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LA FILOSOFIA ALLA PROVA DELLA PSICOANALISI? ALCUNE RIFLESSION

Nel documento Desiderare. Tra stanchezza e disagio. (pagine 77-89)

Psicoanalisi e decostruzione

È con molto piacere che ho accolto l’invito a rendere omaggio al lavoro di Bruno Moroncini che per me, come ho già scritto altrove1, è stato un ma-

estro. E la ragione di questo omaggio si trova rafforzata dal fatto che sono debitore a Moroncini, e solo a lui, del mio incontro con l’opera di Jacques Lacan e con la persona che fu la mia analista, Paola Carola. Queste conci- se note autobiografiche già testimoniano di un omaggio segnato da un tran- sfert il cui valore è di ben altro ordine rispetto a un transfert ridotto a inve- stimento immaginario sulla persona di Moroncini, giacché nel passaggio dal filosofico all’analitico la posta in gioco era il passaggio di transfert da un discorso a un altro. E debbo riconoscere a Moroncini filosofo che, pur non avendo mai fatto un’analisi, come lui stesso ha sempre dichiarato pub- blicamente, la funzione di passeur l’ha sostenuta all’altezza che richiede- va, giacché tale funzione avrebbe potuto essere identificata da lui come la morte che l’allievo procurava al suo discorso.

Tuttavia, se per me il discorso di Moroncini è sopravvissuto a questo passaggio di transfert è perché in questo discorso occupava un posto di ri- lievo proprio la psicoanalisi, e in particolare il discorso di quel Lacan che, come ho già scritto, ho incontrato proprio grazie a lui. In effetti, è proprio l’uso che Moroncini fa della psicoanalisi lacaniana all’interno del suo cam- po filosofico a meritare a mio avviso un’attenzione particolare, e non solo perché si tratta di una lettura rigorosa che data da moltissimi anni – bisogna ricordare che è cominciata in un momento storico in cui i filosofi in Italia erano decisamente ostili allo psicoanalista francese2 – ma anche e soprat- 1 M. Bottone, Presentazione. In: R. Armellino – M. Parisi (a cura di), Fobia e

perversione nell’insegnamento di Jacques Lacan, Cronopio, Napoli 2012, p. 10. 2 L’esempio più evidente è la lettura dei quattro discorsi di Lacan avanzata da

Moroncini ben prima che il seminario dello psicoanalista fosse ufficialmente pubblicato in Francia da Miller. Infatti, di questa lettura si trova testimonianza nella prima edizione del testo di B. Moroncini, Il discorso e la cenere, Guida,

tutto perché questa lettura ha sempre mirato a un uso etico e politico del di- scorso di Lacan. Ed è proprio l’esigenza di questo uso che gli ha imposto di scovare con precisione i luoghi del discorso lacaniano più vicini al suo progetto filosofico, portandolo a privilegiare nella sua lettura di Lacan quei momenti topici in cui lo psicoanalista rompeva con le forme costituite del discorso, soprattutto quelle del discorso filosofico, nella misura in cui tali forme irrigidivano e congelavano la potenza del desiderio. Si prendano due esempi su tutti: la valorizzazione proposta da Moroncini della figura di Al- cibiade come homme du désir nella lettura lacaniana del Simposio e la let- tura dell’Antigone come immagine della radicalità del desiderio che trasci- na con sé la distruzione della polis. In questa sede mi limito a prelevare alcuni enunciati che danno la misura di queste letture.

Nella sua lettura della lettura di Lacan del Simposio – e questo raddop- piamento non è così semplice come potrebbe sembrare a prima vista – quel che Moroncini valorizza è proprio il momento in cui Alcibiade irrompe nella scena del simposio – cioè, occorre ricordarlo, in una comunità che fino a quel momento si era costituita a partire dalla giusta misura (non bere), aveva escluso le donne (le flautiste), segno che il logos filosofico si è sempre fondato sull’illusione che una comunità unisex, escludendo o neutralizzando la forza dell’heteros, funzionerebbe decisamente meglio3

ebbene, dicevo, quando Alcibiade irrompe in questa scena con il suo desi- derio – “unica e accettabile forza-di-legge”4 – il bell’ordine della scienza

filosofica e non, si trova completamente distrutto. Si sa che Alcibiade ha rappresentato il fallimento del progetto educativo della filosofia socratica e la scena del Simposio sta lì a ricordarcelo, malgrado tutte le denegazioni proposte da alcuni esegeti di Platone5. Di tutt’altra portata è la conseguen-

Napoli 1988, laddove il seminario fu pubblicato solo nel 1991. Per il seminario di Lacan, cfr. J. Lacan, Le séminaire. Livre XVII. L’envers de la psychanalyse (1969- 1970), Éditions du Seuil, 1991 (trad. it. Il seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi (1969-1970), Einaudi, Torino 2001).

3 Affermazione di Lacan da far risuonare con ciò che si leggerà più avanti: “Quello che si chiama il sesso (anzi il secondo sesso, quando si tratta di una stupida) è per l’esattezza dell’heteros, che non può estinguersi in nessun universo, dato che si regge sul nontutta” (J. Lacan, Lo stordito, in: J. Lacan, Altri scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 464).

4 Per questa espressione, cfr. B. Moroncini, Lacan politico. Cronopio, Napoli, 2014, p. 108. La terminologia qui utilizzata mostra l’innesto di Jacques Derrida nella lettura che Moroncini propone di Lacan (J. Derrida, Forza di legge, Boringhieri, Torino 2003). Ritornerò più avanti sulle ragioni di questo innesto. 5 La denegazione più potente la si trova nella filosofia neoscolastica che è stata

za che ne trae Moroncini: “L’homme du désir non si lascia educare, non ci può essere pace fra lui e il soggetto della scienza”6. Si annuncia qui una

guerra permanente tra la potenza distruttiva del desiderio e quella scienza che, con il suo soggetto, si illude di catturarlo nelle sue forme. Faccio no- tare di sfuggita che questa guerra permanente del desiderio è forse l’unico modo per pensare una rivoluzione permanente in e contro lo stesso discor- so del capitalista, nella misura in cui quest’ultimo non è estraneo al discor- so della scienza7.

Se passiamo alla lettura dell’Antigone troviamo uno stesso esito. Anche qui lettura di una lettura che mira a dimostrare ciò che caratterizza l’eroina della tragedia sofoclea agli occhi di Lacan (e di Moroncini lettore di quest’ultimo). Dopo aver messo in evidenza l’opposizione di Lacan alla lettura hegeliana di questa tragedia, Moroncini mostra che il desiderio di Antigone, il cui carattere è “l’inumanità”, consiste nel portarci al di là del principio di piacere, ossia di portarci al di là del servizio dei beni: “il desi-

rivelerebbe “con molta scaltrezza la scorza ma non la sostanza del platonismo” (G. Reale, Prefazione, in: L. Robin, La teoria platonica dell’amore, Celuc Libri, Milano 1973, p. 12). A parte il fatto che nella scorza può anche annidarsi ciò che eccede la sostanza rendendola inconsistente, come è ben mostrato dalla figura di Alcibiade nel Simposio. Infatti, secondo questa esegesi la consistenza di questa sostanza si ridurrebbe a fare di Alcibiade colui che “rappresenta la maschera dell’uomo che respinge la verità socratica sull’Eros, perché per lui rappresenta la dolorosa voce della verità, che si rifiuta di ascoltare” (G. Reale, Introduzione, in: Platone, Simposio, a cura di G. Reale, Lorenzo Valla, Milano 2001, p. XXVI). 6 B. Moroncini, Sull’amore. Jacques Lacan e il Simposio di Platone, Cronopio,

Napoli 2005, p. 162. Il seminario di Lacan di cui Moroncini propone la lettura è: J. Lacan, Il seminario. Libro VIII. Il transfert (1960-1961), Einaudi, Torino 2008. 7 Su questa co-implicazione tra i discorsi, rinvio a ciò che ha scritto Moroncini a proposito del rapporto tra il discorso del capitalista con quello del maître e quello universitario, che sono sempre in un certo rapporto con quello della scienza (B. Moroncini, Lacan politico, Cronopio, Napoli, 2014, pp. 69-126). Per quanto riguarda la rivoluzione permanente, penso che ci sia stata una certa simpatia di Lacan per Trockij, di cui si trova una traccia in un’affermazione dello psicoanalista a proposito di un sogno che Trockij fece verso la fine del suo esilio. Secondo Lacan in questo sogno, in cui gli apparve Lenin ormai morto da anni, “forse per la prima volta, Trockij comincia a sentire dentro di sé i rintocchi di un certo cedimento della potenza vitale, sempre così inesauribile in lui”. Vuol forse dire che con il venir meno della potenza del desiderio viene meno anche il progetto di una rivoluzione permanente? (Per questo riferimento, rinvio a J. Lacan, Il seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione (1958-1959), Einaudi, Torino, 2016, p. 131. Per il sogno di Trockij, cfr. L. Trockij, Diario d’esilio 1935, Garzanti, Milano 1975, p. 185).

derio alla fine dovrà dimostrare il suo carattere distruttivo”8. Ritornerò più

avanti su questo termine chiave, distruttivo, e su ciò che si articola con esso, per il momento prelevo qualche riferimento da questo importante se- minario di Lacan9, che ci porterà a un terzo esempio presente nella lettura

che Moroncini propone del discorso lacaniano.

In fondo, nella sua lettura dell’Antigone, Lacan mette l’accento su due discorsi. Da una parte il discorso della temperanza, della moderazione del desiderio incarnato da Creonte, supporto del bell’ordine della polis e, dall’altra, sulla dimensione specifica del discorso analitico incarnata da Antigone che consiste in quell’eccesso che ci porta al di là dei beni, ossia

8 B. Moroncini – R. Petrillo, L’etica del desiderio. Un commentario del seminario sull’etica di Jacques Lacan, Cronopio, Napoli, 2007, p. 228. Questo testo, come si può leggere, è stato scritto con Rosanna Petrillo, autrice dei capitoli I-III, che testimoniano di un rigore notevole nella lettura di Lacan. Il capitolo riguardante la lettura lacaniana dell’Antigone è di Moroncini. La figura di Antigone riguarderebbe l’analista dato che Lacan presenta l’eroina sofoclea come figura possibile dell’analista. Da qui il titolo proposto da Miller per l’ultima parte del Seminario VII: La dimensione tragica dell’esperienza psicoanalitica (J. Lacan, Il seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi (1959-1960), Einaudi, Torino, 20082). Ho

detto “figura possibile dell’analista”, giacché anche Creonte, come sottolinea lo stesso Moroncini, incarna proprio gli ideali di una certa psicoanalisi, quella che mette al centro “la funzione del bene” (B. Moroncini – R. Petrillo, cit., p. 221). Tuttavia, come vedremo più avanti, a proposito della tragicità dell’atto analitico, l’originalità della lettura di Moroncini consiste proprio nel trasporre l’atto analitico in atto etico e politico, cioè nell’estenderlo al di là scena analitica. 9 L’importanza di questo seminario per Lacan è testimoniata dal fatto che era il

seminario che desiderava pubblicare, come è annunciato da una nota del testo Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano, pubblicato per la prima volta nel 1966 negli Écrits, Éditions du Seuil, Paris 1966, p. 810 nota 1 (trad. it. J. Lacan, Scritti, Einaudi, Torino 1974, vol. 2, p. 813, nota 1). In un’intervista rilasciata a Paolo Caruso il 3 novembre 1966, all’indomani della pubblicazione degli Écrits, Lacan spiega la ragione di questa importanza, e spiega anche ciò che non glielo ha fatto pubblicare immediatamente. Qui Lacan lascia intendere che il volume del seminario è già pronto, anche se “non corrisponde più alle mie posizioni odierne, e quindi un giorno o l’altro spero di avere il tempo di riscriverlo” (P. Caruso, Conversazioni con Lévi-Strauss, Foucault, Lacan, Mursia, Milano, 1969, p. 177). Questo seminario non è mai stato riscritto. Tuttavia, c’è un passaggio in cui si coglie dove risiedeva l’importanza di questo seminario: “Ho proposto di fare, basandomi sulla teoria [del] «decentramento del soggetto», qualcosa di simile a quanto è stato fatto, con pari serietà, da Aristotele: ho cercato di rifare l’etica secondo un procedimento analogo (per adesione all’esperienza) a quello inaugurato dall’Etica a Nicomaco” (p. 176). Più chiari non si può essere: l’etica della psicoanalisi è il rifacimento dell’etica nicomachea, ossia è l’etica dopo Freud.

ci conduce al loro annientamento (in questo senso l’etica della psicoanali- si va necessariamente contro l’abitudine)10. Così, se il movimento esplicito

del seminario consiste nello stabilire uno stretto rapporto fra Antigone e l’analista, d’altra parte un altro movimento porta alla luce il fatto che la coppia costituita da Creonte e Antigone fa già apparire il potere del maître e il suo rovescio, ossia il discorso analitico. Per Lacan Creonte incarna pro- prio la via aperta dall’etica filosofica, quella aristotelica, ossia l’etica del padrone.

“Appiattimento del desiderio, modestia, temperamento – la via mediana che vediamo così magnificamente articolata in Aristotele, si tratta di sape- re che cosa misuri, e se tale misura possa essere fondata”11.

Anticipando o facendo retroagire ciò che elaborerà nel Seminario XVII, possiamo affermare che questa articolazione fa sì che Creonte si trovi iscritto nel discorso del maître e, dunque, nel primo dei quattro discorsi, mentre Antigone si troverebbe iscritta nel quarto discorso, ossia in quello analitico.

Da qui la necessità di un terzo esempio: la lettura dei quattro discorsi da parte di Moroncini. Anche in questo caso il discorso analitico diventa la via regia, se così posso dire, per sovvertire, direbbe Lacan – ma vedremo che Moroncini, pur conservando questo termine, gli preferisce quello di deco- struzione – l’ordine del discorso filosofico.

“La tesi… è questa: la teoria dei quattro discorsi – la sua economia ge- nerale – funge da schema per la decostruzione del corpus testuale della fi- losofia, del genere di discorso che si rubrica sotto il titolo ‘filosofia’”12.

Dove ci conducono questi enunciati? Penso che ci collocano immediata- mente nel modo in cui il discorso di Lacan si innesta nell’opera di Moron- cini e questo innesto ha un nome: decostruzione. Infatti, quando si legge l’introduzione al saggio L’etica del desiderio, dedicato, come già scritto, al seminario di Lacan sull’etica della psicoanalisi, possiamo leggervi due ge- sti tra loro articolati. Un primo gesto consiste nel rifiuto radicale della po- sizione che fu, per esempio, di Ricœur: non si tratta affatto di “sottoporre

10 “L’etica dell’analisi non è una speculazione attinente all’ordine, alla disposizione di quello che chiamo il servizio dei beni. Essa implica propriamente parlando la dimensione che si esprime in ciò che chiamiamo l’esperienza tragica della vita”. (J. Lacan, L’etica della psicoanalisi, cit., p. 363).

11 Ivi, p. 364.

12 B. Moroncini, Il discorso e la cenere, Quodlibet, Macerata 20062, p. 207.

Moroncini conserva nel titolo del capitolo dedicato ai quattro discorsi il termine lacaniano sovversione: Teoria del discorso. Jacques Lacan o la sovversione del desiderio, p. 155 (c.m.).

la psicoanalisi alla prova della filosofia per vedere se le categorie che usa, i concetti che produce e le tecniche che pratica superino il vaglio della scientificità in modo che la psicoanalisi possa essere ammessa nella fami- glia dei saperi trascendentalmente fondati”. D’altra parte, e in modo corre- lato, un secondo gesto rovescia il gesto classico della filosofia. Infatti è proprio quest’ultima a trovarsi citata in giudizio, “per verificare se, con e dopo Freud, cioè con e dopo la scoperta dell’inconscio, non siano state get- tate le basi per una decostruzione, definitiva quanto illimitata, della filoso- fia e in particolare dell’ideale che le fa da guida, vale a dire l’ideale del sa- pere, confuso, se non sempre tuttavia spesso, con il manifestarsi della verità”13. Dunque, la psicoanalisi, soprattutto quella di Lacan, è proposta

come una “decostruzione, definitiva quanto illimitata” della filosofia. Par- lare di decostruzione non ci porta già al cuore di un certo problema? Infat- ti, non bisogna assolutamente dimenticare che c’è un altro nome proprio che circola nella riflessione del nostro filosofo e precisamente quello di Jacques Derrida, e soprattutto sono il primo a non poterlo dimenticare, giacché è proprio su questo autore che ho incontrato Moroncini. Questi si è confrontato a più riprese con la lettura critica (perché è di questo che si è trattato almeno in un certo momento) che il filosofo francese aveva propo- sto di Lacan, e se Moroncini ha potuto attribuire a quest’ultimo una strate- gia decostruttiva, lo ha fatto tenendo conto anche di quella lettura14. Il che

complica molto la lettura moronciniana di Lacan. Infatti, se è vero che per un certo verso il titolo di questo mio omaggio riprende il titolo di un testo di cui Moroncini era uno degli autori15, è anche vero che in questo caso mi

sembra opportuno riprenderlo con un punto interrogativo, nella misura in cui la filosofia messa alla prova dalla psicoanalisi richiederebbe qualche

13 B. Moroncini – R. Petrillo, L’etica del desiderio, cit. pp. 8-9. Per quanto riguarda la posizione di Ricouer, cfr. P. Ricœur, Il conflitto delle interpretazioni, Jaca Book, Milano, 1977, pp. 119-124. In questa introduzione, Moroncini riprende quanto aveva già proposto in un testo scritto da più autori (B. Moroncini, Premessa, in: F. Ciaramelli – B. Moroncini – F. Ciro Papparo, Diffrazioni. La filosofia alla prova della psicoanalisi, Guerini e Associati, Milano 1994, pp. 9-10).

14 J. Derrida, Il fattore della verità, Adelphi, Milano 1978. Moroncini è intervenuto in due momenti diversi sulla lettura derridiana di Lacan. B. Moroncini, La lettera disseminata e l’invenzione della verità. Poe, Lacan, Derrida, in: G. Zuccarino (a cura di), Palinsesto, Marietti, Genova 1990, pp. 117-146; B. Moroncini, Come in uno specchio: Lacan & Derrida, in Il pensiero. Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, XLVII – 2008/1, pp. 67-90.

15 F. Ciaramelli – B. Moroncini – F. C. Papparo, Diffrazioni. La filosofia alla prova della psicoanalisi, cit.

precisazione. In questo contesto non è possibile attraversare la lettura in- crociata che Moroncini propone di Lacan e Derrida, dell’innesto dell’uno sull’altro, del modo in cui l’uno e l’altro si trovano trasformati dalla strate- gia di lettura proposta dal nostro filosofo, e pertanto mi limito a segnalare alcuni elementi su cui spero di ritornare un giorno in una lettura più artico- lata16. E lo farò prendendo spunto da alcuni enunciati del primo capitolo

dell’ultimo libro di Moroncini, e cioè Lacan politico17.

Atto analitico e atto politico: la dissoluzione

Testo non facile, e come ogni testo che si rispetti, impegna decisamente il lettore. Si tratta di un testo che raccoglie quattro saggi che, ad eccezione del primo, costituiscono la rielaborazione di saggi già pubblicati in diverse riviste. Che si leggano i titoli di questi quattro saggi: 1) La politica della dissoluzione; 2) Quale politica per la psicoanalisi? Il discorso e il sintomo; 3) Politiche dell’angoscia; 4) La democrazia non è da tutti.

Qual è il filo conduttore, semmai ce ne fosse uno, di questi capitoli? Un filo conduttore è dato certamente dal nome di Lacan, e precisamente dall’u- so che Moroncini fa di costrutti e categorie della psicoanalisi lacaniana ap- plicandoli a eventi e oggetti storico-politici. Ma questa affermazione è an- cora generica e penso che c’è un’esigenza più specifica che accompagna questi capitoli, e precisamente quella di utilizzare alcuni termini chiave della riflessione di Lacan per rompere senza mediazione i tentativi della fi- losofia politica di dare luogo a delle totalità chiuse. Nel libro questi termi- ni sono la dissoluzione, il sintomo, il desiderio (un certo modo di intende- re la libertà), l’angoscia e l’operatore logico non-tutte. Dunque, è leggibile

16 In realtà, la questione va ben al di là del confronto sic et simpliciter tra l’ambito strettamente filosofico e quello psicoanalitico, giacché bisognerebbe esaminare i problemi che una contaminazione tra discorso analitico, filosofico e letterario provoca sul presunto genere che ognuno di questi discorsi pretende per se stesso. Una tale problematica è stata esaminata da Moroncini in La lettera disseminata, cit.

17 B. Moroncini, Lacan politico, cit. Forse bisognerebbe leggere in questo libro un ulteriore esempio da parte di Moroncini di proporre un’oggettivazione, certo non organica, in grado di “connettere” non solo “la teoria dei quattro discorsi” ma anche altri costrutti di Lacan “alla pratica della decostruzione”. Il che fa di Lacan politico anche una risposta a una pertinente questione che gli aveva posto Carmelo Colangelo nella sua Prefazione alla seconda edizione del libro Il discorso e la cenere, C. Colangelo, Prefazione. Il sapere nomade, in: B. Moroncini, Il discorso e la cenere, cit., p. 15, nota 7.

una continuità con la riflessione avviata su Alcibiade e Antigone, nonché con i quattro discorsi, ripresi, e non a caso, nel secondo saggio di Lacan po-

litico.

Nel primo capitolo, La politica della dissoluzione, Moroncini si impe- gna in un confronto serrato con un filosofo che è stato anche un allievo di Lacan, e cioè Alain Badiou18. Sarebbe impossibile ricostruire qui la critica

politica che quest’ultimo fa di Lacan, e in particolare del testo Il tempo lo-

gico19, nonché la torsione che gli fa invece subire Moroncini. In questo

contesto mi limito a prelevare l’estensione che il nostro filosofo fa dell’at-

Nel documento Desiderare. Tra stanchezza e disagio. (pagine 77-89)