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4 LA CONGREGAZIONE DI CARITA’ DI ROMA

3. IL FASCISMO E L’ASSISTENZA “ORDINATA”

1.3 L’accelerazione totalitaria

1.3.1 Dalla Congregazione di Carità all’Ente Comunale di Assistenza

Il governo Mussolini, come è stato già detto, rafforzò da subito la missione assistenziale della Congregazione di Carità, la cui attività nell’Italia liberale era stata ostacolata sia dalle limitate risorse rispetto alle necessità della beneficenza locale, sia dall’autonomia che con successo erano riuscite a conquistare e a mantenere alcune Opere Pie dopo aver accumulato consistenti patrimoni732. In età fascista, la Congregazione ottenne l’amministrazione di gran parte delle Opere Pie cittadine e conobbe cambiamenti vari nella sua articolazione733. Le direttive del 1923 stabilirono, infatti, che il numero dei membri della Congregazione scaturisse dal peso demografico di una città; e che la maggior parte dei componenti fosse eletta dal sottoprefetto, il resto, invece, dal consiglio comunale. Nella città di Roma, ad esempio, dove la popolazione superava i 700.000 abitanti734, la Congregazione contava 13 membri, di cui 7 erano nominati dal sottoprefetto tra persone competenti in materia assistenziale735.

Qualche anno dopo, la legge Federzoni, come è stato già detto, fece prevalere i membri di nomina comunale su quelli di nomina governativa, trasformando la Congregazione nel fulcro della beneficenza locale736. Questo cambiamento, oltre ad essere influenzato da ragioni politiche già accennate, era stato condizionato anche dalla grave crisi economica presente in Italia, e doveva perciò servire per intervenire in modo più veloce ed adatto nei vari contesti cittadini. Proprio nel 1926, la macchina dell’assistenza fascista cominciò a realizzare iniziative più concrete, intensificandole negli anni a venire, con la collaborazione proprio delle Congregazioni: dalla distribuzione spicciola di sussidi in denaro e in viveri, alla installazione di cucine economiche, ranci del popolo, dormitori, ricoveri per i poveri, fino alle attività, ben più impegnative,

732 D. Preti, Economia e istituzioni nell’Italia fascista, cit., p. 220.

733 Legge 26 aprile 1923, n. 976; D. Preti, Economia e istituzioni nell’Italia fascista, cit., p. 220. 734

«Bollettino mensile di statistica del Comune di Roma», dicembre 1923.

735

Legge 30 dicembre 1923, n. 2841, articolo 5.

144 delle colonie marittime e montane per i figli dei lavoratori, destinate a diventare il

fiore all’occhiello del fascismo.

Sull’esempio del nuovo ordinamento podestarile soggetto al modello dell’amministratore unico assistito da un organo consultivo, nel 1928 avvenne un cambiamento simile nell’assetto della Congregazione737

con il passaggio del potere esecutivo e deliberativo nelle mani del presidente, nominato ora dal prefetto e non più dal consiglio d’amministrazione dello stesso ente. Questo provvedimento rispecchiava appieno la trasformazione del sistema politico italiano in un regime a partito unico, in cui era stato distrutto il sistema parlamentare; e in seno alla Congregazione, infatti, non c’era più libertà d’azione. Il prefetto, i cui poteri erano notevolmente accresciuti, nominava pure il comitato dei patroni738, il quale aveva funzioni esclusivamente consultive e doveva essere obbligatoriamente sentito solo per gli atti più importanti della Congregazione e per quelli degli istituti da essa amministrati739.

In tutta Italia, le Congregazioni di Carità diedero prova di un’insoddisfacente attività assistenziale, causata principalmente dagli scarsi incentivi economici dello Stato. Le Congregazioni peccarono poi di disorganizzazione amministrativa e di scarso controllo sui sussidi assegnati. Capitava, infatti, che alcune Congregazioni devolvessero soltanto una parte dei loro redditi alle persone meno abbienti, continuando a sostenere peraltro molti «succhioni», cioè individui non realmente bisognosi. In certe Congregazioni, invece, la mancata presentazione dei conti consuntivi, nonché l’assenza di una revisione o approvazione degli stessi, causò la volatilizzazione del patrimonio dei poveri. Infine, le negligenze e gli errori degli amministratori delle Congregazioni non furono correttamente sanzionati dalle prefetture; e l’applicazione di procedure abbreviate per la sistemazione dei conti si tradusse in molti casi in sanatorie di abusi e malversazioni740.

Nel 1937, il governo fascista istituì l’Ente comunale di assistenza (ECA) che assorbì le funzioni e i patrimoni non solo delle Congregazioni di Carità ma anche degli Enti Opere Assistenziali (EOA), che erano enti a “gestione speciale”

737

Legge 4 marzo 1928, n. 413.

738 Regio decreto 7 giugno 1928, n. 1571.

739 A. F. Gamberucci, Commento organico alla legge sulle istituzioni pubbliche di assistenza e

beneficenza, cit., p. 536.

740

E. Trinchieri, Dalla carità all’attuazione piena della solidarietà, in «Manuale Astengo», LXXV, n. 4, pp. 75-76.

145 del PNF, presenti in ogni Comune e diretti dal segretario federale del partito741.

Per legge, l’ECA doveva occuparsi dell’assistenza all’infanzia abbandonata742 ma, in continuità con i compiti degli enti incorporati, esercitava anche finalità di carattere generico, cioè soccorsi e/o prestazioni immediate e temporanee tanto in denaro quanto, se non soprattutto, in natura, come la distribuzione degli alimenti.

L’azione dell’ECA fu caratterizzata perciò da una singolare discrasia tra le attribuzioni derivanti dalla legge istitutiva dell’ente e le concrete prestazioni elargite dallo stesso. Questo stato di cose generò una profonda confusione, peraltro mai risolta, circa i reali ambiti di competenza dell’ECA.

Più volte il Ministero dell’Interno invitò gli ECA a limitare la propria azione alle sole forme di assistenza generica, trasferendo alcuni trattamenti particolari, a partire proprio dall’assistenza all’infanzia, ad altre istituzioni e in primo luogo alle amministrazioni comunali. Ma il sostegno ai minori in stato di abbandono trovò invece largo spazio tra le prestazioni erogate da questi Enti743.

L’istituzione dell’ECA, avvenuta mentre il regime riprendeva i temi populistici («andare verso il popolo»), rientrava in un progetto di ammodernamento e di razionalizzazione del sistema assistenziale italiano, volto a rimarcare la differenza tra beneficenza ed assistenza e a valorizzare la funzione preventiva su quella caritativa; e mirava anche ad annullare lo scarso, se non addirittura nullo, coordinamento delle attività assistenziali svolte da istituti obsoleti, dal PNF, dalle organizzazioni sindacali e da benefattori privati.

Ogni ECA era retto da un comitato presieduto dal podestà e composto da rappresentanti sia del PNF che sindacali, con il supporto poi dei fasci femminili744, preziosissimi per la raccolta di fondi e di sussidi da distribuire ai

741 M. G. Pipino, Istituzioni e assistenza pubblica in Italia tra fascismo e Repubblica. Gli enti

comunali di assistenza, parte II, in «Instoria», 2010, n. 26.

742

Tra le norme legislative in tema di assistenza all’infanzia con esclusivo riferimento alle competenze dell’ECA, fondamentali si rivelarono l’art. 5 del regio decreto 5 febbraio 1891, n. 99, e l’art. 20 del regio decreto legge 30 dicembre 1923, n. 2841, che rendevano obbligatorie lo stanziamento nel bilancio dell’ente di almeno un terzo delle rendite per l’assistenza ai fanciulli poveri che non potevano essere assistiti come esposti e per sussidi a favore dei minori legittimi riconosciuti in stato di abbandono morale e/o materiale, in M. Paniga, L’Eca di Milano e il

sostegno all’infanzia abbandonata, in M. Minesso, Welfare e minori: l’Italia nel contesto europeo del Novecento, Milano 2011, p. 571.

743

Ibidem, pp. 371-372.

744

I nuovi Enti comunali di assistenza. Organizzazione dell’Ente governatoriale di assistenza, in «Capitolium», XII, n. 11-12, pp. 565-566.

146 poveri e, in particolare, ai figli dei poveri: giocattoli, corredini alle mamme, buoni

gratuiti per libri, indumenti, latte, zucchero e pane745.

La capacità finanziaria dell’Ente comunale d’assistenza dipendeva dal contributo statale, basso rispetto alle urgenze, ricavato annualmente dal bilancio di previsione del Ministero dell’Interno746; dall’applicazione del 2% su alcuni tributi erariali, provinciali e comunali747; e dalla munificenza privata748. Nel 1940, lo stanziamento sul bilancio del Ministero dell’Interno venne fissato nella misura di 180 milioni annui749.

L’ECA continuò e migliorò l’organizzazione dei “ranci del popolo”, fino ad allora gestita dagli EOA, distribuendo e facendo consumare il cibo o in apposite sedi denominate “Case dell’Assistenza”, sorte, però, soltanto in alcuni Comuni, oppure altrove, ad esempio nelle case degli stessi beneficiari. I “ranci del popolo” sostituivano l’assistenza offerta in passato, in periodi di eccezionale bisogno, dalle “cucine economiche” o “cucine popolari”, alla luce dell’idea cristiana di dover soccorrere il povero. Questa idea è sopravvissuta in età fascista ma è stata piegata ad obiettivi politici, cioè al destino di grandezza della Nazione.

Per facilitare e rendere meno costoso l’acquisto dei generi occorrenti al funzionamento dei “ranci”, il governo s’avvaleva sia di forniture all’ingrosso sia di speciali convenzioni con commercianti e fornitori locali750. Nel biennio 1938- 1939, più di 800.000 persone beneficiarono di questa tipologia d’assistenza751

. Per disciplinare la distribuzione di cibo in relazione alle norme concernenti il razionamento e l’acquisto di alcuni generi alimentari presso i rivenditori, il Ministero dell’Interno, d’intesa con il Ministero delle Corporazioni, permise agli ECA, nel caso dei ranci del popolo, di prelevare i generi alimentari direttamente dai commercianti con le carte annonarie degli assistiti. Nel caso di concessione di

745 S. Colarizi, Storia del Novecento italiano: Cent’anni di entusiamo, di paure, di speranze,

Milano 2011.

746

Decreto legge 30 novembre 1937, n. 2145.

747 A. Boni, Gli Enti comunali di assistenza nell’opera svolta dal Regime nel campo sociale, in

«La rivista della assistenza e della beneficenza», III, n. 9, p. 284.

748

Relazione della Direzione generale dell’Amministrazione Civile rivolta alla R. Legazione di Ungheria, risalente al luglio 1943, in ACS, MI, DGAC, DABP, tr. 1940-1942, b. 4, fascicolo n. 25100.90 «Organizzazione dell’assistenza e della beneficenza in Italia. Richiesta di notizie da parte dei paesi esteri».

749 Legge 8 aprile 1940, n. 377. 750

Appunto della Direzione generale dell’Amministrazione civile al gabinetto del Ministero dell’Interno, in data 21 settembre 1940, in ACS, MI, DGAC, DABP, tr. 1940-1942, b. 3, fascicolo n. 25100.38 «Richiesta di informazioni da parte della Bulgaria circa le cucine popolari».

751

Appunto della Direzione generale dell’Amministrazione civile al gabinetto del Ministero dell’Interno, in data 21 settembre 1940, in ACS, MI, DGAC, DABP, tr. 1940-1942, b. 3, fascicolo n. 25100.38 «Richiesta di informazioni da parte della Bulgaria circa le cucine popolari».

147 viveri in natura, invece, si rilasciava a ciascun assistito un buono corrispondente al

prezzo del prodotto da acquistare e da esibire, insieme alla carta annonaria, al rivenditore, il quale, in un secondo momento, lo rimetteva all’ECA per ottenerne il pagamento752.

Poiché gli ECA dovevano occuparsi d’assistenza generica, nella capitale nacquero, nel 1938753, gli “Istituti riuniti di assistenza e beneficenza della città di Roma” 754

che assorbirono le attività d’assistenza specifica esercitate un tempo dalla Congregazione di Carità, come il ricovero e l’assistenza alle gestanti e alle partorienti povere, agli orfani, ai minorenni abbandonati e agli inabili al lavoro755. Il primo presidente del nuovo ente fu il senatore Carlo Scotti, già presidente della Congregazione di Carità.

Nello statuto degli Istituti Riuniti, era indicato un consiglio amministrativo composto da cinque membri: il presidente ed un componente erano nominati dal prefetto di Roma; due componenti, invece, dal Governatore; ed uno, infine, dal Segretario Federale dell’Urbe quale comandante federale della GIL. Successivamente anche il Regio Provveditore agli Studi della Provincia poté eleggere un suo rappresentante756. Da uno sguardo ai componenti, è chiaro che gli Istituti Riuniti erano un esempio di ente strettamente controllato dal governo in linea con la fascistizzazione delle istituzioni promossa dal regime757.

Secondo il duce, l’attività di soccorso conquistò con gli ECA una funzione sociale di umana e civile solidarietà, giovandosi del coordinamento delle azioni compiute dai vari soggetti assistenziali: «non sarà più ammissibile un’azione di beneficenza e di assistenza per compartimenti, ma tutte le molteplici attività, mediante la comprensione delle reciproche finalità, degli svariati compiti a

752

Circolare della Direzione generale dell’Amministrazione civile ai prefetti del regno, in data 27 dicembre 1940, in ACS, MI, DGAC, DABP, tr. 1940-1942, b. 3, fascicolo n. 25100.43 «Razionamento della pasta e del riso».

753

Regio decreto legge 28 novembre 1938, n. 1904.

754

Verbale Adunanza del Consiglio di Stato, in data 11 marzo 1941, in ACS, MI, DGAC, DABP, tr. 1940-1942, b. 99, fascicolo n. 26071.41 «Istituti di assistenza e di beneficenza. Statuto».

755 Gli Istituti Riuniti erano formati dalle seguenti istituzioni: Opera Pia Corraducci Orsini, Opera

Pia Salucci, Orfanotrofio femminile in tenuta Bufalotta, Opera Pia Casa del Pane, colonia agricola in tenuta Bufalotta, Opera Pia Redenzione, Opera Pia «Camilla Scotti», Opera Pia De Cupis, casa di cura «Regina Margherita», asilo infantile «Carlo Scotti», asilo nido «Principessa di Piemonte», Opera Pia Carlo Scotti, centro materno in Ostia Lido, Istituto materno «Regina Elena», sala materna Savetti, Opera Pia Baliatico, Ospizio Umberto I in San Cosimato, Opera Pia Balestra, Legato Simonetti in Frascato, Opera Pia «Casa delle vedove», policonsulenza medica «Vittorio Emanuele III», Giardini operai nel quartiere S. Lorenzo, eredità De Romanis, cfr. regio decreto legge 28 novembre 1938, n. 1904, articolo 1.

756

Promemoria del Ministero dell’Interno, in ACS, MI, DGAC, DABP, tr. 1940-1942, b. 26, fascicolo n. 26071.41 «Istituti di assistenza e di beneficenza. Statuto».

148 ciascuno assegnati, delle mete ultime da raggiungere, conseguiranno quel

sincronistico ed armonico movimento che è da più parti auspicato»758.

In conclusione, la nascita dell’ECA fu l’ultima tappa di quel percorso intrapreso dal regime volto a creare uno Stato sociale ampio e in grado di occuparsi di ogni materia; e, nello stesso tempo, fu un mezzo pensato per il potenziamento della Nazione da un lato e per la costruzione di un ampio consenso dall’altro759

.

La presenza dell’aggettivo “comunale” nel nome del nuovo ente stava ad indicare la vicinanza all’amministrazione cittadina piuttosto che al Partito, con l’obiettivo di rendere l’assistenza ancora più capillare e di «sganciarla dalla dimensione del consenso per farla entrare in quella del diritto»760.

758 Il modello di statuto organico per gli Eca, in «Rivista della assistenza e della beneficenza», VI,

n. 3, p. 43.

759

M. G. Pipino, Istituzioni e assistenza pubblica in Italia tra fascismo e Repubblica, cit.

149

4. «SALVIAMO IL FANCIULLO!»: CAMBIAMENTI E