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Dalle competenze all’agency trasformativa: il Capability Approach

CAPITOLO 4. DAL FORMARE ALL’IMPRENDITORIALITÀ AL CAPACITARE L’IMPRENDITIVITÀ

4.2. Entrepreneurship Education nei Paesi europei e in Italia

4.3.1. Dalle competenze all’agency trasformativa: il Capability Approach

Dare una definizione univoca e definitiva del concetto di competenza non è semplice, poiché questo termine risulta molto inflazionato, soprattutto nel linguaggio comune, che spesso lo vede confondere con altri termini, come quello di capacità, di abilità, di padronanza, ecc.

Molto probabilmente il concetto di competenza è apparso per la prima volta nel 1965 in un articolo di Chomsky, il quale lo utilizzò per descrivere la conoscenza che permette a un individuo di dare forma ai processi di produzione e interpretazione linguistica. Dopodiché il concetto di competenza si è diffuso nei vari ambiti del sapere, con numerose sfumature semantiche differenti.

Nel 1990 Le Boterf affermò che la competenza è «un insieme riconosciuto e provato, delle rappresentazioni, conoscenze, capacità e comportamenti mobilizzati e combinati in maniera pertinente in un contesto dato» (Le Boterf, 1990).

L’OCSE, nel 1997, attraverso il progetto DeSeCo (Definition and Selection of

Competences) propose questa definizione di competenza: «la capacità di rispondere a

specifiche esigenze oppure di effettuare un compito con successo e comporta dimensioni cognitive e non cognitive: le competenze chiave sono competenze individuali che contribuiscono a una vita ben realizzata e al buon funzionamento della società, implicando la mobilitazione di conoscenze, abilità cognitive e pratiche, come pure di componenti sociali e comportamentali quali attitudini, emozioni, valori e motivazioni» (Bottani, 2007, 11).

Nel 2000, di nuovo uno studioso francese (la Francia da sempre presta grande attenzione al tema della competenza), Perrenoud, dice che la competenza è «la capacità di agire efficacemente in una situazione data, capacità che si fonda su alcune conoscenze, ma non si riduce ad esse. Essa presuppone l’esistenza di risorse da mobilitare, ma non si confonde con esse, al contrario vi aggiunge qualcosa rendendole sinergiche in vista di un’azione efficace in una situazione complessa» (Perrenoud, 2000).

Nel 2001, fu Michele Pellerey a far fare un grande passo in avanti al concetto di competenza con questa definizione: «la competenza è la capacità di mobilizzare [attivare] e orchestrare [combinare] le risorse interne possedute per far fronte a una

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classe o tipologia di situazioni formative in maniera valida e produttiva»101 (Pellerey, 2001, 235-236). E su questa scia Tessaro ne amplia il valore quando afferma che «per valutare le competenze, si tratta di riconoscere insieme al soggetto, non solo ciò che sa (conoscenze) e ciò che sa fare con ciò che sa (abilità), ma soprattutto perché lo fa (scopo, motivazioni) e che cosa potrebbe fare (strategie, scenari) con ciò che sa e che sa fare» (Tessaro, 2011, 26).

In Italia poi l’ISFOL (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) ha parlato di competenze trasversali come di «un insieme di abilità di ampio spessore che sono implicate in numerosi tipi di compiti, dai più elementari ai più complessi, e che si esplicano in situazioni tra loro diverse e quindi ampiamente generalizzabili. La loro individuazione può essere frutto dell’analisi e della scomposizione dell’attività del soggetto posto di fronte al compito. Tale analisi consente di enucleare tre grandi tipi di operazioni che il soggetto compie, fondate su processi di diversa natura (cognitivi, emotivi, motori).»102

L’OCSE-PISA103, che è una delle più estese indagini internazionali sulle competenze degli studenti, tratteggia una concezione di competenza che pone l’accento sulla sua dimensione operativa, nel risolvere problemi, nell’affrontare casi, nel produrre in situazioni “autentiche”, considerando però altrettanto la capacità riflessiva della persona.

Tuttavia la definizione a cui più spesso si fa riferimento per il concetto di competenza è quella proposta nella Raccomandazione del Parlamento europeo e del

Consiglio del 23 aprile 2008 sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF)104: «la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di

101 Da questa definizione scaturiscono quattro riflessioni: a) si nota che ogni individuo possiede

internamente delle “risorse”; b) tutti siamo in grado di mettere in moto (mobilizzare) queste risorse personali; c) in questo processo vengono messi in contatto il mondo interno della persona con il contesto esterno nel quale agisce; d) e da qui si comprende l’importanza del concetto di contesto, nel quale la competenza deve sapersi declinare opportunamente.

102 ISFOL – Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori: http://www.isfol.it/ 103 L’indagine PISA (International Programme Student Assessment) dell’OCSE vuole rilevare le

competenze dei quindicenni scolarizzati, ossia vuole verificare se, e in quale misura, i giovani che escono dalla scuola dell’obbligo abbiano sviluppato quelle competenze ritenute fondamentali per svolgere una cittadinanza attiva e per apprendere per tutta la vita.

104 L’EQF definisce anche le “conoscenze” e le “abilità”. Le conoscenze «indicano il risultato

dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le conoscenze sono l’insieme di fatti, principi, teorie e pratiche, relative a un settore di studio e di lavoro; le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche.» Le abilità, invece, «indicano le capacità di usare conoscenze e di usare know-

how per portare a termine compiti e risolvere problemi; le abilità sono descritte come cognitive (uso

del pensiero logico, intuitivo e creativo) e pratiche (implicano l’abilità manuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti)» (European Commission, 2008b).

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lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale; le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia» (European Commission, 2008b).

Ad ogni modo, tutte queste concezioni e definizioni del concetto di competenza fanno emergere alcuni tratti comuni, che sono le dimensioni della responsabilità, dell’autonomia e della riflessività. Infatti, come osserva Guasti, «l’apprendimento delle competenze non è ottenibile se non stimolando il soggetto attraverso la molteplicità delle situazioni e delle esperienze e attraverso lo sforzo, cui il soggetto deve essere indirizzato e sostenuto, a riflettere sulle situazioni che vive e le esperienze che fa, ad apprendere da esse, a diventare consapevole delle proprie strategie di apprendimento e a controllarle, a volgersi dagli apprendimenti occasionali a sistemazioni sempre più ampie e sempre più coerenti» (Guasti, 2001).

La competenza è certo un paradigma essenziale per leggere il rapporto tra lavoro e persona, per mettere in evidenza le forme dei saperi e delle azioni con cui il soggetto cala se stesso nella dimensione professionale, in rapporto al proprio ambiente e al proprio ambito lavorativo. Ma le competenze non bastano a determinare un’autentica qualificazione dell’agire professionale. Non bastano nemmeno a supportare lo sviluppo professionale della persona e l’espressione della sua piena direzionalità realizzativa, poiché le competenze non sanno rendere conto della capacità di evoluzione in relazione all’interazione con i contesti, né riescono a intercettare la natura della scelta degli obiettivi, dei processi di attivazione e delle opportunità. Ciò che occorre ricercare, quindi, è la valorizzazione della libertà e della capacità di azione in relazione alle possibilità e alle opportunità del contesto di riferimento, cioè quella sorta di “competenza ad agire” che è l’agency individuale (Ellerani, 2013). Questa dimensione, come spiega Costa, «non esprime il possesso del sapere pratico mediante cui padroneggiare le diverse situazioni, bensì l’attitudine all’apertura e alla disponibilità a compiere un’attività intellettuale sull’agire che muove dall’agire; la propensione ad apprendere nel lavoro, coniugando pensiero e azione, combinando fare e pensare come fare al meglio, grazie ad una flessibilità che diventa plasticità cognitiva a supporto delle capabilities del soggetto» (Costa, 2014b, 221).

Si tratta, quindi, di compiere un mutamento di prospettiva, e ciò richiede anche un mutamento di concezione ben più ampio, riguardante l’idea stessa di sviluppo umano. Il Capability Approach elaborato da Amartya Sen (1987; 1999; 2006; 2010) e Martha Nussbaum (2001; 2012) va esattamente «nella duplice

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direzione del ritrovamento-rinnovamento di un significato antropologico fondativo dell’uomo: la realizzazione delle proprie potenzialità» (Strano, 2015, 113).

Nussbaum e Sen sono i cofondatori della Human Development and

Capability Association, associazione che lavora per un’elaborazione dello sviluppo

umano basato sull’equilibrio tra identità soggettiva e appartenenza culturale e tra difesa della libertà individuale e ricerca della giustizia sociale, ponendo come punto di riferimento quel flourishing anglosassone, ma di antica origine aristotelica (eudaimonia105), per cui «la fioritura di un essere umano consiste nel fatto che egli sviluppi le potenzialità che sono tipiche della propria specie» (Mocellin, 2006, 207). Amartya Sen e Martha Nussbaum in questo senso hanno dato vita a un approccio chiave per realizzare quel profondo cambiamento di paradigma di cui il mondo avrebbe bisogno (oggi più che mai), anche nella prospettiva della realizzazione di quel nuovo stato sociale capace di mettere al centro la persona (quel learnfare precedentemente auspicato). Ma non va sottovalutato il fatto che tra i due autori intercorrono delle sostanziali differenze, per cui il miglior modo di sfruttare i loro insegnamenti consiste in un atteggiamento integrativo e collaborativo delle loro teorie.

Anzitutto essi elaborano differenti concezioni e declinazioni dei concetti di “capacità” e “capacitazione”. Per la Nussbaum le “capacità” sono ciò che è in grado di fare e di essere una persona, un insieme di opportunità di scegliere e di agire, che derivano dalla combinazione di diversi fattori, quali le abilità personali, l’ambiente sociale, politico ed economico (Alessandrini, 2014). L’autrice, per esplicitare questa complessità, si riferisce a tali libertà sostanziali definendole “capacità combinate”. Le capacità combinate sono costituite in parte da quelle che l’autrice chiama “capacità interne”, ovvero le caratteristiche di una persona. Queste capacità interne però non sono innate, ma rappresentano quanto acquisito. Le facoltà innate, invece, vengono denominate dall’autrice come “capacità di base”. L’altro aspetto importante della capacità è il “funzionamento”, il quale rappresenta «la realizzazione attiva di una o più capacità. […] I funzionamenti sono modi di essere e di fare, che sono compimenti o realizzazioni di capacità» (Nussbaum, 2012, 32).

105 La parola greca eudaimonia non va tradotta semplicemente con il termine “felicità”, poiché essa

indica qualcosa di più: uno stato di benessere che comprende sia la soddisfazione dell’individuo, sia la sua collocazione nel mondo. Questa complessità di significato è stata ripresa dal flourishing (“fioritura dell’uomo”) della filosofia morale anglofona.

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Amartya Sen, invece, distingue tra “funzionamenti” (functionings) e “capacitazioni” (capabilities), «descrivendo i funzionamenti come stati di essere o di fare cui gli individui attribuiscono valore, mentre le capacitazioni come l’insieme delle opportunità di scelta tra opzioni alternative di cui una persona dispone, congiunto alla sua capacità di fruirne effettivamente» (Strano, 2015, 113)106. Nell’approccio delle capacitazioni il vantaggio del soggetto è considerato in base alla «capacità che ciascuno ha di fare le cose alle quali, per un motivo o per un altro, assegna un valore» (Sen, 2010, 241), e le opportunità risultano essere perciò un aspetto della libertà, che è lo spazio aperto in cui potersi realizzare. Di conseguenza, «il potenziale insito nella situazione (capability) esprime ciò che è effettivamente possibile, mentre la qualità della vita delle persone è il risultato delle azioni effettivamente compiute» (Costa, 2014b, 221)107. Secondo Sen è lo sviluppo delle libertà che va ricercato prima di ogni altra cosa, in particolare della libertà di agency, ossia quella libertà di azione e di realizzazione considerata come l’indicatore essenziale di qualità della democrazia e di sviluppo umano.

Un altro fondamentale punto di distanza tra Sen e Nussbaum risiede nell’idea di libertà, dove la Nussbaum elabora una concezione di libertà di tipo politico, mentre Sen una comprensiva del benessere e dell’agency. La concezione politica (Nussbaum, 2012) guarda al buon governo in una prospettiva di liberalismo politico e sviluppa maggiormente la dimensione normativa (tanto è vero che la Nussbaum realizza una precisa lista di dieci “capacità centrali”108 che vanno protette, cosa che il filosofo indiano non farà mai), mentre Sen guarda anzitutto alla realizzazione

106 Sen, ancora, afferma che «a functioning is an achievement, whereas a capability is the ability to

achieve. Functionings are, in a sense, more directly related to living conditions, since they are different aspects of living conditions. Capabilities, in contrast, are notions of freedom, in the positive sense: what real opportunities you have regarding the life you may lead» (Sen, 1987, 36).

107 «Le azioni degli individui sono quindi influenzate dai diversi fattori di convertibilità

(caratteristiche personali, delle istituzioni e del contesto), oltre che dalle opportunità reali (capability) e all’esercizio della libertà positiva. La qualità effettiva della vita delle persone (achieved

functionings) molto spesso differisce dalle potenzialità reali di un contesto (capabilities). La qualità

della vita di una persona è correlata alle sue possibilità. Esse, tuttavia, non coincidono, perché le potenzialità reali sono elementi di libertà positiva, mentre la qualità della vita è il risultato del suo esercizio. Si sostiene, infatti, che la capability è un insieme di vettori di functionings, che rivela la libertà di una persona nel determinare il proprio stile di vita» (Costa, 2014b, 221).

108 Le dieci “capacità centrali” della Nussbaum sono: vita; salute fisica; integrità fisica; sensi,

immaginazione e pensiero; sentimenti; ragion pratica (poter riflettere sulla propria vita in base a ciò che si concepisce come bene; ciò comporta la tutela della libertà di coscienza e di pratica religiosa); appartenenza (poter vivere con gli altri; disporre delle basi sociali per il rispetto di sé, oltre ogni discriminazione di razza, sesso, tendenza sessuale o religiosa); altre specie (saper vivere con gli animali e il mondo intero); gioco; controllo del proprio ambiente (politico e materiale). Per la Nussbaum «il rispetto della dignità umana richiede che i cittadini raggiungano un alto livello di capacità, in tutte e dieci le sfere specificate» (Nussbaum, 2012, 41).

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personale attraverso un approccio comparativo (Sen, 2010). Rispetto alla Nussbaum, Sen lavora con più insistenza sul concetto di libertà, e per lui non è possibile stabilire in anticipo quali debbano essere i criteri per formulare i principi guida delle politiche governative109. Egli sostiene che quello che è importante guardare nel valutare una

policy è la sua capacità di rendere effettivamente “buona” la vita dei cittadini, dove

all’interno del termine “buono” non si annidano connotazioni né metafisiche, né universalistiche a priori. Tutto va stabilito nell’hic et nunc, persino i valori del vivere assieme, poiché essi vanno soppesati di volta in volta in relazione alla situazione e ai protagonisti.

Per certi versi, la prospettiva di Sen – quella che il presente studio intende adottare – appare più ricca di implicazioni espansive, poiché meno prescrittiva e più inclusiva della diversità della qualità delle molteplici dimensioni e occorrenze dell’esistenza. Egli, soprattutto, trasforma la soggettività nella leva di sviluppo della comunità e consacra il vivere insieme come indispensabile territorio per la declinazione delle libertà personali, secondo una fondamentale prospettiva di giustizia ed equità110.

Sulla base dei fondamenti del Capability Approach, dunque, si arriva a comprendere che anche l’idea di formazione può subire un mutamento, un salto di qualità in avanti. Infatti, è chiaro che, per raggiungere una formazione davvero qualificante e attivante per la persona, non è sufficiente orientarla a un processo lineare di acquisizione di competenze – spesso legate a una rigida standardizzazione (Mayo, 2013) –, bensì bisogna cercare di promuovere quelle capacità di ricerca, di scoperta, di riflessione sulle premesse per la trasformazione (Mezirow, 2003), di decisione e azione, cioè quell’agency trasformativa che rende gli atteggiamenti di rinnovamento e riqualificazione continui praticabili e trasferibili nei diversi contesti d’azione della persona.

109 Anzi, solamente proprio il livello di libertà (intesa come libertà effettiva) è per Sen l’unico criterio

imprescindibile attraverso cui osservare gli assetti politico-sociali determinati dalle policy pubbliche.

110 E la giustizia, secondo Sen, ha bisogno di partecipazione politica e di pubblica e libera interazione,

che possono essere garantite solo dalla democrazia: le buone pratiche democratiche promuovono il perseguimento della giustizia (Sen, 2010).

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