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Cap 2. La crisi del modello Fordista

2.11 Dalla fabbrica integrata alla fabbrica modulare

Alcune industrie automobilistiche europee (Fiat, Renault, Peugeot, Volkswagen) hanno imboccato la strada della produzione snella e possiedono alcuni elementi in comune:

• Un massiccio uso di tecnologie avanzate che consente di diminuire lo sfruttamento della manodopera

• La ricerca di accordi con il sindacato per il coinvolgimento consensuale della manodopera in proposte di miglioramento

L’attuazione di forme di organizzazione modulare (cellular manufacturing) adatte per gestire con rapidità e flessibilità le anomalie di processo e di prodotto

• leggeri miglioramenti nei valori tipici della produzione snella (tempi di allestimento, scorte, tempi di attraversamento

Vi sono due vie di superamento del fordismo; la via occidentale che predilige la tecnologia e la via giapponese che privilegia l’organizzazione (Bonazzi, 2007). Qui di seguito un diagramma per rappresentare i due modelli:

Fonte: Bonazzi G., Storia del Pensiero Organizzativo Vol.1, La questione industriale, FrancoAngeli, 2007

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La casella 1 corrisponde alla produzione di massa e standardizzata tipica del modello fordista, con meccanizzazione rigida35.

La casella 2 rappresenta la via occidentale della produzione snella, con una intensa implementazione di tecnologia avanzata (anni ‘80). Il post-fordismo grasso riguarda una massiccia dose di automazione avanzata, inserita all'interno dei processi produttivi. Viene posta maggiore attenzione alle prestazioni delle nuove tecnologie più che alle Risorse Umane. La casella 3 è il modello giapponese di produzione snella, applicato soprattutto all’organizzazione. La fabbrica integrata della casella 4 si ha in una seconda fase del processo di allontanamento dal fordismo, in cui sono presenti sia lo snellimento organizzativo che le tecnologie avanzate. Quest’ultima casella include il percorso compiuto dalla Fiat per arrivare alla Fabbrica Integrata. La Fabbrica Integrata nasce con l’intento di sostituire quella ad Alta Automazione, nella quale si trovano dei contrasti tra le tecnologie estremamente avanzate e la loro gestione, rimasta di tipo tradizionale. Verso la fine degli anni ‘80 la direzione Fiat comprese che per migliorare la qualità del prodotto, oltre ad apportare tecnologie fortemente avanzate all’interno dell’industria automobilistica, bisognasse riporre l’attenzione sull’importanza del fattore umano, delegare più responsabilità dal basso, chiedere il coinvolgimento della forza-lavoro. La ricerca di Bonazzi, nota che l’Alta Automazione portò a nuovi impianti e questo cambiò il modo di lavorare all’interno dell’officina; vi fu un netto miglioramento delle condizioni ergonomiche ambientali. Dalla seconda metà degli anni ‘80, il lavoro si svolge in locali più ordinati, puliti, più sicuri; è divenuto più trasparente, perché i controlli sono incorporati nelle tecnologie e sono più conformi agli standard perché le innovazioni tecniche le rendono meno soggette alle variazioni umane di quantità e qualità. Spesse volte l’automazione flessibile è stata affiancata allo sviluppo di un neo-taylorismo informatizzato piuttosto che alla crescita generalizzata di autonomia e capacità professionale. La Toyota ha puntato sul coinvolgimento umano, attraverso la via del kaizen ed il principio della produzione snella, mentre la Fiat ha dato la precedenza prima alla tecnologia e poi solo in un secondo tempo alle risorse umane. Bonazzi nel 1997 condusse una ricerca all’interno degli stabilimenti Fiat, per verificare in che modo la fabbrica integrata era stata messa in funzione. In particolare pose la sua attenzione sulle UTE (Unità Tecnologiche Di Mestiere). Le UTE sono delle squadre dotate di completa autonomia e responsabilità; composte di tutte le risorse umane e tecniche necessarie per risolvere ogni eventuale anomalia, senza richiedere interventi esterni. Attraverso lo shadowing, pratica con la quale si attuava l’osservazione diretta e prolungata della giornata lavorativa di ogni singola persona all’interno delle UTE, si iniziò a prendere nota di tutte le azioni compiute e del tempo impiegato in ogni singola azione. Scopo della ricerca era osservare quanto le risorse umane fossero in grado di affrontare le problematiche attraverso il principio del miglioramento continuo, adottato sia dal modello giapponese che dalla Fabbrica Integrata. Venne osservato che nei reparti di lastratura i capi UTE e i tecnologi riuscivano a dedicarsi anche alla ricerca di tecniche e pratiche volte al 35 Gli operai erano obbligati ad eseguire compiti dettati dal ritmo delle macchine, le quali erano disposte

miglioramento, mentre nelle UTE di montaggio i capi non riuscivano a fare altrettanto, perché erano presi dalle mille emergenze quotidiane. La ricerca dimostrò che il post- fordismo fu un processo di profonde trasformazioni. Tra il XX e XXI secolo si assiste alla terziarizzazione, vengono cedute ad imprese esterne, fasi e servizi che fanno parte del processo produttivo e che si svolgono in siti appartenenti all’impresa madre. I contributi della varie imprese, divenuti una sorta di condomini impegnati nel raggiungimento di un obiettivo comune , vengono chiamati moduli, e la fabbrica che ne nasce è definita modulare. La Fabbrica Modulare nasce perché le imprese, tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90, sostennero degli investimenti che non fruttarono quanto atteso, e venne deciso di coinvolgere le risorse aziendali intorno alle sole attività di competenza dell’azienda, le cosidette core competence, tutto quello che non era di competenza dell’impresa stessa veniva delegato all’esterno. Le attività considerate di non core, erano per esempio, quelle amministrative, logistiche, di manutenzione. Tali attività vennero cedute ad impianti esterni, per i quali queste operazioni erano di loro competenza. L’impresa madre stipula un contratto con queste aziende, le quali sono in grado di garantire vantaggi in termini di costi, di qualità ed impegno. Una volta soddisfatti gli impegni presi con l’industria madre, sono libere di utilizzare gli impianti anche per altri clienti. Si può verificare il caso in cui in azienda vi sono lotti destinati all’impresa madre e lotti destinati ad altri concorrenti. Vengono costituiti quindi dei rami d’azienda, nei quali vengono definiti i confini amministrativi della fase produttiva o del servizio da erogare. Nei mesi precedenti la cessione, i rami vengono sigillati per calcolare minuziosamente il valore di ogni scambio tra di esso e l’ambiente esterno. Questa pratica consiste nell’impedire che prestiti informali di materiale o di risorse umane “inquinino” tali rami aziendali. Ogni scambio tra il ramo d’azienda in via di cessione e il restante ambiente diventa oggetto di valutazione monetaria e quindi di “addebito” in termini di dare e avere. Solo quando il ramo di azienda risulta dotato di completa autonomia funzionale e commerciale, esso diventa oggetto di cessione.

Come possiamo notare anche nella Fabbrica Modulare si viene a costituire un lavoro di squadra, dove le decisioni vengono prese in comune tra l’impresa fornitrice e quella madre. Mentre nella fabbrica integrata il processo organizzativo rimane verticale perché non vengono distinte le attività di competenza da quelle di non competenza, la Fabbrica Modulare pone questa netta distinzione, comportando un notevole risparmio in termini di costi. A differenza di quelle integrata, esternalizza delle decisioni e responsabilità, che non vengono più delegate al basso ma fuori dalla struttura aziendale. La via occidentale alla produzione snella è stata più graduale di quella giapponese, dando maggiore attenzione alla tecnologia più che all’organizzazione. La pratica dell’outsourcing consente all’azienda di beneficiare di non pochi vantaggi, soprattutto in termini di costi ma anche organizzativi. Esternalizzando tutte le attività che per l’impresa costituiscono un costo permette all’azienda di sviluppare al meglio le proprie attività di competenza. La terziarizzazione coinvolge in prima persona anche le risorse umane, le quali

possono esse stesse essere spostate in altri stabilimenti, oppure impiegate in altre attività. (Daft, 2013, Bonazzi, 2007)

All’interno di uno stabilimento Fiat, Oggi Fonte: wikipedia

Stabilimento Fiat anni ‘60 Fonte: torino.startupitalia.eu