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DALLA TOTALIZZAZIONE ALLA DISSEMINAZIONE:

Nel documento Desiderare. Tra stanchezza e disagio. (pagine 47-61)

FARSI GUIDARE DA MORONCINI

NELLA LETTURA DEL LACAN POLITICO

Un crudele compagno di strada

Incrociare il pensiero di Bruno Moroncini significa percorrere i sentieri di grandi, decisivi filosofi del Novecento e riscontrarne il comune ruolo di riferimento magistrale: eppure ciò che sorprende è che in questo percorso comune (penso a Benjamin, Derrida, Lacan o Foucault) non c’è familiari- tà, ma piuttosto sorpresa, spiazzamento. Il modo di leggere di Moroncini è l’opposto dell’ermeneutica, intesa come sapere che neutralizza il pensare di un filosofo nella sua rappresentazione storica.

Attentissimo all’analisi diretta dei testi, sensibilissimo al contesto nel quale sono prodotti, pure il suo sguardo rispetto ad essi è tagliente, ostile ad ogni chiusura e soprattutto ad ogni “messa in pratica”, impietoso e direi crudele, rispetto alle urbanizzazioni e utilizzazioni che il pensiero accade- mico, il discorso universitario, ne compie. Cosicché diventa un compagno di strada difficile, sorprendentemente sovversivo. Il termine sovversivo qui coesiste non con una rivoluzionarietà a buon mercato, ma con una destabi- lizzazione decisiva, appassionata quanto sorvegliata e a suo modo appunto crudele delle illusioni delle quali tutti, ma in particolare noi filosofi politi- ci, viviamo. È appunto dalla prospettiva del filosofo politico, malfamata genia di prescrittori di buone ricette alla politica, che tenterò in queste bre- vi riflessioni di incrociare Bruno Moroncini.

Nonostante mi appassionino specialmente le cose che ha scritto su Benjamin, mi concentrerò su Lacan, su quello che si impara e si impara a disimparare leggendo i suoi saggi sul Lacan politico, mentre gli scritti su Benjamin resteranno nello sfondo a ricordarmi alcune coordinate del suo pensiero che funzionano anche nel contesto della riflessione sulla politici-

tà di Lacan1. Consapevole che Bruno Moroncini, dopo grandi scritti inter-

pretativi del pensiero di Lacan, è stato quasi costretto a prendere posizione sul ‘Lacan politico’ proprio per puntualizzare un tratto caratteristico del suo lavoro di filosofo lettore di filosofi: ‘utilizzare’ per sogni-progetti poli- tici autori come Benjamin o come Lacan ne tradisce il vero effetto in sen- so lato politico, che è sovversivo e destabilizzatore in modo molto diverso. Se vivere dentro un autore in qualche modo traspare dai modi in cui vi- viamo noi stessi, la vita lacaniana di Moroncini conserva lo stile tagliente, ironico, inquieto sempre pronto a cambiare angolatura su quanto sembrava acquisito, dei seminari lacaniani e soprattutto ne custodisce il rifiuto a con- cludere un discorso pronto ad essere utilizzato dalla pratica. Lacan non si usa per fare politica, ma per vedere le cose abituali in una prospettiva sor- prendentemente diversa.

Il discorso analitico d’altronde sconvolge la canonica questione tra teo- ria e prassi, critica e realizzazione, norma e fatti, perché è già pratica.

L’utilizzazione politica di Lacan: il paradigma del Tutto/eccezione

Sarebbe superfluo dire queste cose, se non ci trovassimo oggi di fronte, nell’ambito del pensiero politico, ad alcune riletture molto serrate di La- can, indirizzate a rivitalizzare il cadavere più prestigioso della già mori- bonda politica, il soggetto, in eterno tramonto e la contestuale agonia delle forze antagoniste, rivoluzionarie.

La centralità, nella razionalità politica neoliberale, dei processi di sog- gettivazione in senso lato biopolitici, ha infatti portato con sé un’attenzio- ne, inedita nella filosofia politica, ai processi di soggettivazione attraverso i quali si potenzia e si governa la realtà sociale. La povertà riduttiva dell’an- tropologia classica liberale da una parte e dall’altra i potenti attacchi deco- struzionisti alla retorica umanista (che peraltro continua a governare i di- scorsi della politica e del diritto) hanno segnalato ad alcuni pensatori politici post-decostruzionisti l’urgenza di un’analitica del soggetto più ac- corta e complessa (da traslare al livello delle soggettività collettive). Ecco dunque l’opzione lacaniana che annodando il ritorno a Freud con la lingui- stica sembra offrire gli strumenti adeguati per un possibile ritorno, post-de- costruttivo e consapevolmente problematico, alla logica moderna della rappresentazione e del soggetto.

Moroncini data l’incontro tra psicoanalisi lacaniana e filosofia politica al 20032, ma forse sarebbe d’accordo ad arretrarlo non solo ovviamente alla

stagione althusseriana, ma, più di recente, alla immissione massiccia della terminologia lacaniana nel libro che ha dato inizio alla ripresa anti e post- decostruzionista del soggetto politico: Hegemony and socialistic strategy di Laclau e Mouffe, del 19853.

Qui la marca strumentale della lettura di Lacan si fa esplicita e si inseri- sce in un contesto strettamente politologico. Il libro che prende atto della crisi degli anni ottanta dell’ideologia e dell’economicismo marxiani e assu- me come punto di partenza la pluralità e la disseminazione delle istanze identitarie e culturali enfatizzata dal decostruzionismo, cerca una alternati- va alla resa del socialismo della terza via alla insorgente temperie neolibe- rale. Questa alternativa che recluta Lacan in uno schieramento marcata- mente emancipazionista e ‘di sinistra’, rilancia la costruzione gramsciana di un soggetto-popolo, disancorandolo però dalla lotta di classe considera- ta improponibile. La traslazione lacaniana delle categorie freudiane in ter- mini logico-linguistici appare decisiva per non perdere l’immenso portato del mondo pulsionale che l’inclusione dell’inconscio fornisce alla com- prensione della politica, mantenendo però aperta la duttilità e il costruttivi- smo che lo sradicamento dal piano della struttura biologica e/o economici- sta sembra promettere. Un libero utilizzo di Lacan, esplicitamente richiamato da Laclau nel suo trialogo con Butler e Zizek a proposito della crisi del soggetto di sinistra4, determina un decisivo allargamento dell’on-

tologia e antropologia politica: “non un nuovo campo regionale ma piutto- sto l’apertura di un nuovo orizzonte trascendentale al cui interno l’intero campo di oggettività deve essere nuovamente pensato”5, un arricchimento

del lessico politico di relazioni e di termini (il soggetto barrato, il fallimen- to strutturale del simbolico, l’immaginario, le catene metonimiche...) tra- slati, talvolta in modo meccanico grazie alla dinamica strutturale linguisti- ca, nel processo di costruzione dell’identità politica. Nonostante queste fragilità, il successo è notevole: si allarga la platea dei lettori di Lacan in chiave politica alla ricerca del Soggetto perduto; particolarmente attiva

2 ivi, p. 12.

3 E. Laclau, Ch. Mouffe, Egemonia e strategia socialista, Il nuovoMelangolo, Ge- nova 2011.

4 E. Laclau, Il ruolo dell’universale nella costituzione delle logiche politiche, in J. Butler, E. Laclau, S. Zizek, Dialoghi sulla sinistra. Contingenza, egemonia, uni- versalità, Laterza, Bari Roma, 2010, dove Laclau rivendica l’“appropriazione ete- rodossa di Lacan per lo studio dell’egemonia” p. 66.

nell’ambito degli studi postcoloniali per i quali il ripensamento di un sog- getto identificabile appare urgente, dopo la dissoluzione dei confini identi- tari essenzialisti operato dalle teorie decostruzioniste del metissage 6.

Ci si muove tra il polo della neutralizzazione della meccanica positivista della scena edipica freudiana (lo schema linguistico e logico infatti attiva la dinamica del rapporto soggettivazione/realtà sociale nella sua struttura formale) e la resistenza che Lacan oppone ad una decostruzione infinita. Ci sono delle irriducibilità, dei punti limite sia sul versante linguistico, che è destinato a non saturare il suo compito di significare il reale ma non perciò può essere abbandonato in favore di una immediatezza che non sia psicoti- ca; sia sul versante del soggetto che a sua volta e di conseguenza, non fuo- riesce dal linguaggio anche se ne costituisce la ferita, la mancanza ad esse- re, il fallimento della rappresentazione.

È proprio il combinato della centralità del discorso con la persistenza re- siduale ma ineliminabile del soggetto – in un clima di decostruzionismo e desoggettivazione euforica o malinconica sul quale converge la razionalità neoliberale non identitaria, ma modale e funzionalista – che attira l’atten- zione del pensiero politico. Non rinunciare al soggetto che totalizza e dà senso – cosa che sembra indispensabile per la politica – per quanto ferito, attraversato da un gap strutturale fin troppo esplicitato dalla barra imposta alla S; e contemporaneamente abitare e operare nel discorso, con la sua concretezza di potere e di normatività di ascendenza nietzscheana, ma sen- za la pesante oggettività della struttura economicista marxiana che prede- termina i soggetti dell’agency politica: queste sono leve cui è difficile ri- nunciare se si vuole rilanciare la politica.

E in Lacan soggetto e discorso rinviano l’un l’altro: il soggetto è il risul- tato dell’azione strutturale di una logica del significante o della lettera, dell’inserimento cioè della soggettività nella dimensione simbolica del Linguaggio, nel cui sistema di leggi (langue) si iscrive7. La sua dimensio-

ne sociale è dunque costitutiva. La procedura che forma il soggetto, rappre- sentato da un significante presso un altro significante, lo taglia, lo barra ($), in modo tale che non se ne dà piena rappresentazione8.

6 Cfr. G. Spivak, Critica della ragione postcoloniale, Meltemi Roma 2004; sul tema L. Bazzicalupo, Postcolonial studies: tra decostruzione e antagonismo in Politica & Società, Vol. 2, 2009, pp. 29-49.

7 J. Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, in Scrit- ti, I, Torino, Einaudi 2002, specie p. 265 e p. 293.

8 J. Lacan, Il Seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi, Einaudi, Torino 2008 p. 62.

Ecco: Lacan serve a Laclau a segnalare la rappresentazione impossibile ma necessaria dell’irrappresentabile Tutto che è la società.

Ma dove si colloca la barra? Il Reale diventa il nodo del dibattito politi- co tra questi lacaniani: è da intendersi come “la barra la cui funzione con- siste nel mostrare l’impossibilità ultima di una piena rappresentazione”: oppure “come qualcosa che allarga la relazione di rappresentazione (come rappresentazione fallita chiaramente) al di là di ogni limitazione?”9. Questo

quesito che contrappone Laclau a Butler diventa cruciale per cogliere i li- miti e le potenzialità dell’’utilizzazione’ politica di Lacan. E può essere te- nuto presente per capire il trascorrimento da una logica del Tutto/eccezio- ne fedele ad una lettura (sia pur meccanica) del primo Lacan, nel quale la barra è iscritta nel simbolico, e una lettura dell’ultimo Lacan dove il non- Tutto (che è già presente nel paradigma del Tutto/eccezione come obiezio- ne che gli inerisce) rinvia ad un sistema indeterminato, privo di legge, dove il Reale si sconnette dal simbolico e deraglia invadendo il centro della sce- na. Con effetti sociali e politici. A mio avviso questo mutamento di pro- spettiva mostra tutta la irriducibile inquietudine che, come si è detto, è il vero portato politico di Lacan.

Nel caso di Laclau la barra inerisce al simbolico: “se ciò che è rappresen- tato è un limite interno al processo di rappresentazione in quanto tale, (...) il Reale diviene un nome per il fallimento stesso del Simbolico nel realizzare la propria pienezza”10. Uno spazio vuoto, che somiglia al trono vuoto della

democrazia lefortiana, che viene riempito nominalisticamente in modo con- tingente e vagamente isterico. È d’altronde la logica della rappresentazione l’ineludibile cerchio entro il quale si compie l’esperienza del potere (e, come vedremo, la trasmissione del sapere). In questo cerchio si iscrive il pensiero neoegemonico che ritiene indispensabile la totalizzazione della so- cietà attraverso un soggetto unificante, pur nella consapevolezza che il Tut- to, per quanto necessario, è irrappresentabile. La possibilità di chiudere il Tutto in una rappresentazione simbolica sta nella funzione fallica che pog- gia sulla ex-sistenza di una eccezione per la quale l’interdetto castrante ov- vero il taglio del linguaggio non vale. È la logica significante stessa che im- plica l’eccezione, ed è questa eccezione che permette la articolazione ordinata di elementi. La egemonia laclausiana è una strategia che articola l’unità (l’universale) nell’eccezione la cui presenza (-1) rende costitutiva- mente incompleto (non Tutto) il sistema, ma gli permette di agire come Tut-

9 E. Laclau, Il ruolo dell’universale, cit. pp. 67-68. 10 ivi, p. 70.

to11. Lo svuotamento decostruttivo del Nome-del-Padre implica la qualun-

quità del significante vuoto-eccezione all’interno di un sistema di relazioni nel quale i significati (vedi Saussure) sono tali solo in base alle relative po- sizioni. La strategia egemonica opera nominalisticamente articolando le ca- tene metonimiche di domande sociali, ma questa nominazione ha forza per- formativa perché istituisce un campo relazionale decisivo per le identificazioni politiche. Una decisione contingente (la decisione marca l’a- nalogia col politico) trasformerà una particolarità in sé non determinante, un Significante qualunque, (e qui entra in gioco il termine lacaniano point de

capiton, punto di sutura, annodamento, nella funzione di significante padro-

ne) in una universalità spuria, contaminata.

Il formalismo meccanico del dispositivo accentua l’assoluta contingen- za del significante vuoto con funzione universalizzante con effetti di totale ambiguità politica dove è impossibile garantire il contenuto di emancipa- zione12. Ma a me interessa qui rimarcare la funzione dell’Uno dell’eccezio-

ne, significante della mancanza, grazie al quale soltanto il sistema agisce

come un Tutto: evidente l’analogia alla teologia politica moderna (sia quel- la hobbesiana che quella del diritto/diritti e del contrattualismo). Fondata/ in-fondata sull’assenza, la rappresentazione simbolica è abitata da un difet- to (in verità, il -1 come significante della mancanza piuttosto che il point de

capiton come significante vuoto)13, che non è l’indicibile o il sacro, ma la

faglia interna al linguaggio, lo scarto del rapporto significante-significato. Un Reale dunque interno al simbolico. Reale è la linea di antagonismo interna alla rappresentazione, la negatività che le inerisce e che rende pos- sibile la politica nello stesso tempo in cui la condanna a ripetere il tentati- vo di totalizzazione: impossibile e tale da generare le infinite aporie della inclusione escludente della democrazia. Per Badiou come per Zizek, il Re- ale ha la sostanza e densità politica dell’antagonismo di classe14. Zizek, che

opera nella tensione tra soggetto scabroso attraversato dal fallimento e Re-

11 J. Lacan, Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freu- diano, in Scritti, vol II, Einaudi, Torino 2002, p. 821.

12 Cfr. E. Laclau, La ragione populista, Laterza, Roma Bari 2008.

13 In effetti il point de capiton, sembra piuttosto essere il punto di arresto senza il quale si avrebbe la psicosi, cfr. J.A. Miller, Une lecture du Seminaire D’un Autre à l’autre, in “ La cause freudienne”, n. 64, Navarin, Paris 2006, p. 141.

14 Per Badiou nello spazio bucato della politica (esplace) il soggetto dell’emancipa- zione forza la situazione al di là di se stessa, trasformando l’evento dell’insorgen- za della verità dell’uguaglianza in una organizzazione militante che lo stabilizza. Esplicita la distanza sia del soggetto che dell’evento dalle definizioni lacaniane. A. Badiou, L’essere e l’evento, Il melangolo, Genova 1995.

ale, tenta l’aggancio del Reale al fantasma della esclusione concreta, al sin-

tomo come ciò che supporta e insieme lavora contro l’identificazione ideo-

logica neoliberale. Reale è la lotta di classe.

L’urgenza di una lettura di Lacan che ne restituisca lo stile, che riposi- zioni la sua politicità, è evidente. Non in contrasto con le pur legittime uti- lizzazioni sulle quali ci siamo soffermati, ma per cercare di far emergere dove davvero l’effetto Lacan può dirsi se non rivoluzionario, sovversivo e in quale direzione apra spazi nuovi.

Il potere dei discorsi

Quello che Moroncini ribadisce con forza è che la politicità del sogget- to non può stare che nel discorso, nella sua strutturazione formale. Pren- dendo le misure a questo pensiero radicale, marca la distanza da Lacan nel- la concezione del sapere e della verità che sono sottovalutati. Non il tema del potere, piuttosto quello del sapere che lo puntella e della verità che è al- tro dal sapere. Il soggetto lacaniano è il cartesiano soggetto di scienza, di saperi cumulabili e trasmissibili – e qui la lettura di Zizek è molto più ade- guata – che, per quanto barrato, c’è sempre, cosicché la verità non appare legata all’evento, come in Badiou e Zizek15. Questo significa ribadire con

forza la ‘mossa’ dalla quale siamo partiti: il soggetto è barrato dal linguag- gio che lo divide producendo il Reale, che introduce la mancanza dove non ce n’era alcuna: un Reale che coincide con il trauma del linguaggio. Ma questo trauma privo di conciliazione lascia un residuo, un pezzo di Reale che sfugge, indicato dall’a minuscola.

Da qui bisogna partire per misurare l’effetto politico: il soggetto non solo non è fondante come nella teoria classica liberale, ma lo scambio con l’Altro non è mediato né mediabile; non c’è ethos oggettivo, né intersog- gettività fungente, comunicativa. Per arrivare ad una organizzazione politi- ca appassionata e militante, come la vorrebbe Badiou, ciascuno dovrebbe prima decifrare l’enigma di ciò che vuole l’Altro. Ma l’Altro è l’Inconscio e una decifrazione è impossibile.

L’attenzione si sposta sul ruolo soggettivante del sapere, sulla insegna- bilità e dunque sulle relazioni formali dei discorsi. La topica dei quattro di- scorsi infatti ci guida al modus di esperienza moderno e contemporanea- mente al tema cruciale della Legge cui fa da garanzia il sapere veridico. Temi che marcano una profonda vicinanza a Foucault che ne condivide

l’attenzione ai saperi come custodi ambivalenti della posizione dei sogget- ti nel mondo.

Certamente il discorso del maître, del padrone, oggi del capitalista – supportato e reso inattaccabile dal discorso dell’università, che in termini foucaultiani è il discorso ‘esperto’, veridico – disegna in modo convincen- te la funzione del soggetto-potere moderno e ne coglie, più del format giu- ridico della sovranità, anche le pratiche biopolitiche, quelle sottolineate da Foucault, di normalizzazione della vita16. Il discorso del Padrone distribui-

sce le partizioni normative e sociali che producono le soggettivazioni. In esso si articola il nesso verità potere soggetto che da Nietzsche a Foucault organizza nei dispositivi gli enunciati veridici e morali e le tecniche di sog- gettivazione. La relazione autorevole, normativa che questo discorso istal- la sulle vite, fa perno su Legge e Valore che trascendono e organizzano lo spazio sociale della sopravvivenza e del potenziamento dei soggetti: sog- gettivazione mediante assoggettamento – come Butler, riprendendo tanto Lacan che Foucault, evidenzia nella sua Vita psichica del potere17. La let-

tura comparata Lacan Foucault mette in luce un meccanismo di soggettiva- zione che è individuale ma, essendo il soggetto effetto del trauma del lin- guaggio-Legge, sempre costitutivamente politico e sociale. Al di là di Foucault, emerge in Lacan il prezzo in termini di desiderio, di perdita dell’objet a. Prezzo che solo con notevole forzatura è traducibile, nel pro- cesso sacrificale della delega rappresentativa al soggetto sovrano e gover- namentale, così come sembra pensare la più diffusa lettura politica di La- can.

La correzione del tiro, compiuta da Moroncini, ci aiuta a capire. Le teo- rie neo-egemoniche che si servono del dispositivo di soggettivazione laca- niano sembrano dimenticare il paradosso implicito in una scena solitaria e, ciò nonostante, dipendente. Sarebbe un errore dimenticare che, sia pur nel regime dei discorsi, ciascuno ha a che fare con un processo di costituzione ‘separata’, singolarizzata. L’Altro non è – nonostante Balibar lo legga come un ‘noi’ 18- né l’ethos hegeliano né la comunità intersoggettiva haber-

masiana. Come con la voce del Padre che ne è la metafora, la nostra rela- zione con esso è opaca, enigmatica: “Per Lacan il soggetto è sempre quel- lo barrato che ex-siste rispetto all’Altro, che, giusta la figura topologica

16 Cfr. N. Fazioni, Lacan e il politico. Tre affondi per un lavoro a venire, in Zizek studies, vol VI, n.4, 2012.

17 J. Butler, La vita psichica del potere, Mimesis, Milano Udine 2013.

18 Balibar, E., Le structuralisme. Une destitution de sujet?, in «Revue de Méthaphi- sique et de morale», n. 25, 2005 pp. 5-22.

dell’otto interno, è dentro-fuori l’Altro...è necessario allora partire dal

tentativo di decifrazione che ogni soggetto fa per proprio conto di ciò che vuole l’Altro dal momento che il significato soggettivo è contenuto in

quest’ultimo come un tesoro sta nascosto in uno scrigno (è il motivo d’al- tronde per cui Lacan lo chiama il tesoro del significante). Una decifrazione appunto ai limiti dell’impossibile dal momento che l’Altro è (l’) inconscio»19.

Questo contrappunto è della massima importanza. Perché se da un lato non possiamo non convenire che il rinvio lacaniano alla logica della rap-

Nel documento Desiderare. Tra stanchezza e disagio. (pagine 47-61)