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LA GIURISPRUDENZA DELLE SEZIONI RIUNITE DELLA CORTE DEI CONTI

Nel documento INAUGURAZIONE DELL ANNO GIUDIZIARIO 2021 (pagine 52-58)

2.- LE NOVITA’ GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI GIURISDIZIONE CONTABILE

2.3 LA GIURISPRUDENZA DELLE SEZIONI RIUNITE DELLA CORTE DEI CONTI

Nel 2020, le Sezioni Riunite della Corte dei conti in sede giurisdizionale hanno pronunciato 35 sentenze e 5 ordinanze.

Per quanto riguarda le sentenze, nel corso del 2020 l’attività delle Sezioni Riunite della Corte dei conti è stata prevalentemente indirizzata alla decisione di ricorsi in materia di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata dall’ISTAT (sentenze nn. 1-7-8-9-10-11-12-13-14-15-16-17-19-20-21-22-23-25-26-27), di ricorsi sulle impugnazioni delle deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo in materia di contabilità pubblica (sentenze nn. 2-18) e di ricorsi relativi all’adozione di piani di riequilibrio degli enti territoriali e ammissione al Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali (sentenze nn. 3-4-6-32-33-34-35) secondo le competenze disciplinate dall’art. 11, comma 6 del Codice di Giustizia Contabile che le rimette alle Sezioni Riunite in speciale composizione.

Molteplici sono state anche le decisioni (sentenze nn. 28-29-30-31) che hanno riguardato la regolarità dei rendiconti dei gruppi consiliari, nell’ambito della competenza specifica oggi prevista dall’art. 11, comma 6, lettera d) del Codice.

Una sentenza (n. 24/QM/SEZ) ha poi avuto ad oggetto la risoluzione di questioni di massima, attribuzione tipica delle Sezioni Riunite in composizione ordinaria.

Per quanto riguarda le ordinanze, quelle contrassegnate dai nn. 2 e 5 del 2020 si sono occupate, nell’ambito dei regolamenti di competenza, di tematiche attinenti alla sospensione necessaria del giudizio di responsabilità (le ordinanze nn. 6 e 7 hanno dichiarato inammissibili ricorsi proposti in tale materia) mentre le altre hanno avuto ad oggetto questioni insorte in materia di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata dall’ISTAT.

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Relativamente alla materia della responsabilità amministrativa rimessa alle Sezioni Riunite in composizione ordinaria, con l’importante menzionata sentenza n.

24/2020/QM/SEZ, le SS.RR., nel decidere una questione di massima deferita dalla Prima Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello in merito alla quantificazione del danno erariale conseguente alla illecita erogazione di emolumenti in favore di pubblici dipendenti o comunque di soggetti legati da un rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione, hanno affermato il principio di diritto secondo cui la quantificazione deve essere effettuata al lordo delle ritenute fiscali Irpef operate sugli importi liquidati, osservando che costituisce danno per l’erario l’intera spesa, comprensiva degli importi dovuti per ottemperare agli obblighi tributari e contributivi, trattandosi di componente negativa che concorre a gravare sul bilancio, ancorché a beneficio di altri soggetti pubblici, non potendo quella parte essere suscettibile di valutazioni compensative ai sensi dell’art. 1, comma 1-bis, della legge n. 20 del 1994. La Corte ha posto anche in evidenza il carattere autonomo dell’obbligazione tributaria, che nasce indipendentemente dal carattere illecito dell’erogazione ed il profilo dell’alterità tra soggetto danneggiato ed ente avvantaggiato.

In riferimento a tematiche afferenti alla sospensione del giudizio di responsabilità nell’ambito dei regolamenti di competenza, l’ordinanza n. 2/2020, su ricorso proposto proprio da questa Procura Regionale per l’Emilia-Romagna, ha ricordato che “Il rapporto tra giudizio penale e giudizio di responsabilità…si sostanzia nella possibilità per il giudice contabile di procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze istruttorie per accertare la colpa grave o il dolo del soggetto” e che “per costante e consolidata giurisprudenza della Corte dei conti, prima il PM e poi il collegio possono trarre dalle risultanze del giudizio penale autonomi apprezzamenti e convincimenti anche quando le infrazioni considerate ai fini della pronuncia coincidano, in tutto od in parte, con la violazione di particolari obblighi di servizio e ciò soprattutto nella valutazione dell’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa”. Quanto poi

al danno all’immagine, il Collegio giudicante ha osservato che “occorre ricordare che la necessità di una sentenza passata in giudicato è stabilita dal legislatore per i reati contro la pubblica amministrazione (art. 17, comma 30 ter legge n. 102 del 2009)”, invece, per quanto attiene alle ulteriori ipotesi di danno all’immagine, per le quali sono state introdotte normative specifiche, “sul punto appare utile ricordare l’ordinanza SSRR n. 6 del 2018 che, per le fattispecie di danno all’immagine di cui all’art. 55 quater, comma 3 quater, del d.lgs. 165/2001, ha affermato che le stesse hanno natura speciale, con la diretta conseguenza che non può configurarsi un’ipotesi di sospensione necessaria”.

Con l’ordinanza n. 5/2020, sempre in tema di sospensione del processo contabile, le Sezioni Riunite hanno poi affermato che “grazie al principio della libertà e strumentalità delle forme ex art. 32, c.g.c., il giudice contabile può adottare un provvedimento di separazione di cause anche se il codice di giustizia contabile non ne prevede espressamente la forma “quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo” (art. 103 cpv, c.p.c.) e quindi quando si tratta di assicurare la ragionevole durata del processo”.

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Con riferimento alle attribuzioni rimesse alle Sezioni Riunite in speciale composizione ed in particolare alle decisioni sulle impugnazioni delle deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo, si deve segnalare la sentenza n. 32/2020/EL per le considerazioni svolte in punto di giurisdizione contabile e di legittimazione ad agire.

Il Collegio ha evidenziato che la giurisdizione delle Sezioni Riunite in speciale composizione trova fondamento nel combinato disposto degli artt. 100, comma 2 e 103, comma 2 Cost e che le pronunce delle Sezioni regionali di controllo in materia di piani di riequilibrio finanziario e di dissesto degli enti locali rientrano nella giurisdizione esclusiva della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica. È stata richiamata la sentenza n. 60 del 2013 con la quale la Corte costituzionale ha rimarcato che la funzione di controllo, espressione del sindacato neutrale di legittimità sul bilancio, non può essere attribuita ad autorità diverse della Corte dei conti. Le Sezioni Riunite hanno ribadito che le altre giurisdizioni non possono sindacare in sede giurisdizionale l’esito del controllo e che la giurisdizione della Corte dei conti sussiste anche con riguardo agli effetti esecutivi dei propri accertamenti sulla situazione di bilancio e sugli atti del Consiglio comunale e del Prefetto, qualora risultino contestati non vizi dell’atto, ma il presupposto tecnico giuridico del dissesto in relazione all’accertamento dei requisiti richiesti per la sua dichiarazione ex art. 243-quater, comma 7 e art. 244 Tuel.

Nella sentenza è stato, altresì, affrontato il tema della sussistenza delle condizioni dell’azione e dell’ammissibilità del ricorso evidenziando che la legittimazione ad agire di soggetti diversi dall’ente controllato, che si assumono titolari di situazioni giuridiche soggettive lese dalla pronuncia della Sezione di controllo, non può essere esclusa, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale che ha valorizzato la tutela ai sensi dell’art. 24 Cost. Il Collegio ha osservato che il

Giudice delle leggi ha riconosciuto il diritto alla tutela giurisdizionale nei confronti dei soggetti che hanno preso parte al procedimento di controllo e che a fortiori deve essere riconosciuta tutela ai titolari di diritti e interessi non rappresentati nel giudizio di controllo nella misura in cui si assumano lesi dalla decisione. Si è osservato, nello specifico, che i ricorrenti avevano dedotto di essere titolari di posizioni giuridiche proprie che ritenevano lese dalle delibere della Sezioni territoriale per giungere a riconoscere la relativa legittimazione ad agire. Posto che l’interesse a ricorrere, al pari della legittimazione, costituisce una condizione dell’azione, la Corte ha precisato che, nei giudizi innanzi alle Sezioni Riunite, la valutazione in ordine alla sussistenza del presupposto deve essere puntuale e rigorosa nei confronti dei soggetti diversi dall’ente controllato che agiscono in nome proprio, trattandosi di una giurisdizione che investe il bene pubblico bilancio, dal contenuto ampiamente discrezionale, con il rischio di trasferire in sede giudiziaria conflitti di natura politica, con possibile abuso dello strumento processuale. Il Collegio ha osservato che, per poter ravvisare l’interesse ad agire in capo a soggetti che non hanno preso parte al procedimento di controllo, occorre che si lamenti una lesione alla propria situazione giuridica soggettiva derivante dalla esecutività degli accertamenti della Sezione di controllo, il cui contenuto può costituire l’antecedente di successivi provvedimenti amministrativi, obbligatori e vincolati. Il Collegio ha, infine, precisato che l’asserita lesione può ravvisarsi quando l’accertamento contenuto nella pronuncia della Sezione abbia determinato ricadute sulla posizione giuridica di chi agisce. È stata, quindi, richiamata la giurisprudenza delle Sezioni Riunite in speciale composizione (sentenze nn. 16, 17 e 25/2019) che ravvisa l’interesse a ricorrere di soggetti incisi dall’applicazione della deliberazione emessa dalla Sezione di controllo. La Corte ha affermato pertanto che qualsiasi accertamento della Sezione territoriale, al quale consegue l’obbligo di adottare determinati provvedimenti vincolati in materia di bilancio, incide sul diritto del consigliere comunale di gestire le risorse pubbliche con conseguente sussistenza dell’interesse ad agire in capo ai consiglieri comunali.

Merita rilievo anche la sentenza n. 4/2020/EL con la quale le Sezioni Riunite in speciale composizione hanno posto in rilievo la necessità che le Sezioni regionali in sede di controllo di legittimità-regolarità assumano a riferimento i fatti sopravvenuti di gestione laddove il bilancio rappresenta «un ciclo che si articola nella continuità delle scritture, dei rendiconti e dei loro effetti sulla programmazione». Il Collegio ha evidenziato che l'art 148-bis Tuel, mirando a tutelare "anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti" presuppone l’aggiornamento dei saldi onde verificare l’impatto sulla gestione in corso, atteso che l’equilibrio consiste nella dinamica ricerca del bilanciamento tra risorse disponibili e spese necessarie per il perseguimento delle pubbliche finalità. La Corte ha evidenziato che nel caso in cui l'ente abbia deliberato il ricorso alla procedura di riequilibrio pluriennale, la Sezione di controllo non può disporre l'adozione delle misure correttive perché, se il ricorso alla procedura di riequilibrio presuppone l'impossibilità di far

fronte agli squilibri strutturali con i rimedi ordinari di cui agli artt. 193 e 194, non avrebbe senso disporre misure correttive che dovranno invece essere contenute nel PRFP. Si è osservato in sentenza che la norma non dispone per il caso che l'adozione delle misure correttive sia stata chiesta prima della delibera di ricorso alla procedura di riequilibrio. Le Sezioni Riunite hanno ritenuto pienamente legittima in questo caso la richiesta delle misure, evidenziando che il piano di riequilibrio può contenere le misure correttive richieste da una delibera ex art. 148-bis e che la verifica della loro concretezza ed effettività dovrà essere compiuta dalla Sezione regionale al momento della ricezione del piano ex art. 243-quater, comma 1, Tuel, al solo fine di concludere la procedura prevista dall'art. 148-bis. Il Collegio ha posto in luce che il blocco della spesa veniva nella fattispecie correttamente disposto ma che esso debba essere limitato al momento dell'adozione del piano di riequilibrio da parte del Consiglio comunale e non sino all'adozione delle misure correttive prevista dall'art.

193, atteso che le misure possono essere comprese nel piano che compete alla Sezione regionale verificare. Conclusivamente il Collegio, nell’accogliere parzialmente il ricorso dichiarava che il blocco della spesa permane non “sino all’adozione delle necessarie manovre correttive ai sensi e per gli effetti dell’art 193 Tuel”, bensì “sino all’adozione della delibera di cui all’art 243-bis c. 5 Tuel”.

Significativo interesse presenta anche la sentenza n. 5/2020/SR pronunciata nell’ambito del ricorso con il quale veniva impugnata, per la prima volta innanzi alle Sezioni Riunite, la deliberazione di una Sezione regionale di controllo di ricusazione del visto di legittimità su un atto amministrativo che il ricorrente riteneva lesiva della propria sfera giuridica soggettiva. Le Sezioni Riunite hanno affermato l’insindacabilità e la non impugnabilità della delibera ed hanno dichiarato inammissibile il ricorso per difetto assoluto di giurisdizione. Il Collegio ha posto in rilievo che la funzione giurisdizionale trova un limite nella intrinseca finalità di tutela di diritti soggettivi e interessi legittimi e non può essere invocata a tutela di situazioni che configurano interessi di mero fatto. Alla luce della natura e della finalità del controllo di legittimità di cui all’art. 3, comma 1, della legge n. 20/1994, il Collegio ha rilevato che la posizione del privato rispetto al possibile esito è qualificabile in termini di aspettativa e dunque di interesse di mero fatto, posizione diversa da quella di interesse qualificato al bene della vita derivante dal provvedimento amministrativo oggetto del controllo. Il Collegio ha richiamato una recente pronuncia della Corte costituzionale (n. 196/2018) che ha valorizzato la circostanza che il visto di legittimità o il diniego viene disposto nell’interesse del buon andamento dell’azione e non assume a riferimento l’interesse individuale, che si manifesta nella diversa fase del procedimento amministrativo e che si esprime nella dimensione partecipativa garantita dalla legge n. 241/1990 e nel momento dell’eventuale impugnazione del provvedimento. Le Sezioni Riunite hanno osservato ancora che, ove si ammettesse che nel corso della procedura di controllo preventivo la Corte possa conoscere delle istanze individuali dei soggetti interessati al provvedimento controllato, la funzione risulterebbe snaturata con ampliamento

della cognizione dalla verifica della legittimità sull’atto al giudizio sul rapporto. Il Collegio ha, infine, evidenziato che la non impugnabilità delle deliberazioni relative al controllo preventivo di legittimità è unanimemente riconosciuta da dottrina e giurisprudenza, trattandosi di “funzione pubblica neutrale” e non di attività amministrativa.

In materia di rendiconti dei gruppi consiliari dei consigli regionali merita di essere richiamata la sentenza n. 29/2020/RGC, pronunciata dalle Sezioni Riunite in speciale composizione che hanno rigettato il ricorso per l’annullamento delle deliberazioni con le quali la Sezione regionale di controllo aveva dichiarato non regolare il rendiconto. La Corte, nel valorizzare i principi consacrati dalla giurisprudenza contabile e costituzionale in merito alle caratteristiche del controllo affidato alle Sezioni regionali di controllo sui rendiconti dei gruppi consiliari a tutela dell’integrità e dell’equilibrio del bilancio regionale, ha osservato che la Sezione territoriale aveva correttamente compiuto, nei limiti del sindacato riconosciuto dalla legge, la puntuale verifica del rispetto del vincolo di destinazione ravvisando la sussistenza dell’obbligo di restituzione delle erogazioni relative al contratto di consulenza, in quanto non assimilabili a spese di personale e dunque non correttamente rendicontate. La Sezione, verificata la natura del rapporto di collaborazione instaurato dal Gruppo consiliare con il professionista, che derivava da un contratto di consulenza e non da un contratto di lavoro subordinato o da un contratto di co.co.co., aveva rilevato che la relativa spesa non poteva essere contabilizzata nella voce “spese di personale”, dovendo invece essere inserita nella voce “spese per funzionamento”. Le Sezioni Riunite, alla luce della normativa regionale di riferimento, hanno affermato pertanto la sussistenza in capo al Gruppo consiliare dell’obbligo di restituzione delle erogazioni relative al contratto di consulenza, in quanto non assimilabili a spese di personale e dunque non correttamente rendicontate.

Tra le decisioni assunte sui ricorsi avverso gli atti di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata dall’ISTAT, va richiamata la sentenza n.

26/2020/RIS con la quale le Sezioni Riunite in speciale composizione hanno rigettato il ricorso proposto da una società per azioni con partecipazione maggioritaria della Regione, che si qualificava finanziaria regionale operante sul mercato, ritenendola correttamente inserita dall’Istat nell’elenco delle pubbliche amministrazioni. La Società sosteneva di operare in modo imprenditoriale nel settore dei servizi finanziari e di dover essere ricompresa nel settore delle società finanziarie, piuttosto che in quello della p.a., in quanto produttrice sul mercato di beni e servizi finanziari resi dietro corrispettivo, alla Regione e ad altri clienti, privati e pubblici. La Procura generale evidenziava che la società risultava priva dell’autorizzazione di cui all’art.

132 del d.lgs. n. 385 del 1993 (TUB) e che non sussisteva alcuna finalità di massimizzazione del profitto, ma esclusivamente di sostegno all’economia regionale e deduceva, in ordine al test market-non market, che le commissioni attive “proventi dei servizi finanziari prestati e pagati” non possono essere qualificate come

ricavi-vendite, trattandosi di fondi assegnati dalla Regione per la gestione del servizio. Le Sezioni Riunite hanno osservato che l’attività svolta dalla società non risultava finalizzata alla massimizzazione del profitto, concorrendo all’attuazione della programmazione regionale per lo sviluppo delle piccole e medie imprese del territorio regionale. Alla luce dei criteri di classificazione adottati dal Reg. UE n.549 del 2013, la Corte ha escluso che l’attività svolta potesse ritenersi equiparabile a quella di intermediazione finanziaria considerato che la cancellazione dall’albo ex art. 106 del TU delle leggi in materia bancaria e creditizia non consente alla società di svolgere nei confronti del pubblico attività di concessione di finanziamenti, che, nella configurazione del SEC 2010, costituisce l’essenza dell’intermediazione finanziaria. La Corte ha rilevato ancora che l’attività finanziaria prevalente resa dalla società a favore della Regione non risultava svolta in condizioni di mercato in modo da incidere sulla domanda e offerta del servizio, che la società non concorreva con altri operatori finanziari e che difettava l’assunzione del rischio finanziario, non previsto dalla legge istitutiva né dallo Statuto.

Nel documento INAUGURAZIONE DELL ANNO GIUDIZIARIO 2021 (pagine 52-58)