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INAUGURAZIONE DELL ANNO GIUDIZIARIO 2021

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PER L’EMILIA-ROMAGNA

BOLOGNA, 26 FEBBRAIO 2021

INAUGURAZIONE

DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2021

RELAZIONE DEL PROCURATORE REGIONALE

Carlo Alberto Manfredi Selvaggi

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PROCURA REGIONALE PER L’EMILIA-ROMAGNA

INAUGURAZIONE

DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2021

Relazione

del Procuratore Regionale

Carlo Alberto MANFREDI SELVAGGI

BOLOGNA, 26 FEBBRAIO 2021

Memoria disponibile sul sito web della Corte dei conti all’indirizzo www.corteconti.it

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INDICE

1. Le innovazioni legislative intervenute di recente nelle materie di interesse della Corte

dei conti pag. 1

1.1 La legislazione per l’emergenza epidemiologica da Covid-19 pag. 1 1.1.1 Le misure emergenziali in tema di giustizia contabile pag. 2 1.1.2 Le novità del Decreto Rilancio in materia di imposte di soggiorno pag. 7 1.1.3 Il dolo contabile dopo il Decreto Semplificazioni pag. 10 1.1.4 La temporanea limitazione della responsabilità per colpa grave pag. 16 1.1.5 L’erogazione di benefici economici, i controlli amministrativi e

l’autotutela nel Decreto Rilancio pag. 22

1.1.6 L’attività amministrativa nel Decreto Semplificazioni pag. 25 2. Le novità giurisprudenziali in tema di giurisdizione contabile pag. 30

2.1 La giurisprudenza della Corte costituzionale pag. 30

2.2 La giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione pag. 40 2.3 La giurisprudenza delle Sezioni Riunite della Corte dei conti pag. 47

3. L’attività della Procura pag. 53

3.1 Breve riepilogo statistico pag. 53

3.2 Principali tipologie di danno dedotte in giudizio pag. 54 3.2.1 Danni derivanti dalla commissione di reati, da disservizio e

all’immagine della Pubblica Amministrazione pag. 54 3.2.2 Danni da illecito conferimento di incarichi pag. 61 3.2.3 Danni nel settore dei lavori, delle forniture e dei servizi pubblici pag. 63 3.2.4 Danni da illecito utilizzo di contributi e finanziamenti pubblici,

anche provenienti dall’Unione Europea pag. 63

3.2.4.1 Danni da illecita percezione di contributi per la ricostruzione

post sismica pag. 67

3.2.5 Danni nel settore della sanità pubblica pag. 67

3.2.6 Danni relativi ai c.d. “costi della politica” pag. 68

3.2.7 Danni indiretti pag. 69

3.2.8 Danni conseguenti a comportamenti omissivi o gravemente

negligenti dei pubblici dipendenti pag. 70

3.2.9 Danni in materia di personale pag. 71

3.2.10 Danni derivanti da partecipazioni societarie pag. 79 3.2.11 Danni derivanti dal mancato introito del c.d. contributo per costo di

costruzione pag. 80

3.2.12 Omessi riversamenti delle imposte di soggiorno e dei proventi del

Gioco del Lotto pag. 81

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3.2.14 La c.d. “riparazione spontanea” pag. 87

3.3 Giudizi di conto e per resa di conto pag. 87

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1.- LE INNOVAZIONI LEGISLATIVE INTERVENUTE DI RECENTE NELLE MATERIE DI INTERESSE DELLA CORTE DEI CONTI

Nel 2020, come nel passato, il legislatore è intervenuto a più riprese in materie di interesse della Corte dei conti.

1.1 LA LEGISLAZIONE PER L’EMERGENZA EPIDEMIOLOGICA DA COVID-19

Tra le novità normative dell’anno appena trascorso, assolutamente preminenti sono quelle legate all’esigenza di contenimento dei gravissimi effetti sanitari, sociali ed economici connessi all’emergenza epidemiologica da COVID-19 che ha determinato l’adozione a tutti i livelli istituzionali di una varietà di atti normativi di indubbia rilevanza e di ampia portata, sovente caratterizzati da contenuti assai eterogenei.

I primissimi interventi emergenziali, adottati con i decreti-legge nn. 9 del 2 marzo 2020, 11 dell’8 marzo 2020 e 14 del 9 marzo 2020 (non convertiti), sono confluiti nel più ampio decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020, cd. Decreto Cura Italia, convertito con modifiche dalla legge n. 27 del 24 aprile 2020, che ha introdotto una serie di misure volte a contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica in atto sul tessuto socio-economico nazionale, attraverso la previsione di misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale, della protezione civile e della sicurezza nonché di sostegno al mondo del lavoro pubblico e privato, delle famiglie e delle imprese ed il varo di una serie di disposizioni per i settori dei trasporti, dell’agricoltura, dello sport, dello spettacolo e della cultura, della scuola e dell’università, disponendo altresì la sospensione degli obblighi di versamento per tributi e contributi e di ulteriori adempimenti e l’introduzione di una serie di incentivi fiscali.

Altro intervento normativo di rilievo è quello realizzato dal decreto- legge n.

23 dell’8 aprile 2020, cd. Decreto Liquidità, convertito con modificazioni dalla legge n. 40 del 5 giugno 2020, che ha introdotto una serie di misure urgenti in materia di accesso al credito e di sostegno alle imprese, nonché in materia di poteri speciali nei settori di rilevanza strategica, intervenendo anche sui termini dei procedimenti amministrativi in corso disponendo proroghe e sospensioni degli stessi.

Assoluta importanza rivestono, per la loro ampia portata normativa, il decreto-legge n. 34 del 19 maggio 2020, cd. Decreto Rilancio, convertito con modifiche dalla legge n. 77 del 17 luglio 2020, ed il decreto-legge n. 76 del 17 luglio 2020, cd. Decreto Semplificazioni, convertito con modificazioni dalla legge n. 120 dell’11 settembre 2020: il primo ha introdotto misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, intervenendo trasversalmente in diversi ambiti con

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l’intento di assicurare l’unitarietà, l’organicità, e la compiutezza delle misure volte alla tutela delle famiglie e dei lavoratori, alla salvaguardia e al sostegno delle imprese, degli artigiani e dei liberi professionisti, al consolidamento, snellimento e velocizzazione degli istituti di protezione e coesione sociale; il secondo ha inteso invece realizzare una accelerazione degli investimenti e delle infrastrutture, al fine di fronteggiare le ricadute economiche conseguenti all'emergenza epidemiologica in atto, attraverso la semplificazione delle procedure in materia di contratti pubblici e di edilizia, la semplificazione dei procedimenti amministrativi e la diffusione dell’amministrazione digitale, la semplificazione del regime delle responsabilità del personale delle amministrazioni, ed ulteriori semplificazioni in materia di attività imprenditoriale, ambiente e green economy.

Anche il decreto-legge n. 104 del 14 agosto 2020, recante misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia, cd. Decreto Agosto, convertito con modificazioni dalla legge n. 126 del 13 ottobre 2020, ha inteso perseguire e rafforzare l’azione di ripresa dalle conseguenze negative dell’epidemia e di sostegno di lavoratori, famiglie e imprese, con particolare riguardo alle aree svantaggiate del Paese.

Va altresì rammentato il decreto-legge n. 129 del 20 ottobre 2020 che, in materia di riscossione esattoriale, ha disposto la proroga fino al 31 dicembre 2020 della sospensione delle attività di notifica di nuove cartelle di pagamento, del pagamento delle cartelle precedentemente inviate e degli altri atti dell’Agente della Riscossione; nel contempo si è disposta la proroga al 31 dicembre 2020 anche del periodo durante il quale si decade dalla rateizzazione con il mancato pagamento di dieci rate (anziché di cinque); per consentire uno smaltimento graduale delle cartelle di pagamento che si sono già accumulate, alle quali si aggiungeranno quelle dei ruoli che gli enti consegneranno fino al termine della sospensione, si prevede inoltre il differimento di dodici mesi del termine entro il quale avviare alla notifica le cartelle.

Un cenno va fatto, infine, ai cd. Decreti Ristori (decreto-legge n. 137 del 28 ottobre 2020, convertito con modificazioni dalla legge 13 ottobre 2020 n. 126;

decreto-legge n. 149 del 9 novembre 2020 cd. decreto Ristori-bis, il decreto-legge n.

154 del 23 novembre 2020 cd. decreto Ristori-ter, e il decreto-legge n. 157 del 30 novembre 2020 cd. Ristori-quater) portanti misure volte a fronteggiare le conseguenze dell’epidemia sulle attività economiche interessate, direttamente o indirettamente, dalle restrizioni disposte a tutela della salute mediante il riconoscimento, tra l’altro, di contributi a fondo perduto per determinate attività economiche o di crediti d’imposta (ad esempio sugli affitti commerciali), sospensione dei versamenti, cancellazione della seconda rata dell’IMU, sospensione dei contributi previdenziali e rinvio del secondo acconto IRES e IRAP.

1.1.1 LE MISURE EMERGENZIALI IN TEMA DI GIUSTIZIA CONTABILE Con riferimento agli aspetti di maggiore interesse per le attività delle Procure contabili, il citato Decreto Cura Italia, superando le primissime disposizioni

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normative relative agli effetti dell’emergenza Covid sull’attività giudiziaria (contenute nel decreto-legge n. 9 del 2 marzo 2020), è intervenuto, tra l’altro, a regolamentare compiutamente gli effetti sulla giustizia contabile dell’emergenza sanitaria in atto, delineando il quadro normativo di riferimento per lo svolgimento, da parte delle articolazioni della Corte dei conti, delle funzioni istituzionali loro intestate dall’ordinamento giuridico anche durante la predetta emergenza.

L’articolo 85 del predetto decreto, su cui il legislatore è successivamente intervenuto in più occasioni con proroghe di efficacia e modifiche di dettaglio, dopo aver dichiarato applicabili a tutte le funzioni della Corte dei conti, in quanto compatibili e non contrastanti con le disposizioni da esso stesso recate, le disposizioni di cui agli articoli 83 e 84 (rispettivamente in materia di giustizia civile, penale, amministrativa, tributaria e militare), ha previsto l’adozione da parte dei vertici istituzionali degli uffici territoriali e centrali, sentiti l’autorità sanitaria regionale e, per le attività giurisdizionali, il Consiglio dell'ordine degli avvocati della città ove ha sede l’ufficio, a decorrere dall’8 marzo 2020 e fino al termine dello stato di emergenza epidemiologica, in coerenza con le eventuali disposizioni di coordinamento dettate dal Presidente o dal Segretario generale della Corte dei conti per quanto di rispettiva competenza, delle misure organizzative, anche incidenti sulla trattazione degli affari, necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dal Ministero della salute, anche d’intesa con le Regioni, e delle prescrizioni impartite con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri emanati ai sensi dell’articolo 3 del decreto-legge n. 6 del 23 febbraio 2020 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 13 del 5 marzo 2020, e dell’articolo 2 del decreto legge n. 19 del 25 marzo 2020) al fine di evitare assembramenti all’interno degli uffici e contatti ravvicinati tra le persone.

Le misure organizzative oggetto dei predetti provvedimenti vanno dalla limitazione dell’accesso del pubblico agli uffici, garantendo comunque l’accesso alle persone che debbono svolgervi attività urgenti, alla limitazione, sentito il dirigente competente, dell’orario di apertura al pubblico degli uffici; dalla chiusura degli uffici al pubblico (in via residuale e sempre che non si tratti di uffici che erogano servizi urgenti), alla predisposizione di servizi di prenotazione per l’accesso ai servizi, anche tramite mezzi di comunicazione telefonica o telematica, curando lo scaglionamento della convocazione degli utenti per orari fissi, nonché l’adozione di ogni misura ritenuta necessaria per evitare forme di assembramento.

Di particolare rilievo appare la possibilità di adottare linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze, in coerenza con le disposizioni di coordinamento dettate dal Presidente della Corte dei conti, ivi inclusa la eventuale celebrazione a porte chiuse, e la previsione della possibilità di disporre lo svolgimento delle udienze e delle camere di consiglio che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante collegamenti da remoto, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione all’udienza ovvero alla camera di consiglio, anche utilizzando strutture

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informatiche messe a disposizione da soggetti terzi o con ogni mezzo di comunicazione che, con attestazione all’interno del verbale, consenta l’effettiva partecipazione degli interessati; il luogo da cui si collegano i magistrati e il personale addetto viene considerato aula di udienza o di adunanza o camera di consiglio a tutti gli effetti di legge; in modo conseguente si prevede che sentenze, ordinanze, decreti, e altri atti del processo possano essere adottati mediante documenti informatici e possano essere firmati digitalmente, anche in deroga alle disposizioni vigenti.

Nel consentire il rinvio d’ufficio delle udienze a data successiva al 31 agosto 2020, salvo che per le cause rispetto alle quali la ritardata trattazione avrebbe potuto produrre grave pregiudizio alle parti, si è disposto, per il caso di rinvio, con riferimento a tutte le attività giurisdizionali e inquirenti intestate alla Corte dei conti, comprese le attività istruttorie preprocessuali, la sospensione dei termini in corso alla data dell’ 8 marzo 2020 e scadenti entro il 31 agosto 2020 e la ripresa della loro decorrenza dal 1 settembre 2020; identica sospensione viene prevista, per il caso di rinvio, con riferimento ai termini relativi alle prescrizioni in corso.

Nella prospettiva della accelerazione e implementazione dell’informatizzazione delle attività di controllo e giurisdizionali della Corte dei conti finalizzata al normale svolgimento delle attività di istituto anche durante l’emergenza sanitaria, in deroga alla disciplina ordinaria sul punto - recata dall’articolo 20 bis del decreto-legge n. 179 del 18 ottobre 2012, convertito con modifiche dalla legge n. 221 del 17 dicembre 2012 - si prevede che, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e fino al termine dello stato di emergenza epidemiologica, i decreti del Presidente della Corte dei conti intesi a stabilire regole tecniche ed operative per l’adozione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle attività di controllo e nei giudizi che si svolgono innanzi alla Corte dei conti, acquistino efficacia sin dal giorno successivo a quello della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Il Decreto prevede anche la possibilità di svolgere le udienze, le adunanze e le camere di consiglio mediante collegamento da remoto, anche in deroga alle vigenti disposizioni di legge, secondo modalità tecniche definite ai sensi dell’articolo 6 del codice di giustizia contabile (decreto legislativo n. 174 del 26 agosto 2016), e consente anche al pubblico ministero contabile di avvalersi di collegamenti da remoto, individuati e regolati con decreto del Presidente della Corte dei conti, nel rispetto delle garanzie di verbalizzazione in contraddittorio, per le audizioni istruttorie dei soggetti informati (al fine di acquisire elementi utili alla ricostruzione dei fatti e alla individuazione delle personali responsabilità ex articolo 60 del codice di giustizia contabile) e per le audizioni difensive del presunto responsabile che ne abbia fatta richiesta (ai sensi dell’articolo 67 del medesimo codice); anche per il decreto del Presidente della Corte dei conti disciplinante le predette regole tecniche è stata prevista l’entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

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Sulla scorta delle richiamate disposizioni normative, il Presidente della Corte dei conti, con decreto in data 1 aprile 2020 n.138, ha emanato le regole tecniche e operative in materia di svolgimento in videoconferenza delle udienze del giudice nei giudizi innanzi alla Corte dei conti, delle camere di consiglio e delle adunanze, nonché per le audizioni mediante collegamento da remoto del pubblico ministero contabile; con successivo decreto del Presidente della Corte dei conti in data 27 ottobre 2020 n. 287 la validità delle predette regole è stata confermata fino alla cessazione dello stato di emergenza sanitaria.

Per quanto concerne la specifica disciplina per l’ambito territoriale emiliano- romagnolo, con decreto in data 9 marzo 2020 il Presidente della Sezione giurisdizionale per l’Emilia-Romagna ha disposto per le udienze collegiali e monocratiche e per le camere di consiglio in calendario a tutto il 31 maggio 2020, nonché per la trattazione dei relativi giudizi, il rinvio a nuovo ruolo; con ulteriore decreto in data 6 maggio 2020, il predetto Presidente ha disposto ulteriore rinvio a nuovo ruolo delle udienze collegiali e monocratiche e delle camere di consiglio, nonché della trattazione dei relativi giudizi in calendario dal 31 maggio 2020 al 31 luglio 2020, con esclusione della trattazione delle sole controversie pensionistiche calendarizzate.

Con decreto in data 4 novembre 2020, il Presidente della Sezione giurisdizionale per l’Emilia-Romagna, sulla scorta di quanto previsto dall’articolo 85 del decreto legge n. 18 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 2020, e dal decreto del Presidente della Corte dei conti del 27 ottobre 2020 n. 287 - con riferimento alla possibilità di svolgere le udienze, le camere di consiglio e le adunanze mediante collegamento da remoto -, attesa la proroga sino al 31 gennaio 2021 della dichiarazione dello stato di emergenza nazionale da COVID 19 disposta dal DPCM 7 ottobre 2020, in considerazione delle nuove e più stringenti misure volte a fronteggiare l’emergenza sanitaria in atto e a limitare gli spostamenti in alcune regioni contenute nel DPCM del 3 novembre 2020, preso atto che il notevole incremento del livello di diffusione del contagio determina la sussistenza di concrete e reali situazioni di pericolo per l’incolumità pubblica e la salute di soggetti a vario titolo interessati nel processo contabile partecipanti alle udienze della sezione giurisdizionale regionale, ha disposto lo svolgimento da remoto, secondo le istruzioni tecniche fornite dal DGSIA della Corte, delle udienze e delle camere di consiglio, fino alla cessazione degli effetti della dichiarazione dello stato di emergenza nazionale da COVID 19.

Al fine di garantire pienezza e regolarità di contraddittorio, il sopra richiamato decreto presidenziale prevede che il segretario di udienza, coadiuvato dal referente informatico, proceda alla tempestiva comunicazione alle parti del testo del decreto, alla trasmissione alle parti delle istruzioni operative atte a garantire il regolare svolgimento delle udienze da remoto, all’invio almeno due giorni prima dell’udienza del relativo link per il collegamento da remoto, previa acquisizione dall’avvocato costituito del consenso e della conferma a partecipare all’udienza in

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modalità telematica da remoto, alla effettuazione di prove di funzionamento del collegamento da remoto prima dell’udienza.

L’ordine di discussione delle cause, in luogo dell’affissione alla porta dell’aula di udienza, è pubblicato sul sito internet istituzionale della Corte dei conti ed è portato a conoscenza delle parti mediante posta elettronica certificata od ordinaria entro due giorni precedenti l’udienza, ovvero contestualmente alla comunicazione che l’udienza si svolgerà con modalità da remoto.

Per gli avvocati non costituiti per i giudizi da esaminare, la comunicazione relativa allo svolgimento dell’udienza da remoto viene effettuata ai convenuti nonché alla Segreteria mediante affissione all’albo della Sezione.

Per il caso in cui gli avvocati costituiti non intendano partecipare all’udienza in modalità telematica da remoto si prevede che essi avranno cura di inviare al Presidente della Sezione motivata istanza di rinvio dell’udienza almeno due giorni prima dell’udienza fissata.

Ai fini delle attività della Procura contabile speciale, menzione merita, infine, il decreto del Presidente della Corte dei conti del 29 maggio 2020 n. 176, relativo alle regole tecniche e operative per lo svolgimento mediante collegamento da remoto, da parte del pubblico ministero contabile, delle audizioni personali istruttorie (cioè dei soggetti informati di cui all’articolo 60 c.g.c.) e difensive (cioè del presunto responsabile che ne abbia fatta richiesta ai sensi dell’articolo 67 del c.g.c.).

Il menzionato decreto consente al pubblico ministero contabile di svolgere le predette audizioni mediante collegamenti da remoto, utilizzando i programmi nella disponibilità della Corte dei conti: l’invito a presentarsi per l’audizione personale istruttoria o l’atto di fissazione dell’audizione difensiva conterranno l’avviso dello svolgimento dell’audizione stessa mediante collegamento da remoto, indicando le relative modalità ed invitando gli interessati a comunicare l’indirizzo di posta elettronica ordinaria con il quale intendono partecipare alla sessione in videoconferenza; per il caso in cui i soggetti sottoposti ad audizione ovvero i loro difensori non disponessero di dispositivi o connettività idonei al collegamento da remoto, è previsto che essi possano chiedere preventivamente che sia messa a loro disposizione, per lo svolgimento dell’incombente, una postazione presso una sede della Procura della Corte dei conti o di uno degli organi di cui all’articolo 56 del codice della giustizia contabile, secondo modalità da concordare.

Nell’audizione il magistrato, con l’assistenza del funzionario o dell’appartenente agli organi di cui all’articolo 56 del codice della giustizia contabile incaricato della verbalizzazione, verifica la funzionalità del collegamento nonché le presenze; nel verbale si dà atto delle modalità con cui si accerta l’identità dei partecipanti e del loro consenso all’utilizzo del collegamento da remoto; qualora il collegamento non fosse disponibile o la sua qualità non fosse idonea, ovvero nei casi di indisponibilità od impossibilità di uno dei difensori o del soggetto sentito ad effettuare il collegamento, il pubblico ministero procedente è tenuto a disporre la sospensione, il differimento o la rinnovazione dell’audizione con diverse modalità.

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Il verbale dell’audizione in videoconferenza, redatto come documento informatico, è sottoscritto con firma digitale. Il pubblico ministero può disporre, qualora sia disponibile e nel rispetto della riservatezza dei dati personali, la registrazione audio/video della sessione di videoconferenza, per la quale viene apposta dal verbalizzante la firma digitale.

L’efficacia del Decreto in esame, originariamente prevista sino al 31 luglio 2020, è stata prorogata fino al termine dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 dal decreto del Presidente della Corte dei conti in data 27 ottobre 2020 n. 287.

1.1.2 LE NOVITA’ DEL DECRETO RILANCIO IN MATERIA DI IMPOSTE DI SOGGIORNO

Sul piano sostanziale, indubbia rilevanza per l’attività della Procura contabile presentano le innovazioni alla disciplina dell’imposta di soggiorno introdotte dall’articolo 180 del decreto-legge n. 34 del 19 maggio 2020 (cd. Decreto Rilancio).

Nel quadro normativo anteriore alla novella, fondato sulle previsioni dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 23 del 14 marzo 2011 (disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), il mancato riversamento alle amministrazioni comunali dell’imposta di soggiorno riscossa dai gestori di strutture ricettive a carico degli ospiti delle predette strutture integrava a tutti gli effetti sia gli estremi dell’illecito penale (sub species peculato o appropriazione indebita) sia gli estremi dell’illecito contabile in quanto condotta causativa di danno all’erario comunale:

sotto tale secondo aspetto, la giurisprudenza del giudice della giurisdizione e quella del giudice contabile erano consolidate nel ritenere che, in presenza di regolamenti comunali esternalizzanti la riscossione dell’imposta di soggiorno con obbligo di riversamento al comune in capo al titolare/gestore della struttura ricettiva, si instauri tra questi e l’amministrazione comunale un autentico rapporto di servizio connotato da spiccati compiti contabili; ciò in quanto il presupposto per la responsabilità amministrativa si sostanzia nell’esistenza di una relazione funzionale tra l’autore dell’illecito e l’ente pubblico danneggiato, configurabile non solo in presenza di un rapporto organico, ma anche ove sia ravvisabile un rapporto di servizio in senso lato: il titolare/gestore della struttura ricettiva è compartecipe dell’attività amministrativa dell’ente comunale impositore in quanto tenuto, oltre che alla presentazione delle dichiarazioni trimestrali relative all’imposta di soggiorno versata dai clienti, anche all’integrale riversamento della stessa al comune: tali obblighi sussistono al di fuori del rapporto di imposta vero e proprio che intercorrerebbe tra comune e singolo cliente pernottante.

La posizione del gestore della struttura ricettiva per quanto di rilievo ai fini dell’imposta di soggiorno è parsa inoltre caratterizzata dagli elementi propri dell’agente contabile per conto dell’amministrazione comunale di riferimento, avendo costui certamente maneggio di denaro pubblico nell’arco di tempo

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intercorrente tra l’esazione del tributo a carico dell’ospite della struttura e il riversamento di quello nelle casse comunali (alle scadenze previste dai regolamenti comunali): in questa prospettiva, a carico dei gestori delle strutture ricettive per le somme incassate e da riversare a titolo di imposta di soggiorno, la giurisprudenza contabile, anche sulla scorta di specifiche previsioni in tal senso dei regolamenti comunali, ha affermato la sussistenza in capo al gestore dell’obbligo di rendere il conto giudiziale e l’assoggettabilità dello stesso al corrispondente giudizio.

L’articolo 180 del Decreto Rilancio, integrando il disposto dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 23 del 2011, viene ora a qualificare il gestore della struttura ricettiva in termini di responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, impegnandolo agli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dai regolamenti comunali, oltre che alla presentazione della dichiarazione cumulativa annuale (entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo) con modalità telematica da definirsi dal MEF con decreto, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

Per l’omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile si viene ora a prevedere l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria pari al pagamento di una somma dal 100 al 200 per cento dell’importo dovuto, mentre per l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno è prevista l’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 18 dicembre 1997. Il legislatore parrebbe aver inteso equiparare il regime dell’imposta di soggiorno riscossa dai gestori di strutture ricettive a quello previsto per le locazioni brevi dall’articolo 4 comma 5-ter del decreto-legge n. 50 del 24 aprile 2017 convertito con modificazioni dalla legge n. 96 del 21 giugno 2017, disposizione che viene peraltro anche contestualmente novellata dal medesimo articolo 180.

Sotto il profilo penalistico non è chiaro se la qualificazione delle condotte di omesso versamento dell’imposta di soggiorno in termini di illecito amministrativo operi retroattivamente, cioè anche con riferimento a quelle realizzate anteriormente all’entrata in vigore della norma: ad avviso di un primo orientamento la modifica introdotta dal decreto rilancio costituirebbe un’ipotesi tipica di depenalizzazione in quanto il gestore della struttura ricettiva che ometta il riversamento dell’imposta di soggiorno non risponderebbe del reato di peculato quand’anche si trattasse di condotte realizzate anteriormente all’entrata in vigore della norma di depenalizzazione; per tali condotte, vigerebbe il principio di cui all’articolo 2 comma 2 codice penale, per il quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato: ove sia intervenuta condanna, ne cesserebbero l’esecuzione e gli effetti penali.

Di diverso avviso si è già mostrata, peraltro, la Corte di Cassazione che non ha riconosciuto l’abolitio criminis rispetto ai fatti pregressi: il nuovo quadro normativo non avrebbe dato vita ad una successione di leggi penali, bensì ad una modifica di una norma extra-penale non integratrice; il precetto che avrebbe

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modificato le attribuzioni del gestore di strutture ricettive in tema di imposta di soggiorno non avrebbe inciso né sulla norma incriminatrice del peculato (articolo 314) né su quella incriminatrice dell’appropriazione indebita (articolo 358): vi sarebbe una semplice successione nel tempo di norme extra-penali e, pertanto, quella nuova e più favorevole non sarebbe applicabile retroattivamente ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore del decreto legge n. 34 del 2020.

Sotto il profilo più strettamente inerente le attribuzioni della Procura contabile, nel corso del 2020 la Corte dei conti ha già avuto modo in plurime occasioni di statuire l’irrilevanza - ai fini dei giudizi di responsabilità per danno all’erario e di quelli contabili in senso stretto (giudizio di conto e giudizio per resa del conto) - delle richiamate previsioni di cui all’articolo 180 del decreto-legge n. 34 del 2020: le condotte illecite di omesso riversamento dell’imposta di soggiorno realizzate e perfezionate in epoca anteriore all’entrata in vigore del decreto legge n.34 del 2020 restano pertanto assoggettate a tutti gli effetti alle norme in vigore al tempo in cui furono concretamente realizzate.

La novella solleva peraltro anche un ulteriore e più problematico interrogativo, di ampia ed immediata rilevanza pratica, imponendo all’interprete di valutare esattamente, alla luce della nuova qualifica di responsabile per il pagamento dell’imposta assistito da diritto di rivalsa (nei confronti degli ospiti) riconosciuta al gestore della struttura ricettiva, la posizione soggettiva di quest’ultimo nei confronti dell’erario: secondo una opinione invalsa tra i primi commentatori la novella risolverebbe l’intera vicenda in termini esclusivamente tributaristici; non sussisterebbero più margini di intervento da parte della magistratura contabile dal momento che il gestore della struttura ricettiva non sarebbe più legato all’amministrazione comunale da rapporto di servizio, né più sarebbe configurabile in capo allo stesso maneggio di denaro pubblico, essendo costui tenuto ad assolvere all’obbligo di riversamento con denaro proprio salvo la rivalsa (anche anticipata) nei confronti dell’ospite della struttura. In altri termini il gestore della struttura ricettiva non sarebbe più assoggettabile dalla Procura contabile all’azione di responsabilità per danno erariale in caso di omesso versamento dell’imposta di soggiorno (difettando il rapporto di servizio), né sarebbe più tenuto a rendere il conto giudiziale o assoggettato al giudizio di conto (difettando il maneggio di denaro pubblico).

Tale approccio riduzionistico degli ambiti di operatività dell’azione della magistratura contabile, appare poco persuasivo e non in linea con consolidati orientamenti non solo del giudice contabile, ma anche della Corte di Cassazione quale giudice della giurisdizione: non può dubitarsi infatti che anche all’indomani della novella il gestore della struttura ricettiva resti comunque tenuto all’adempimento di una serie di obblighi funzionali alla corretta riscossione del tributo da parte delle amministrazioni comunali, tenute a loro volta a disciplinare tali adempimenti in modo dettagliato mediante apposite previsioni regolamentari:

anche all’indomani della novella il gestore della struttura ricettiva resta dunque

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stabilmente inserito nell’organizzazione pubblica istituita per l’esazione del tributo in discorso e, come tale, continua ad essere legato all’amministrazione comunale da un rapporto di servizio; conseguentemente la violazione dolosa o gravemente colposa di tali obblighi, ove determini l’acquisizione di una minore entrata, sarà sempre causativa di un danno all’erario comunale per il cui ristoro avrà azione la Procura contabile.

Come per il passato, anche dopo la novella la giurisdizione tributaria non rappresenta ostacolo a quella contabile, posto che evidentemente davanti al giudice contabile non si fa valere la pretesa tributaria, né viene sindacata la legittimità di questa, bensì si esercita una azione di responsabilità per danno all’erario; operano quindi i normali principi sul concorso di giurisdizioni: la qualifica di responsabile di imposta non esclude in alcun modo il rapporto di servizio, né vi si sovrappone, ma semplicemente le si affianca assumendo rilievo per un profilo del tutto differente.

Anche relativamente alla riferibilità al gestore della struttura ricettiva, rispetto all’imposta di soggiorno, della qualifica di agente contabile rilevante ai fini dell’obbligo di presentazione del conto giudiziale e della soggezione al giudizio di conto paiono idonee le medesime considerazioni sopra svolte: occorre, infatti, considerare che, nell’ipotesi (fisiologica) in cui l’ospite della struttura ricettiva versi l’importo dovuto a titolo di imposta di soggiorno nelle mani del gestore, quest’ultimo, alla scadenza prevista, è tenuto comunque ad effettuare il riversamento dell’importo corrispondente nelle casse comunali; sotto questo profilo appare difficile contestare che nell’arco di tempo che si colloca tra il momento della riscossione del tributo dall’ospite della struttura e il momento del riversamento nelle casse comunali il gestore operi effettivamente quale agente contabile.

Ancora una volta, quindi, la qualifica di responsabile di imposta sembrerebbe assumere specifico rilievo ai fini del rapporto tributario, in funzione di garanzia del corretto adempimento dell’obbligazione tributaria, mediante una estensione soggettiva del vincolo corrispondente a quella determinata dalla solidarietà tributaria, senza peraltro in alcun modo intaccare o far venire meno la posizione di agente contabile del gestore per tutti gli effetti conseguenti.

1.1.3 IL DOLO CONTABILE DOPO IL DECRETO SEMPLIFICAZIONI

Con l’articolo 21, il Decreto Semplificazioni interviene in misura assai rilevante su uno degli aspetti salienti del vigente regime giuridico della responsabilità patrimoniale dei pubblici e amministratori e funzionari per il danno cagionato all’erario: quello relativo ai criteri di imputazione soggettiva delle condotte illecite.

Nel particolare contesto determinato dalle ricadute economiche conseguenti all’emergenza epidemiologica da COVID-19 e nella prospettiva dichiarata di una

“semplificazione in materia di responsabilità del personale delle amministrazioni”, la richiamata disposizione, rubricata “responsabilità erariale”, contenuta nel Capo IV (Responsabilità) del Titolo II (Semplificazioni procedimentali e Responsabilità):

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- al primo comma, interviene direttamente sull’articolo 1 comma 1 della legge n. 20 del 1994 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti) inserendovi la previsione per cui “La prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”;

- al secondo comma, invece, viene a prevedere che: “Limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2021, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente”.

In definitiva, con l’articolo 21 del Decreto Semplificazioni, il legislatore: a) incide in via generale in senso restrittivo sulla nozione di dolo rilevante ai fini dell’addebito della responsabilità per danno all’erario, precisando che la prova del dolo richiede necessariamente “la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”:

mancando tale dimostrazione il dolo sarebbe ex sé escluso, ricadendosi al più nella colpa grave (ovviamente ove in concreto configurabile); b) limita in via temporanea, sino al 31 dicembre 2021, ai soli casi di dolo - nel senso restrittivo sopra precisato - la responsabilità dell’agente per le condotte causative di danno all’erario di tipo commissivo: conseguentemente, a fronte di condotte dell’agente di tale tipo, nessuna responsabilità per danno erariale a titolo di colpa grave potrebbe essergli contestata; c) consente, nel periodo indicato, l’addebito di responsabilità per colpa grave unicamente nei confronti dell’agente che abbia causato danno all’erario tenendo condotte omissive o inerti.

In ordine al primo profilo, la relazione illustrativa del decreto indica la finalità specifica della novella nella necessità di chiarire che, in materia di responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, il dolo deve essere riferito “all'evento dannoso in chiave penalistica e non in chiave civilistica”.

Il legislatore parrebbe così aver voluto prendere posizione sulla questione relativa al modo di intendere il dolo rilevante ai fini dell’azione di responsabilità per danno all’erario, superando quegli orientamenti emersi nella giurisprudenza contabile più recente inclini a prospettare una ricostruzione del dolo erariale ora in termini di dolo civilistico extracontrattuale (art. 2043 cod. civ.), ora (e più) spesso in termini di dolo civilistico contrattuale (o inadempimento) (artt. 1176 e 1218 cod.

civ.), ora in termini di assoluta autonomia del dolo contabile rispetto alle altre categorie generali del dolo, e ratificando espressamente con norma di diritto positivo l’orientamento più tradizionale incline ad una ricostruzione del dolo erariale nei classici termini soggettivi del dolo penalistico, vale a dire nei termini del dolo di cui all’articolo 43 del codice penale.

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La soluzione normativa adottata è stata oggetto di approfondimento, oltre che sul piano della opportunità della scelta, anche su quello più strettamente tecnico-sistematico, poiché la formula legis riferisce il dolo (non già alle condotte, bensì direttamente) all’evento dannoso; di là dal paventato rischio di attrarre l’illecito contabile nell’ambito di quello penale e di appiattire il primo sugli esiti del secondo, è stato fatto rilevare che l’identificazione del dolo contabile sulla falsariga del dolo penalistico appare concettualmente non corretta, attese le profonde differenze funzionali e strutturali intercorrenti tra la responsabilità per danno all’erario e la responsabilità penale: differenze che hanno condotto alla affermazione sostanziale e processuale della piena autonomia della prima rispetto alla seconda.

Va poi considerato che l’orientamento giurisprudenziale che si è voluto positivizzare, sulla scorta dell’articolo 43 del codice penale, ha inteso il dolo rilevante ai fini dell’azione di responsabilità per danno erariale quale stato soggettivo caratterizzato dalla consapevolezza e volontà dell’azione o omissione contra legem con specifico riguardo alla violazione delle norme giuridiche che reggono e disciplinano l’esercizio delle funzioni amministrative e alle conseguenze dannose per le finanze pubbliche di tale violazione.

Nello stesso tempo, le particolarità della responsabilità per danno all’erario - all’interno della quale, nella quasi totalità dei casi, la condotta illecita dell’agente si indirizza non tanto alla realizzazione del danno pubblico in sé, quanto piuttosto alla realizzazione di un profitto o di una utilità egoistica, onde il nocumento alle risorse pubbliche è rappresentato ed accettato più che voluto - hanno indotto la giurisprudenza tradizionale a mutuare dal diritto penale anche le categorie del dolo indiretto e del dolo eventuale, per l’effetto che gli estremi del dolo erariale avrebbero potuto essere ravvisati non solo con riferimento ai casi in cui l’agente avesse tenuto la condotta illecita al fine specifico ed esclusivo di cagionare l’evento dannoso per l’erario, ma anche con riferimento a quelli in cui l’agente, pur tenendo la condotta illecita per altri fini, si fosse rappresentato il danno all’erario quale presupposto necessario o quale conseguenza certa di tale condotta, nonché con riferimento a quelli in cui l’agente nel tenere la condotta illecita per altri fini fosse stato consapevole che essa avrebbe potuto produrre l’evento dannoso per l’erario, ciò nonostante determinandosi ugualmente ad agire accettando il rischio del suo verificarsi.

Alla luce del delineato precedente quadro giurisprudenziale, l’inserimento nel primo comma dell’articolo 1 della legge n 20 del 1994, ad opera dell’articolo 21 comma primo del Decreto Semplificazioni, dell’inciso finale secondo cui “la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”, induce a chiedersi se il nuovo dolo contabile non sia andato persino oltre i confini di quello delineato dalla giurisprudenza tradizionalmente prevalente: tanto più che il medesimo concetto sembrerebbe ribadito anche dal secondo comma dell’articolo 21 dietro la circonlocuzione “casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta”.

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In realtà, pur intendendo propugnare la prospettiva del dolo penalistico, il legislatore non pare aver tenuto nella debita considerazione le complesse problematiche che intorno ad esso tradizionalmente si agitano: quella del dolo di cui all’articolo 43 codice penale è ritenuta unanimemente nozione incompleta e imprecisa sotto il profilo tecnico-giuridico, tale da imporre all’interprete di colmarne le lacune impiegando un criterio interpretativo di carattere sistematico; complessi problemi interpretativi discendono dalla stessa definizione di “evento dannoso” per la storica contrapposizione tra la concezione naturalistica (che individua l’evento nella modificazione della realtà esteriore causalmente conseguente alla condotta antigiuridica dell’agente) e la concezione normativa (che, invece, identifica l’evento nella lesione dell’interesse giuridicamente tutelato determinata dalla predetta condotta): trattasi di problemi ampiamente noti alla scienza penalistica che si rapporta, peraltro, ad eventi selezionati e tipizzati direttamente dal legislatore, a differenza di quanto accade per l’illecito contabile, in ragione del suo carattere ontologicamente “aperto” alla stregua dell’illecito civile.

Di là da tali aspetti sui quali in questa sede non è possibile soffermarsi, deve poi escludersi che la norma introdotta dal primo comma dell’articolo 21 del decreto legge n. 76 del 2020 sortisca l’effetto di porre a carico dell’attore pubblico, ai fini dell’imputazione della responsabilità per danno all’erario a titolo di dolo, una sorta di doppio onere probatorio, chiamandolo a dimostrare a carico del convenuto contemporaneamente e cumulativamente, da un lato, la volontarietà della condotta antigiuridica posta in essere dall’agente-convenuto e, dall’altro, la volontarietà dell’evento dannoso per l’erario etiologicamente cagionato mediante la predetta condotta; onde, mancando la prova di tale secondo elemento (cioè della volontà dell’evento dannoso), la condotta illecita non potrebbe essere riferita all’autore della condotta stessa a titolo di dolo, potendo esserlo solo a titolo di colpa grave (beninteso sempre che questa sia concretamente configurabile nei suoi elementi), con quel che ne consegue sul piano della normativa applicabile: in primis la possibile operatività di quella sorta di esimente speciale prevista in via temporanea dal secondo comma del medesimo articolo 21 del decreto per i casi di condotta commissiva (sulla quale vedi infra).

Una tale lettura del nuovo inciso introdotto, dal primo comma dell’articolo 21, nell’articolo 1 della legge n. 20 del 1994, finirebbe con lo scardinare completamente il ruolo comunemente riconosciuto nella responsabilità patrimoniale per danno all’erario al nesso di causalità, dal momento che all’autore delle condotte illecite non sarebbe più riferibile il danno erariale causalmente conseguente alle sue condotte, ma unicamente quello da lui volontariamente e deliberatamente causato.

Deve in altri termini revocarsi in dubbio una lettura secondo cui, per effetto del nuovo inciso inserito, nel primo comma dell’articolo 1 della legge n. 20 del 1994, dal primo comma dell’articolo 21 del decreto n. 76 del 2020, l’unico dolo rilevante ai fini della responsabilità per danno all’erario sarebbe il dolo strettamente

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intenzionale, per l’effetto che non sarebbe più possibile configurare come dolose, ai sensi del novellato articolo 1 della citata legge n. 20, quelle condotte illecite connotate da un elemento soggettivo doloso di minore intensità, tendenzialmente riconducibile al dolo indiretto e al dolo eventuale.

Ad una simile restrittiva interpretazione osta anzitutto il rilievo secondo cui una volontà dell’evento dannoso ricorre anche nelle altre ipotesi di dolo, dal momento che anche nel dolo indiretto e nel dolo eventuale l’agente non solo si rappresenta psichicamente l’evento dannoso che dalla sua condotta antigiuridica potrebbe scaturire, ma volontariamente lo accetta; andrebbe poi considerato che esigere, per l’addebito della responsabilità a titolo di dolo, la prova specifica dell’animus nocendi, e dunque della specifica intenzione dell’autore delle condotte di agire al fine di cagionare un danno all’erario, condurrebbe a svuotare concretamente di ogni contenuto effettivo e di ogni reale rilievo il dolo quale criterio di colpevolezza, essendo poco più che un caso di scuola quello del funzionario pubblico che agisca volontariamente al fine specifico di cagionare un danno all’amministrazione: le condotte illecite, in caso di dolo, si indirizzano infatti nella quasi totalità dei casi non al danno pubblico in sé, bensì ad un profitto o ad una utilità egoistica, ed il nocumento delle risorse pubbliche (più che voluto) è evento preveduto ed accettato: oggi come ieri non può non riconoscersi che le specie di dolo concretamente suscettibili di assumere effettiva pregnanza rispetto all’illecito contabile appaiono essenzialmente quelle del dolo indiretto e del dolo eventuale fondate sulla previsione dell’evento dannoso e sulla sua accettazione, più che sulla specifica volontà del medesimo.

Una differente soluzione interpretativa della norma introdotta dal primo comma dell’articolo 21 del Decreto Semplificazioni finirebbe, inoltre, con ogni probabilità, con l’esporre la norma in discorso a censure di costituzionalità per violazione del parametro di cui all’articolo 28 Cost. e forse, prima ancora, per il contrasto con il principio di ragionevolezza che opera da limite alla discrezionalità del legislatore, senza contare che il delineare una nozione autonoma di dolo rilevante ai fini della responsabilità per danno all’erario, addirittura più ristretta rispetto a quella penalistica, cui pure il legislatore ha inteso richiamarsi e uniformarsi per asserite esigenze di semplificazione, potrebbe condurrebbe non di rado ad esiti paradossali, quale quello di escludere l’elemento doloso ai fini dell’addebito di responsabilità per danno all’erario anche a fronte di condotte pure riconosciute come dolose in sede penale (così ad esempio, anche a fronte di condotte di peculato accertate in sede penale, in sede contabile rimarrebbe ancora da provare che il peculato venne effettivamente realizzato dall’autore al fine specifico di cagionare un danno all’amministrazione e non per altre egoistiche finalità).

Una questione che si è già posta all’esame della giurisprudenza contabile attiene all’applicabilità della nuova nozione di dolo contabile delineata dal primo comma dell’articolo 21 del decreto n. 76 del 2020 rispetto a condotte causative di danno all’erario poste in essere anteriormente alla sua entrata in vigore: respingendo

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il tentativo di pervenire surrettiziamente ad una applicazione retroattiva della norma invocandone la natura processuale, la giurisprudenza contabile ha già ribadito il carattere sostanziale della norma in discorso, concludendo per la assoluta irretroattività della stessa.

Considerazioni non dissimili dovrebbero valere anche a fronte di condotte antigiuridiche omissive o commissive realizzate dall’autore anteriormente all’entrata in vigore del decreto, ma produttive degli effetti dannosi in un momento successivo a quello, dovendosi giudicare della liceità/illiceità delle condotte sulla base della normativa e dei principi di diritto sostanziale in vigore al tempo in cui esse furono concretamente poste in essere, indipendentemente dal momento in cui hanno dispiegato i propri effetti negativi sul pubblico erario.

Quanto all’ambito di applicazione della nuova accezione del dolo contabile introdotta dal predetto Decreto nel primo comma dell’articolo 1 legge n. 20 del 1994, si tratterà di vedere se essa sia tale da coprire l’intera area della responsabilità per danno all’erario o se invece rimangano ambiti entro cui il dolo potrebbe ancora operare nelle altre e differenti accezioni prospettate in precedenza, in particolare nei termini del cd. dolo contrattuale, ossia della consapevole violazione di obblighi di servizio: il carattere generale della previsione introdotta, dal primo comma dell’articolo 21 del decreto-legge n. 76/2020, nell’articolo 1 comma 1 della legge n.20 del 1994 induce a ritenere che essa debba trovare applicazione sia nelle ipotesi in cui l’erario subisca il danno direttamente per effetto della condotta illecita dell’agente, sia nelle ipotesi di danno cd. indiretto, di danno cioè originato dalla condanna dell’amministrazione in sede civile o amministrativa per effetto della condotta illecita del proprio funzionario; con specifico riferimento a queste ultime ipotesi, in cui l’amministrazione subisce il pregiudizio per il fatto di essere chiamata a risarcire il terzo danneggiato dalla condotta antigiuridica del proprio funzionario nell’ambito dell’attività di servizio, peraltro, l’evento dannoso di cui dovrebbe essere provata la volontarietà ai fini dell’imputazione della responsabilità a titolo di dolo andrebbe individuato, evidentemente, nell’evento causativo della lesione della posizione giuridica del terzo: in definitiva, nell’evento che ha dato causa alla pretesa risarcitoria del terzo successivamente soddisfatta dall’amministrazione con conseguente materializzazione del danno.

La precisazione normativa sulla prova della volontà dell’evento dannoso ai fini dell’imputazione della responsabilità a titolo di dolo sembra destinata ad assumere rilievo non solo con riferimento alle fattispecie di responsabilità (per così dire) atipiche, fondate sulla clausola generale di responsabilità dell’articolo 1 comma 1 legge n. 20 del 1994, ma anche con riferimento alle molteplici fattispecie di responsabilità per danno all’erario direttamente tipizzate dal legislatore che non presentino caratteri di specificità rispetto al generale sistema della responsabilità patrimoniale per danno all’erario, costituendo in definitiva semplice applicazione a situazioni ricorrenti nella prassi di principi più generali comunque già desumibili dal sistema.

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Conclusioni differenti potrebbero forse valere con riferimento a talune particolari fattispecie di responsabilità per danno all’erario (del pari tipiche) caratterizzate da aspetti disciplinari singolari e da presupposti specifici, quali ad esempio quelle di cui all’articolo 53 comma 7 e 7-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 o quelle di cui agli articoli 55 - quater e quinquies del medesimo decreto legislativo: rispetto a tali fattispecie tipizzate, ai fini dell’imputazione soggettiva a titolo di dolo potrebbe forse ancora ritenersi sufficiente la dimostrazione della consapevole violazione degli obblighi di servizio da parte dell’agente, in quanto, per effetto di una valutazione tipica operata direttamente dal legislatore, la volontarietà della condotta antigiuridica attesterebbe ex sé anche la sussistenza della volontà dell’evento dannoso.

Del pari sembrerebbe potersi ritenere priva di portata innovativa la novella in discorso per quanto concerne la fattispecie generale del danno all’immagine di cui all’articolo 17, comma 30-ter del decreto-legge n. 78 del 2009, tanto più che la prova della volontà dell’evento dannoso sembrerebbe qui assolta già per effetto dell’accertamento delle condotte delittuose nei confronti della pubblica amministrazione riveniente dal giudicato penale di condanna.

Evidentemente fuori dall’ambito di applicazione della novella rimarrebbero poi le fattispecie di responsabilità di carattere puramente sanzionatorio, rispetto alle quali del resto non sarebbe nemmeno tecnicamente configurabile un “evento dannoso” da dimostrare.

Da escludere pare, infine, l’incidenza della modifica normativa sulla responsabilità contabile in senso stretto: ciò in ragione sia del riferimento della norma su cui ha inciso (articolo 1 della legge n. 20 del 1994) alla sola azione di responsabilità per danno all’erario sia del particolare regime probatorio che caratterizza il regime giuridico della responsabilità degli agenti contabili a carico dei quali si ritiene operante una vera e propria presunzione di colpevolezza in funzione dell’ammanco, qualificata in termini di inversione legale dell’onere della prova.

1.1.4 LA TEMPORANEA LIMITAZIONE DELLA RESPONSABILITA’ PER COLPA GRAVE

Problemi nuovi e del tutto particolari pone anche la previsione del secondo comma dell’articolo 21 del Decreto Semplificazioni che, nel limitare in via temporanea, sino al 31 dicembre 2021 (originariamente, sino al 31 luglio 2010) ai soli casi di dolo - nell’accezione precisata nel paragrafo precedente - la responsabilità dell’agente per le condotte causative di danno all’erario di tipo commissivo, consente, nel periodo di tempo considerato, la contestazione e l’eventuale addebito di responsabilità per colpa grave unicamente nei confronti di quei funzionari o amministratori pubblici che abbiano causato danno all’erario tenendo condotte omissive o inerti.

La previsione in esame rappresenta l’esito attuale di un dibattito mai sopito, ma salito prepotentemente alla ribalta negli ultimi tempi, inerente al tema della

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“paura della firma”: l’idea di fondo è quella per la quale il timore di incorrere nella responsabilità per danno all’erario frenerebbe funzionari e dirigenti pubblici, inducendoli a condotte dilatorie improntate alla massima cautela legalistica piuttosto che al perseguimento dei valori dell’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa. In questa prospettiva è parsa misura idonea alla velocizzazione dell’azione degli apparati amministrativi, ritenuta vieppiù necessaria al fine di uscire dalla crisi economica provocata dall’epidemia da COVID 19, la temporanea introduzione di una parziale - ma sostanziale - deresponsabilizzazione degli operatori pubblici per le condotte gravemente colpose di tipo commissivo: si tratterebbe in definitiva di fare sì che “i pubblici dipendenti abbiano maggiori rischi di incorrere in responsabilità in caso di non fare (omissioni e inerzie) rispetto al fare, dove la responsabilità viene limitata al dolo” (così la relazione illustrativa del decreto-legge).

In realtà, anche la soluzione normativa in discorso, che appare non armonizzata con l’individuazione di nuove e ulteriori fattispecie “ammonitrici” di responsabilità per danno all’erario nella parte del medesimo decreto dedicata ai contratti pubblici (così ad esempio nel primo comma dell’articolo 1 e nel primo comma dell’articolo 2), come quella del primo comma articolo 21 esaminata nel precedente paragrafo, è stata oggetto di approfondimento sia sotto il profilo della opportunità, sia sotto quello più strettamente tecnico-giuridico: sotto il primo profilo, da più parti si è osservato come nel contesto attuale, caratterizzato da inestinguibili fenomeni di maladministration, la limitazione dell’esercizio dell’azione di danno erariale operata dalla norma in esame altro non sia se non un perfetto assist alla ulteriore deresponsabilizzazione nella gestione della cosa pubblica.

Sotto il profilo tecnico-giuridico, poi, molte delle argomentazioni comunemente addotte nel senso del preteso carattere vessatorio della responsabilità per danno all’erario in cui possono incorrere funzionari e amministratori pubblici si rivelano, all’esito di più attenta riflessione, non in linea con un’appropriata disamina dell’istituto in esame e della relativa pluridecennale elaborazione giurisprudenziale formatasi su di esso.

Sotto il profilo temporale, la particolare limitazione di responsabilità per danno all’erario, prevista dal secondo comma dell’articolo 21 del decreto n. 76 del 2020, nasce come destinata a rimanere circoscritta ai soli “fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto” e dunque dal 16 luglio 2020 fino al 31 dicembre 2021: deve ritenersi che ciò valga indipendentemente dal momento in cui le predette condotte esplichino concretamente i propri effetti dannosi sul pubblico erario (ciò che, come è noto, può realizzarsi anche a distanza di diversi anni: si pensi alle ipotesi di responsabilità per danno indiretto, in cui il danno all’erario sovente si materializza concretamente all’esito di lunghi e articolati giudizi civili).

Ogni tentativo di invocare l’applicazione della norma in discorso anche con riferimento a condotte commissive realizzate in epoca anteriore all’entrata in vigore della stessa, appare destituito di fondamento normativo, già alla luce del chiaro

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disposto normativo; come tale esso è stato già in più occasioni, come detto (vedi supra, par. 1.1.3), respinto dal giudice contabile nelle pronunce sul punto emesse nel corso degli ultimi mesi del 2020.

Maggiormente fondato appare il dubbio, che sin da ora emerge dalla lettura della norma, sul trattamento da riservare alle condotte illecite di carattere continuativo avviate dall’autore in epoca anteriore al 16 luglio 2020 e continuate nella vigenza del regime speciale dell’articolo 21 cit.; del pari si porrà verosimilmente questione per la fattispecie inversa, in cui le condotte illecite di carattere continuativo comincino in costanza di regime speciale ex secondo comma articolo 21 cit., per protrarsi ininterrottamente anche dopo che tale regime sia cessato e abbia ripreso vigore la disciplina generale.

Problemi di non agevole soluzione possono facilmente prevedersi anche con riferimento alla precisa individuazione dell’ambito oggettivo di applicazione del secondo comma dell’articolo 21: il riferimento operato dalla norma all’ “azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994 n. 20”, ed il carattere derogatorio della stessa rispetto alla disciplina generale, paiono orientare verso una applicazione restrittiva della previsione (arg. art. 14 preleggi) limitata alla sola responsabilità patrimoniale per danno all’erario in senso stretto, escludendo quindi la possibilità di riferire la limitazione di responsabilità introdotta (seppure in via temporanea) alla responsabilità contabile in senso stretto e alla responsabilità sanzionatoria.

Fortemente dubbia appare anche la riferibilità della previsione del secondo comma dell’articolo 21 del decreto-legge n. 76 del 2020 a talune fattispecie speciali di responsabilità per danno all’erario assoggettate ad una disciplina particolare (così, ad esempio, la responsabilità del medico nei confronti dell’erario per malpractice sanitaria di cui alla legge n. 24 del 2017 cd. Legge Gelli-Bianco), come anche, più in generale, a quelle fattispecie di responsabilità per danno all’erario discendenti da condotte puramente materiali (ad esempio, incidenti stradali, distruzioni, smarrimenti, ecc.) rispetto alle quali non si vede in che senso possa invocarsi la ricorrenza della ratio della norma limitativa di responsabilità (cd. paura della firma).

Da escludere parrebbe anche l’applicabilità del secondo comma dell’articolo 21 e della limitazione di responsabilità ivi prevista, a meno di non voler pervenire a risultati paradossali, alle condotte commissive gravemente colpose che determinino in concreto l’arricchimento dell’autore delle stesse in danno dell’erario.

Problema centrale alla luce del disposto del secondo comma dell’articolo 21, ed in particolare dalla lettura a contrario dell’ultimo inciso della norma (“la limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente”), appare quello della distinzione tra condotte illecite di tipo commissivo e condotte illecite di tipo omissivo: per le condotte del primo tipo la colpa grave non costituirà, nel periodo in considerazione, idoneo criterio di imputazione soggettiva, onde il danno che dovesse conseguire da

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tali condotte si consoliderebbe irreversibilmente a carico dell’erario (cioè della collettività), senza alcuna possibilità di rivalsa da parte delle procure contabili; per le condotte del secondo tipo, invece, la limitazione di responsabilità in discorso non opererebbe e, dunque, continuerebbero ad applicarsi le regole generali sulla responsabilità per danno all’erario.

La distinzione tra condotte commissive e condotte omissive in linea astratta e teorica non pone particolari problemi: nel primo caso la condotta integrativa del danno ha carattere positivo e si identifica in un fare o in un dare antigiuridico; nel secondo caso invece la condotta integrativa del danno ha carattere negativo, esplicandosi in un non fare antigiuridico (cioè nel non fare ciò che invece l’ordinamento esige sia fatto); nella realtà dei fatti, peraltro, accade di frequente che le condotte illecite fonte di responsabilità per danno all’erario si articolino al loro interno in condotte sia dell’uno che dell’altro tipo, tutte causalmente concorrenti nella determinazione del danno all’erario. Altrettanto frequenti sono i casi in cui una medesima condotta illecita si presti ad essere riguardata contemporaneamente sia in positivo (in termini di condotta commissiva) sia in negativo (in termini di condotta omissiva); né può trascurarsi, del resto, che per principio generale dell’ordinamento (arg. articolo 40 del codice penale) non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.

Di qui il dubbio sulle modalità di applicazione della previsione di cui al secondo comma dell’articolo 21 del Decreto Semplificazioni a fronte di condotte illecite connotate tanto da aspetti commissivi quanto da aspetti omissivi: l’ultimo inciso del secondo comma dell’articolo 21 del decreto-legge n. 76 del 2020, per il quale “la limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente”, sembrerebbe escludere che della limitazione di responsabilità in discorso possa giovarsi il funzionario che abbia posto in essere la condotta illecita commissiva omettendo previamente con colpa grave il compimento di atti o attività espressamente impostegli dall’ordinamento giuridico (generale e di settore); la limitazione di responsabilità sembrerebbe da escludere, per ragioni sostanzialmente identiche, anche nelle ipotesi in cui il funzionario abbia realizzato la condotta illecita commissiva omettendo con colpa grave di accertare la ricorrenza dei presupposti di fatto e di diritto previsti dall’ordinamento per l’adozione di un atto o per il compimento di una attività.

Più in generale, la limitazione di responsabilità di cui al secondo comma dell’articolo 21 del citato decreto n. 76 del 2020 sembrerebbe da escludere quante volte la condotta illecita commissiva del funzionario altro non sia se non l’esito del mancato compimento - e dunque dell’omissione - di atti o attività di carattere strettamente vincolato quanto all’an, al quomodo, al quando e al quid: rispetto a situazioni di tal genere, del resto non si vede su cosa possa fondarsi la cd. paura della firma, atteso che il funzionario si muove nell’ambito di attività interamente tipizzate e procedimentalizzate dal legislatore.

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La limitazione di responsabilità ai sensi secondo comma dell’articolo 21 del decreto n. 76 del 2020 parrebbe invece attagliarsi senza particolari problemi alle condotte commissive in senso stretto, a quelle ipotesi cioè in cui il danno all’erario segue come effetto esclusivo diretto ed immediato dell’atto adottato o della condotta posta in essere dal funzionario in colpa grave (così ad esempio nel caso in cui, nonostante l’istruttoria risulti svolta correttamente, il funzionario cada in un errore inescusabile nell’apprezzamento degli elementi di fatto o diritto comunque accertati in istruttoria, adottando l’atto foriero di danno o determinandosi a tenere la condotta giuridica dannosa).

L’ambito di operatività della limitazione di responsabilità in discorso, anche in ossequio allo spirito della norma, non dovrebbe eccedere in definitiva l’ambito degli apprezzamenti discrezionali affidati dall’ordinamento al funzionario e/o amministratore: unico ambito in cui, in effetti, potrebbe adombrarsi con qualche ragione il timore della firma e per il quale già il regime generale ordinario della responsabilità prevede l’esimente legata all’insindacabilità nel merito delle scelte relative (articolo 1 comma primo legge n. 20 del 1994); le condotte illecite gravemente colpose in relazione alle quali potrebbe operare la limitazione di responsabilità prevista dal secondo comma dell’articolo 21 del decreto-legge n.76 del 2020 sarebbero in definitiva quelle “esclusivamente” commissive (o commissive in senso stretto) non anche quelle che si presentino come indissolubilmente legate e frammiste a condotte illecite di tipo omissivo.

Un altro indice dell’eccessiva semplificazione concettuale da cui muove il decreto n.76 del 2020 in materia di responsabilità sta nel non aver minimamente considerato che, nell’ambito dell’ordinamento giuridico vigente, a carico del funzionario pubblico, opera non solo la responsabilità per il danno cagionato all’erario secondo le regole dalla responsabilità amministrativo-contabile (di cui all’articolo 1 legge n. 20 del 1994), ma anche la comune responsabilità civile nei confronti dell’amministrazione di appartenenza; di qui la domanda se, per i fatti commessi dalla data di entrata in vigore del predetto decreto e fino al 31 dicembre 2021, la limitazione di responsabilità per danno all’erario prevista dal secondo comma dell’articolo 21 concerna unicamente l’azione delle procure contabili o invece anche eventuali azioni civili promosse direttamente nei confronti del funzionario dalla pubblica amministrazione di appartenenza.

In mancanza di espresse previsioni al riguardo, non risultando in alcun modo intaccato il sistema del cd. doppio binario a più riprese affermato anche dalla Corte di Cassazione (vedi infra, par. 2.2) - secondo cui l’azione per danno erariale delle procure contabili non preclude la normale azione risarcitoria civile dell’amministrazione innanzi il giudice ordinario, ove non vi siano particolari limitazioni di responsabilità - sembra doversi concludere nel senso che il funzionario ben potrebbe (e, anzi, dovrebbe per le ragioni che seguono) essere chiamato davanti al giudice ordinario direttamente dalla sua amministrazione a risarcire il danno arrecatole.

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