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DANNI IN MATERIA DI PERSONALE

Nel documento INAUGURAZIONE DELL ANNO GIUDIZIARIO 2021 (pagine 76-84)

3.- L’ATTIVITA’ DELLA PROCURA

3.2.9 DANNI IN MATERIA DI PERSONALE

Con riferimento a tale tipologia di danno, meritano menzione le azioni intraprese relativamente allo svolgimento di incarichi extraistituzionali in assenza di preventiva autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza.

In tale ambito, un Giudizio è stato introdotto all’esito di una complessa istruttoria che ha preso le mosse da una segnalazione della Guardia di Finanza relativamente alle verifiche compiute, su richiesta del Nucleo Speciale Anticorruzione della Guardia di Finanza e previa delega della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, nei confronti di un dipendente del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca con incarico di docente di ruolo presso una Scuola secondaria di I grado, per lo svolgimento di incarichi extraistituzionali non autorizzati dall’Amministrazione di appartenenza.

Dall’istruttoria compiuta, è emerso che il docente ha svolto, attività extraistituzionale di libero professionista presso il proprio studio, come riportato nelle ricevute rilasciate ai clienti, senza la previa autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza.

Tali attività sono state compiute quindi in violazione dell’art. 53, comma 7 del D. Lgs. n. 165 del 2001 e, conseguentemente, comportano l’obbligo di versare all’Amministrazione i compensi percepiti con la precisazione che, ai sensi dell’art.

53, comma 7-bis del D. Lgs. n. 165 del 2001, “l’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”.

Per dette attività, il docente ha ricevuto compensi, nel periodo 2009-2018, per complessivi euro 70.833,00, come inseriti nelle dichiarazioni dei redditi.

Essendo deceduto il convenuto dopo l’emissione dell’atto di citazione, previa ordinanza della Sezione Giurisdizionale il giudizio è stato riassunto nei confronti degli eredi che hanno accettato l’eredità.

Altro giudizio è quello nei confronti di un docente universitario a seguito dell’omesso riversamento dei proventi di attività libero-professionale incompatibile, svolta in violazione delle norme vigenti sull’incompatibilità nel pubblico impiego ed in particolare, in ambito universitario. Una prima pronuncia aveva ritenuto prescritto il danno da omesso riversamento relativo ai compensi percepiti e non riversati in epoca antecedente al periodo prescrizionale ma la Seconda Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello, con sentenza n. 129 del 15 maggio 2020, ha ritenuto configurato, in adesione alla tesi della Procura regionale, il doloso occultamento del danno ed ha dunque rimesso la causa alla Sezione Giurisdizionale regionale: di qui la riassunzione in giudizio con contestazione di danno erariale per euro 181.141,00.

Ulteriore simile fattispecie in ambito universitario è quella riguardante un professore ordinario che, in regime di tempo pieno nell’Università di Bologna, risulta avere svolto attività libero-professionale non autorizzata presso vari soggetti per almeno otto anni. Questa Procura ha chiesto il risarcimento del danno erariale di € 225.362,72 pari al corrispettivo percepito per il periodo non ritenuto prescritto.

In un altro giudizio, il docente ha svolto l’incarico di CTU per un Collegio arbitrale senza chiedere l’autorizzazione all’Università presso la quale era in regime di tempo pieno: per tale incarico, il docente ha percepito la somma di € 275.408,24.

Questa Procura, sul presupposto della non assimilabilità della CTU disposta dal Collegio arbitrale con quella ordinata dal giudice civile, ha convenuto in giudizio il docente che non aveva provveduto a riversare, ai sensi dell’art. 53, comma 7-bis del D. Lgs. n. 165 del 2001, i compensi percepiti all’amministrazione di appartenenza.

Su segnalazione della GdF delegata dall’Ispettorato della Funzione pubblica è poi, emerso che un docente a tempo pieno ed indeterminato di un Istituto tecnico ha svolto per un lungo periodo di tempo attività libero-professionale non autorizzata a favore di vari soggetti privati ricavandone un compenso di € 97.873,46, che, sulla base della normativa più volte citata, avrebbe dovuto riversare alla sua amministrazione di appartenenza.

La Procura ha ritenuto non fondate le eccezioni avanzate dalla difesa del docente ed in particolare la prescrizione dell’azione erariale (stante l’occultamento doloso), così come la circostanza che il docente avesse pagato i tributi sui proventi percepiti per tali attività professionali e la valenza pluriennale di un’autorizzazione avuta per un solo anno; pertanto, ha proceduto a convenire in giudizio il docente per l’importo sopra indicato.

Altro giudizio concerne condotte assenteistiche e violative dell’obbligo di esclusività da parte di un ispettore del lavoro che in orario di servizio, formalmente

presente, svolgeva invece - senza previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza - attività di formazione professionale per conto di private strutture.

C’è stato anche un parallelo procedimento penale da cui sono stati tratti elementi per l’attività istruttoria.

Nella fattispecie, sono stati individuati e contestati tre tipi di danno erariale:

danno per assenteismo fraudolento (euro 1.816,57), danno per retribuzioni da attività non autorizzate non riversate all’Amministrazione di appartenenza per euro 10.738,12 e danno all’immagine determinato in via equitativa in euro 10.000,00.

Ulteriore procedimento è stato aperto sulla base della segnalazione della Guardia di Finanza - Nucleo Speciale Anticorruzione - Gruppo Funzione Pubblica, dalla quale emergeva che una dipendente civile del Ministero della Difesa aveva svolto un’attività di intermediazione immobiliare, senza essere autorizzata dalla sua Amministrazione, per la quale aveva ricevuto da un’Agenzia il compenso di 4.000,00 euro. La Procura ha provveduto a citarla in giudizio per il recupero del medesimo importo in favore dell’Amministrazione danneggiata.

Fattispecie molto simile è quella che ha condotto alla citazione in giudizio di un altro dipendente civile del Ministero della Difesa per aver svolto incarichi extraistituzionali in ambito scientifico retribuiti, in assenza dell’autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza. E’ stato chiesto il risarcimento del danno pari ad € 8.810,00.

Da richiamare è, inoltre, l’atto di citazione che contesta a un dirigente Ausl - titolare di contratto di lavoro a tempo indeterminato e a tempo pieno con profilo professionale di dirigente ingegnere - lo svolgimento di numerose consulenze tecniche di parte in procedimenti giudiziari civili e penali ed altri incarichi professionali conferiti da privati in assenza della richiesta di specifica autorizzazione all’Amministrazione di appartenenza, venendosi a configurare la violazione dell’art.

53, comma 7 del d.lgs. 165/01. In particolare, sono stati distinti gli incarichi di CTU, per i quali non è dovuta alcuna autorizzazione in ragione del relativo obbligo di assolvimento come “ausiliario del giudice”, da quelli svolti come consulente tecnico di parte (CTP), suscettibili di necessaria previa autorizzazione dell’Ausl, in assenza della quale è doveroso il riversamento all’Amministrazione di appartenenza dell’aliunde perceptum. Il pregiudizio economico addebitato è pari ad euro 87.360,04.

Importanti riconoscimenti della correttezza delle tesi sostenute in tale fattispecie da questa Procura si sono avuti con le seguenti decisioni della Sezione Giurisdizionale:

- sentenza n. 29 del 2020 di condanna, per euro 11.896,55, di un docente presso un Istituto d’Istruzione superiore, che era risultato titolare di una ditta individuale esercente attività imprenditoriale di ristoratore, attività ritenuta incompatibile con il rapporto di impiego pubblico;

- sentenza n. 119 del 2020 di condanna integrale, in accoglimento pieno delle richieste di questa Procura, di un ingegnere dipendente della Provincia di Piacenza per lo svolgimento continuativo di attività libero-professionale da parte. È risultato essere attivo continuativamente uno studio professionale di ingegneria.

In particolare, l’azione è stata promossa per il periodo nel quale l’ingegnere era dipendente a tempo pieno, mentre sono stati esclusi i periodi nei quali l’amministrazione aveva concesso l’attività part-time. Il danno da risarcire coincide con l’importo degli emolumenti professionali incassati in assenza di comunicazione all’amministrazione di appartenenza, pari ad euro 93.171,00;

-sentenza n. 120 del 2020 che ha definito, a seguito di rito abbreviato con pagamento di euro 35.000, il procedimento nei confronti di un dipendente di un Comune ravennate per esercizio di attività extraistituzionali non autorizzate dalla propria Amministrazione e mancato riversamento dei relativi proventi;

-sentenza n. 152 del 2020 di condanna, per euro 23.450, di un dipendente di un Comune della provincia bolognese con funzione di addetto stampa per lo svolgimento di incarichi extraistituzionali non autorizzati dall’amministrazione di appartenenza.

Nella fattispecie, oltre al più volte citato art. 53, comma 7 del d.lgs. n.

165/2001, si aggiunge una norma specifica per gli addetti stampa operanti negli enti pubblici, ovvero l’art. 9, comma 4 della legge n. 150/2000 (“Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle Pubbliche Amministrazioni”), che afferma: “…I coordinatori e i componenti dell’ufficio stampa non possono esercitare, per tutta la durata dei relativi incarichi, attività professionali nei settori radiotelevisivo, del giornalismo, della stampa e delle relazioni pubbliche…”. Questa disposizione normativa esclude qualsiasi tipo di attività giornalistica professionale retribuita da parte degli addetti stampa, sia pure con la deroga che si evince dall’antecedente circolare della Funzione Pubblica n. 3/1997 che, nel rispetto della libertà di associazione e manifestazione del pensiero, consente collaborazioni saltuarie gratuite e non in contrasto con gli interessi dell’amministrazione.

Il Collegio ha osservato che, per gli incarichi extraistituzionali svolti, il convenuto doveva considerarsi incompatibile per le ragioni anzidette e comunque il convenuto non ha prodotto in giudizio alcuna richiesta di autorizzazione formulata al Comune da cui si possano trarre elementi per sostenere una buona fede dell’interessato;

- sentenza n. 215 del 2020 di condanna, in integrale accoglimento delle richieste di questa Procura, al risarcimento del danno di euro 12.456,22 per lo svolgimento, da parte di un dipendente del Ministero della Difesa, di alcune prestazioni di lavoro, non autorizzate, in favore di società private.

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Altro significativo fenomeno illecito in materia di personale contrastato con decisione da questa Procura è quello relativo al cd. “Assenteismo”.

In tale ambito sono stati curati, infatti, nel 2020 diversi procedimenti, fornendo la rapida risposta che richiesta dal Legislatore.

Un primo esempio è dato dal Giudizio instaurato nei confronti della responsabile di un Centro per l’impiego della Provincia di Bologna che, fraudolentemente e ripetutamente, aveva effettuato assenze arbitrarie durante l’orario di servizio per recarsi a casa o a fare la spesa. A causa di tali comportamenti l’impiegata in questione è stata condannata in sede penale con sentenza passata in giudicato per i reati di cui all’art 81 cpv, 640, comma 2 n.1, con l’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 del c.p e licenziata dall’Amministrazione. L’impiegata è stata pertanto citata per il risarcimento del danno di euro 7.037,20.

Molto rilevanti sono anche i 7 atti di citazione in riassunzione a seguito dell’esito favorevole degli appelli proposti da questa Procura avverso le sentenze che, in fattispecie di assenteismo di dipendenti del Comune di Piacenza, avevano accolto la richiesta di condanna per il danno patrimoniale diretto prodotto dall’arbitraria assenza dal servizio ma avevano dichiarato la parziale inammissibilità delle citazioni con riferimento al danno all’immagine per mancanza del requisito della condanna penale passata in giudicato; le sentenze di appello avevano infatti ritenuto, al contrario, che la fattispecie contemplata dall'art. 55-quinquies del d.lgs.

n. 165 del 2001 presenti indiscutibili caratteri di autonomia rispetto a quella generale prevista, sempre con riferimento alla risarcibilità del danno all'immagine, dall'art. 17, comma 30-ter del d.l. n. 78 del 2009. Per i giudici di appello si tratta, quindi, di una norma "speciale", in quanto volta a sanzionare la specifica fattispecie dell'assenteismo fraudolento nel pubblico impiego, ricollegando ad essa l'azionabilità del risarcimento del danno (patrimoniale diretto ed all'immagine) derivatone a carico della P.A.

Ne deriva che, ai fini dell'applicazione dell'art. 55-quinquies del d.lgs. 165 n.

2001, si prescinde dai requisiti di cui all'art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78 del 2009, non richiedendosi, in particolare, l'accertamento, con sentenza definitiva, della ricorrenza di talune indefettibili fattispecie delittuose, lesive dell'immagine.

Questa Procura regionale, con gli atti di citazione in riassunzione proposti, ha riaffermato, come ribadito dalle sentenze di appello, che la sanzionabilità del danno all’immagine legato all’assenteismo fraudolento resta autonoma dal

“generale” danno all’immagine condizionato alla preesistente condanna definitiva in sede penale e che l’ipotesi di danno all’immagine “speciale” è sopravvissuta alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 61 del 2020 (vedi supra par. 2.1), chiedendo pertanto la condanna degli assenteisti per un importo complessivo di euro 177.242,99.

La Sezione Giurisdizionale ha accolto le tesi di questa Procura con le sentenze nn. 207, 208, 209, 210 del 2020

Altra citazione in riassunzione da segnalare è quella relativa alla fattispecie di assenteismo fraudolento posta in essere da un dipendente della Regione Emilia-Romagna. Anche in questo caso, a seguito di appello di questa Procura, la Seconda

Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello, con sentenza n. 140 del 2020 ha riformato la sentenza di primo grado n. 160/2018, dichiarando la piena sussistenza di tutti i presupposti per l’azionabilità del c.d. danno all’immagine in tema di assenteismo fraudolento, e rinviando al primo giudice per la trattazione del merito.

Il danno erariale, tenuto conto della sopraggiunta declaratoria d’incostituzionalità della normativa di riferimento, in base alla sentenza della Consulta n. 61 del 2020, è stato rideterminato, secondo i noti e tradizionali parametri oggettivo, soggettivo e sociale, originariamente sanciti dalla sentenza della Corte dei conti, SS.RR. n.

10/QM/2003, in complessivi €5.000,00.

Particolari sono poi i due giudizi introdotti in fattispecie, simili tra loro, che riguardano condotte di dolosa mancata restituzione, nonostante le richieste dell’Amministrazione, di emolumenti retributivi non dovuti da parte di due militari che, dopo un periodo di malattia, non hanno fatto più rientro in servizio con danno patrimoniale diretto per evidente violazione del sinallagma contrattuale in ragione di indebita percezione di emolumenti a fronte di protratti periodi di assenza ingiustificata ed arbitraria dal servizio. Per entrambe le citazioni è intervenuta sentenza di condanna (nn. 197 e 206 del 2020) da parte della Sezione giurisdizionale per l’Emilia-Romagna rispettivamente per euro 3.742,47 e 9.691,10.

Importante è, poi, la citazione che ha avuto ad oggetto il danno erariale patrimoniale e all’immagine conseguente alle condotte assenteistiche tenute da un Assistente Capo della Polizia di Stato assegnato presso l’area aereoportuale di Rimini, comportamenti la cui antigiuridicità è suffragata dallo svolgimento, in costanza di una lunga assenza dal servizio per malattia con diagnosi di

“lombosciatalgia acuta”, della pratica di tennis agonistico e dall’impiego di un pesante basso elettrico per esibizioni presso locali notturni del territorio e comuni limitrofi. Il danno è stato complessivamente quantificato in euro 69.191.09. Poiché la Sezione Giurisdizionale ha sospeso il giudizio in attesa della definizione del giudizio penale, questa Procura ha proposto ricorso alle Sezioni Riunite ai sensi dell’art. 119 c.g.c. che è stato accolto con l’ordinanza n. 2/2020 (vedi supra par. 2.3);

le SS.RR. hanno annullato l’ordinanza di sospensione della Sezione giurisdizionale per l’Emilia-Romagna ed hanno ricordato che “Il rapporto tra giudizio penale e giudizio di responsabilità…si sostanzia nella possibilità per il giudice contabile di procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze istruttorie per accertare la colpa grave o il dolo del soggetto” e che “per costante e consolidata giurisprudenza della Corte dei conti, prima il PM e poi il collegio possono trarre dalle risultanze del giudizio penale autonomi apprezzamenti e convincimenti anche quando le infrazioni considerate ai fini della pronuncia coincidano, in tutto od in parte, con la violazione di particolari obblighi di servizio e ciò soprattutto nella valutazione dell’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa”. Quanto poi al danno all’immagine, il Collegio giudicante ha osservato che “occorre ricordare che la necessità di una sentenza passata in giudicato è stabilita dal legislatore per i reati contro la pubblica amministrazione (art. 17, comma 30 ter legge n. 102 del 2009)”, invece, per quanto attiene alle ulteriori ipotesi di danno

all’immagine, per le quali sono state introdotte normative specifiche, “sul punto appare utile ricordare l’ordinanza SSRR n. 6 del 2018 che, per le fattispecie di danno all’immagine di cui all’art. 55 quater, comma 3 quater, del d.lgs. 165/2001, ha affermato che le stesse hanno natura speciale, con la diretta conseguenza che non può configurarsi un’ipotesi di sospensione necessaria”.

Parimenti rilevante è la citazione nei confronti di due dipendenti della Questura di Rimini (un funzionario amministrativo ed un appartenente ai ruoli tecnici) che attestavano falsamente, come emerso in sede penale, la loro presenza in servizio: è stato contestato sia il danno patrimoniale che quello all’immagine, per complessivi euro 9.447,75. Risulta, da parte di uno dei convenuti, accettazione di addebito per euro 1.356,30 come definito ex art. 131 e 132 del c.g.c. con decreto del Presidente della Sezione Giurisdizionale.

Rilevante è anche il procedimento avente ad oggetto il danno all'immagine subìto dall'Agenzia delle Entrate a causa di gravi comportamenti infedeli tenuti da un suo funzionario che, nello specifico, consistevano nell’attività di illecita

“timbratura” con falsa attestazione delle presenze in ufficio per sé - mentre ad es. era al supermercato o a giocare a tennis - e per svariati altri colleghi, a volte su sollecitazione degli stessi e, addirittura, talora di propria spontanea iniziativa. Si delineava, pertanto, il ruolo di regista rivestito dallo stesso, in un sistema ampiamente collaudato di frode alle norme, vigente nell’ufficio di appartenenza. La fattispecie risulta accertata attraverso le risultanze di intercettazioni telefoniche, servizi di appostamento e verbale di interrogatorio nell’ambito di procedimento penale esitato, nei suoi confronti, con sentenza penale di proscioglimento per intervenuta prescrizione e, altresì, suffragata da ulteriori sentenze di condanna emesse a carico di diversi compartecipi in plurimi episodi di truffa aggravata ai danni di Ente pubblico. Il pregiudizio all’erario conseguentemente richiesto è stato quantificato in via equitativa nella somma di euro 100.000,00, tenuto conto sia della gravità delle reiterate condotte poste in essere che hanno manifestato un grande disprezzo per la funzione pubblica rivestita, sia della diffusa rilevanza mediatica della vicenda e del conseguente disdoro per l’immagine dell’Amministrazione di appartenenza.

Di rilevante impatto è la vicenda illecita portata a giudizio con distinte citazioni nei confronti di due dipendenti della Città metropolitana di Bologna, definita in sede penale con sentenza irrevocabile di condanna a carico delle medesime e che integra una fattispecie di falsa attestazione della presenza in servizio ai sensi dell’art. 55-quater del d.lgs. n.165/2001, trattandosi di condotta fraudolenta posta in essere da dipendenti che si allontanavano arbitrariamente dal servizio traendo in inganno l’Amministrazione circa il rispetto dell'orario di lavoro. Sul piano del clamor esterno i fatti hanno trovato ampia diffusione sugli organi di stampa. La Procura ha formulato contestazione di responsabilità amministrativo contabile con richiesta di pagamento di euro 5.527,71 nei confronti di una dipendente e di euro

5.281,21 nei confronti dell’altra, a titolo di risarcimento del danno all’immagine in favore della Città metropolitana di Bologna, detratte dalla quantificazione della lesione all’immagine, pari ad euro 8.000,00 per ciascuna, le somme già pagate in sede penale a titolo di provvisionale.

Inoltre, una particolare fattispecie in tema di assenteismo fraudolento è quella descritta nella sentenza n. 16 del 2020 che reca la condanna, per euro 11.000,00, di una dipendente dell’Università di Parma che dai controlli effettuati dalla G.d.F. risultava in numerose occasioni avere lasciato il luogo di lavoro presso l’Istituto di Fisica Sanitaria, dopo aver attestato la propria presenza con il badge di servizio, per recarsi presso varie destinazioni, tra cui bar, palestre, centri commerciali ed altri luoghi non attinenti all’attività lavorativa senza alcuna giustificazione istituzionale.

A seguito di procedimento disciplinare la dipendente veniva licenziata senza preavviso e, con sentenza ex artt. 444 e ss. c.p.p. del GUP presso il Tribunale di Parma, la convenuta aveva patteggiato la pena di anno uno e mesi quattro di reclusione ed euro 600 di multa per il reato di cui all’art. 640, comma 2, c.p.. Oltre al danno patrimoniale per la mancata controprestazione lavorativa, sono stati azionati il danno all’immagine, per i numerosi articoli di stampa che hanno divulgato la notizia anche in ambito nazionale, e quello da disservizio.

Da segnalare che, relativamente al danno all’immagine, il Collegio ha osservato che la limitazione dell’azione erariale per danno all’immagine ai soli reati propri dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (contenuti nel libro II, titolo II, capo I, c.p.) è venuta meno per l’abrogazione dell’art. 7 della legge n. 97 del 2001 disposta dall’art. 4, comma 3 lett. g) dell’allegato n. 3 al D.L.vo n. 174/2016, con diretta rilevanza nei confronti dei giudizi di responsabilità instaurati dopo l’entrata in vigore di tale norma (C. Cost., ord. n. 145 del 2017).

Da segnalare che, relativamente al danno all’immagine, il Collegio ha osservato che la limitazione dell’azione erariale per danno all’immagine ai soli reati propri dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (contenuti nel libro II, titolo II, capo I, c.p.) è venuta meno per l’abrogazione dell’art. 7 della legge n. 97 del 2001 disposta dall’art. 4, comma 3 lett. g) dell’allegato n. 3 al D.L.vo n. 174/2016, con diretta rilevanza nei confronti dei giudizi di responsabilità instaurati dopo l’entrata in vigore di tale norma (C. Cost., ord. n. 145 del 2017).

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