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L’imprenditività per la mobilità professionale e l’inclusività in prospettiva di learnfare

CAPITOLO 3. POLITICHE EDUCATIVE E FORMATIVE PER L’OCCUPAZIONE E L’INNOVAZIONE

3.4. L’imprenditività per la mobilità professionale e l’inclusività in prospettiva di learnfare

Alla luce di questo quadro sulle politiche per la formazione e l’occupazione nel nostro Paese, il progressivo cammino verso la costruzione di un nuovo sistema sociale appare definirsi con chiarezza, rivelando tutta la sua importanza e necessità a maggior ragione oggi, di fronte alle incessanti sfide della crisi e della globalizzazione. È stata infatti l’esplosione di una crisi economica e finanziaria senza precedenti che ha reso improcrastinabile per tutti i Paesi europei – e non solo – il ripensamento di un modello di welfare che non è più capace di rispondere alle attuali esigenze sociali e ai rischi connessi al nuovo mondo del lavoro78 (Castells, 2006; Lodigiani 2008; Margiotta 2012; Naldini 2006).

Così, la prospettiva welfarista universalistica, che aveva caratterizzato l’azione dello Stato come una totale uniformità nella soddisfazione dei bisogni dei cittadini e una dannosa cecità nei confronti delle peculiarità e delle differenze, si trova oggi ad affrontare il suo veloce tramonto. Nella knowledge economy si sono innestate tali e tante criticità (e povertà) che occorre pensare ad un welfare in grado di discriminare le proprie policy in base ai differenti bisogni dei cittadini e alla diversa struttura settoriale del mercato del lavoro. Questo nuovo welfare deve sapere andare oltre il capitale umano e fare perno sui principi di partecipazione, libertà e sussidiarietà (Margiotta, 2012), come, assieme, sui paradigmi delle competenze e delle capacitazioni (Costa, 2012; 2014). Il nuovo stato sociale deve dimostrare di sapere andare oltre il tradizionale impianto assistenziale, che era passivo e assicurativo con approccio centralizzato e top down, per andare verso un tipo di stato sociale “attivo”, cioè un active welfare state79 (Margiotta, 2012). Ma anche questo non basta: ciò che oggi deve essere ricercato con forza è la messa al centro della persona. Mettere la persona al centro significa cominciare a modificare di fatto il

78 Tra i cambiamenti che stanno producendo l’urgente necessità di un nuovo modello di welfare

citiamo: il progressivo invecchiamento della popolazione, che pone difficoltà in termini di ripensamento del sistema previdenziale, di assistenza agli anziani non autosufficienti, di qualità della vita per la terza età; la crisi dell’istituzione familiare, con la crescente instabilità delle relazioni (Pesenti, 2008); le nuove forme del lavoro, l’alternanza continua tra momenti di lavoro e di non lavoro e, con ciò, il crollo del mito della piena occupazione, che era stata promessa del welfare moderno.

79 Il welfare attivo è un concetto ampiamente dibattuto in Europa da tempo e, riferendosi ai rischi

connessi al mercato del lavoro, si traduce nei programmi integrati di active welfare e di politiche occupazionali, per cui si stanno elaborando approcci e quadri d’azione comuni.

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welfare universalistico tradizionalmente concepito su un processo di vita lineare, in

cui si susseguono ordinatamente le tappe dell’istruzione, del lavoro, della famiglia e della pensione. Significa, quindi, cogliere i cambiamenti del nostro tempo, le sue instabilità e la sua grande dinamicità. Significa promuovere la libertà della persona (non la sua solitudine), le sue capacità di progettazione, attivazione e auto- protezione, affinché sappia sviluppare cittadinanza attiva e mobilità per l’occupazione. Significa, insomma, affrontare il decisivo passaggio da un sistema di

welfare ad uno di learnfare (Margiotta, 2012), ossia significa realizzare

quell’improcrastinabile approdo ad uno stato sociale che ponga al centro della nuova epoca il learning (la persona e il suo apprendere) e che sia inteso come garanzia di libertà di scelta e di realizzazione personali (Costa, 2012; 2014; Margiotta, 2012).

E, si badi, il learnfare è un paradigma completamente differente dal workfare. Il workfare (o welfare for work) significa “work-for-your-welfare” (“lavora per il tuo

welfare”), ed è un modello che mette il lavoro prima di tutto e come base per la

sostenibilità del nuovo stato sociale. Le policy di workfare puntano sia ad accrescere l’adattabilità degli individui al mercato del lavoro, sia a rendere più allettante la condizione lavorativa rispetto a quella di dipendenza dai sussidi, per incentivare la ricerca di lavoro da parte degli individui stessi (Lødemel, Trickey, 2000). Il

learnfare, invece, si fonda sull’apprendimento e sulla formazione quali assi

imprescindibili (Baldacci, Frabboni, Margiotta, 2012) sia per cercare la convergenza tra lo sviluppo della persona (delle sue competenze) e le nuove esigenze del mondo produttivo, sia per generare processi di empowerment dell’individuo, promuovendone capacitazioni e forza agentiva, per sostenerlo nel lungo percorso di realizzazione personale, tra cambiamenti e scelte.

Nella prospettiva di un ampliamento delle libertà individuali nelle scelte di formazione e nelle scelte professionali si inseriscono a pieno titolo le politiche di

flexicurity, che anche l’Unione europea sta supportando.

Come già detto, il mito della piena occupazione sta inesorabilmente tramontando e il concetto di sicurezza del posto di lavoro si è trasformato in quello di

employability, cioè di “occupabilità” come “mobilità nell’occupazione”, che, a

partire dai cambiamenti dell’attuale mondo del lavoro, con la flessibilizzazione totale e la messa in discussione della stabilità professionale, cerca di rispondere al nuovo tempo fornendo al lavoratore un ampio set di abilità e di possibilità, in modo tale che

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egli possa rispondere alla precarietà e alla mutevolezza del lavoro con le sue stesse risorse e capacità personali.

È in questa prospettiva che assume valore significativo il concetto di

flexicurity, che cerca di portare a sintesi i concetti fondamentali di flessibilità e

sicurezza (flexibility and security) e che la Commissione europea ha definito come «una combinazione di contratti di lavoro sufficientemente flessibili, politiche efficaci e attive per il mercato del lavoro intese a facilitare il passaggio da un impiego all’altro, un sistema di apprendimento permanente affidabile e in grado di reagire ai cambiamenti nonché un’adeguata protezione sociale» (European Commission, 2006b)80. La flexicurity è divenuta sempre più un pilastro della Strategia Europea

per l’Occupazione: lo dimostrano le linee guida europee per l’occupazione 2005-

200881 e la comunicazione della Commissione europea sui principi della flexicurity, seguita dalla pubblicazione di Towards Common Principles of Flexicurity (European Commission, 2007).

Dietro la prospettiva del learnfare e di una flexicurity opportunamente adottata per la messa al centro della persona vi è la concezione di uno stato sociale attivante che discende dalla riflessione di Sen e del suo Capability Approach (Sen, 2010), dove le

capabilities sono le “possibilità di funzionare” delle persone e anche le effettive

opportunità di “essere” e di “fare” ciò che ritengono rilevante per la loro vita. Tutto ciò si basa sulla forza di agency degli individui, sulla loro capacità di attivarsi per agire rispetto ai propri obiettivi, che risulta essere il vero motore della costruzione dell’esistenza di ciascuno. E l’agency (agentività) può essere oggetto di formazione82. Nel learnfare la formazione viene riconfigurata nel quadro delle politiche attive per il lavoro facendo leva sullo spirito d’iniziativa delle persone, sulla loro imprenditività (o agency imprenditiva).

80 In pratica, con la flexicurity si mira a promuovere l’utilizzo di forme flessibili di organizzazione del

lavoro, assicurando al contempo prospettive per l’occupazione e per lo sviluppo di carriera (Margiotta, 2012).

81 Tali linee guida sono state definite nell’ambito della Strategia di Lisbona per la Crescita e

l’Occupazione per «favorire al tempo stesso flessibilità e sicurezza occupazionale e ridurre la segmentazione del mercato del lavoro, tenendo debito conto del ruolo delle parti sociali» (European Commission, 2005).

82 In questo quadro, come afferma Costa, «prioritario per l’azione politica è, quindi, il favorire nei

cittadini la capacità di apprendimento lungo il corso della vita (capability for learning lifelong) intesa come possibilità di poter accedere alle opportunità rappresentate sia dai percorsi formativi, ma anche dalle occasioni di apprendimento non formale e informale emergenti nell’azione, scegliendo liberamente tra le diverse opzioni quella ritenuta valida per sé coerentemente con il proprio progetto di vita (capability for learning)» (Costa, 2012, 100-101).

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Le persone, quindi, devono rafforzare la propria imprenditività come chiave di volta per scegliere e percorrere strade di formazione continua e di sviluppo professionale. In questo, le persone devono cercare l’accrescimento sia delle competenze, sia delle responsabilità individuali, per attivare in piena consapevolezza processi di ricombinazione continua delle possibilità.

All’interno del nuovo patto sociale del learnfare, l’istruzione, la formazione e l’apprendimento divengono condizioni indispensabili per esercitare una cittadinanza attiva (ossia, la partecipazione dei cittadini a tutte le sfere della vita sociale ed economica) e per sostenere i processi fondamentali dell’inclusività e della mobilità professionale. Oggigiorno, infatti, vanno attentamente tutelate sia la possibilità di occupabilità attraverso la mobilità professionale – soprattutto per le fasce dei lavoratori più giovani –, sia la possibilità di riposizionamento e di inclusività – soprattutto per le fasce dei lavoratori più adulti.

Lo sviluppo dell’occupabilità tramite la mobilità professionale è un tema centrale, che deve passare attraverso adeguate politiche del lavoro e della formazione (Council of the European Union, 2015), volte a operare sulla popolazione attiva, facendo leva su dispositivi di supporto quali la flexicurity, la sicurezza nella mobilità83 e la formazione permanente. Promuovere l’agency imprenditiva può rappresentare una via per mettere in valore la capacità della persona di adattarsi ai movimenti evolutivi del suo sistema professionale di riferimento84, orientandosi, ripensandosi, trasformandosi e anche, nel caso, percorrendo la strada del lavoro imprenditoriale come possibile soluzione per la propria edificazione professionale, esprimendo al contempo un’ampia direzione realizzativa della propria persona.

La tutela dell’inclusività (European Commission, 2010), poi, aspetto sensibile soprattutto per quei lavoratori che rischiano l’emarginazione sociale perché fuoriusciti dalla propria posizione lavorativa ad età avanzata e in grave difficoltà nel riposizionarsi all’interno del mercato del lavoro85, pone in rilievo la dimensione

83 L’Unione europea afferma che la mobilità è una delle libertà fondamentali dei cittadini, elemento

chiave anche per il miglioramento delle loro competenze: «ogni cittadino dell’UE ha il diritto di lavorare e risiedere in un altro Stato membro senza subire discriminazioni per la sua nazionalità. La libera circolazione delle persone è una delle libertà fondamentali garantite dal Trattato sull’Unione europea (articoli 3, 39, 40) e dalla normativa comunitaria» (Dal sito EURES – Il portale europeo della mobilità professionale https://ec.europa.eu/eures/public/it/job-mobility).

84 L’attuale assetto del mercato del lavoro, infatti, fa dell’adattabilità al cambiamento la sua cifra

distintiva, escludendo seccamente l’anacronistica pretesa di staticità professionale.

85 Il tema dell’inclusività, inoltre, va associandosi sempre più a un aspetto problematico

dell’innovazione. L’innovazione, infatti, non va letta solamente in termini positivi, come occasione di riconfigurazione del rapporto tra lavoro e persona, ma va osservata anche dal punto di vista della

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valoriale della formazione. Promuovere l’imprenditività delle persone può, da questo punto di vista, divenire uno strumento di abbattimento delle discriminazioni e di riabilitazione alla partecipazione attiva alla vita sociale e civile86, perché permette alla persona di fare leva su un proprio progetto semantico e professionale di ripensamento del sé (Bruner, 1992) e di riqualificazione professionale, progetto fatto di spirito d’iniziativa, di capacità di rileggere gli accadimenti della propria vita, di autonomia e responsabilità e di innovazione, nella sfera lavorativa ma anche nella vita privata e sociale (Costa, 2015).

Alla luce di tutto ciò, dunque, promuovere imprenditività nel contesto del

learnfare sembra poter favorire la realizzazione della preziosa sincrasi tra protezione

sociale e attivazione, che Colasanto definisce “protezione sociale attivante” (Colasanto, Lodigiani, 2007), in cui i concetti di flexicurity e di governance possono armonizzarsi guardando con particolare attenzione alla teoria di Sen, che coniuga l’idea di giustizia con quella di libertà attraverso il costrutto delle capabilities (Sen, 2010). Il nuovo modello di stato sociale del learnfare appare così tratteggiarsi proprio come un sistema in cui il diritto individuale di apprendere per tutta la vita (lifelong and lifewide learning) assume il valore di nuovo diritto di cittadinanza e di partecipazione87 (Baldacci, Frabboni, Margiotta, 2012).

dimensione problematica che contiene: l’innovazione sta creando una frattura sempre più ampia tra le persone ad alta qualifica e competenza (per le quali l’innovazione diventa ambito attivo e forte poiché tali persone sono in grado di intercettare le reti della produzione del valore) e le persone a bassa qualifica e competenza, che hanno, proprio per questo motivo, una maggiore difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro e per cui l’innovazione si configura come ostacolo allo sviluppo e come elemento di esclusione ed emarginazione. A pagare questo tipo di difficoltà sono soprattutto alcune categorie di lavoratori, ovvero quelle fasce deboli date da: le persone fuoriuscite dal mercato del lavoro, soprattutto in età avanzata; le persone immigrate; le persone con basso livello di istruzione.

86 Tra cittadinanza attiva e inclusività c’è una stretta relazione ed un chiaro rapporto di tipo biunivoco,

poiché la cittadinanza è oggi una «condizione sociale prima che giuridica» (Antonelli, 2011, 17), che si compone dei concetti di partecipazione, assunzione di responsabilità e integrazione. In questa prospettiva, perciò, l’inclusività è di fatto uno dei modi con cui si declina il principio di cittadinanza nell’attuale contesto europeo complesso e multiculturale.

87 «Gli assunti del learnfare, infatti, rimandano alla convinzione che l’inclusione sociale e

l’attivazione passino anche attraverso una partecipazione elevata al sistema formativo e che quest’ultimo debba garantire a tutti eguali opportunità (fossero anche di “seconda chance”) di raggiungere i livelli più elevati, compatibilmente con le proprie capacità e aspettative» (Costa, 2012, 100).

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CAPITOLO 4. DAL FORMARE ALL’IMPRENDITORIALITÀ