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NOTE PER UNA RIFLESSIONE SU STORIA E UMANITÀ

Nel documento Desiderare. Tra stanchezza e disagio. (pagine 103-117)

Una riflessione sulla storia può svolgersi sia nella forma di una teoria della conoscenza storica sia nella forma di una teoria della storia come pro- cesso e divenire del mondo umano; può riguardare cioè sia la storia come pensiero che la storia come azione. Tuttavia i due ambiti di ricerca sono strettamente connessi e rinviano l’uno all’altro. Tant’è che l’esigenza di ri- flettere sulle forme, le categorie, i metodi del conoscere storico nasce per lo più in rapporto a una situazione di crisi dell’essere storico. In questo sen- so, l’interesse per la conoscenza storica presente in tanta parte della cultu- ra filosofica e storiografica a partire dagli ultimi decenni del Novecento si accompagna certamente alla consapevolezza della “perdita di storia”, che sembra caratterizzare l’esistenza quotidiana – prima ancora che il sapere – nel mondo dominato dalla “tecnica” e dalla “globalizzazione”, con il ten- denziale consegnarsi della conoscenza del presente, della “storia del pre- sente”, a saperi fondati su procedure esplicative e su modelli teorici “astorici”. Com’è stato osservato in particolare da Jörn Rüsen in una bella introduzione a una raccolta di testi di Droysen sulla teoria della storia degli inizi degli anni settanta del secolo scorso, questo disorientamento nel sen- so della continuità storica ha indotto la storiografia a interrogarsi sulle “strutture profonde della vita storica” e ad assumere “modi di pensare che si sono istituiti nelle scienze sociali non orientate primariamente in senso storico”, ponendo quindi l’esigenza di un “riorientamento metodologico”.1

Rivolgendo la nostra attenzione al lato oggettivo della storia, alla storia come azione, si può intendere quest’ultima in primo luogo nel significato crociano dell’“azione etica”, che, nelle sue molteplici individuazioni e nei molteplici intrecci tra esse, dà origine alla “storia etico-politica”, ovvero a quella “storia sopra le storie” che Droysen ha identificato con la “storia dell’umanità”, con l’intero processo costituito dagli sforzi che gli uomini sono venuti compiendo – tra avanzamenti e arretramenti, tra ascese e cadute

1 J. Rüsen, Einleitung a J.G. Droysen, Texte zur Geschichtstheorie, hrsg. v. G. Birtsch u. J. Rüsen, Vandenhoeck u. Ruprecht, Göttingen 1972, p. 5

– per attuare la propria umanità: vale a dire per attuare l’aspirazione all’uni- versale o alla libertà come liberazione dalla determinatezza e dall’immedia- tezza naturale, dall’egoismo e dalla chiusura singolaristica – aspirazione che ne costituisce la struttura ontologica e la destinazione morale.

L’azione nella storia non è però solo azione collettiva; è anche, ogni vol- ta, l’azione che il singolo esistente, storicamente situato, è chiamato ad agi- re, per corrispondere alla propria volontà di universalizzazione, inserendo- la nella trama delle altre volontà, e corrispondere altrettanto alle richieste della società in cui vive. In questi termini la riflessione intorno all’azione nella storia si configura come una riflessione sulla possibilità di fondazio- ne dell’agire etico.

Il che presuppone la possibilità di riguadagnare una figura della natura umana come criterio di riconoscimento di valori, diritti e doveri universal- mente validi.

Nell’ambito del pensiero contemporaneo, specialmente nel contesto della crisi della cultura europea segnata dai tragici eventi della prima e della se- conda guerra mondiale, si sono affacciate nuove definizioni della natura umana che hanno fatto centro piuttosto sulla problematicità, sull’essere per la morte, sulla fragilità e insecuritas dell’esistenza. Sempre meno fondata su un saldo fondamento ontologico o ontoteologico, l’esistenza è rimessa piut- tosto ad un’ontologia negativa, che si esprime nella proposizione che l’uomo è l’ente il cui essere consiste nel non avere un’ essenza o una natura già defi- nita, nell’ essere essenzialmente modificazione, divenire, cambiamento.

Accennata magistralmente già dal giovane Hegel nel rifacimento della

Positivitätschrift del 1800 («la natura vivente è eternamente altro che il suo

concetto, per cui quello che per il concetto era semplice modificazione, pura accidentalità, diviene necessario, vivente, forse ciò che unicamente è natu- rale e bello»)2, la posizione dell’ontologia negativa è rappresentata in modo

esemplare da Romano Guardini, che, nelle lezioni di Etica, delinea una fe- nomenologia della vita etica muovendo dalla convinzione che «l’uomo non ha una natura appunto nel senso degli animali e delle piante: la sua ‘natura’ consiste addirittura nel fatto di non averne una». L’uomo – prosegue Guar- dini – «esiste in vista dell’incontro con le cose, con gli altri uomini» e que- sto incontro accade «nel modo della libertà», cioè dell’autodeterminazione, della possibilità della scelta e dell’assunzione di responsabilità per le pro-

2 G.W.F. Hegel, Scritti teologici giovanili, ed. it. a cura di E. Mirri, Guida Editori, Napoli 1972, pp. 220-221.

prie scelte. 3 La controfaccia di questa ontologia negativa o difettiva (si pen-

si anche alla definizione nietzscheana dell’uomo come «animale non defini- to») è la proiezione attivistica, autopoietica del suo essere, posto perciò dalla filosofia e dall’antropologia del Novecento prevalentemente sotto la categoria dell’azione, perché nell’azione – per riprendere Blondel – «è an- che il centro della vita»in quanto sorgente dell’agire e del formare.

Proprio questo liberarsi dell’uomo per se stesso, svin colandosi, nell’azione, dalla necessità naturale, è originaria mente il processo di istituzione di un nuo- vo fondamento, di un nuovo spazio di sussistenza: lo spazio della cultura, del- la “seconda natura”. Questo nuovo radicamento per l’esserci umano è sempre gia-dato, è ereditato. La cultura – come ha messo in rilievo Droysen – in quan- to «coscienza di ciò che è divenuto e del suo essere divenuto», coscienza del “valore” del «grande capitale etico dei tempi trascorsi, dei passati già vissuti»4,

è sempre sto rica, costituita da eredità e tradizioni. L’eredità culturale ovve ro la

tradizione, come «trasmissione da una generazione all’al tra di credenze o di

tecniche»5, rappresenta per l’uomo l’origi nario campo di possibilità dell’azio-

ne, situato in una zona di transizione dal passato al presente da cui sporge l’e- sistenza stessa: «L’uomo — ha scritto felicemente Alfred Heuss — ha bisogno per la propria esistenza di un notevole quantum di esperienza proveniente da questa zona di transizione tra il pas sato e il presente. Tutta l’organizzazione della sua vita poggia su radici che non si trovano soltanto nel presente ma si spingono in questo provenendo dal passato. La presenzialità del passato è un fondamento del suo esserci»6.

La «presenzialità del passa to» è la «memoria» senza di cui non vi è «aspettativa» sul pia no storico, è la memoria collettiva, l’eredità entro cui si inseri sce il singolo per progettare se stesso e il proprio mondo, nella con- sapevolezza dei propri limiti, della situazione a partire da cui «prende po- sizione verso l’esterno e [...] verso se stesso», cioè «si fa compito a sé medesimo»7.

3 R. Guardini, Etica. Lezioni all’Università di Monaco (1950-1962), a cura di H. Mercker (1993), ed. it. a cura di M. Nicoletti e S. Zucal, Morcelliana, Brescia 2001, pp. 17-18.

4 Cfr. J.G. Droysen, Historik. Die Vorlesungen von 1857, in J.G. Droysen, Historik. Historisch-kritische Ausgabe von P.Leyh, Bd. 1, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1977, pp. 68-69,252, cfr. pp. 68-71, 220-221,251-252 (tr. it. J.G. Droysen, Istorica. Lezioni di enciclopedia e metodologia della storia, a cura di S. Caianiello, Guida Editori, Napoli 1994, pp. 164-165,374, cfr. pp. 164-165,338-339, 373-374). 5 N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, UTET, Torino, 1961, p. 857.

6 A. Heuss, Verlust der Geschichte, Vandenhoeck u. Ruprecht, Göttingen 1959, p. 17. 7 Cfr. A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo (1940), tr. it. a

Hegel ha perfettamente colto l’elemento dinamico, produttivo, non me- ramente statico dell’eredità culturale. La tradi zione — egli scrive in un luo- go ben noto della Introduzione di Heidelberg alle Lezioni sulla storia della

filosofia — «attraverso tutto ciò che è transeunte e quindi attraverso tutto

ciò che è passato si spinge innanzi intrecciandosi come una sacra catena — così come l’ha definita Herder — e ci ha conservato e tra smesso tutto ciò che ha prodotto il mondo prima di noi [...]. Essa non è un’immobile sta- tua, bensì è vivente, e si gonfia come un torrente impetuoso, che si ingros- sa quanto più si è allontanato dalla sua sorgente. Il contenuto di questa tradizio ne è ciò che il mondo spirituale ha prodotto, e lo spirito uni versale non riposa mai [...]. La sua vita è azione. L’azione ha a suo presupposto un materiale preesistente sul quale essa è orientata e che essa non soltanto ac- cresce e amplia con l’aggiunta di altri materiali, ma elabora e trasforma essenzial mente. Questo ereditare è insieme un ricevere e far fruttare l’ere-

dità; e parimenti esso viene ridotto a materiale, che viene sottoposto a una

nuova metamorfosi dello spirito. In tal modo il patrimonio ricevuto è stato mutato e arricchito, e nello stes so tempo conservato»8.

D’altra parte alla tradizione come originario campo di pos sibilità per l’a- zione, sempre determinato, fa riferimento la stes sa struttura esistenziale dell’Esserci in quanto progetto-gettato. L’esserci come progetto è storico in quanto sempre assume su di sé una determinata «possibilità essente-stata effettivamente esistente»: «con l’Esserci effettivo, in quanto essere-nel- mondo, c’è anche il mondanamente-storico»9.

Tutto questo significa che la tradizione, prima ancora di essere un con- cetto ermeneutico che gioca un ruolo centrale nella teologia e nelle scienze come forme del sapere di sé dell’uomo, è un elemento strutturale dell’esse-

re sé dell’uomo come essere culturale, cioè storico-sociale: «Poiché la so-

cietà è una convivenza le cui forme e il cui contenuto sono determinati da un passato e si trasformano continuamente o attraverso mutamenti imper- cettibili nel tempo o in crisi improvvise, essa – osserva Jaspers – non esiste immediatamente nel presente come nascendo dal nulla, ma proviene da una tradizione [...]. La tradizione innan zi tutto forma e, senza proporselo, riem- pie di sé la nuova gene razione, nella sua infanzia; poi diviene consapevole

e teoria dell’azione, ed. it., a cura di E. Mazzarella, Napoli 1990, pp. 107-109, 171-72, 204-06.

8 G.W.F. Hegel, Werke in zwanzig Bänden, Bd. 18/1, hrsg. v. E. Moldenhauer u. K.M. Michel, Suhrkamp, Frankfurt/Main 1971, pp. 21-22.

9 Cfr. M. Heidegger, Essere e Tempo, ed.it. a cura di P.Chiodi, Utet, Torino 1969, § 76, pp. 560-567.

mediante una relazione interiore con la storia come con ciò che è tra- mandato e con le figure dei grandi uomini. In quanto il passa to è appreso e assimilato, la storia diviene il contenuto fattuale del presente, il quale solo in continuità con il passato crea il futuro, e quindi l’oggettività dell’esserci umano, senza la quale io non giungerei a me stesso»10.

Senonché, come lo stesso Jaspers, ha denunciato precocemente nello scritto del 1931 su La situazione spirituale del tempo questa profonda connessione di- namica passato/presente/futuro è gravemente minacciata dalle forme di vita che ha assunto l’umanità moderna: quest’uomo di massa – osserva Jaspers – «spogliato della sua particolarità storica»11, vive in un’alterata coscienza del

tempo: contratto nel presente, senza memoria e perciò anche senza prospettiva e progetti aperti al futuro. Si vive nel «breve termine»12, si vive in una cerchia

ristretta di privatezza, nell’esercizio di un lavoro frammentato, in un posto de- terminato dal quale sfugge sempre la visione dell’intero.

Nell’ambito delle teorie della storia, è stato Droysen a definire, nella sua «istorica», in modo tematico il compito specifico della storiografia nel ri- stabilire di volta in volta il nesso fisiologico tra le estasi temporali, fronteg- giando la «perdita di storia» che segna le età di crisi. La denuncia della «perdita di storia» non può significare per Droysen l’appello alla Historie per contrapporre al presen te il passato, per bloccare con le forme del passa- to l’irruzione della vita nuova nel presente. La funzione della Historie può essere, invece, solo quella di cercare di surrogare (per quanto possibile, e cioè sempre limitatamente e con la consapevolezza di tale limitazione) con una specifica conoscenza scientifica l’infranta mediazione, nella vita, di

memoria e progetto, di esperienza e aspettativa13, per fornire al presente

non astratti modelli «mediante una sorta di eclettismo di passati»14, ma il

terreno da cui produrre nuove forme in grado di ordinare la nuova vita, in-

10 K. Jaspers, Philosophie II (Existenzerhellung), Piper, Berlin/Heidelberg/New York 1973 (4. ed.), p. 395 (cfr. tr. it. in K. Jaspers, Filosofia, a cura di U. Galimberti, Utet, Torino 1978, pp. 878-879).

11 K. Jaspers, La situazione spirituale del tempo, tr.it. di N. De Domenico, Jouvance, Roma 1982, p.73.

12 Ivi, p. 75.

13 Su «storia come ricordo» (Geschichte als Erinnerung) e «storia come scienza» (Geschicbte als Wissenschaft) cfr. A. Heuss, Verlust der Geschichte, cit., pp. 13 ss. e 32 ss. — Sulle categorie qui liberamente richia mate di «esperienza/spazio di esperienza» (Erfahrung/Erfahrungsraum) e «aspettativa/orizzonte di aspettativa» (Erwartung/Erwartungshorizont) rinvio a R. Koselleck, Vergangene Zukunft, Suhrkamp, München 1979, passim e specialmente, pp. 349-375.

14 J.G. Droysen, Politische Schriften, hrg. v. F. Gilbert, Oldenbourg Verlag, München und Berlin 1933, p. 105.

serendola nella costruzione di una connessione dell’accadere storico con- feritrice di senso. Alla pre tesa dell’Aufklärung di imporre al presente i «concetti-di-sco po», le idee di una ragione non-storica15, Droysen

contrappo se non il principio della conservazione dell’esistente o della re- staurazione del passato, bensì il concetto di «sviluppo storico». Alla base di tale concetto vi è una concezione antropologica dialettica, per cui la vita umana nega ogni volta l’immediatamente esistente, non per distruggerlo, ma per dar gli una nuova forma, in ciò negandolo e conservandolo insieme, secondo il modello della hegeliana Aufhebung a sua volta riflettente la moderna connessione di Geist e Arbeit.

La vita storica, in quanto oggettivazione della formende Kraft, che qua- lifica la natura spirituale-sensibile dell’uomo — oggettivazione del- l’«energia voliti va» che mira a produrre «una realtà corrispondente al pensie ro, nella quale questo abbia la sua consistenza e verità»16, non è una

monotona ripetizione del programma della specie o dei suoi svolgimenti periodici nelle singole sue manifestazioni e unità specifiche (secondo la definizione della vita nella natura data da Aristotele e ripresa da Droysen)17,

né è assoluta «crea zione», bensì «formazione», «lavoro»18. Al di là della

posizione religiosamente fondata di Droysen, se l’ulteriorità, il trascendi- mento del già-dato sono costitutivi dell’essere dell’uomo in quanto medio (Zwischen, Mitte e Medium) tra natura e spirito, tra essente-dato o sempli- ce-presenza e auto-attività, da tale concezione di una costituzione onto-lo- gica dell’uomo e del suo mondo, che ne fonda l’essenziale storicità, scatu- risce una visione della vita storica come «sviluppo progressivo» verso l’emancipazione e la realizzazione delle proprie potenzialità da parte del maggior numero possibili di uomini: certo non uno sviluppo logicamente necessario, continuo e lineare, ma che si afferma o piuttosto si lascia rico- noscere attraverso tutte le interruzioni e le regressioni, che anche Droysen riconosce come le «rovine» e i «tempi dell’abbandono» che la storia nel suo corso indubbiamente conosce19.

Il presente – la situazione, il contenuto storicamente divenuto e le idee che in esso sorgono per avviarne il trascendimento – è il tempo reale della

15 Ibidem, p. 104.

16 J.G. Droysen, Historik. Vorlesungen über Enzyklopädie und Methodologie der Geschichte, hrsg. v. R. Hübner [1937], Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1972, p.12 (tr. it. di L.Emery, Istorica. Lezioni sulla enciclopedia e metodologia della storia, Milano-Napoli 1966, p. 13).

17 Ibidem., p. 9 (tr. it., cit., p. 9). 18 Ibidem., p. 194 (tr. it., cit., p.203 ). 19 Cfr. ibidem, pp. 11-14 (tr. it., pp. 12-15).

Geschichte in cui prendono corpo le estasi irreali del passato e dell’avveni-

re. Il presente è il fronte mobile del novum che ogni volta risulta come me- diazione oggettiva tra il già-stato, il già-divenuto e il non ancora che vuole divenire, tra il contenuto del presente, formato dall’assommarsi trasfigu- rante dei risultati del passato, e l’inoltrarsi del presente nel prossimo avve- nire mediante la volontà, che determina l’azione per realizzare ciò che esi- ste ancora soltanto idealmente, come creazione del pensiero, concetto-di scopo, progetto.

Solo non dimenticando di essere gettata nel movimento reale del presen- te che è divenuto e diviene, la Historie può costituire un elemento essenzia- le della Geschichte, può risvegliare – per dirla con Humboldt – il senso del-

la realtà effettiva, la connessione dinamica di fenomeni e idee20,

concependo «il passato come un moto incessante che si svolge fino al pre- sente […], come un grande lavoro che è compito del presente continuare a trasmettere all’avvenire»21. E solo proiettando in ogni passato questa co-

scienza della vita storica come sviluppo, «continuità progressiva», essa può comprendere il senso, il significato storico di quanto è accaduto – muovendo dalla linea del presente di ogni passato, restituendo a questo, in analogia con l’esperienza vissuta, la dimensione del futuro, la vitalità sto- rica che lo fa rivivere come presente, movimento, apertura da ciò che era divenuto al nuovo che da esso è scaturito o poteva scaturire.

L’aggancio droyseniano all’esigenza di fronteggiare la «perdita di storia» e di corrispondere ai problemi del presente, riguadagnando la continuità tra passato e presente, trova, nell’ambito del pensiero storico novecentesco, una esemplare riconfigurazione nella teoria crociana della “contemporaneità” della storia.

Come ha osservato Giuseppe Galasso, «la storia è contemporanea per- ché l’interesse ad essa nasce da un bisogno e da un problema del presente, e perché l’atto storico consiste precisamente nel rendere contemporanei a noi il passato e i suoi problemi nell’esperienza della loro rievocazione e ricostruzione»22. Conoscendolo, interpretandolo, da un lato ci liberiamo

dall’immediato peso del passato, dall’altro ce ne appropriamo, lo presenti- fichiamo. Così storicizziamo il passato definendolo nella sua alterità rispet-

20 J. G. Droysen, Historik. Die Vorlesungen von 1857, Historisch-kritik. Ausgabe von Peter Leyh, Bd. I, Stuttgart- Bad Canstatt 1977, p. 5; cfr. W. v. Humboldt, Il compito dello storico, tr. it. di G. Moretto, a cura di F. Tessitore, Napoli 1980, pp. 123-124.

21 J. G. Droysen, Historik (Hübner), cit., pp. 267-268 (tr. it. cit., p. 281). 22 G. Galasso, Nient’altro che storia, Il Mulino, Bologna 2000, pp. 53-54.

to a noi, e al nostro presente, e al tempo stesso, mettendo a servizio della vita le conoscenze che da esso provengono, i significati che da esso possiamo trarre, i valori che da esso ereditiamo, immettendo questi elementi nel nostro presente, rendendoli storia attuale, chiamandoli a nuova vita. Il modo stori- cizzante di rapportarsi al passato non è dunque mera archeologia, mera filo- logia, né mera erudizione ma appunto una conoscenza che serve alla vita.

Benedetto Croce afferma, ne La storia come pensiero e come azione, che un libro di storia rappresenta l’evidenziazione di un problema, di una connes- sione di problemi posti dalla realtà; è la risposta non immediata, ma conosci- tiva a un bisogno, ad una serie di bisogni avvertiti dal soggetto concreto o meglio da una pluralità di soggetti concreti, da una comunità vivente, in un determinato momento, in una determinata situazione, in un determinato “presente”. Il conoscere storico è intimamente legato alla prassi da cui viene richiesto e a cui si rivolge per prepararne lo svolgimento ulteriore23.

Ernst Troeltsch, alcuni decenni prima in Der Historismus und seine Proble-

me, aveva sostenuto questo stretto legame di pensiero ed azione, di conoscen-

za e prassi nella natura e nella genesi della storia, non diversamente da quanto accade per le scienze della natura24. E ancor più efficacemente Troeltsch aveva

espresso questi concetti in uno scritto sull’essenza del cristianesimo degli inizi del secolo: «Il senso della storia non consiste mai nel riprodurre un mondo pas- sato semplicemente nel ricordo. Giacché, a parte che non sarebbe possibile, questa rievocazione sarebbe anche vuota ed inutile. La comprensione del pre- sente in base al suo esser-divenuto; la visione d’insieme dell’esperienza del ge- nere umano (o almeno della nostra area culturale o del nostro popolo) ancora attingibile da noi e colta nella sua struttura complessiva; l’educazione storica del nostro pensiero che da essa si sviluppa e le linee direttive per il futuro che grazie ad essa si possono tracciare: è questo il senso della storia»25.

Questo stesso atteggiamento verso il pensiero storico che unisce la con- siderazione del costitutivo nesso della conoscenza storica con l’azione, con

23 Cfr. B. Croce, La storia come pensiero e come azione, Laterza, 3a. ed., Bari 1939, pp. 1-7.

24 Cfr. E. Troeltsch, Der Historismus und seine Probleme, (Gesammelte Schriften, Bd. III), Neudr. Ausgabe Tübingen 1922, Scientia Verlag, Aalen 1961, p. 70 (trad. it. Lo storicismo e i suoi problemi, a cura di G. Cantillo e F. Tessitore, vol. I, Guida, Napoli 1985, p. 112).

25 E. Troeltsch, Was heisst “Wesen des Christentums”? (1902), in Gesammelte Schriften, Bd. II (1913), Neudr. 2. Aufl., Tübingen 1922, Scientia Verlag, Aalen

Nel documento Desiderare. Tra stanchezza e disagio. (pagine 103-117)