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FOUCAULT ALL’ORIGINE DELLA VIRATA PSICOANALITICA DI BOURDIEU?

Nel documento Desiderare. Tra stanchezza e disagio. (pagine 89-103)

In questo breve saggio vorremmo concentrarci sulle modalità attraverso le quali Michel Foucault e Pierre Bourdieu hanno svolto l’analisi delle for- mazioni soggettive corrispondenti a un certo ordine delle classificazioni, al fine di rilevare alcune interessanti affinità e divergenze che ci auguriamo concorrano a chiarire il rapporto intrattenuto da Bourdieu con la psicoana- lisi e il suo sempre più frequente richiamarsi a essa nel corso degli anni.

Per entrare subito nel vivo del discorso, ci soffermeremo rapidamente, e un po’ brutalmente, su ciò che riteniamo accomuni Bourdieu e Foucault in rapporto al nesso tra potere, soggettività e verità. Crediamo innanzitutto che entrambi abbiano pensato la presenza prima del soggetto al mondo come sempre politicamente costruita, e la storicità delle forme di esperien- za come prodotte da relazioni tra potere e sapere o dall’ordine simbolico. Entrambi hanno analizzato le condizioni materiali e politiche di possibili- tà, dunque socio-trascendentali, della conoscenza. Per entrambi, insomma, la soggettività non è una forma già data destinata a essere riempita dai con- tenuti empirici, non c’è una struttura unitaria cui ricondurre i processi di soggettivazione, poiché soggetto e oggetto si auto-istituiscono, nascendo sempre correlativamente in un campo pratico del tutto mondano.

È possibile prendere in prestito, estendendola a Bourdieu, una considerazione che Judith Butler ha rivolto a Foucault: il lavoro critico consiste non nel classificare un fatto particolare in una categoria già costituita, ma nell’interrogarsi sul modo (pratico) in cui «si è effettuata la costituzione selettiva del campo delle categorie stesse»1 che ordinano l’e-

sperienza. Questa costituzione selettiva assume in Foucault e in Bourdieu nomi diversi – partage, scena, problematizzazione, visione/divisione del

1 J. Butler, Qu’est-ce que la critique? Essai sur la vertu selon Foucault, in M.-C. Granjon (éd.), Penser avec Michel Foucault. Théorie critique et pratiques poli- tiques, Karthala, Paris 2005, p. 77.

mondo, distribuzione e appunto classificazione – ed è intesa sempre come un a priori storico dell’esperienza coincidente con l’effettività stessa dei discorsi e delle pratiche.

Sia Foucault che Bourdieu hanno dato dunque nuova luce al man hei- deggeriano, per dirla con Deleuze, e sostenuto che la difficoltà consiste nell’individuare la formazione della credenza, nei termini di Wittgenstein. Da qui il riconoscimento comune dell’importanza della ricerca storica, sempre funzionale a individuare quanto agisce in noi al di là della nostra consapevolezza, a destituire la credenza prodotta da quell’impensato che pensa silenziosamente in noi.

Se Foucault ha messo in risalto come attraverso l’organizzazione dello sguardo gli uomini allestiscano lo spettacolo del mondo, ossia una distribu- zione nello spazio, un’organizzazione di una prospettiva e un’assegnazio- ne di ruolo che determinano storicamente una forma di percezione e un’at- tribuzione di valore che ci permettono di essere, di pensare e di agire in un certo modo2, Bourdieu ha mostrato come il mondo consista di segni distin-

tivi, teatrali, vale a dire di rappresentazioni della propria distinzione che vengono replicate nelle rappresentazioni mentali dei differenti gruppi so- ciali, i quali, rappresentandosi mentalmente il teatro esistente, di fatto lo producono accreditandolo inconsciamente3.

Assumendo un altro concetto butleriano, si può ragionare allora sulla

vita psichica come un prodotto di condizioni di possibilità che sono dell’or-

dine delle relazioni di potere, risiedendo in queste la condizione stessa del- la propria intelligibilità. Per Foucault siamo infatti trasformati in soggetti da una forma di potere «esercitata sulla vita quotidiana immediata che clas- sifica gli individui in categorie, li marca attraverso la loro propria indivi- dualità, li fissa alla loro identità, impone loro una legge di verità che essi devono riconoscere e che gli altri devono riconoscere in loro»4. Per Bour-

dieu l’identità è il posto in un ordine di classificazioni sociali che costitui- scono i corpi e gli schemi mentali di percezione e valutazione delle cose: sia nell’esistenza ordinaria che nei campi di produzione culturale, le classi- ficazioni attraverso le quali gli agenti costruiscono il mondo sociale tendo-

2 M. Foucault, La scena della filosofia, in Id., Michel Foucault. Il discorso, la sto- ria, la verità. Interventi 1969-1984, a cura di M. Bertani, Einaudi, Torino 2001, pp. 213-216.

3 P. Bourdieu, Il senso pratico, trad. it. di M. Piras, Armando Editore, Roma 2005, p. 219.

4 Il soggetto e il potere, in H. L. Dreyfus, P. Rabinow, La ricerca di Michel Fou- cault. Analitica della verità e storia del presente, trad. it. di D. Benati, M. Berta- ni, I. Levrini, Ponte alle Grazie, Firenze 1989, p. 241.

no a farsi dimenticare come tali, e dunque «ci utilizzano almeno quanto noi le utilizziamo e l’‘automatizzazione’ è una forma specifica di rimozione che rimanda all’inconscio gli strumenti stessi del pensiero»5. Affermare,

con Bourdieu, che individuale e collettivo non sono diversi e non devono di conseguenza essere presi in carico da saperi distinti equivale quindi a dire, nel lessico dell’ultimo Foucault, che la questione del potere e la que- stione del soggetto non sono differenti, che non è del potere che bisogna li- berarsi, bensì della forma di soggettività legata alle sue configurazioni, e che in questo lavoro ne va del rapporto del soggetto con la verità6.

E tuttavia, quanto fin qui proposto non era affatto riconosciuto da Bour- dieu. Vero è che nell’articolo pubblicato sulla rivista “L’Indice” in occasio- ne della morte di Foucault Bourdieu gli riconosce, riferendosi implicita- mente anche a se stesso, un «viscerale anticonformismo», un’ostinata «impazienza nei confronti di ogni categorizzazione e classificazione»7, una

negazione dei profitti simbolici legati all’una o all’altra delle sue proprietà classificatorie, e che parla delle tecnologie disciplinari come politiche e co- gnitive a un tempo, nonché della presenza del potere finanche nella cono- scenza riflessiva di sé. Ed è anche vero che in un’intervista del 1994 dichia- ra di ritenere potenzialmente utili, «tra gli strumenti di liberazione dalla violenza simbolica», «certi strumenti specifici degli intellettuali», e in par- ticolare la genealogia foucaultiana8. Ma a dispetto di ciò, nella maggior

parte dei casi in cui ha trattato della genealogia, Bourdieu ha sostenuto ben altro, ossia che Foucault era incapace di spiegare l’azione della violenza simbolica e la formazione della credenza9, che le discipline coincidevano

con delle mere coercizioni esterne10, che l’ambito delle condizioni sociali

di possibilità della soggettività, per come rappresentato dalla capillarità del potere, era eccessivamente indeterminato (al contrario della nozione di

5 P. Bourdieu, Meditazioni pascaliane, trad. it. di A. Serra, Feltrinelli, Milano 1997, p. 191.

6 M. Foucault, Del governo dei viventi. Corso al Collège de France (1979-1980), a cura di D. Borca e P.A. Rovatti, Feltrinelli, Milano 2014, p. 85.

7 Non chiedetemi chi sono. Un profilo di Michel Foucault, trad. it. di D. Frigessi, in “L’Indice”, 1/1984, p. 4.

8 P. Bourdieu, La violenza simbolica, intervista realizzata da S. Benvenuto nel mag- gio del 1994 a Parigi, consultabile in www.emsf.rai.it/interviste/interviste. asp?d=388.

9 L. Wacquant, From Ruling Class to Field of Power, in “Theory, Culture & Soci- ety”, vol. 10, 1993, p. 34; P. Bourdieu, Reproduction interdite. La dimension sym- bolique de la domination économique, in “Etudes rurales”, 113-114 (1989), p. 35. 10 P. Bourdieu, Risposte. Per un’antropologia riflessiva, trad. it. di D. Orati, Bollati

campo)11 e che Foucault era un nominalista radicale12 – essendo lui, al con-

trario, un nominalista realista.

Si tratta, evidentemente, di una lettura superficiale, come cercheremo di mostrare dopo aver articolato in estrema sintesi la prestazione bourdieusia- na e averla comparata a quella di Foucault.

Ebbene, Bourdieu generalizza l’ipotesi durkheimiana e maussiana se- condo cui le «forme primitive di classificazione» corrispondono alle strut- ture dei gruppi, e ne ritrova «il principio nell’effetto dell’incorporazione ‘automatica’ delle strutture sociali». Riporta però questa ipotesi anche alle forme statali di classificazione e a quelle culturali e scientifiche, da cui la prestazione specifica della sociologia bourdieusiana: rompere con i pre- supposti impensati del pensiero scientifico oggettivando l’oggettivazione. In virtù della sua coerenza – di cui Bourdieu attribuisce la scoperta a Lévi- Strauss e a Foucault13 –, la struttura simbolica si iscrive nell’inconscio fon-

dando il rapporto che Bourdieu definisce di sottomissione doxica all’ordi- ne stabilito, che ignora appunto la sua storia e vede ovunque natura. L’interiorizzazione del potere equivale qui all’interiorizzazione di principi di visione e di divisione del mondo che, essendo in accordo con le struttu- re oggettive del mondo stesso, creano una sorta di attaccamento inconscio o infraconscio con queste ultime, ovvero con i campi entro i quali gli agen- ti sociali si muovono.

Per Bourdieu, che si sforza di comprendere la tonalità dinamica di que- sti processi e di storicizzare dunque la funzione simbolica, l’altro in quan- to soggetto dell’esperienza, l’ordine delle classificazioni si riproduce e si trasforma a partire dalle lotte che hanno per oggetto l’imposizione della de- finizione legittima della realtà, quella cioè del dire autorizzato, di un dire che fa esistere nella coscienza e nelle cose le divisioni del mondo sociale e che ingiunge agli altri di essere e di fare quel che incombe su di loro per de- finizione. Resta però, per i malclassificati, la possibilità di rifiutare tale principio di classificazione, ed «è quasi sempre sulla scorta di coloro che aspirano al monopolio del potere di giudicare e classificare, mentre essi sono malclassificati […] all’interno della classificazione dominante, che i dominati hanno l’opportunità di liberarsi dal dominio della classificazione legittima e di trasformare la loro visione del mondo affrancandosi da quei limiti incorporati che sono le categorie sociali della percezione del mondo

11 Id., Reproduction interdite…, cit., p. 35.

12 Id., La force du droit. Eleménts pour une sociologie du champ juridique, in “Actes de la recherche en sciences sociales”, 64 (1986), p. 13.

sociale»14. Ciò che implica che i dominati debbano sempre allearsi con la

frazione dominata del campo dominante15, nella misura in cui è grazie a

questa solidarietà parziale che essi possono accedere a un transfert cultura- le che consente loro di mobilitarsi.

Se è la realtà, per come costituita dalla lotta simbolica per la definizione della realtà, a orchestrare e a ordinare il campo percettivo, se cioè il campo percettivo, prima che un apparato cognitivo, è un effetto della struttura so- ciale, si comprende come la strutturazione della percezione costituisca in Bourdieu una questione decisiva, anche perché è a partire da qui che si può comprendere come l’agente sociale sia agito dall’azione della struttura, come esso accetti di essere il soggetto apparente di azioni il cui soggetto è la struttura simbolica16. Fine della lotta non è tanto classificare o giudicare

gli altri, quanto ottenere dagli altri il riconoscimento dell’imposizione dei principi di percezione. La lotta per la classificazione è quindi una lotta per l’autorità, per un essere percepito che può imporre i criteri di percezione del mondo, una lotta nella quale ogni agente è a un tempo lupo e dio, con- corrente senza pietà e giudice supremo17. La lotta è quello che lega gli uni

agli altri e allo stesso tempo quello che li separa, è la struttura della distri- buzione del capitale e la struttura conflittuale del legame sociale. L’ordine delle classificazioni è generalmente riprodotto nella comunicazione inter- soggettiva, già sempre informata dalla posizione sociale degli agenti, dalle loro conoscenze pratiche, che corrispondono al senso del proprio posto. In esso si è perciò sempre situati: parlando, il soggetto si posiziona in un or- dine che gli preesiste, cosicché ogni parola, ogni stile, ogni dialetto sono sempre avvolti da un corredo pregiudicante che riguarda l’ordine simboli- co, che assegna a ciascuno un certo grado d’essere e una giustificazione d’esistenza e chiama ciascuno a risponderne. La lotta per la classificazione è infatti condotta a partire dalla libido socializzata, ossia dal fatto che i sog- getti sono parlati più di quanto non parlino e sono classificati attraverso il modo in cui classificano, all’interno di una strutturazione simbolica dello spazio sociale ove interiorizzano la propria posizione attraverso il suo mi-

sconoscimento. Insomma, la partizione classificatoria opera per Bourdieu

14 Id., Lezione sulla lezione, trad. it. di C. A. Bonadies, Marietti, Genova 1991, p. 13.

15 Cfr. Id., Meditazioni pascaliane, cit., p. 197.

16 Id., La noblesse d’État. Grands écoles et esprit de corps, Les Éditions de Minuit, Paris 1989, p. 47.

17 Cfr. rispettivamente Id., La parola e il potere. L’economia degli scambi linguisti- ci, trad. it. di S. Massari, Guida, Napoli 1988, p. 80, e Id., Meditazioni pascalia- ne, cit., p. 253.

una vera e propria possessione dell’habitus conferendo ai soggetti il loro modo di essere, di percepire, di agire. Si tratta, per riprendere un suo famo- so titolo, Le mort saisit le vif, dell’oggettivo, del morto che cattura e avvin- ghia il soggetto.

Tornando ora al giudizio riservato a Foucault, è Bourdieu stesso ad af- fermare che la sua critica più radicale attiene alla (presunta) incapacità del filosofo di spiegare i processi di incorporazione del potere, nonché alla flu- idità e all’imprecisione della sua metafora della rete, cui Bourdieu contrap- pone le potenzialità euristiche del concetto di campo. Così Bourdieu: «je voudrais faire remarquer toute la différence qui sépare la théorie de la violence symbolique comme méconnaissance fondée sur l’ajustement inconscient des structures subjectives aux structures objectives de la théorie foucaldienne de la domination comme discipline et dressage — ou encore, dans un autre ordre, les métaphores du réseau ouvert et capillaire d’un concept comme celui de champ»18. Ma queste accuse, crediamo, sono del tutto infondate rispetto sia

alla questione della credenza, sia allo spazio disperso ed eterogeneo in cui essa si costituisce: ciò che appunto vorremo dimostrare, per far emergere così lo strano paradosso di quella sorta di cortocircuito che ci sembra si produca tra Bourdieu, Foucault e un terzo termine che rappresenta una sor- ta di convitato di pietra, la psicoanalisi.

È necessaria però una precisazione preliminare. Bourdieu postula una coestensività tra soggettività e campo sociale, sostenendo di avere scelto il concetto di campo in ragione della sua maggiore perversione rispetto ai concetti di istituzione, apparato e ordine dogmatico, e in tal modo critican- do Althusser e Legendre19. A suo dire, il concetto di campo consente di ri-

conoscere la struttura conflittuale del legame sociale ed è in grado di ‘au- torizzare’ un alto numero di negoziazioni o formazioni di compromesso tra desiderio e norma, tra pulsione e istituzione, in ragione della cospicuità di risorse che i soggetti possono mobilitare nel costituirsi in quanto tali – tra i due estremi dell’agente che pone l’istituzione al servizio delle sue pulsioni e di quello che ne è del tutto sottomesso –, e senza che ciò consenta loro di fare qualsiasi cosa, residuando comunque delle costrizioni relative alla re- lazione dossica con le strutture e non comprensibili esclusivamente attra- verso il rinvio a un amore per il potere o per il censore. Pertanto, perversio- ne coincide qui con il riconoscimento di un ampio ventaglio di forme di

18 Id., Reproduction interdite…, cit., p. 35.

19 P. Bourdieu, J. Maître, Avant-propos dialogué avec Pierre Bourdieu, in J. Maître, L’autobiographie d’un paranoïaque, Anthropos, Paris 1994, pp. X-XII.

soggettivazione rispetto a quanto permettono di reperire modelli teorici più unitari.

Certo è che perversione non deve intendersi soltanto come rovesciamen- to, cambiamento di direzione, in senso etimologico, ma altresì come auto- rizzazione di rapporti normalmente non ammessi qual è quello tra sapere e potere, concezione dell’analisi che Bourdieu condivide con Foucault, par- lando riguardo a quest’ultimo (in un modo però riferibile anche a se stesso) della teoria come di una pratica politica animata dal «desiderio (perverso) di conoscere la verità del potere»20. Ma se Bourdieu sente di poter far pro-

pria quest’ultima attitudine perversa, per quanto attiene a quella di cui si di- ceva, in relazione alla metafora della rete, non c’è margine di condivisione possibile. Benché rivolga alla nozione di apparato di Althusser una (discu- tibile) critica prossima a quella rivoltale da Foucault (che la giudicava in- capace, in ragione della sua astrattezza, di rendere conto della microfisica del potere)21, e benché valorizzi il concetto di campo in forza della sua per-

versione, Bourdieu ritiene pure, infatti, che la metafora della capillarità del potere conduca a concepirlo come disperso in una moltitudine di campi troppo eterogenei perché siano significativamente analizzabili in relazione alla produzione di soggettività. Questo vuol dire che si può incrementare il livello di perversione dell’indagine, riconoscendo le innumerevoli linee eterogenee che concorrono a tale produzione, ma sempre all’interno di un campo relativamente autonomo e non fino al punto di conferire validità alla microfisica del potere. Ci sembra, allora, che questa specifica postura di Bourdieu, il suo ritenere vantaggiosa per sé un’attitudine perversa in rap- porto ad Althusser e Legendre ritenendo al contempo svantaggiosa per Foucault quella che di fatto è una medesima attitudine, sebbene spinta an- cora oltre con la metafora della rete, meriti di essere spiegata. La posta in gioco è infatti la costruzione di griglie di intelligibilità in grado di com- prendere la formazione degli schemi di percezione e di valutazione, che Bourdieu cercherà negli anni di realizzare con l’uso dei concetti psicoana- litici22, rimasto tuttavia fermo a uno stato embrionale e pertanto irrisolto.

Ricordiamo però, innanzitutto, in cosa consisterebbe questa maggiore perversione di Foucault, per verificare se essa abbia davvero delle maglie troppo larghe e perciò inadatte a dare conto dei processi di soggettivazio-

20 P. Bourdieu, Non chiedetemi chi sono…, cit., p. 5.

21 Cfr. M. Foucault, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France 1973-1974, trad. it. di M. Bertani, Feltrinelli, Milano 2004, p. 28.

22 Cfr. J.-L. Fabiani, La sociologie comme elle s’écrit. De Bourdieu à Latour, Édi- tions de l’EHESS, Paris 2015, pp. 28-29.

ne. È noto che Foucault ha descritto la formazione della funzione-soggetto a partire da reti di potere che investono i corpi e arrivano a plasmare quel- le che qualifica, con Servan, «fibre molli del cervello»23. Ma la sua presta-

zione più peculiare consiste nell’aver mostrato che la soggettività si costi- tuisce nell’articolazione tra registri normativi eterogenei appartenenti a campi differenti che si incontrano all’altezza di un problema pratico e teo- rico che si pone in un certo spazio e in funzione di rapporti strategici. Eb- bene, ignorando che anche per Foucault il potere è produttivo di identità at- traverso il suo esercizio, in quanto categorizza in un modo o in un altro il soggetto, e ignorando pure che l’identità così prodotta costituisce il princi- pio di intelligibilità del sé e dei rapporti con gli altri, Bourdieu offre una let- tura molto superficiale di Foucault, e nello specifico di Sorvegliare e puni-

re. Opera che ha tra i suoi tanti meriti quello di aver messo in luce come un

nuovo potere di giudicare e una nuova concezione del sé e del proprio rap- porto con gli altri fossero derivati dall’assoggettamento degli individui al nuovo potere disciplinare. L’«anima moderna» è infatti per Foucault una realtà resa possibile da uno specifico esercizio del potere, un’esperienza singolare frutto del divenire classificabile dell’esistenza stessa sotto la spinta della varietà delle tecnologie disciplinari. Basti ricordare che le mo- dificazioni del tasso di credenza nella legittimità e nell’emissione della pena all’interno del regime della norma sono state determinate dall’abbas- samento della soglia di descrivibilità dell’individuo (nascita delle scienze umane)24, ciò che è stato reso a sua volta possibile dall’estensione del pote-

re disciplinare, dalla legislazione sulle circostanze attenuanti e dalla conse- guente trasformazione della discorsività psichiatrica, il tutto entro un pro- cesso che non ha un elemento determinante in ultima istanza e che non si svolge in un campo omogeneo. O ancora, che il concetto di pericolosità so- ciale è nato all’incrocio dei saperi giuridico e psichiatrico nello spazio del processo25, e che è una realtà di transazione priva di un referente reale ma

non meno reale. Che si tratti dell’anima moderna come delle riscritture psy- dell’esperienza cristiana della carne, l’oggettivazione del soggetto av- viene sempre all’interno di un campo eterogeneo in cui si riscrivono tecni- che sociali a partire dalle lotte immanenti che ne hanno evidenziati i limi-

23 M. Foucault, Il potere psichiatrico…, cit., p. 48.

24 Id., Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, trad. it. di A. Tarchetti, Einaudi,

Nel documento Desiderare. Tra stanchezza e disagio. (pagine 89-103)