: una copia viene nascosta nella libreria di Nicolas. Quando Nancy lo accuserà di plagio e scoppierà lo scandalo – processo per diffamazione intentato dallo scrit- tore, ma implicitamente giudizio sul possibile plagio – quest’ultimo dettaglio avrà la sua importanza: il referto medico sulle amnesie – reca- pitato, anche questo anonimamente, a una rivista – modificherà comple- tamente il senso del «delitto», offrendo di fatto un’alternativa all’accu- sa, ma renderà ancora più atroce il castigo:
«Uno psichiatra di chiara fama spiegava […] che il caso Fabry non era un caso di plagio in senso proprio, ma piuttosto di “criptoamnesia”. In parole povere, questo significava che Nicolas aveva letto Love is a Must e che la sua amnesia intermittente gli aveva permesso di dimenticare consciamente quella lettura e di registrarne ogni parola nell’inconscio»32.
Nicolas perde il processo, ma continua a urlare a tutti la propria innocenza. Il colpo di grazia glielo darà – come previsto da Edward – il ritrovamento del libro di Brown nella propria libreria. E scriverà una lettera, indirizzata all’amico, prima di suicidarsi:
32 F
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59 «Com’è possibile che il mio romanzo sia identico, pagina per pagina, a quello di Brown? Come ho potuto conservare, nelle pieghe inconsce della mia memoria, l’integralità di quel testo? […] Perché raccontava una storia analoga alla mia? […] È possibile che quello zombie inglese abbia sognato esattamente le stesse cose, abbia provato gli stessi identici sentimenti? […] Una cosa è certa, non potrò mai più scrivere. Come farei a sapere, a questo punto, se sono proprio io l’autore delle idee che esprimo e delle frasi che compongo?»33.
L’idea di base di «Delitto di stampa» è veramente formidabile, ciò che lo mette a distanza dall’aria di famiglia che si respira negli altri testi. Altri elementi di riflessione li dà l’adattamento cinematografico di Bernard Rapp, «Delitto tra le righe», di qualche anno posteriore34. Delle
numerose differenze – nel plot35 e nella struttura – alcune riguardano da
vicino il nostro tema. Un dialogo in particolare trattiene la nostra atten- zione:
«EDWARD La datazione del libro di Brown ci costringerebbe a provare che è il suo libro ad essere un falso36 […] Comunque gli elementi per pro-
vare che tu non l’hai plagiato ci sarebbero… per esempio c’è una differenza di base tra i due testi: nel tuo romanzo la giovane protagonista tunisina ama l’eroe, in quello di Brown lui la violenta…
NICOLAS Ma questo è proprio quello che rende tutto così diabolicamente ingegnoso, perché nessuno sa niente di quella parte della mia vita, ma è an-
33 F
IECHTER, Delitto di stampa, cit., 146-147.
34 Nella versione originale il titolo, Tiré à part, è identico a quello del romanzo. Il film,
sceneggiato e diretto da Bernard Rapp (con la collaborazione di Richard Morgiève per l’adattamento), è uscito in Francia nel 1996.
35 La più importante è certamente l’assenza di testimoni della macchinazione nel ro-
manzo e la loro presenza nel film.
36 Edward non spinge il suo umorismo – in un film dall’atmosfera decisamente british –
al punto da affermare che i grandi scrittori creano i loro precursori. Con gusto molto francese del paradosso Pierre Bayard (Le plagiat par anticipation, Paris, 2009) ha inve- ce pienamente sfruttato l’inversione temporale per delineare una ricca casistica di in- fluenze ‘retrospettive’.
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data così: conoscevo a malapena la ragazza e lei conosceva a malapena me, c’eravamo appena incontrati… e io l’ho violentata…»37.
Rispetto al romanzo, più ellittico su questo passaggio, il film offre una chiave ulteriore: eliminando la «correzione estetica» dello scrittore, il falsario ristabilisce una specie di anteriorità del «suo» libro che racconta la verità del passato e non l’edulcorazione del presente. Tornando al romanzo, avvincente nel suo intreccio, resta nel lettore una certa perplessità sull’inverosimiglianza dell’esito: utilizzare la cripto- amnesia del protagonista come arma finale significa spingersi troppo lontano. Può essere utile, a questo proposito, ricordare quanto scrive Posner sull’argomento:
«Esiste […] una parola, “criptoamnesia”, che definisce il plagio inconscio. Il plagiatore ha letto qualcosa e lo ricorda senza però ricordare di averlo let- to. Gli psicologi hanno condotto delle ricerche su questo fenomeno e non hanno trovato alcuna prova che dimostri che certe persone possano recitare a memoria brani scritti da qualcun altro credendo comunque di esserne gli autori, come non hanno trovato alcuna prova che dimostri l’esistenza di una memoria fotografica che dimentichi l’atto del fotografare»38.
Se il plagio inconscio può essere plausibile – verosimile – nel caso delle idee, immaginare qualcosa di analogo su un testo di notevoli dimensioni, come un intero romanzo, è assolutamente fuori questione. Anche il racconto del plagio deve rispettare le regole del gioco.
37 Trascrivo il dialogo dal dvd Delitto tra le righe, un film di Bernard Rapp, Medusa
Video.
38 P
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5. Il testimone
Tutte queste trame sono altrettante variazioni su un’ossessione. Questi romanzi parlano di plagio, certo, ma ci raccontano soprattutto delle storie. Lo sguardo di chi teorizza assomiglia un po’ a quello di un narratore non troppo implicato nelle storie che racconta, imprigionato in un altro livello. Talvolta, però, i livelli si confondono. Come nella «Peste di Camus», dove il narratore esterno – apparentemente «etero- diegetico», come direbbero i narratologi – rivela nelle ultime pagine di essere un personaggio della storia, mi trovo infine nella condizione di confessare qualcosa di analogo. Autore a mia volta di una storia che parla di plagio – il romanzo breve «All’incrocio delle righe»39 – non ho
qui resistito alla tentazione di sbirciare nelle storie degli altri. Nella si- tuazione ideale, forse, per riferirle, ma – come fa dire Camus al dottor Rieux – «col ritegno desiderabile». Testimone degli altri, passo per un istante il testimone a me stesso. Quelle storie si assomigliano un po’ tutte e sono tutte un po’ diverse. La mia, che lascio fuori campo, non fa eccezione. Le idee e le storie ritornano: i racconti cambiano.
39 S. V
DIRITTO E CREATIVITÀ MUSICALE.
VERSO IL MONDO DELLA COMPLESSITÀ
E DEL DIGITALE
Cosimo Colazzo
SOMMARIO: 1. Il diritto d’autore, un concetto problematico – 2. Uno sguardo
storico. Sino all’Ottocento – 3. Il diritto d’autore come diritto morale inalie- nabile – 4. Poi il labirinto del Novecento – 4.1. L’enfasi di Schönberg – 4.2. L’ironia di Stravinskij – 4.3. Il monachesimo di Satie – 4.4. Le bufere fina- li. Lo strutturalismo estremo – 4.5. L’alea di Cage – 4.6. Tentativi di fragile ricostruzione – 5. E la musica d’oggi? – 5.1. Navigare. Un viaggio che condu- ce al largo – 6. E oggi il diritto? – 6.1. Cosa si ricerca in un processo per pla- gio. Il pregiudizio della melodia. Due casi famosi – 6.2. Nuovi strumenti anali- tici e critici per la popular music – 6.3. Diritto e creatività. L’esposizione u- mana del diritto – 6.4. Nuove sfide, nuovi assetti.
1. Il diritto d’autore, un concetto problematico
Parlerò da compositore di un tema così importante come quello del diritto d’autore. Non nel senso che un tale tema mi sia familiare. Spesso si è compositori non perché questa si avverta come una profes- sione, con una sua precisa collocazione sociale, da cui derivino norme fisse, orari, doveri, diritti. Ci sono compositori che hanno una tale con- figurazione, o per scelta ideologica o perché dentro il tessuto dei rap- porti economico-professionali, e quindi in diretta presa su temi come quelli del diritto d’autore, dei contratti da rispettare e così via1. Ma ci
sono compositori, anche, che non hanno attitudine a questi temi.
1 C’è la scelta ideologica di chi dice che l’arte è artigianato, e quindi una professione:
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Da cosa derivi questo è difficile dirlo. Esistono due dimensioni dell’essere autore. Una che si svolge sul piano di una creatività perso- nale. L’altra di una creatività funzionale. Una incentrata sul soggetto, l’altra estroflessa nella dimensione sociale.
Spesso i compositori non si interessano del tema del diritto d’autore. È qualcosa che esiste sullo sfondo, un dato vissuto come sepa- rato dal proprio fare. Risulta stabilito, non lo si comprende a fondo nei vari meccanismi. Si beneficia di esso, ma non tutto è chiaro.
Anche la SIAE è pensata come una realtà non vicina. La stessa Società fa di tutto per tenersi a una distanza poco raggiungibile. Do- vrebbe essere una società democraticamente costituita, con un’assem- blea e momenti elettivi. Ma quanto sono partecipate le previste elezioni per la costituzione degli organi? Del tutto casuali sono i risultati. Un gioco di potere che trova riscontri concreti a partire da un movimento puramente periferico. Che produce influenze, ma a partire come da un fraintendimento.
Dovremmo pensare come mai accada tutto questo. Qui è in gio- co qualcosa di profondo. Come mai non si riesce a ricondurre le que- stioni che riguardano il diritto d’autore a una ragione unica, omogenea, organica?
Ci sono le questioni presenti, dell’evoluzione tecnologica avan- zata verso dimensioni imprevedibili sino a pochi anni fa, che mettono in crisi il senso della proprietà intellettuale e del diritto d’autore. Ma ci sono anche ragioni storiche, che vanno indagate. Perché non si assiste al passaggio da una realtà solida a una condizione liquida, da una realtà trasparente a una opaca che attende di essere compresa e gestita con nuovi mezzi.
L’opaco era già all’avvio.
chi, inserito nella dimensione della musica applicata, deve effettivamente ricavare esiti economici dal proprio lavoro, e quindi pone attenzione alle questioni del riscontro eco- nomico della propria autorialità.
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Quindi da compositore mi avventuro nel tema.
2. Uno sguardo storico. Sino all’Ottocento
È noto, il diritto d’autore è una produzione storica. Prima del Settecento l’autore è funzionale alla realtà di una produzione culturale molto legata alla corte e alle classi nobiliari. Ricopre un suo ruolo rico- nosciuto, anche apprezzato e ben remunerato, attraverso gli atti di libe- ralità del mecenate.
Ma con la stampa nasce l’editoria. Questa incomincia ad attrez- zarsi come un primo nucleo di impresa. Ottiene dal centro del potere la possibilità di produrre, stampando libri in molte copie2. L’autore in
questa fase è ancora un’ombra non riconosciuta. Convivono la nascita dell’editoria e una cultura legata alla corte e alle classi nobiliari, a lun- go. L’autore vive dentro questo terreno, e si fa interlocutore di una si- tuazione che si è resa molto più articolata, da cui tenta di ricavare pos- sibilità per sé. È una situazione molto fluida. Egli è autore, ricercato per le sue capacità di produzione creativa, di realizzare oggetti artistici per il suo pubblico, ma il consumo prevede che siano altri attori sulla scena in posizione dominante.
2 L’antecedente storico del copyright sorge in Inghilterra nel XVI secolo con lo scopo
di produrre un controllo della circolazione delle opere riprodotte tramite stampa. Si at- tiva un interesse reciproco tra il potere e i primi imprenditori della stampa a controllare la produzione libraria, da una parte in funzione di filtro e censura politica e morale, dall’altra per assicurare il profitto degli investimenti effettuati. A vigilare sulla produ- zione è la Corporazione degli editori, che tiene il Registro della Corporazione. Al Regi- stro vengono ammesse le opere destinate alla stampa, cui si attribuisce un copyright collegato a un editore. L’editore, tramite il copyright, ottiene una concessione per la stampa in termini esclusivi. Egli può ricercare e confiscare le stampe e i libri non auto- rizzati. Per aver accesso al Registro le opere devono superare un controllo preventivo, d’ordine politico e circa l’ammissibilità a copyright.
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Con il Settecento qualcosa inizia a cambiare. L’autore ottiene un qualche riconoscimento. Può, in rapporto all’editore, imporre un suo veto. Certo vale poco. Condizione più teorica di un riconoscimento per